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Autore: d r e e m    09/10/2010    5 recensioni
Passarono alcuni minuti di assoluto silenzio.
“Sei solo una povera pazza”
Si girò e stavolta oltre la testa spostò anche la sedia.
“Sono daltonica” dissi quasi se quella fosse una giustificazione alla mia pazzia.
[4.Pioggia]
~SasuSaku
Genere: Dark, Malinconico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Sakura Haruno, Sasuke Uchiha | Coppie: Sasuke/Sakura
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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{Darker than black.
4.Pioggia

Carissima sorella,
Si può legare l’anima di due persone?
Legarla in un nodo indissolubile, stringere un fiocco attorno a loro
così stretto da farli respirare a fatica?
In questo momento il mio cuore soffoca e non è l’unico.
Sasuke entra nei miei sogni, macchia la notte di bianco ed esce da me in un urlo strozzato.
La sua voce mi rincorre, i suoi occhi mi asfissiano.
Tutto di lui mi scorre dentro, tra le fibre del mio essere,
sono satura di lui fino alla punta dei capelli.
Vomito pensieri che la mia mente non aveva mai ingerito,
deglutisco parole che m’intossicano lo stomaco,
piango segreti da non rivelare.
Tutto questo è strano, cara sorella!
E’ questo che si prova quando si sa di dover morire? Oh no!
Potrei sembrare normale a dire questo, perché pazza già ci sono,
ma credo che non ci sia morte più dolce della mia.

Era l’unica persona reale che riuscissi a vedere nel raggio di trenta metri.
Avrei camminato ancora lungo il sentiero rosato fino a raggiungere un luogo dove il terreno scosceso aveva creato una piccola collinetta. Mi sarei fermata una volta che gli occhi si fossero scontrati con il suo sguardo. Il cuore avrebbe cominciato a sbattere le sue ali di carta, e lui se ne sarebbe accorto. A quel punto lui si sarebbe seduto su quella sua sedia, non proferendo alcuna parola, lasciandomi in preda a un torpore infinito.
Io non ero nient’altro che un’ombra: giacevo a terra immobile osservando dal basso il suo profilo, contando i sospiri che facevano scuotere l’erba, disegnando parole che, dette, non funzionavano più.
Lui cercava di non uccidermi, io cercavo di farlo.
Era insensato stare così vicino a qualcuno per cui la vita non era altro che un optional. Eppure viveva e con lui io respiravo, a pieni polmoni intrappolavo l’aria nel mio petto: chi l’avrebbe detto che avrei iniziato a vivere a pochi passi dalla morte?
La sua sedia odorava di muschio e caffè, ma non un caffè normale, era aromatizzato, speziato, che ti macchiava le labbra e ti bruciava in gola. A volte quando il vento spirava da est, lasciava la sua fragranza sulla mia pelle: un odore che non aveva nulla a che vedere con il caffè, né con il muschio, era un odore di vernice mescolata a inchiostro, un profumo nostalgico che mandava in estasi i miei sensi.
La sedia era vecchia, era stanca, a tenerla in piedi c’erano dei chiodi arrugginiti. Erano tanti, come diamanti neri incastonati in un bracciale. Sotto le mie dita li sentivo duri e freddi, riuscivo quasi a percepire lo sforzo che facevano nel tenere unita quella sedia oramai ridotta a pezzi. Da essi partivano numerose venature che percorrevano tutto il corpo del legno, minuscoli tagli che il tempo non era riuscito a guarire.
A volte mi permettevo di guardarlo cercando di capire cosa potesse attraversargli la mente ma il suo volto era come un velo bianco: impossibile capire cosa si celasse dietro.
Passavamo lì la prima ora del mattino, sorvegliati da una squadra di sette medici poco distante da noi.
Durante le ultime due settimane Sasuke non aveva più parlato, né mi aveva degnato di uno sguardo: la mia sarebbe stata una morte lenta e dolorosa.

Quel giorno però la pioggia m’impedì di vederlo.
Le gocce tintinnavano a contatto con le sbarre della mia finestra e s’infiltravano tra le pareti della stanza rendendo l’aria più umida di quanto non fosse già.
L’afa era forte. Si appiccicava ai vestiti e rubava fiato ai miei poveri polmoni. Maggio dopotutto l’avevo sempre odiato: era un mese anomalo, non era primavera né tantomeno estate, era indefinibile e questo bastava per farmelo odiare e amare allo stesso tempo. Appoggiai i gomiti alla finestra sostenendomi la testa con le mani, aspettando che qualche filo di vento spirasse e desse conforto alla mia fronte madida di sudore. Le punte dei piedi non toccavano terra tanto la finestra era alta e la mia voglia di frescura troppa. Delle chiavi entrarono perfettamente nella toppa della serratura della mia cella. Ci furono tre o quattro scatti poi la porta si aprì. Una delle solite infermiere aveva in mano una siringa: la mia dose giornaliera di antidepressivi. Vidi il suo volto impallidire e quasi la siringa le scivolava di mano. “Signorina Haruno non penserà di scappare! Guardi che chiamo subito i dottori e…” Non le permisi di finire la frase che stava cercando di masticare. “Secondo lei come può qua-qualcosa di freddo e-e umido causare tanto caldo?” le chiesi, ancora attaccata alla finestra. Guardavo ancora la pioggia cadere incessantemente sul mio giardino. “Risponda!” dissi sentendo montare la rabbia dentro di me ma ci fu solo silenzio. Mi lasciai scivolare e le ginocchia si sbucciarono a contatto con il muro ruvido. “Ora basta venga qua, la prego!” la voce dell’infermiera tremava, come mai? Mi girai appena in tempo prima che l’ago bucasse la mia pelle. Afferrai con una mano il polso dell’infermiera, con l’altra cercavo contemporaneamente di schivare i suoi colpi e di prendere la siringa. A un certo punto mi sentii affondare la mano tra i capelli e tirare con forza la testa. Non potevo più fare nulla. Avevo mani e braccia immobilizzate, un bersaglio troppo facile. Era questione di secondi: l’infermiera avrebbe ritrovato la siringa e mi avrebbe nuovamente bucato la pelle iniettandomi quella sostanza di cui già pregustavo il sapore acido in bocca.
“Dividetele presto!” altri due infermieri circondarono la donna: dapprima pensai che fossero giunti in suo aiuto, ma mi ricredetti quando vidi che le avevano bloccato la mano destra e piano la allontanavano da me. “Tutto apposto Sakura?” alzai lo sguardo incrociando gli occhi del mio adorato dottore. “Voglio u-uscire” rantolai tentando di rialzarmi da terra. Kakashi mi guardò: il suo viso mi ricordò per un momento qualcuno di familiare, come se stessi osservando me stessa riflessa nei suoi occhi. “Sta piovendo, è impossibile uscire”. Le sue parole furono come l’alcol sulle ferite: bruciavano da impazzire. Cercai di frenare la rabbia che stava rinascendo in me e mi limitai a mettere il broncio. “Comunque possiamo pur sempre anticipare la visita medica di giovedì, che ne dici?”. In quel momento mi sentii più libera: l’afa era sparita.

Il foglio ruvido di cui era ricoperto il lettino delle visite strusciava sulle mie cosce.
I piedi nudi ciondolavano e sentivo un leggero formicolio invadermi le gambe.
La luce a intermittenza del dottor Kakashi cercava di perforarmi gli occhi ma invano.
Cercavo di eseguire le azioni che mi ordinava di fare: guarda a destra, respira forte, tossisci.
E se avesse trovato qualche anomalia nel mio cuore?
Per quanto ne sapevo io, avrei potuto anche non avere più un cuore.
“Sembra che non ci sia niente di preoccupante, hai una leggera sinosite dovuta agli sbalzi di temperatura ma, per il resto, tutto rientra nella norma”
Quindi non ero malata? E allora cosa era quel disgusto, quei battiti cardiaci così accelerati, quei pensieri indecenti, quella voglia di qualcosa di proibito? Non osavo chiederlo perché in fondo conoscevo la risposta.
“Solo una cosa…”
Il mio corpo s’irrigidì facendo diventare la mia spina dorsale, un’inflessibile sbarra di ferro.
“Ancora non riesco a spiegarmi il tuo daltonismo: di solito è un difetto di natura prevalentemente genetica che affligge la maggior parte delle volte gli esponenti maschili del genere umano. Può insorgere tuttavia in seguito a danni riportati al cervello o in seguito a incidenti… ciò che non riesco a capacitarmi è il come sei potuta diventare daltonica”.
Strappai un lembo della carta del lettino e abbassai gli occhi fino a osservarmi i piedi violacei.
Non ricordavo di essere riuscita a vedere i colori.
Per me essi apparivano come un qualcosa d’inesistente e superfluo.
Riuscivo a vedere la cruda realtà senza basarmi sulle apparenze.
Ero daltonica e questo mi bastava.
“Ricordi niente di com’era la tua vita prima di venire qua?”
Strinsi forte gli occhi fino a creare una piccola ruga sulla mia fronte.
Quelle domande mi friggevano il cervello con la stessa intensità dell’acido muriatico.
Immagini sovrapposte affollavano la mente, si contorcevano fino a rompersi come elastici tirati troppo forte: era inutile, non avrei mai riavuto indietro i miei ricordi.
“No” dissi a denti stretti, trattenendo il dolore.
Il dottore mi guardò e mi sfiorò con il dorso della mano la guancia destra.
“Tranquilla, vedrai che ritorneranno col tempo”.
Quel gesto fu la scintilla che mi riaccese l’anima e la fece ardere della consapevolezza del ricordo: una stanza, una sedia, scarpette rosse, camicia scozzese, linee blu su parete bianca.
Quel singolo gesto portò alla mente così tante informazioni che feci fatica a respirare per un secondo.
Erano immagini diverse, intrise di polvere e fuliggine: impossibili da definirli reali.
Scesi dal lettino e zoppicando raggiunsi il dottore alla finestra.
Avevo voglia di toccarlo e fargli sapere con la sola forza del pensiero ciò che avevo visto nella mia testa.
Avvicinai le mie dita sottili al camice bianco di Kakashi.
Mi fermai udendo le sue parole.
“Tra poco smetterà di piovere”
Le mie gote s’imporporarono capendo il significato di quelle parole.
Il cuore urlò in petto e mi fece vacillare per un po’.
Mi riaccompagnò in cella e per un attimo la pioggia tornò a battere sulla mia vita.


Avrei notevolmente preferito stare seduta sulla sedia di Sasuke.
L’odore di erba umida mi dava alla testa così come il profumo del suo respiro.
Grandi chiazze d’acqua come pozzanghere si formavano sul tessuto dei miei pantaloni.
I petali di ciliegio non erano mai stati così pesanti, non vorticavano più, restavano incollati alle cime degli alberi.
Avvertivo il grigiore del cielo sulla mia pelle e il nero pece degli occhi che lo miravano.
Chissà cosa stava vedendo Sasuke?
La sua fronte liscia si era incrinata di poco giusto per lasciare spazio agli occhi di spalancarsi.
Quando deglutiva il suo pomo d’Adamo si alzava velocemente per poi abbassarsi e così faceva il mio cuore. Adesso che aveva la testa all’insù riuscivo a vederlo meglio: la linea perfetta della sua mascella, i lineamenti curvilinei del suo collo e sotto la camicia di sicuro un fisico scultorio.
A quei pensieri mi morsi il labbro inferiore e i denti succhiarono avidamente il sangue.
Cercai di seguire il suo sguardo ma ciò che vedevo era solo una striscia indefinita ai bordi del cielo, quasi come uno squarcio.
La curiosità fu troppa.
“Che cosa stai vedendo in cielo?”
L’occhiata che mi giunse fu come inghiottire catrame.
Mi accorsi troppo tardi dell’errore commesso, adesso non avevo altre via di fuga.
Senza scomporsi troppo spostò lo sguardo e tornò a osservare il cielo.
“Non vedi che c’è l’arcobaleno pazza squilibrata?”
Di quella frase non mi colpì subito la voce intrisa di cattiveria né il termine pazza con cui ormai avevo imparato a convivere: mi stupiva che in mezzo a tanto grigiore potesse esserci l’arcobaleno.
Ora che ci pensavo…non ricordavo neanche come fosse fatto un arcobaleno!
Azzardai il rischio di perdere qualche parte del mio corpo.
“E dimmi com’è?”
Stavolta ruotò il capo verso la mia direzione e mi fissò con occhi carichi di curiosità e sospetto.
Non sapevo bene cosa pensasse, la sua mente era insondabile.
Passarono alcuni minuti di assoluto silenzio.
“Sei solo una povera pazza”
Si girò e stavolta oltre la testa spostò anche la sedia.
“Sono daltonica” dissi quasi se quella fosse una giustificazione alla mia pazzia.
Sasuke non disse nulla, non si mosse né se ne andò.
Rimanemmo lì a contemplare il cielo per l‘intera ora.
“E’ bello” esclamò prima dell’arrivo degli infermieri
“L’arcobaleno… è veramente bello”
Non ero ben sicura di ciò che avevo sentito ma ebbi come l’impressione di scorgere un sorriso tra il volto cereo.
I dottori ci divisero e ci scortarono ognuno nei propri edifici.
Per un attimo chiusi gli occhi e concentrai tutte le mie forze nella creazione del mio arcobaleno.
Non avevo idea di cosa fossero i colori ma li paragonai alle emozioni che in quel momento affollavano il mio cuore.
Aveva ragione… era proprio bello.


{.


Salve gente,
lo so vi eravate scordati anche della mia esistenza ._. tuttavia ho aggiornato la storia visto che ho impiegato circa un mese per scrivere un capitolo -.- che non è che mi sia venuto così bene.
Comunque…Spero che abbiate capito un po’ dalla storia che Sasuke finalmente si sta aprendo con Sakura e questo è dato anche dal fatto che Sakura è daltonica. Chissà se Sasuke si comporterà in modo diverso sapendo che Sakura non vede i colori? E che rapporto c’è tra Sakura e il dottore?
La situazione si ingarbuglia xD
Mi piacerebbe rispondere alle vostre recensioni una per una (anche perché siete pochini ._.) tuttavia sono di fretta perciò prometto di rispondere al prossimo giro!
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto.
Sil <3

   
 
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