{Darker than black.
4.Pioggia
Carissima
sorella,
Si può
legare l’anima di due persone?
Legarla
in un nodo indissolubile, stringere un fiocco attorno a loro
così
stretto da farli respirare a fatica?
In
questo momento il mio cuore soffoca e non è
l’unico.
Sasuke
entra nei miei sogni, macchia la notte di bianco ed esce da me in un
urlo
strozzato.
La sua
voce mi rincorre, i suoi occhi mi asfissiano.
Tutto
di lui mi scorre dentro, tra le fibre del mio essere,
sono satura di lui
fino alla punta dei
capelli.
Vomito
pensieri che la mia mente non aveva mai ingerito,
deglutisco
parole che m’intossicano lo stomaco,
piango
segreti da non rivelare.
Tutto
questo è strano, cara sorella!
E’
questo che si prova quando si sa di dover morire? Oh no!
Potrei
sembrare normale a dire questo, perché pazza già
ci sono,
ma credo
che non ci sia morte più dolce della mia.
Era
l’unica persona reale che riuscissi a vedere nel raggio di
trenta metri.
Avrei
camminato ancora lungo il sentiero rosato fino a raggiungere un luogo
dove il terreno
scosceso aveva creato una piccola collinetta. Mi sarei fermata una
volta che
gli occhi si fossero scontrati con il suo sguardo. Il cuore avrebbe
cominciato
a sbattere le sue ali di carta, e lui se ne sarebbe accorto. A quel
punto lui
si sarebbe seduto su quella sua sedia, non proferendo alcuna parola,
lasciandomi in preda a un torpore infinito.
Io non
ero nient’altro che un’ombra: giacevo a terra
immobile osservando dal basso il
suo profilo, contando i sospiri che facevano scuotere l’erba,
disegnando parole
che, dette, non funzionavano più.
Lui
cercava di non uccidermi, io cercavo di farlo.
Era
insensato stare così vicino a qualcuno per cui la vita non
era altro che un
optional. Eppure viveva e con lui io respiravo, a pieni polmoni
intrappolavo
l’aria nel mio petto: chi l’avrebbe detto che avrei
iniziato a vivere a pochi
passi dalla morte?
La sua
sedia odorava di muschio e caffè, ma non un caffè
normale, era aromatizzato,
speziato, che ti macchiava le labbra e ti bruciava in gola. A volte
quando il
vento spirava da est, lasciava la sua fragranza sulla mia pelle: un
odore che
non aveva nulla a che vedere con il caffè, né con
il muschio, era un odore di
vernice mescolata a inchiostro, un profumo nostalgico che mandava in
estasi i
miei sensi.
La sedia
era vecchia, era stanca, a tenerla in piedi c’erano dei
chiodi arrugginiti.
Erano tanti, come diamanti neri incastonati in un bracciale. Sotto le
mie dita
li sentivo duri e freddi, riuscivo quasi a percepire lo sforzo che
facevano nel
tenere unita quella sedia oramai ridotta a pezzi. Da essi partivano
numerose
venature che percorrevano tutto il corpo del legno, minuscoli tagli che
il
tempo non era riuscito a guarire.
A volte
mi permettevo di guardarlo cercando di capire cosa potesse
attraversargli la
mente ma il suo volto era come un velo bianco: impossibile capire cosa
si
celasse dietro.
Passavamo
lì la prima ora del mattino, sorvegliati da una squadra di
sette medici poco
distante da noi.
Durante
le ultime due settimane Sasuke non aveva più parlato,
né mi aveva degnato di
uno sguardo: la mia sarebbe stata una morte lenta e dolorosa.
Quel
giorno però la pioggia m’impedì di
vederlo.
Le gocce
tintinnavano a contatto con le sbarre della mia finestra e
s’infiltravano tra
le pareti della stanza rendendo l’aria più umida
di quanto non fosse già.
L’afa era
forte. Si appiccicava ai vestiti e rubava fiato ai miei poveri polmoni.
Maggio
dopotutto l’avevo sempre odiato: era un mese anomalo, non era
primavera né
tantomeno estate, era indefinibile e questo bastava per farmelo odiare
e amare
allo stesso tempo. Appoggiai i gomiti alla finestra sostenendomi la
testa con
le mani, aspettando che qualche filo di vento spirasse e desse conforto
alla
mia fronte madida di sudore. Le punte dei piedi non toccavano terra
tanto la
finestra era alta e la mia voglia di frescura troppa. Delle chiavi
entrarono
perfettamente nella toppa della serratura della mia cella. Ci furono
tre o
quattro scatti poi la porta si aprì. Una delle solite
infermiere aveva in mano
una siringa: la mia dose giornaliera di antidepressivi. Vidi il suo
volto
impallidire e quasi la siringa le scivolava di mano.
“Signorina Haruno non
penserà di scappare! Guardi che chiamo subito i dottori
e…” Non le permisi di
finire la frase che stava cercando di masticare. “Secondo lei
come può qua-qualcosa
di freddo e-e umido causare tanto caldo?” le chiesi, ancora
attaccata alla
finestra. Guardavo
ancora la pioggia
cadere incessantemente sul mio giardino.
“Risponda!” dissi sentendo montare la
rabbia dentro di me ma ci fu solo silenzio. Mi lasciai scivolare e le
ginocchia
si sbucciarono a contatto con il muro ruvido. “Ora basta
venga qua, la prego!”
la voce dell’infermiera tremava, come mai? Mi girai appena in
tempo prima che
l’ago bucasse la mia pelle. Afferrai con una mano il polso
dell’infermiera, con
l’altra cercavo contemporaneamente di schivare i suoi colpi e
di prendere la
siringa. A un certo punto mi sentii affondare la mano tra i capelli e
tirare con
forza la testa. Non potevo più fare nulla. Avevo mani e
braccia immobilizzate,
un bersaglio troppo facile. Era questione di secondi:
l’infermiera avrebbe
ritrovato la siringa e mi avrebbe nuovamente bucato la pelle
iniettandomi
quella sostanza di cui già pregustavo il sapore acido in
bocca.
“Dividetele
presto!” altri due infermieri circondarono la donna: dapprima
pensai che fossero
giunti in suo aiuto, ma mi ricredetti quando vidi che le avevano
bloccato la
mano destra e piano la allontanavano da me. “Tutto apposto
Sakura?” alzai lo
sguardo incrociando gli occhi del mio adorato dottore.
“Voglio u-uscire”
rantolai tentando di rialzarmi da terra. Kakashi mi guardò:
il suo viso mi
ricordò per un momento qualcuno di familiare, come se stessi
osservando me
stessa riflessa nei suoi occhi. “Sta piovendo, è
impossibile uscire”. Le sue
parole furono come l’alcol sulle ferite: bruciavano da
impazzire. Cercai di
frenare la rabbia che stava rinascendo in me e mi limitai a mettere il
broncio.
“Comunque possiamo pur sempre anticipare la visita medica di
giovedì, che ne
dici?”. In quel momento mi sentii più libera:
l’afa era sparita.
Il foglio
ruvido di cui era ricoperto il lettino delle visite strusciava sulle
mie cosce.
I piedi
nudi ciondolavano e sentivo un leggero formicolio invadermi le gambe.
La luce a
intermittenza del dottor Kakashi cercava di perforarmi gli occhi ma
invano.
Cercavo
di eseguire le azioni che mi ordinava di fare: guarda a destra, respira
forte,
tossisci.
E se
avesse trovato qualche anomalia nel mio cuore?
Per
quanto ne sapevo io, avrei potuto anche non avere più un
cuore.
“Sembra
che non ci sia niente di preoccupante, hai una leggera sinosite dovuta
agli
sbalzi di temperatura ma, per il resto, tutto rientra nella
norma”
Quindi
non ero malata? E allora cosa era quel disgusto, quei battiti cardiaci
così
accelerati, quei pensieri indecenti, quella voglia di qualcosa di
proibito? Non
osavo chiederlo perché in fondo conoscevo la risposta.
“Solo una
cosa…”
Il mio
corpo s’irrigidì facendo diventare la mia spina
dorsale, un’inflessibile sbarra
di ferro.
“Ancora
non riesco a spiegarmi il tuo daltonismo: di solito è un
difetto di natura
prevalentemente genetica che affligge la maggior parte delle volte gli
esponenti maschili del genere umano. Può insorgere tuttavia
in seguito a danni
riportati al cervello o in seguito a incidenti…
ciò che non riesco a
capacitarmi è il come sei potuta diventare
daltonica”.
Strappai
un lembo della carta del lettino e abbassai gli occhi fino a osservarmi
i piedi
violacei.
Non
ricordavo di essere riuscita a vedere i colori.
Per me
essi apparivano come un qualcosa d’inesistente e superfluo.
Riuscivo
a vedere la cruda realtà senza basarmi sulle apparenze.
Ero
daltonica e questo mi bastava.
“Ricordi
niente di com’era la tua vita prima di venire qua?”
Strinsi
forte gli occhi fino a creare una piccola ruga sulla mia fronte.
Quelle
domande mi friggevano il cervello con la stessa intensità
dell’acido muriatico.
Immagini
sovrapposte affollavano la mente, si contorcevano fino a rompersi come
elastici
tirati troppo forte: era inutile, non avrei mai riavuto indietro i miei
ricordi.
“No”
dissi a denti stretti, trattenendo il dolore.
Il
dottore mi guardò e mi sfiorò con il dorso della
mano la guancia destra.
“Tranquilla,
vedrai che ritorneranno col tempo”.
Quel
gesto fu la scintilla che mi riaccese l’anima e la fece
ardere della
consapevolezza del ricordo: una stanza, una sedia, scarpette rosse,
camicia
scozzese, linee blu su parete bianca.
Quel
singolo gesto portò alla mente così tante
informazioni che feci fatica a
respirare per un secondo.
Erano
immagini diverse, intrise di polvere e fuliggine: impossibili da
definirli
reali.
Scesi dal
lettino e zoppicando raggiunsi il dottore alla finestra.
Avevo
voglia di toccarlo e fargli sapere con la sola forza del pensiero
ciò che avevo
visto nella mia testa.
Avvicinai
le mie dita sottili al camice bianco di Kakashi.
Mi fermai
udendo le sue parole.
“Tra poco
smetterà di piovere”
Le mie
gote s’imporporarono capendo il significato di quelle parole.
Il cuore
urlò in petto e mi fece vacillare per un po’.
Mi
riaccompagnò in cella e per un attimo la pioggia
tornò a battere sulla mia
vita.
Avrei notevolmente
preferito stare seduta sulla sedia di Sasuke.
L’odore
di erba umida mi dava alla testa così come il profumo del
suo respiro.
Grandi
chiazze d’acqua come pozzanghere si formavano sul tessuto dei
miei pantaloni.
I petali
di ciliegio non erano mai stati così pesanti, non
vorticavano più, restavano incollati
alle cime degli alberi.
Avvertivo
il grigiore del cielo sulla mia pelle e il nero pece degli occhi che lo
miravano.
Chissà
cosa stava vedendo Sasuke?
La sua
fronte liscia si era incrinata di poco giusto per lasciare spazio agli
occhi di
spalancarsi.
Quando
deglutiva il suo pomo d’Adamo si alzava velocemente per poi
abbassarsi e così
faceva il mio cuore. Adesso che aveva la testa
all’insù riuscivo a vederlo
meglio: la linea perfetta della sua mascella, i lineamenti curvilinei
del suo
collo e sotto la camicia di sicuro un fisico scultorio.
A quei
pensieri mi morsi il labbro inferiore e i denti succhiarono avidamente
il
sangue.
Cercai di
seguire il suo sguardo ma ciò che vedevo era solo una
striscia indefinita ai
bordi del cielo, quasi come uno squarcio.
La
curiosità fu troppa.
“Che cosa
stai vedendo in cielo?”
L’occhiata
che mi giunse fu come inghiottire catrame.
Mi accorsi
troppo tardi dell’errore commesso, adesso non avevo altre via
di fuga.
Senza
scomporsi troppo spostò lo sguardo e tornò a
osservare il cielo.
“Non vedi
che c’è l’arcobaleno pazza
squilibrata?”
Di quella
frase non mi colpì subito la voce intrisa di cattiveria
né il termine pazza con
cui ormai avevo imparato a
convivere: mi stupiva che in mezzo a tanto grigiore potesse esserci
l’arcobaleno.
Ora che
ci pensavo…non ricordavo neanche come fosse fatto un
arcobaleno!
Azzardai
il rischio di perdere qualche parte del mio corpo.
“E dimmi com’è?”
Stavolta
ruotò il capo verso la mia direzione e mi fissò
con occhi carichi di curiosità
e sospetto.
Non
sapevo bene cosa pensasse, la sua mente era insondabile.
Passarono
alcuni minuti di assoluto silenzio.
“Sei solo
una povera pazza”
Si girò e
stavolta oltre la testa spostò anche la sedia.
“Sono
daltonica” dissi quasi se quella fosse una giustificazione
alla mia pazzia.
Sasuke
non disse nulla, non si mosse né se ne andò.
Rimanemmo
lì a contemplare il cielo per l‘intera ora.
“E’
bello” esclamò prima dell’arrivo degli
infermieri
“L’arcobaleno…
è veramente bello”
Non ero
ben sicura di ciò che avevo sentito ma ebbi come
l’impressione di scorgere un
sorriso tra il volto cereo.
I dottori
ci divisero e ci scortarono ognuno nei propri edifici.
Per un
attimo chiusi gli occhi e concentrai tutte le mie forze nella creazione
del mio
arcobaleno.
Non avevo
idea di cosa fossero i colori ma li paragonai alle emozioni che in quel
momento
affollavano il mio cuore.
Aveva
ragione… era proprio bello.
{.
Salve gente,
lo so vi eravate scordati anche
della mia esistenza ._. tuttavia ho aggiornato la storia visto che ho
impiegato
circa un mese per scrivere un capitolo -.- che non è che mi
sia venuto così
bene.
Comunque…Spero che abbiate capito
un po’ dalla storia che Sasuke finalmente si sta aprendo con
Sakura e questo è
dato anche dal fatto che Sakura è daltonica.
Chissà se Sasuke si comporterà in
modo diverso sapendo che Sakura non vede i colori? E che rapporto
c’è tra
Sakura e il dottore?
La situazione si ingarbuglia xD
Mi piacerebbe rispondere alle
vostre recensioni una per una (anche perché siete pochini
._.) tuttavia sono di
fretta perciò prometto di rispondere al prossimo giro!
Spero che questo capitolo vi sia
piaciuto.
Sil <3