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Autore: Yoshiko    12/10/2010    1 recensioni
"Uno scalpiccio di passi affrettati che si avvicinavano e i due si volsero all’unisono verso l’ingresso in penombra. Una sagoma si stagliò contro la porta, poi piombò a terra come un sacco di patate. La pietra che Tom aveva scagliato rimbalzò sull’impiantito e si fermò in un angolo.
-Che hai fatto?- Evelyn crollò in ginocchio accanto al corpo privo di sensi.
-È Benji!-
-Certo che è Benji!-
-Non l’avevo riconosciuto! Questa me la farà pagare cara! Non mi perdonerà mai!-"
In un mondo virtuale e nelle situazioni più improbabili, un pericoloso inseguimento, un rapimento e una tempesta creeranno situazioni impreviste e imprevedibili.
Genere: Avventura, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Genzo Wakabayashi/Benji, Hikaru Matsuyama/Philip Callaghan, Jun Misugi/Julian Ross, Kojiro Hyuga/Mark, Tsubasa Ozora/Holly
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Virtual Story'
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Quel giorno avrebbe potuto essere insieme a Jenny a godersi il sole, il mare, il vento, la vita, l’amore… e invece no. Invece si trovava con Landers, la peggior compagnia che potesse mai desiderare.
-Smettila di guardarmi in quel modo Callaghan, non ho scelto io di essere qui! Renditi meno sgradevole, porca miseria!-
Philip strinse la cima e la osservò rigirandosela tra le dita. Che piacere immenso avrebbe provato a stringergliela intorno al collo! O almeno imbavagliarlo con la randa e legarlo all’albero maestro fino all’arrivo.
Mark lo guardò, in attesa di una risposta che tardava ad arrivare. Ma poiché negli occhi del compagno lesse intenzioni omicide, si allontanò con cautela scavalcando i cuscini che aveva portato lui stesso sul ponte per spaparanzarsi più comodamente sotto il sole. Oltrepassò con rimpianto anche la sdraio di cui Philip si era appropriato appena aveva messo piede sullo yacht, la migliore, proibendogli assolutamente di usarla. Contrastando con l’equilibrio del corpo il rollio dell’imbarcazione sul mare aperto, raggiunse la piattaforma di prua e si sedette tra le gomene con le gambe penzoloni nel vuoto, i capelli scompigliati dal vento, lontano dal malumore del compagno a godersi il sole e la traversata.
Eppure Philip poteva resistere in sua compagnia, si trattava giusto di un paio di giorni. E poi lo yacht bianco e azzurro di ultima generazione che gli avevano affidato era di un lusso favoloso. Bastava guardarlo per sentirsi di nuovo bene. Era lungo ventisei metri e largo quasi otto. Il timone e gli strumenti elettronici per la navigazione erano al secondo piano di fronte a una larga poltrona su cui avrebbero potuto sedersi comodamente due persone. Al mezzanino c’era il salotto con l’angolo cottura e al piano inferiore tre camere da letto (una doppia, una singola e una matrimoniale) e due bagni, di cui uno con doccia idromassaggio. Era dotato di aria condizionata, impianto stereo, tv satellitare, antenna parabolica, microonde e serbatoio per l’acqua potabile. La prua era chiusa dai vetri oscurati ma a poppa, fuori, c’era un divano a tre posti con imbottitura a prova di salsedine e un largo tavolo per mangiare in sei. Infine, attraverso una scaletta, si poteva salire ad un ulteriore piccolo terzo piano dov’era una piattaforma per prendere il sole. Tutto su quello yacht era splendido, tranne la compagnia con cui era costretto a goderselo.
Sospirando di scontento, ripose la cima e si arrampicò sulla scaletta per sedersi al timone. Controllò i comandi e aumentò la velocità perché aveva veramente fretta di arrivare a destinazione. Si accomodò meglio sulla poltroncina perché prevedeva di starci parecchio. L’unica alternativa era quella di chiacchierare con Mark. Mentre sollevava le gambe per appoggiare i piedi sul primo gradino della scaletta e stare più comodo, il cellulare scivolò fuori dalla tasca dei pantaloni e cadde a terra.
Lo prese annoiato e lo guardò distratto, ventiquattro chiamate perse… VENTIQUATTRO CHIAMATE PERSE! Da Jenny! Gli prese un mezzo infarto. La fidanzata l’aveva cercato e lui non si era accorto di nulla. Per telefonargli tutte quelle volte doveva avere qualcosa di davvero urgente da dirgli. La richiamò all’istante ma l’unica voce femminile che gli rispose fu quella della segreteria telefonica. Allora le scrisse un messaggio che inviò in tutta fretta. Poi, non potendo fare altro, ripose il cellulare sul portaoggetti e tornò a guardare Mark steso al sole, chiedendosi di quale tonalità di nero intendesse diventare. Non era già scuro abbastanza?
Mentre gli occupanti del piano superiore si stavano godendo nel bene o nel male la traversata, tre degli invasori del piano di sotto si erano nascosti nelle cabine e pregavano di non essere scoperti. Il quarto si avventurava silenzioso come un ninja negli ambienti dello yacht per farsi un’idea del tipo di imbarcazione in cui si erano rifugiati, su chi si aggirava nei piani alti e soprattutto sulla loro meta.
-Allora?- domandò Tom, vedendo Benji rientrare e richiudersi piano la porta alle spalle.
-Qui dovremmo essere al sicuro. I loro bagagli sono nelle altre cabine.-
-Quanti sono?-
-Solo due. Noi siamo di più.-
-Che vuol dire che siamo di più?- Jenny non aveva dimenticato cosa nascondeva Benji sotto al braccio e qualsiasi allusione in quel senso la metteva in grande agitazione.
-Significa che se anche si accorgessero di noi potremmo convincerli, con le buone o con le cattive, a non riportarci indietro.-
L’espressione accigliata di Jenny non mutò. Solo un lampo di dolore le attraversò gli occhi mentre Evelyn, dopo averle ripulito la pelle intorno alla ferita, gliela fasciava con una benda riesumata dalla cassetta del pronto soccorso trovata nel bagno.
-Hai capito dove siamo diretti?- s’informò Tom osservando la distesa dell’oceano dall’oblò.
-No, non sono riuscito ad avvicinarmi al timone. Cercherò di scoprirlo non appena andranno a dormire, la rotta sarà sicuramente memorizzata sul computer di bordo. Il bagno per fortuna è a nostra disposizione, ma dovremo trovare al più presto qualcosa da mangiare, e soprattutto da bere.-
Nel silenzio che seguì le sue parole udirono qualcuno camminare proprio sopra le loro teste. Poi fermarsi, proseguire per un pezzo e infine tornare indietro.
-Io ho dei frutti della passione.- disse Evelyn frugandosi nelle tasche e tirando fuori due manciate di frutti ovuliformi arancioverdi. Li posò sul letto e ne addentò uno -Non sono ancora perfettamente maturi ma sono abbastanza commestibili.-
-Frutti della passione, eh?- le fece eco Benji fissando negli occhi Jenny con un’insistenza tale da farla agitare a disagio.
Tom si sedette sconsolato su un lato del letto ruminando uno dei frutti, le mani poggiate sul materasso all’altezza delle ginocchia. Si sfilò le scarpe e mosse i piedi sul parquet pulito e lustro. Non riusciva a spiegarsi come fosse finito lì dentro. Era uscito di casa per una corsa e si ritrovava nascosto nella cabina di uno yacht in mare aperto con la yakuza alle calcagna. La vita era strana davvero!

Philip si svegliò di soprassalto in piena notte con qualcosa che gli premeva sulla bocca e lo teneva bloccato sul cuscino. Cercò di liberare la testa, con l’unico risultato di far aumentare la pressione fin quasi a soffocarlo. Il suo istinto di sopravvivenza a quel punto si riscosse: si agitò come un forsennato, mandando all’aria le lenzuola per allontanare da sé ciò che lo aveva ridotto al silenzio e gli stava impedendo di respirare. Sfiorò della stoffa, e urtò forse un gomito. Lottò nel buio colpendo alla cieca, poi di colpo si immobilizzò. Qualcosa di freddo e metallico adesso gli premeva sulla tempia, un click minaccioso gli fece gelare il sangue. Un sussurro gli intimò di rimanere immobile oppure…
Ma non ci fu bisogno che la minaccia arrivasse al punto. Bastarono appena poche parole per impietrirlo. Approfittando di tanta improvvisa ragionevolezza, una seconda persona gli bloccò le caviglie legandole strette. Fu soltanto quando gli intrusi, rassicurati dalla sua immobilità, fecero scomparire la pressione alla tempia che Philip rotolò di lato in un estremo tentativo di scivolare giù dal letto e in qualche modo fuggire. Non servì a nulla. Mani svelte lo intercettarono facendolo ricadere bocconi sul materasso, e un brutale colpo alla nuca spense l’interruttore del suo cervello.
Nell’altra cabina Mark russava piano, raggomitolato nel letto. Sognava sua sorella Natalie che implorava disperatamente aiuto mentre annegava in un campo da calcio straripante di coca-cola. Il beccheggio dello yacht sulle onde si trasformavano nella sua visione onirica in spruzzi di bibita gassata che lo travolgevano mentre correva in suo aiuto. I cigolii degli attacchi del fiocco e della randa agitati da un vento sempre più insistente, erano le grida di Natalie che invocava il suo nome.
Due figure silenziose comparvero sulla soglia, stagliandosi con un’ombra unica sul materasso. Entrarono senza far rumore, depositarono il loro pesante carico sul pavimento e si avvicinarono al letto. Mark si svegliò mentre riportava Natalie al sicuro nuotando nella coca-cola fino alle panchine a bordo campo, perché qualcuno gli sfilò il cuscino e la testa gli ricadde sul materasso. Il guanciale che gli era stato tolto gli coprì la faccia mentre un peso insostenibile gli piombava sul torace impedendogli di muoversi. Lui lottò come un ossesso ma le sue imprecazioni soffocate tra le piume non intimidirono i suoi aggressori. In un attimo si ritrovò con caviglie e polsi bloccati. Il cuscino venne sollevato e sostituito rapidamente da un bavaglio, dopodiché chi lo aveva assalito lo lasciò sul letto legato come un salame, uscendo e richiudendo la porta a chiave. Il blitz nelle due cabine era durato meno di cinque minuti.
Landers emise dei mugolii convinti e si catapultò neppure troppo prudentemente giù dal letto per raggiungere la porta. Si schiantò sul parquet con la spalla e imprecò con enfasi, pure se tanta sentita convinzione andò sprecata tra le pieghe del bavaglio. Ma non si diede per vinto. No, quello mai! Strisciò verso l’entrata su e giù come un verme e quando gli fu tanto vicino da sfiorarlo, finalmente vide Philip riverso sul pavimento, legato e imbavagliato esattamente allo stesso modo. L’unica differenza era che il compagno, beato lui, riusciva a dormire nonostante tutto. Guaì una serie di parolacce che però non furono sufficienti a riscuoterlo. Affranto e anche abbastanza demotivato, si lasciò cadere sulla schiena indugiando ad osservare ciò che scorgeva oltre l’oblò. Quando era andato a dormire la luce della luna aveva tinto la stanza di una soffusa luce lattea. Adesso vedeva pochissimo dell’esterno, l’oscurità aveva inghiottito tutto. Una fitta alla spalla su cui era caduto lo spronò a tentare una posizione migliore ma le mani legate dietro la schiena, per quanto ce la stesse mettendo tutta, non gli consentivano nessuna postura comoda. Se almeno quell’imbecille di Callaghan si fosse svegliato! Per riportarlo alla realtà non poteva né prenderlo a sberle, né a calci! Non gli restava che aspettare che si destasse da solo.
In effetti non ci volle molto. Philip riprese conoscenza poco dopo nel buio più completo e con un mal di testa infernale.
“Alla buonora!” lo accolse Landers quando lo sentì agitarsi, emettendo però soltanto un lamento incomprensibile.
“Cosa cazzo sta succedendo?” domandò l’altro producendo giusto qualche verso indecifrabile.
Il bavaglio stringeva, rendendo praticamente impossibile per loro comunicare così, legati e immersi nell’oscurità. Che fare? Erano in un vero e proprio mare di guai! Philip non riusciva a credere che mentre dormivano tranquilli i pirati si fossero impossessati della nave! Avrebbe dovuto montare di guardia, era stato uno stupido ingenuo a non pensarci. Cosa lo aveva coinvolto a fare Landers? Al momento dell’accordo, l’armatore gli aveva fatto balenare l’eventualità che il viaggio non sarebbe stato sicuro al cento per cento. Lo yacht valeva milioni, la traversata era pericolosa, meglio che non la intraprendesse da solo. Per questo aveva chiamato Mark. Ma Mark non gli era servito a niente. Stava andando tutto male, accidenti! Defilandosi per l’intero week-end aveva creato le premesse per un litigio con Jenny a pochi giorni dal matrimonio, era finito con Landers su quella barca e adesso era caduto in mano ai pirati. Cos’altro sarebbe potuto succedere ancora? Peggio di così…
Peggio di così ci fu un brontolio nefasto che riecheggiò lontano, ma neppure troppo. Un tuono? Possibile? Le previsioni avevano annunciato bel tempo e alte temperature per tutta la settimana a venire ed era soltanto sabato!
Un calpestio di piedi attraversò di corsa il ponte proprio sopra le loro teste. Un lampo illuminò la distesa del mare, il bagliore sfolgorò nella stanza consentendogli di guardare Landers negli occhi.
“Sta per piovere.” disse e l’amico stavolta sembrò capire, perché annuì.
Mark fu contento che Philip si stesse finalmente scusando di averlo trattato poche ore prima come una pezza da piedi, lasciandolo ai fornelli con la scusa di dover inserire la rotta notturna nel pilota automatico. Aveva impiegato una vita a raggiungerlo nel cucinino, così tanto che per vendetta si era sbafato tre quarti di lasagna.
“Era un peccato, si stava freddando.” gli aveva spiegato e a quel punto Philip aveva dato di matto. Camminando su e giù per la piccola cucina lo aveva accusato di aver mandato a monte il suo week-end e di conseguenza di aver distrutto il suo matrimonio. Lui? Quando? Come? Neanche avesse avuto una tresca con Jenny. Mark era rimasto ad ascoltarlo in silenzio mentre si preparava un nescafè lasciandolo sfogare, perché mai, mai, contrariare gli svitati. Mentre ricordava questo episodio, la pioggia aveva cominciato a scrosciare sul ponte e lo yacht beccheggiava violento, spinto su e giù dalle onde ingrossate di un mare agitato.
Philip si tirò faticosamente in ginocchio, gli occhi fissi sull’oblò, le orecchie tese al piano di sopra. Non poteva restare lì sotto senza sapere in mano di chi erano finiti. Senza sapere se tra i pirati che li avevano assaliti c’era qualcuno di veramente capace a governare un’imbarcazione durante quella che sembrava essere una tempesta con i fiocchi. Philip non voleva colare a picco rinchiuso come un topo nella stiva. Con Jenny le cose si potevano ancora sistemare, purché ne uscisse vivo. Sgomitò con violenza Mark che, nonostante tutto, si stava riappisolando.
Quello spalancò gli occhi e ringhiò sommessamente attraverso il bavaglio. Il suo sguardo dardeggiò di collera.
“Cazzo fai, Callaghan?” gli chiese.
Philip si volse mostrandogli le mani legate. Mark non si curò del particolare e si vendicò della gomitata dandogli un poderoso spintone. L’amico rotolò a terra.
“Imbecille! Che combini?” si rimise faticosamente in ginocchio e, cercando di contrastare il rollio imbufalito dello scafo, girò intorno a Mark. Schiena contro schiena, con un lavorio infinito di pazienza e abilità, riuscì a sciogliere i nodi che legavano il compagno.
Per prima cosa Landers si tolse il bavaglio.
-Dannazione! Giuro che appena metto le mani su chi mi ha fatto questo…- e giù a liberarsi anche i piedi mentre Philip, legato ancora come un salame, lo fissava in speranzosa attesa che si ricordasse di lui.
La barca adesso oscillava così violentemente che Mark riusciva a stare in piedi per miracolo. Ma il fatto che ancora non fossero affondati significava che chi si era impadronito dello yacht, stava facendo di tutto per tenerlo a galla.
“Cazzo Landers, datti una mossa.”
-Adesso libero anche te, Philip.-
-Eh, alla buonora!- dopo essersi tolto il bavaglio, si massaggiò i polsi doloranti -Dobbiamo uscire subito di qui e riprenderci la barca.-
-Sono d’accordo con te al cento per cento.-
-Strano, di solito hai sempre qualcosa da ridire.-
Nonostante le loro comuni buone intenzioni, la porta era stata chiusa a chiave e per quanto ci provassero, non riuscirono ad aprirla.
Di sopra, l’attività ferveva.
-Ci mancava solo la tempesta!- Evelyn era sull’orlo delle lacrime. Non aveva mai sofferto il mal di mare eppure adesso violentissimi conati la scuotevano allo stesso ritmo delle ondate. Si sentiva morire.
La pioggia batteva violenta contro lo yacht a scrosci feroci che toglievano il fiato. Non c’era verso di ripararsi se non scendendo sottocoperta dove avrebbero sofferto ancora di più il rollio dell’imbarcazione. Il mare era nero e si congiungeva, all’orizzonte, con il cielo in tempesta. Le nuvole si rincorrevano, scure e gonfie d’acqua, scontrandosi in lampi che illuminavano con i loro bagliori tutta quell’oscurità.
Jenny era fradicia ma non sapeva se di pioggia o di acqua salmastra. Le onde spazzavano il ponte e avevano già portato via tutto quello che non era fissato sull’impiantito. Aggrappata con forza al basso tettino della cabina comandi, cercava di tenersi in equilibrio nonostante il beccheggiare dello yacht.
-è peggio delle montagne russe, e quelle già non le sopporto.-
Il volto di Tom, seduto al timone, risaltava di un malsano colorito verdastro alla fredda luce a neon della cabina.
Benji era sottocoperta da qualche parte e di lui si udiva a tratti il tramestio concitato. Da almeno cinque minuti buoni rovistava selvaggiamente negli scaffali, nei cassetti e negli armadi a muro cercando qualcosa che per quanto ce la mettesse tutta non riusciva proprio a trovare.
-Venite a darmi una mano!-
Jenny si staccò dal tetto appigliandosi ovunque le sue mani riuscissero a fare presa e scese sottocoperta. Raggiunse il portiere nel tinello.
-Cosa stai cercando?-
-I giubbotti di salvataggio. Da qualche parte devono pur essere e dobbiamo trovarli ad ogni costo.-
La ragazza annuì, colpita dalla perspicacia dell’amico, e si mise a frugare insieme a lui.

-Philip, mi sa che non mi sento troppo bene.-
-Se devi vomitare vai in bagno.- rispose lui gelido.
Aggrappato all’intelaiatura dell’oblò guardava ciò che riusciva a vedere dell’esterno, vale a dire poco e niente. E comunque la distesa del mare solcata da onde furiose non gli interessava, i suoi sensi erano tutti concentrati sull’agitazione che udiva provenire dal ponte. La nausea lo faceva star male ma era più grande la paura di lasciarci la pelle.
Mark in realtà non sapeva cosa farci con il bagno. Aveva digerito da un bel po’ la lasagna e anzi, se non ci fosse stata la burrasca, probabilmente avrebbe avuto di nuovo fame.
Philip si volse a guardarlo.
-Dobbiamo trovare il modo di uscire di qui.-
-E come? La porta non si apre, vuoi passare per la finestra?-
Il compagno sembrò illuminarsi.
-Philip, lascia stare.- cercò di dissuaderlo -Finiresti tra le onde e non hai neanche il giubbotto di salvataggio.-
-Bravo Mark. Stai dicendo una dopo l’altra una serie di cose sensate.- si allontanò dall’oblò e raggiunse in fretta il piccolo armadio che si apriva su un angolo della parete. Frugò nei piani bassi e tirò fuori due giubbotti di plastica arancioni. Ne allungò uno al compagno, indossò il proprio e tornò indietro ad aprire l’oblò. Un fiume di pioggia e di acqua di mare si riversò dentro inzuppandolo dalla vita in giù.
-E adesso? Vuoi farci colare a picco?-
Philip non lo ascoltò. Si issò sulle braccia, ficcò nell’oblò testa e spalle e guardò in alto per capire quanto distava la balaustra del ponte. Una nuova ondata lo investì in pieno rigettandolo dentro. Philip venne scaraventato a terra in un lago d’acqua, tossendo e sputacchiando.
Mark lo fissò spazientito.
-Lascia fare a me, buono a nulla.-
Philip lo vide raggiungere l’oblo e sporgersi fuori.
-Aspetta Mark, è troppo...-
Il ragazzo sparì risucchiato all’esterno. Callaghan balzò in piedi e corse disperatamente verso l’apertura, per cercare di recuperalo prima che le onde lo trascinassero via. Quando si affacciò vide solo l’oceano che ribolliva nero. Una mano gli sfiorò i capelli, e allora sollevò gli occhi.
Non seppe come, ma Landers era riuscito nell’impresa e ora, ben aggrappato alla ringhiera, si sporgeva verso di lui tendendogli un braccio per aiutarlo a uscire dalla cabina e issarsi sul ponte.
La tempesta imperversava senza sosta e il vento sferzava le vele. Nessuno le aveva ammainate e rischiavano di essere strappate via. Il cielo era plumbeo, gonfio di pioggia, non si intravedeva nessun barlume di schiarita. L’unica luce che illuminava l’orizzonte erano fasci di lampi che venivano risucchiati dalle onde.
Lo yacht si piegava ad ogni ventata che catturava la randa, imbarcando acqua e rischiando di colare a picco. Con un movimento brusco tornava poi sulla linea di galleggiamento, sballottando i suoi occupanti ad ogni bordata.
Fu Evelyn a vedere per prima due figure emergere dalla murata e avanzare verso di loro piegate in avanti, cercando di procedere su un ponte reso sdrucciolevole dal fiume d’acqua che lo percorreva. Si spaventò, perché in quello scenario da incubo dimenticò la presenza dei loro prigionieri al piano di sotto e non riuscì in nessun modo a spiegarsi l’apparizione di quegli sconosciuti.
Mollò le gomene a cui si era aggrappata per non finire fuori bordo, gridò e si volse per fuggire verso il timone, dove Jenny si era rincantucciata in un angolo, terrorizzata, i capelli fradici incollati al viso, gli occhi spalancati dalla paura. Non sapeva dove fosse Tom e neppure dove fosse finito Benji. In realtà non sapeva neppure se si trovassero ancora tutti a bordo o il mare li avesse trascinati via.
Evelyn corse sul pavimento scivoloso, cercando di tenersi in equilibrio nonostante il beccheggio dell’imbarcazione. Scivolò a terra, urtò malamente un ginocchio, si rialzò aggrappandosi alla balaustra, poi l’onda arrivò. La vide perfettamente, un’onda gigantesca che superava in altezza persino l’albero maestro. Lo yacht si inchinò a tanta imponenza, poi venne travolto. Il ponte fu spazzato da un’immane quantità d’acqua, Evelyn venne investita in pieno. La presa delle sue dita cedette, si sentì sollevare e trascinare via. Urtò una gamba su qualcosa di duro, un peso enorme le schiacciò i polmoni mentre la corrente la portava con sé.
Jenny vide con orrore il corpo privo di sensi dell’amica oltrepassare la murata. Attraverso la trasparenza dell’acqua che lo avvolgeva come un guscio, scorse i suoi lunghi capelli ondeggiarle intorno al viso. Fu un flash, solo un istante brevissimo. Urlò.
-Evelyn!-
Non poté fare nulla, l’ondata raggiunse anche lei. Si avvinghiò alla poltroncina del timone, saldamente inchiodata sul ponte. Quando guardò di nuovo, Evelyn non c’era più.
Un’ombra scura con un unica nota di colore arancione attraversò svelta il suo campo visivo, così rapida che non poté metterla a fuco. Ma provò un’immensa sensazione di gelo quando la vide lanciarsi oltre il parapetto e tuffarsi nei flutti. Balzò in piedi e insieme a Tom che arrivava dalla prua della nave, si fermò sulla fiancata, le dita serrate alla ringhiera.
-Era Philip quello?- gridò Jenny alla distesa ruggente dell’oceano -Era Philip? Philip? PHILIP!-
In fondo la sua era solo una domanda retorica, perché lo aveva riconosciuto perfettamente.
Neppure sposa e già vedova.
   
 
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