Flow,
my tears, fall from your
springs!
Exiled for ever, let me mourn;
Where night's black bird her
sad infamy sings,
There let me live forlorn.
Down vain lights, shine you no
more!
No nights are dark enough for
those
That in despair their lost
fortunes deplore.
Light doth but shame disclose.
Never may my woes be relieved,
Since pity is fled;
And tears and sighs and groans
my weary days
Of all joys have deprived.
From the highest spire of
contentment
My fortune is thrown;
And fear and grief and pain
for my deserts
Are my hopes, since hope is
gone.
Hark! you shadows that in
darkness dwell,
Learn to contemn light
Happy, happy they that in hell
Feel not the world's despite.
Flow my tears by John
Dowland
Scorrete mie
lacrime, dalla vostra fonte sgorgate!
Per sempre esiliato, lasciatemi gemere;
Dove il nero uccello della notte la triste infamia di
lei canta,
Li lasciatemi vivere sconsolato.
Spegnetevi, vane luci, più non brillate!
Non v'è notte nera a sufficienza per chi,
In preda alla disperazione, piange la persa fortuna.
La luce altro non fa che svelare la vergogna.
Mai potranno i miei affanni essere placati
Poiché la pietà è fuggita;
E lacrime e sospiri e gemiti i miei stanchi giorni
Di ogni gioia hanno privato.
Dal più grande appagamento
La mia fortuna è precipitata;
E paura e angoscia e dolore per ciò che mi aspetta
Sono le mie speranze, poiché ogni speranza mi ha
abbandonato.
Udite! Voi, ombre che nella tenebra dimorate,
Imparate a spregiare la luce.
Felici, felici coloro che all'inferno
Non sentono il disprezzo del mondo.
Scorrete mie lacrime di
J.Dowland
Dove il nero uccello della notte la triste infamia di lei canta
NdA:Molte
grazie alla mia cara beta antisocialite!
Era sera tardi quando due figure fuoriuscirono
furtivamente dai confini dl Hogwarts e sorpassarono un piuttosto
pacifico
Platano Picchiatore che ondeggiava sospinto dalla brezza. Una di loro
era alta
e snella, e vestita di nero. L'altra, quella più piccola,
indossava vestiti
babbani, e la sua piccola sagoma era scossa da singulti soffocati.
Lui
alzò gli occhi al cielo a quella sceneggiata,
facendo finta di essere seccato dal suo comportamento.
“Oh,
non mi guardare così! E' troppo divertente.
Stiamo sgattaiolando via come se fossimo ancora degli adolescenti.
Perché poi?
È scaduto il tuo coprifuoco, Severus?" domandò
Abby, facendo appello a
tutta la forza di volontà in suo possesso per mantenere
un'espressione impassibile.
“Questa
è una scuola rispettabile," la informò
severo. “Di certo disapproverebbero se il Capocasa di
Serpreverde sfoggiasse
pubblicamente la sua…," si sforzò per trovare la
parola giusta e lei non
glielo stava rendendo affatto facile, guardandolo a braccia conserte
con un
sopracciglio arcuato con ironia.
“Sua...?"
offrì lei.
“La
sua amante," suggerì lui con un'espressione
vagamente cupa.
“Ah,
certo," i suoi occhi luccicarono verso di
lui nell'oscurità, “Te lo posso concedere, mi
avresti stecchito se mi avessi
chiamato la tua ragazza."
“Ti
prego, dammi un po’ di fiducia. Il mio vocabolario
non è così puerile benché viva in un
collegio," disse strascicato.
“Beh,
però è piuttosto raffinato," ghignò
lei
insolente, perché sapeva di essere l'unica persona che lo
potesse prendere in
giro in quel modo. Era anche l'unica persona che potesse baciarlo
successivamente per calmare la sua collera crescente.
“Non
sei mai stanca di canzonarmi?" chiese lui con
falsa esasperazione. Era difficile esibire veramente un'esasperazione
reale in
un momento in cui si sentiva quasi completamente felice.
“Chiunque mi conosca
penserà che ho sviluppato improvvisamente un certo gusto per
il masochismo, se
non peggio."
“Cosa
ci potrebbe essere di peggio?"
“Potrebbero
pensare che mi sono rammollito,"
disse con un tono grave nella voce.
“E
lo sei?" lei vestiva un'espressione di pura
malizia.
Lui
finse di riflettere sulla risposta per un
secondo. “Perché non vieni a vedere cosa ne dicono
gli studenti del primo anno che
faranno la mia conoscenza domani mattina?" Il sorriso subdolo che si
dipinse sul suo volto faceva presagire che non
c'era niente di buono in serbo
per quei poveretti. Abby provò quasi pietà per
loro. Beh, quasi.
“Che
avranno fatto mai queste povere animelle per
incorrere nella tua furia?"
“Dovrò
alzarmi alle sei del mattino, pertanto è
colpa loro se devo sgattaiolare via come un ladro con la mia ragazza a
questa
ora tarda." L'uso intenzionale di quel termine non le passò
inosservato, e
gli diede un buffetto sul braccio. Lui continuò senza
scomporsi, “… e se questo
non fosse abbastanza, devo persino accompagnarla a casa,
benché non volessi
nient'altro che svegliarmi vicino a lei l’indomani mattina."
La
fine di quella frase le fece spuntare un sorriso
sul viso, ma era troppo andata per astenersi dal fare un commento
scherzoso.
“Ebbene si," disse Abby.
“Cosa?"
si accigliò lui.
“Ti
sei rammollito,"
“Prima
ti saresti accigliato e ti saresti lamentato
dei tuoi orridi allievi, poi mi avresti fatto un cenno col capo
un'ultima volta
e saresti sparito. Adesso mi becco persino un complimento, e non uno
qualsiasi.
No, uno dei complimenti più carini che io abbia mai
ricevuto, dico davvero."
“Perciò
vorresti che ritornassi alle mie vecchie
abitudini?" Il suo sopracciglio sinistro si arcuò
ironicamente. “Perché si
potrebbe fare - devi solo chiedere."
“Non
è necessario," disse lei subito per rimediare.
“Esiste un modo in cui potrei convincerti a dimenticare che
io l'abbia persino
accennato?"
Lui
annuì e l'attirò a sé per bisbigliarle
qualcosa
all'orecchio. Dopo aver sentito il suo suggerimento gli occhi di
Abigail si
spalancarono comicamente e diventò rosso cremisi. "Dai,
Severus!"
gridò Abby, ma l'estasiato scintillio dei suoi occhi la
tradiva. Lui lo trovò
un'aggiunta particolarmente deliziosa al suo rossore.
In
effetti era ancora rossa dopo il bacio della
buonanotte, anche prima di smaterializzarsi. Lui ritornò al
castello con un
sorriso soddisfatto sul viso.
***
Era
la prima volta Severus metteva piede nel suo
appartamento. La sua sorpresa superava di gran lunga il sottile senso
di
disappunto che lo stava rosicando. Dopotutto, lui le aveva dato accesso
ai suoi
alloggi molto prima che lei si decidesse a concedergli l'onore di
visitare la
sua umile dimora. Era riuscita in qualche modo a convincerlo che la sua
intera
vita ruotasse intorno alla sua libreria a Diagon Alley, sviando le
domande sul
suo appartamento con la spiegazione che viveva praticamente ai
“Mondi In
Collisione" e che, comunque, non c'era niente da vedere.
Ma
tutto quello non si poteva definire
"niente". L'appartamento gli sembrava un'estensione naturale della
sua personalità. Tutto per lui aveva un senso, a partire
dalle enormi finestre
che avrebbero trasformato il piano in un posto
ben illuminato e accogliente durante il giorno, e che
potevano essere
occluse abbassando le tapparelle per la notte, se lei ne avesse avuto
abbastanza di offrire la sua vita privata su un piatto d'argento ai
suoi
vicini.
L’alloggio
era pieno di contraddizioni. Mentre da un
lato c’era questo divano antiquato di velluto rosso che
dominava il salone,
probabilmente il santuario in cui si ritirava per leggere o bere una
tazza di
tè mattutino, la sua cucina aveva tutte superfici metalliche
lucide che
stranamente ricordavano quelle di una fabbrica. Fra le cataste di libri
faceva
capolino, quasi timidamente, un televisore. Tutti i quadri appesi alle
pareti
tendevano anche un minimo al surreale, sempre con una nota ironica,
però.
Il
suo appartamento era strapieno di roba, pregno
d’odore d’incenso e anche un po' disordinato.
Severus si sentiva
quasi a suo agio, se non fosse
stato per i piatti
sporchi nel lavandino
e delle cartacce vecchie vicino alla porta che sembravano guardarlo con
aria di
rimprovero come se stessero dicendo “sì, avremmo
dovuto essere gettate fuori
settimane fa, ma lei si è dimenticata del tutto della nostra
esistenza”. Bisognava
fare qualcosa per quella sporcizia.
“Entra!”
disse Abby di buon umore mostrando un sorriso fin troppo luminoso,
segno che
stava cercando di nascondergli il suo nervosismo.
“Grazie,”
rispose lui togliendosi il mantello ed adagiandolo
con indifferenza su un bracciolo del divano. Lei lo stava osservando
alle sue
spalle, aspettando con ansia il fatidico verdetto.
Severus
ricondusse il suo nervosismo al fatto che
lei non gli avesse mostrato prima qualcosa di così personale
come il suo
appartamento, perciò per quel momento soppresse il suo
tagliente sarcasmo.
Forse ci sarebbe stato tempo per discutere l’argomento dopo.
“Allora?
Ti piace?”
“La
verità?”
“Certo,”
rispose come sempre. Per quanto sgradevole potesse
essere la verità, lei non se ne sottraeva mai. Era una delle
sue qualità che
lui ammirava maggiormente.
“Beh,
non sarebbe così male se qualcuno avesse pietà
del tuo appartamento e desse una pulita.”
“Ti stai
offrendo tu?” Abigail lo prese in giro.
“Certamente
no,” sbuffò. “O ti
sembro una cameriera?”
“Certo
che no. Non mi rischierei nemmeno di
suggerire una cosa del genere,” poi aggiunse in un tono
più premuroso, “ma sai,
ci sono realmente delle persone che ti offrono di pulire il tuo
appartamento
completamente nudi. Forse dovrei contattare uno di questi
tizi…”
“Soltanto
se vuoi che ti scagli una bella
maledizione” ringhiò lui.
“È
solo la mia immaginazione o sei realmente
geloso?” chiese lei con un sorriso trionfante andando in
cucina, sentendo i
suoi occhi seguirla per tutto il tempo. L’intera abitazione
era un monovano,
escluso il bagno naturalmente, per questo lui ebbe la piena
opportunità di
guardarla quanto desiderava, perché non sarebbe mai
scomparsa dalla vista.
“Se
non lo fossi, significherebbe che mi sei
indifferente,” rimarcò lui casualmente, sedendosi
sullo sgabello di semplice legno
che stava, come dimenticato, sotto al bancone metallico della cucina.
“Allora
sono molto felice che tu sia geloso.” I loro
occhi si incontrarono per il più breve degli istanti. Diede
loro la sicurezza
che c’era più nel loro costante battibeccare del
semplice amare pungolarsi
verbalmente. Erano innamorati l’uno dell’altro.
“Perciò,
cibo,” Abby
si voltò verso il frigorifero con un
sospiro, prendendo due cipolle, che osservò sovrappensiero
per un secondo,
prima di girarsi per guardarlo. “Chi farà il
lavoro sporco? Tu o io? Piango
sempre come una bambina quando taglio le cipolle. Tu?”
Le
rivolse uno sguardo penetrante. “Sono sorpreso
che tu me lo stai chiedendo. Ricordi come mi guadagno da vivere, no?
Tratto sostanze
molto più acide delle cipolle su base quotidiana. Senza
scoppiare in lacrime, aggiungerei.”
Dopo
aver risolto il problema, iniziarono a cucinare
in piacevole silenzio. Lei gli gettava sguardi divertiti. Severus era
completamente assorbito dal suo lavoro: fissava la cipolla con uno
sguardo severo
mentre la tagliava metodicamente in fette molto sottili che avrebbero
reso
fiero qualunque chef.
***
Severus
aveva trascorso molto tempo ad immaginarsi
come sarebbe morto, molto più di quanto una persona normale
avrebbe dovuto; così
al momento, sarebbe stato preparato. Ed invece, era stato colto
totalmente alla
sprovvista. Era rimasto disteso su un pavimento freddo a morire
lentamente
dissanguato, mentre il veleno del Nagini si spargeva nel suo corpo.
Neppure
allora aveva smesso di lottare. Si era rifiutato
di morire a quel modo, di arrendersi a quella logorante disperazione. I
suoi
polmoni avevano succhiato avidamente l’aria come se avessero
potuto impedire
l'inevitabile rifornendo il suo corpo di ossigeno a sufficienza, mentre
le sue
dita pressavano penosamente contro il collo ferito da cui stillava
costantemente sangue.
Improvvisamente
era di nuovo lì. Tutto era reale a
partire dal gusto metallico nella sua bocca, fino alla disperazione che
gli
stava artigliando il cuore. Si sentiva sempre più debole e
non poteva fare
niente. Come l’ultima volta scelse di ribellarsi ferocemente
contro il suo
destino, anche se sapeva in fondo al suo cuore che quella lotta era
inutile. Il
risultato finale sarebbe stato sempre lo stesso: la morte. Infreddolito
e solo,
senza nemmeno una mano da tenere, senza conforto o perdono.
Perdono…
i suoi occhi frugarono disperatamente la
stanza. Potter. Sostarono brevemente sul ragazzo, ma presto
cominciarono a
vagare di nuovo, cercando un altro viso. Lei non c’era. Come
avrebbe potuto?
Forse era stata solo un frutto della sua immaginazione sin
dall’inizio. In
questa realtà, in questa realtà dove stava
morendo, c’erano soltanto Potter ed
i suoi amichetti dietro di lui, che lo guardavano a bocca aperta. No,
il perdono
era troppo da chiedere loro. Il conforto non poteva essergli dato.
Anche se
avevano una certa età, erano solo dei ragazzini terrorizzati
che vedevano un
altro degli adulti morire.
Nel
profondo aveva sempre sperato in un futuro, una
seconda opportunità, ma forse quel desiderio era sempre
stato vano. Forse non meritava
la felicità. Forse non meritava una ricompensa. Questa non
era una di quelle
storie per i bambini babbani. Albus, che il cielo lo benedica,
benché sorridesse
sempre malizioso ,non era mai stato il Principe Felice e lui non era
per niente
né innocente né di buon cuore come la piccola
rondine. Un futuro felice, l’amore,
qualcuno di cui fidarsi, non era altro che una fantasia – la
speranza di uno
sciocco. Era così stanco di sperare invano, così
stanco di quella lotta eterna.
Perché non mollare? Perché non arrendersi al fato
una volta per tutte? Tutto
sarebbe diventato più facile una volta smesso di ribellarsi.
Una
singola lacrima scivolò lungo la sua guancia.
Era d’argento. Argento pieno di memorie di tempi andati. Le
parti in quella
recita erano state da tempo assegnate e la scena seguente era stata
già ben
orchestrata. Un sospiro tremante fuoriuscì dalle sue labbra.
Poi avrebbe detto
a Potter di avvicinarsi. Appena alcuni secondi di dolore ancora e tutto
sarebbe
finito. Aprì la bocca per parlare, ma poi si
raggelò. Dita sottili si stavano
avvolgendo attorno la sua mano. Le sue dita, che si erano da tempo
intorpidite
e congelate, improvvisamente formicolarono mentre il calore si spargeva
ancora
una volta al loro interno. I suoi sensi gli dicevano inequivocabile che
c’era
qualcuno che gli stava tenendo la mano, ma quando controllò,
non c’era nessuno.
Era solo uno scherzo della sua immaginazione, provò a dirsi.
Ma nel momento
stesso in cui era quasi riuscito a convincersene, qualcuno strinse
ancora la
sua mano e lo chiamò per nome. Quella voce – era
familiare. Toccava una corda
nel suo intimo: un dolore meraviglioso - morbido, tenero e languido
– che lo
faceva commuovere e lo spronava a sperare ancora.
Potter
lo guardava confuso, non sapendo se doversi
avvicinare o rimanere dove fosse. Non gli aveva ancora parlato,
realizzò. Non
stava andando come era previsto, come avveniva sempre.
Le
sue riflessioni vennero interrotte quando sentì ancora
quella voce. Lo stava chiamando per nome. Nessuno avevano mai
pronunciato il
suo nome in quel modo. La voce suonava un po’ risentita,
eppure affettuosa. C’era
anche una nota di preoccupazione, se
non
si sbagliava.
Era
solo un’illusione di conforto prima che morisse?
Era il suo cervello, che stava rilasciando disperatamente ogni specie di ormoni per
sommergere il suo sistema
prima che esso collassasse definitivamente? Scoprì che non
gli importava.
Preferiva piuttosto aggrapparsi a quell’illusione che
arrendersi
all’ineluttabilità della morte.
La
scena si dissolse, il grigio della Stamberga
Strillante venne scacciato da un caldo bagliore arancio. Una debole luce scintillava sul suo
viso allo schiudersi
delle sue palpebre. Stava gradualmente ritornando in sé,
diventando cosciente
di quello che lo circondava e rendendosi conto di essere coricato su un
soffice
letto accanto a
qualcuno. E non una
persona qualsiasi, la donna che stava tenendo la sua mano - Abigail.
Sbatté le
palpebre un paio di volte, mentre la confusione faceva gradualmente
largo alla
chiarezza.
“Era
solo un sogno,” disse dolcemente. Le sue dita
lo stavano accarezzando, teneramente scivolando nella parte interna del
suo
braccio, ignorando completamente il tatuaggio sbiadito che vi era
ancora
visibile. “Solo uno stupido sogno ,” disse ancora,
come per riassicurare sia se
stessa che lui.
Adesso
si supponeva dovesse dire qualcosa, rassicurarla
che era ritornato in quella realtà ancora una volta. Ma
cosa? Poteva sminuire
quella visione orribile con un “niente, solo un
incubo” e fingere semplicemente
che non fosse mai successo. O poteva dirle tutto. O poteva dirle
mezze-verità.
Poteva fare molte cose. Mentre stava ancora riflettendo sulla sua
risposta, si sentì
dire, “Ho sognato che stavo morendo.” Aveva deciso
per la verità, quindi.
Lei
deglutì sonoramente, visibilmente scossa dalla
sua cruda ammissione. Le sue dita si librarono immote per un attimo
sulla sua
pelle, prima di abbassarsi ancora per stringere forte la sua mano.
“Era…” si
leccò nervosamente le labbra, “era quello che ti
è successo…”
“Sì,”
tagliò corto lui, trovando in qualche modo
doloroso che lei
avesse difficoltà con
le parole, quando era solitamente così brava a trovare la
cosa giusta da dire.
“Oh,”
disse lei, cambiando posizione in modo da
appoggiarsi alla testiera del letto, senza che mai i suoi occhi
abbandonassero
quelli di lui. Severus notò la sua mancanza di vestiti:
aveva solo una
canottiera bianca e un paio di pantaloncini neri. Tutti i pezzi del
puzzle cominciarono
a ritornare al suo posto e si ricordò che cosa era accaduto
prima e perché
anche lui fosse soltanto in biancheria intima.
Un
piccolo moto divertito delle labbra fu l'unica
indicazione che lei avesse notato la sua confusione. Ma Abigail non si
concesse
un sorriso, la situazione era fin troppo seria. Dopo un po’
decise di parlare
ancora. “A volte i sogni sembrano anche troppo
reali.”
“Spero
di non averti svegliato.” Lui nascose la sua
evasività dietro
la cortesia.
“Non
mi hai svegliato. Ho il sonno leggero dalla,”
fece una breve pausa, “… dalla guerra.”
Adesso
fu il turno di lui di sentirsi leggermente
scosso. “Non lo sapevo.”
“Perché
avresti dovuto? Non è mica colpa tua.” disse
dolcemente.
Seguì
una lunga pausa. Lei rotolò su un fianco per
mettersi di fronte a lui. I suoi occhi gentili tracciarono i suoi
contorni per
un po’, prima di avvicinarsi timidamente per carezzare la sua
guancia ancora
bagnata. La comprensione di ciò che aveva fatto lo
colpì come una doccia d'acqua
ghiacciata. Non aveva solo pianto nel sonno. Aveva pianto davanti lei.
Benché
lei non avesse detto niente, il suo gesto rendeva fin troppo chiaro che
non le
fosse sfuggito. Si sentì mortificato.
“Non
devi vergognarti. Sono solo io,” disse lei con
la voce poco più di un bisbiglio, mentre il suo pollice
accarezzava ancora la
sua guancia. “Nessuno può essere sempre
forte.”
Sapeva
che lei non gli avrebbe mai rinfacciato di
aver pianto, che non lo avrebbe mai deriso per aver mostrato le sue
emozioni,
ma nonostante questo non si sentiva a suo agio. Forse non lo sarebbe
mai stato.
“Lo
so questo,” rispose e suonò più burbero
di
quanto volesse.
“Bene,”
gli sorrise. Fortunatamente non lei non era
il tipo da tenere il broncio.
Il
suo lato
cinico non poteva far altro che farle la domanda seguente. Era
intrinseco nella
sua natura aspettarsi sempre il peggio e l'esperienza gli aveva
insegnato che
quella fosse la più saggia linea d’azione. Era
più facile così evitare di
rimanere deluso. “E se fosse solo un sogno?”
Lei
aggrottò le sopracciglia.“In che senso?”
“E
se stessi sognando adesso?” chiese con una voce
vuota con lo sguardo ancora fisso sul soffitto bianco.
“Perché
questo dovrebbe essere un sogno?”
“Perché
è troppo bello per essere vero.”
“E
pensi di non meritartelo? È questo?”
“Forse.”
Abby
sospirò. A volte era duro essere ottimista per
entrambi, quando lui era il pessimismo fatto persona. “Sei
veramente sicuro di
voler iniziare con me un dibattito filosofico alle tre del
mattino?”
“Credo
che ritornare a dormire sia ormai fuori
discussione.”
“Va
bene,” sospirò forte Abby , passandosi una mano
tra i capelli scombinati. “Così tu pensi che
niente di buono possa accadere
nella realtà. È questo, quello che stai cercando
di dire?”
“Niente
di buono può durare nella realtà.”
“Pensi
che anche noi non dureremo?” Lei cercò di
mantenere un tono di voce neutrale ma il timore vi si
insinuò ugualmente.
“Spero che tu non ti sia già stancato di
me.”
“No.”
Una pausa. “E dubito che succederà mai.”
La guardò
con quei suoi occhi neri che brillavano nella penombra. Lei gli
schioccò un
veloce bacetto sulle labbra, sentendosi incredibilmente
sollevata.
“Forse
hai già finito tutto il tuo “cattivo”
karma.
Dopo tutte le cose terribili che ti sono accadute, dopo tutto quello
che hai
passato, non pensi di meritare un po’ di
felicità?”
Lui
esitò. “No.”
La
sua risposta la gelò fino all’osso. Si sedette
bruscamente sul letto. “Perché?”
Lui
rimase in silenzio, con gli occhi ancora rivolti
al soffitto.
“Ti
odi così tanto? Come puoi…” Si
fermò, provando a
riportare l’ordine nel subbuglio di pensieri all'interno
della sua testa. “Non
capisco. Io… Severus, io non ti vedo così.
Potresti non essere perfetto, ma
neanche io lo sono. Nessuno lo è. I nostri errori e i nostri
fallimenti si
sommano a cosa siamo già. La cosa importante è
come li prendiamo: se li
ignoriamo e basta, e continuiamo la nostra bella vita o se proviamo ad
imparare
qualche cosa da loro. È questo che fa tutta la
differenza.”
“Forse
avrei potuto fare di più…”
“No,”
disse lei. Non c’erano tracce di dubbio nella
sua voce. Era risoluta ed inflessibile. “Non avresti
potuto.”
“Nel
profondo, sono sempre stato egoista. Avevo
sempre così paura di morire. Non posso non pensare che la
paura mi abbai
frenato, impedendomi di fare ciò che era
necessario.”
“Non
riesco a capire come il desiderio di
sopravvivere dovrebbe renderti egoista.”
“Se
non mi fossi aggrappato così disperatamente alla
vita, se non fossi stato così impaurito della morte, forse
avrei potuto fare di
più. Avrei potuto fare le scelte giuste, se il mio timore
non avesse sempre
avuto la meglio,” pensò lui ad alta voce.
“Ma
se ti fossi sacrificato, non avresti più potuto
essere d’aiuto per nessuno.”
“Ci
sarebbe stato qualcun altro.”
“Non
sei sostituibile. Non per me,” scosse la testa
con veemenza. “Non sarei qui ora, se non fosse stato per te.
Avery e Tennyson
mi avrebbero ucciso.”
“Ci
sarebbe stato qualcun altro a salvarti,” ripeté
lui.
“No,
non è vero. E non c’è nessuno di cui io mi fidi quanto
te.”
“Perché
io? Che cosa c’è di così speciale in
me?”
“Di
te? Tutto,” rispose lei in tutta sincerità.
“Devo
ritenermi fortunato che il tuo ottimismo sia sempre
così imperturbabile.” Le rivolse un debole sorriso.
“Il
mio ottimismo non c’entra niente. Credo in te, e
basta. Ecco.”
“Perché?”
“Perché
tu non lo fai e hai bisogno di qualcuno che
lo faccia.”
Severus
era profondamente toccato dalle sue parole e
poiché sapeva che non sarebbe mai riuscito a trovare le
parole giuste per
esprimere come si sentiva, cercò di mostragliele con un
gesto. Allungò il
braccio, facendole segno di venire più vicino. Abigail
accettò prontamente, modellando
il suo corpo caldo contro quello di lui. Poggiò la testa
sulla sua spalla
destra, premendo la schiena contro il suo petto, così da
poter sentire il
calore del suo corpo e il movimento della sua cassa toracica ad ogni
respiro. Titubante,
il braccio sinistro di lui le circondato la vita. Come di consueto i
suoi
movimenti erano cauti, come se fosse ancora impaurito che la potesse
spaventare
o offendere in qualche modo. Quei timori si rivelarono essere del tutto
infondati, perché presto lei si rannicchiò ancora
più vicino a lui.
“Non
voglio che questo sia un di sogno…” La voce di
Abby era ora diversa, bassa e soddisfatta, poco più di un
bisbiglio. “E se lo
fosse, non vorrei svegliarmi mai più.”
“Neanche io,” ammise lui delicatamente, crogiolandosi nella sensazione di tenerla tra le braccia, che era come sempre vicino a sopraffarlo.
Note della traduttrice besemperadreamer: ciao a tutti^^
nihal93 non temere:-) ho promesso che gli aggiornamenti saranno più che veloci!
jillien la storia originale è già completa, e conta in tutto 15 capitoli (sulla stessa coppia l'autrice ha anche scritto due drabble e uno one-shot che forse tradurrò in seguito) che sono già belli e pronti per essere postati. Lascio un margine di un paio di giorni per dare tempo a tutti di leggere, e di RECENSIRE....
Vi mando un bacio e richiedo un attimo del vostro tempo per lasciare un commentino su storia e traduzione...
Alla prossima!