Storie originali > Soprannaturale > Angeli e Demoni
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Autore: Fiamma Drakon    14/10/2010    2 recensioni
I miei standard di allegria erano molto limitati, perché io, Thalia Daelis, diciassette anni, ero la figlia della Morte.
Sì, avete capito bene: la Morte aveva una figlia, e quella figlia ero io.
Impossibile, direte, e invece no.
Anche la Morte aveva trovato qualcuno con cui procreare e dare la vita ad una nuova creatura.
Nonostante fosse un grosso controsenso, come anche io non avevo mancato di sottolineare, era così.
La fine di mio padre?
Provate a indovinare.
Genere: Dark, Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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9_Sentimenti unici La stanza svanì attorno a me in un turbinio di luce abbagliante, stavolta indolore, al contrario di quand’ero entrata. Quando tutto cessò, mi ritrovai fuori, in piedi davanti al tempio, girata di spalle ad esso.
Davanti a me c’era il pavimento di marmo e, distesovi sopra bocconi, Jack. Era nello stesso punto dove l’avevo lasciato, ma si era girato a pancia in giù, il viso rivolto verso di me, anche se pareva privo di sensi.
Neppure volevo considerare l’ipotesi che fosse morto, ma... se lo fosse stato davvero?
Scossi la testa e corsi da lui: non doveva. Aveva... detto che non si sarebbe arreso, che mi avrebbe aspettata!
Non poteva andarsene così, non l’accettavo!
La mamma... non poteva essere così crudele, non con me.
Almeno... non con me.
M’inginocchiai accanto a lui e lo girai supino con forse troppa violenza, chiamandolo a gran voce.
Lui emise un rantolo.
«Rispondimi Jack! Jack mi senti?!» sbottai, scuotendolo.
«N-non muovermi... tanto...» sussurrò in un soffio.
Sospirai rumorosamente per il sollievo, rilassando le spalle.
«Adesso andiamo a casa» gli dissi, ma lui scosse il capo.
«La mia casa... è qui. Io sono... un angelo e... - s’interruppe un attimo, socchiudendo gli occhi come per esaminare qualcosa - Che cosa... hai in mano?» mi chiese.
Solo allora mi ricordai dell’ampolla che mi aveva donato Clarisse e delle sue parole: “Lo salverà... ed impedirà che tu debba separarti da lui per sempre”.
Mi venne un tuffo al cuore: che quella seconda parte della sua frase intendesse...?
«Jack... - sussurrai, la voce che tremava per la felicità e l’imbarazzo - ... se tu potessi... verresti con me, a vivere con gli umani?».
Silenzio.
Straziante, orribile silenzio. Poi...
«Sì... verrei».
Sorrisi. Non potei farne a meno.
«Bevi» dissi, togliendo il tappo all’ampolla, avvicinandogliela al viso.
«Cos’è?»
«Me l’ha data la guardiana per aver riportato il crocifisso. Ti farà guarire e forse...»
«Forse...?» m’incalzò debolmente lui.
Scrollai le spalle.
«Forse potrà farti venire con me... a casa» continuai.
Lo vidi sgranare appena gli occhi.
«Allora... vale la pena fare un tentativo...» mormorò.
Era capace di fare del sarcasmo anche in punto di morte, non l’avrei mai creduto possibile.
Si avvicinò alle labbra il collo del contenitore e ne bevve un sorso, poi mi afferrò inaspettatamente e mi catturò in un lungo bacio pieno di passione e dolore.
Sentivo la sua presa allentarsi sul mio braccio per la stanchezza e mi apprestai a sorreggerlo.
Poi sentii una folata di vento caldo turbinarmi attorno ed uno strano formicolio alle scapole...

«Mamma, hai visto J...?».
Mi zittii e rimasi affacciata alla cucina, poi mi decisi ad entrare.
Dovevo aspettarmelo, in un certo senso. Era seduto a tavola, felicemente intento a mangiare. Incredibile come potesse ingozzarsi così già a quell’ora. Eppure, mentre mangiava, aveva un’aria così tenera e indifesa da sciogliere il cuore.
«Vorrei sapere come fai ad avere così fame la mattina...» esclamai, ironica.
Lui alzò fugacemente lo sguardo dal piatto, con aria un po’ colpevole.
«Thalia lascialo mangiare in pace» mi riprese mia madre in tono dolce.
«Sì, però faremo tardi se non si sbriga» commentai, guardando l’orologio.
Lo vidi svuotare in un solo sorso il bicchiere d’aranciata, quindi alzarsi e voltarsi verso di me sorridendo.
«Okay, andiamo».
Sospirai.
«A più tardi mamma» salutai, precedendolo fuori della cucina.
«Ciao, tesoro! Jack fa attenzione».
Erano passati sei mesi da quando Jack ed io c’eravamo conosciuti. Adesso, a guardarlo, non sembrava mai essere stato un angelo. Pareva solo un comune essere umano con quella felpa azzurra e i jeans, senza l’armatura e, soprattutto, senza ali.
Era quello ciò che aveva fatto la pozione di Clarisse: gli aveva estirpato le ali, così come a me.
Adesso eravamo due comuni esseri umani... più o meno.
Io ero sempre la figlia della Morte, lui aveva ancora un po’ delle vecchie abitudini del suo essere angelico. Non si era ancora adattato del tutto all’assenza delle ali, in effetti, e talvolta cercava ancora di utilizzare il suo potere, invano.
«Certo che qui cucinate davvero bene!» commentò, allegro.
Una delle cose che lo avevano più colpito da quando si era trasferito sulla Terra in modo permanente era la cucina. Da come ne parlava sembrava che quando era un angelo non avesse mai mangiato qualcosa di veramente buono.
Magari loro tenevano in minore considerazione l’arte del cucinare...
«Dipende da chi trovi. La mamma è particolarmente brava ai fornelli...» risposi.
«E tu?»
«Fidati, potrei fare di meglio» ammisi, imbarazzata.
Lui rise.
«Hai studiato per il compito di Storia?» chiesi all’improvviso, sorridendogli.
«Uff... sì, anche se è davvero difficile. Insomma... come fate a ricordarvi tutte quelle date assurde e quei nomi strani...» commentò, grattandosi la testa, a disagio.
«Gli esseri celesti non hanno buona memoria?» lo presi bonariamente in giro.
«Viviamo per secoli. È naturale perdersi ricordi per strada...» sbottò lui, stringendosi nelle spalle.
«Be’, abituati a ricordare» risi io.
«Ehm... Thalia?» mi richiamò, fermandosi.
«Sì?» domandai, fermandomi a mia volta.
Notai un rossore intenso colorargli le guance, mentre continuava a grattarsi la testa con fare nervoso. Sembrava fortemente a disagio.
Ciò mi ricordò che era molto timido quando si trattava di esprimere i propri pensieri o sentimenti a qualcuno. L’avevo scoperto giusto pochi giorni dopo il ritorno.
«C-c’è qualche problema?» chiesi, perplessa.
«N-no è che... be’... ecco...»
«Sì...?»
«M-mi chiedevo se... sì, insomma... q-quel bacio...».
Aveva progressivamente abbassato la mano e la testa, quasi avesse paura della mia reazione.
Non avevamo più parlato di “quel bacio” da quando eravamo tornati. Semplicemente, avevamo fatto finta che non fosse mai accaduto.
«... non è che... be’... che potrei... sì, ecco...».
Era nel pallone: si vedeva lontano un miglio.
Risi.
«... piacermi?» completai per lui, notando un’esplosione di rosso tingergli il viso.
«Non ho mai avuto un debole per gli smemorati» confessai, ammiccando con fare provocatorio, voltandomi per andarmene.
«E-eh? Aspettami! Posso... posso...».
Mi girai ancora una volta.
«Però mi sono sempre piaciuti i bei ragazzi biondi con gli occhi azzurri che sanno essere cavalieri» esclamai, tornando indietro e gli stampai un bacio sulla fronte.
«D-davvero?»
«Davvero» risi in risposta.
Lui deglutì ed estrasse da una tasca dei jeans un anellino d’argento, che mi porse con mano tremante.
Nel prenderlo, esclamai un: «Suppongo debba interpretarla come una proposta di fidanzamento...».
Jack annuì con un gesto rigido ed estremamente meccanico della testa.
Gli sorrisi.
«Sei così tenero quando sei a disagio» commentai, prima di abbracciarlo.
«Anche tu mi piaci» rivelai: ormai era inutile continuare a tenerlo nascosto.





Angolino autrice
Oki, potete dirlo: è-una-fine-orribile. Siete tutti quanti autorizzati ùwù - anche a linciarmi, basta che non siate troppo violenti ù-ù
Mi spiace che sia finita - e così presto - però... ç__ç lo è.
Ringrazio xXxNekoChanxXx e Sachi Mitsuki per le recensioni allo scorso capitolo e coloro che hanno seguito la fic.
Grazie a tutti, davvero.
F.D.
   
 
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