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Autore: Cat_and_Rabbit    14/10/2010    5 recensioni
Questa è la storia di una scrittice e una fumettista sull'orlo di una crisi di nervi.
Londra. Cinque gatti. Due vicini di casa gay. Un amico masochista. Frequenti overdosi di caffeina. E, soprattutto, LA MUFFA.
Preparatevi a morire dalle risate.
Genere: Comico, Commedia, Demenziale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Matt, Mello
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Sappiate che questa storia è ispirata alle autrici, quindi non ha assolutamente senso. XD Potrebbe avere 2 capitoli come 100. E' nata dopo un breve ma sentito soggiorno londinese che ha lasciato un profondo segno in noi medesime. XD

Buona lettura.

(ps: per i fan di Matt e Mello, i nostri eroici amici salteranno fuori nel prossimo capitolo)

1. Il pulcioso appartamento              

  Non sarebbe stata la prima volta che il direttore minacciava di licenziarle, lasciarle sul lastrico e troncargli una carriera non ancora iniziata, anzi, la cosa davvero strana era che quel mattino al telefono non l’avesse fatto: si era limitato a convocarle in redazione e riattaccare prima che potessero ribattere. Così, meno di un’ora dopo, due giovani donne erano uscite dal condominio dove vivevano per dirigersi alla più vicina stazione della metropolitana. Si chiamavano Lisa, detta Uccia, e Serena, detta Serena, ed erano rispettivamente una fumettista e una scrittrice, da circa sei mesi al soldo della redazione di un giornaletto per adolescenti a uscita bisettimanale. La vera scommessa – rinnovata ogni volta che squillava il telefono o arrivava una mail dalla direzione – era per quanto ancora sarebbero riuscite a tenersi l’impiego, perché sembrava che la loro arte, come dire…cozzasse leggermente con le idee dell’editore.

Editore che, quando le vide entrare nel suo ufficio, non si preoccupò neanche di salutarle: si limitò a lanciare sulla scrivania due fascicoli.

- Buongiorno anche a lei. – commentò Serena.

- Silenzio. – intimò l’uomo – Cos’è questa roba?

Nessuna risposta.

- Allora?!

- Non ha detto di stare in silenzio?

L’editore aveva alle spalle sei anni di yoga e per questo, solo per questo, nessuna delle due era ancora uscita da quel posto passando dalla finestra.

- Spiegatemi cos’è questo schifo che mi avete mandato per mail.

Uccia sfogliò velocemente uno dei fascicoli. – Beh, questi sono disegni. E secondo me in quell’altro potrebbero esserci dei fogli scritti, che dice?

- Dico che alla prossima battuta uscite da qui passando dalla finestra! – per l’appunto. – Quante volte ve lo devo dire che non voglio queste porcherie sul mio giornale?! È una rivista per adolescenti, santo cielo!

- Appunto, agli adolescenti piace questa roba.

- No, a voi quand’eravate adolescenti piaceva questa roba, ma non tutti i genitori muoiono dalla voglia di vedere i loro figli crescere come siete cresciute voi due!

- Lo prendiamo per un complimento, eh, boss?

L’uomo buttò senza pietà i due fascicoli nella spazzatura, poi appoggiò i gomiti alla scrivania unendo le punte delle dita. – Il numero di domani uscirà senza i tuoi disegni e senza le tue storie. – annunciò con tono solenne – E quando, tra quindici giorni esatti, andremo in stampa di nuovo, o sarete pronte a consegnarmi qualcosa di umanamente concepibile o siete licenziate, tutte e due.

 

                - Fermata Earl’s Court. Cambio per la Picadilly Line.

- Siamo arrivate. – disse Serena. Uccia annuì, raccolse la borsa, e insieme uscirono in silenzio dal tube. Era una tipica giornata londinese: il cielo grigio era coperto di nubi e l’aria aveva un odore misto di pioggia e fast-food.

Le due si fermarono al primo Starbucks, dove la cassiera gli chiese se andava tutto bene e sentendosi rispondere che no, non andava niente bene ed erano a un passo dal licenziamento, impietosita gli fece lo sconto sui due caffè macchiati al caramello. Si sedettero a un tavolo accanto alla vetrina, da cui era più facile dedicarsi al divertente gioco “immagina che”*.

- Immagina che quel ragazzo che tiene per mano la biondina non la guardi in faccia perché non sa come dirle che ha scoperto di essere gay.

- E che la tradisce con quel tipo alto con i dreads e lo zaino?

- Io pensavo piuttosto a quello con il cappotto grigio…

- No, troppo vecchio. Però immagina che quello col cappotto grigio stia guardando l’ora perché aspetta l’autobus, ma non per prenderlo, per buttarcisi sotto.

- Macabro. E immagina che la ragazza del chiosco di giornali se ne accorga e…

Fu al terzo caffè, mentre immaginavano che la commessa del bar avesse avvelenato tutti i muffin al cioccolato per fare una strage tra i tavoli all’ora di colazione, che Serena improvvisamente tacque.

- Che c’è?

- Ricordami com’è che mangeremo quando perderemo anche questo lavoro.

- Oh, ma noi non perderemo il lavoro. Non per le prossime due settimane, almeno.

- Magari potremmo farcela! Impegnandoci a fondo, forse riusciamo a tirare fuori qualcosa che gli vada bene…

- Beh, tu dovresti smettere di far scopare come dei ricci i tuoi personaggi.

- E tu di far morire i tuoi in un lago di sangue ogni tre vignette.

Uccia guardò Serena. Serena guardò Uccia.

- Non ce la faremo mai.

- No, mai.

 

                Il loro appartamento era un pulcioso monolocale dalle parti di Earl’s Court, scelto fra tanti altri pulciosi monolocali perché una grande finestra permetteva di risparmiare diverse ore al giorno di luce elettrica, e meno soldi da spendere in cose futili come le bollette significavano più soldi per mangiare e fare shopping. E soprattutto, era circondato da discount, bar e lavanderie a gettoni, cosa che permetteva loro di uscire non più di una volta a settimana per dare una ripulita ai vestiti e fare scorta di cibo cinese precotto: non mettevano il naso fuori da otto giorni quando il direttore del giornale le aveva chiamate.

La prima cosa che fecero rientrando fu inciampare sulle quattro palle di pelo miagolanti con cui dividevano la vita, che così abituate ad avere costantemente le padrone in mezzo ai piedi si preoccupavano ogni volta che le vedevano sparire per più di un’ora. Serena si chinò ad accarezzare i suoi, Mail e Nate, il primo uno smilzo gatto di grondaia rosso con delle macchie chiare intorno agli occhi e il secondo un cucciolo bianco che avevano con loro da poche settimane. Gli altri due invece erano entrambi neri, uno massiccio a pelo lungo, e l’altro dalla corporatura sottile simile a quella di un siamese e con gli stessi enormi occhi blu. Si strusciarono contro le gambe di Uccia emettendo un accenno di fusa; lei, sfegatata fan del gruppo svedese Deathstars, li aveva chiamati Whiplasher Bernadotte e Cat Casino. Appurato che le padrone erano sane e salve, i quattro felini si allontanarono dirigendosi chi verso un cuscino, chi verso la finestra del bagno, da cui poteva comodamente uscire e darsi alla vida loca. C’era poi una quinta palla di pelo, Berenice, che in quanto femmina non accettava di appartenere a nessuno, e salutò le due donne con un breve miagolio per poi rimettersi a dormire senza neanche scendere dal letto. Loro non esitarono a raggiungerla.

Ora, Uccia e Serena avevano due personalità alquanto differenti. Serena, piccola, corti capelli rossi, occhi verdi dietro a un paio di grandi occhiali da nerd che metteva sempre pur non avendone minimamente bisogno, era fondamentalmente solare e ottimista. Aveva sempre avuto un debole per le storie d’amore come dire... particolari. Particolari nel senso che quando scriveva andava davvero a fondo nei particolari. Per lei, dedita al culto dello yaoi, il concetto di coppia uomo-donna era passato di moda negli anni ottanta, come i frisé e i fuseaux a fiori. E, come la cara collega non aveva mancato di far notare, se per più di due paragrafi non faceva scopare i suoi personaggi (rigorosamente maschi, rigorosamente folli l'uno dell'altro, o semplicemente rigorosamente folli.) in modo selvaggio, considerava la storia mortalmente noiosa e priva di scopo. Aveva passato gran parte della sua adolescenza a sognare e scrivere storie perverse su personaggi di vari fumetti, libri, film…una lunga lista di uomini che senza il suo modestissimo aiuto non si sarebbero mai cagati neanche di striscio. 

 Uccia, capelli neri che nessun parrucchiere poteva tenere in ordine nell’umidità londinese, occhi scuri ed espressione corrucciata, non era particolarmente espansiva e tendeva a non far notare la sua presenza in modo eccessivo, forse anche grazie all’abbinamento cromatico dei suoi vestiti: nero su fondo nero, esclusa qualche occasionale variazione di colore dal nero al nerissimo. Come artista era il sadismo fatto a disegnatrice di fumetti: mai tanto sangue era stato disegnato in Inghilterra come da quando ci era sbarcata lei, e l’aspettativa di vita dei suoi personaggi era sempre molto, mooolto breve. Naturalmente non era davvero cattiva: era macabra, ok, leggermente cupa, benissimo, acida come uno yogurt scaduto e con l’ottimismo e la simpatia innata di un mazzo di crisantemi, siamo d’accordo, ma in fondo era bello starci assieme: era tranquilla, ragionevole, ed evitava che la povera Serena le poche volte che usciva venisse spiaccicata da un pittoresco autobus rosso perché non guardava se il semaforo fosse verde prima di attraversare**. Si può dire che le due si compensassero a vicenda: dove una era svagata, l'altra era attenta, dove l'una era disfattista, l'altra era costruttiva, e il fatto che fossero i due esseri umani più pigri della galassia conosciuta e non, alimentava la loro amicizia di una flemmatica pacatezza. Insomma, la coppia perfetta. Un'altra base del loro rapporto era l'interesse comune per le cose "Omo", "Macabre" e più generalmente "Belle ma Dannate". Capitava spesso che Uccia creasse piccole opere d'arte per i racconti di Serena, o che Serena desse voce ai personaggi delle tavole di Uccia.

Le due si erano conosciute tramite una terza amica e la loro vita comune era cominciata dopo diversi anni di follie, studi compulsivi e un diploma preso per un pelo, quando avevano deciso di trasferirsi nella City e lasciarsi alle spalle i decisamente troppi anni passati nella ridente e minuscola Aosta***. Gli studi universitari londinesi avevano richiesto un notevole sforzo linguistico (che era costato a entrambe parecchie crisi di nervi e librate contro il muro), ma in fondo ciò che contava era la passione, e di certo quella non mancava né all'una né all'altra. Il caso aveva voluto che dopo la laurea le due trovassero un lavoro…e lo perdessero. Questa simpatica alternanza di “lavoratrici responsabili” e “disoccupate morte di fame” era andata avanti fino a sei mesi prima, quando una nuova assunzione le aveva convinte che, in fondo, qualcuno da lassù le guardava con benevolenza. Convinzione che si era inevitabilmente dissolta dopo il decimo minuto passato in presenza dell’Editore. Scritto con E maiuscola non a caso, perché codesta figura mitica, al pari di un condottiero dell'antichità, guidava con pugno di ferro la sua sbriluccicante rivista per teens, dalle pagine patinate e piene di errori di battitura, ortografia o semplicemente stampa, e la cui politica era una sola: vendere più copie possibile riempiendo quelle poche ma intense pagine di foto e storie strappalacrime della levatura creativa di un teletubby, ma in versione quindicenne dall'ormone impazzito. Due cose (i quindicenni e i teletubbies intendo, non gli ormoni e le cose strappalacrime) con cui le nostre eroine andavano d’accordo quasi quanto al malefico capo piacevano le storie gay finite nel sangue. Questo creava un leggero conflitto di interessi: Uccia e Serena (anche se non l’avrebbe mai ammesso neanche sotto tortura) erano la sua vignettista e scrittrice migliori, ma le loro opere non si adattavano esattamente al target della rivista (che in effetti si chiamava Chibi Bunny, un nome un programma), e i risultati erano quelli che potete leggere nella prima pagina.

Ora, dopo questa colossale digressione in cui probabilmente non sappiamo neanche noi cos’abbiamo detto (e non sperate che la cosa migliori, perché sicuramente i cervelli troppo spesso appannati da immagini perverse e/o sanguinolente delle due non aiuteranno a mettere ordine in questa enorme confusione), torniamo a noi.

Vale a dire, al pulcioso appartamento.

 

                - Immagina che – disse Serena, stesa sul letto con Berenice che le marciava addosso – noi facessimo le persone responsabili che provano a non farsi licenziare.

- Uuh, che brutta immagine. – rispose Uccia, sdraiata lì accanto, da sotto la pancia di Cat Casino, che stava scegliendo in quale punto della sua testa fosse più comodo accoccolarsi.

- Pensa che se non lo facciamo non sapremo più come mangiare.

- Non farmi venire fame.

- Almeno proviamoci!

L’espressione di Uccia era l’esatta traduzione in immagine della frase “non ce la posso fare”, ma ciononostante si rimise faticosamente in piedi. – E proviamoci.

Venti minuti ci vollero solo per scegliere un CD da mettere in sottofondo, e altrettanti ne occorsero per allineare sul letto l’attrezzatura…giusto in tempo per rendersi conto che era ora di pranzo. Si sedettero dietro a portatili, quaderni, astucci e tavolette grafiche con ancora le vaschette di plastica dell’insalata Agita&Gusta in mano. Quando ebbero inghiottito anche l’ultima insipida foglia bianca (ma quale verde, non sia mai! Parliamo di roba del discount), scrocchiarono all’unisono le nocche.

- Al lavoro!

                Bene. Nelle 5 ore e 47 minuti che passarono lì sedute bevvero in tutto 12 caffè, due birre e 3 lattine di sidro di pera, mangiarono 3 scatole di cookie, si rifecero lo smalto, anche ai piedi, accarezzarono a turno tutti i gatti per almeno 20 minuti, giocarono a “immagina che” con le foto appese al muro di fronte, si rinfacciarono reciprocamente di non essere in grado di produrre qualcosa di adolescenzialmente accettabile, spezzarono 2 matite e ne mordicchiarono 5, giocarono a “nomi cose città” con tutte le lettere compresa la H e la J, strapparono e accartocciarono le pagine di 6 numeri di Chibi Bunny lanciandone la metà nel cestino sotto la scrivania e l’altra metà contro i gatti…e ancora non avevano acceso i computer.

- Ehi, forse mi è venuta l'ispirazione! - saltò su Serena, dopo aver fissato il soffitto per un’altra mezz'ora, mentre giocherellava col pelo aggrovigliato di Mail.
- Spara - disse Uccia, continuando a scarabocchiare sul blocco per gli schizzi.
- Dunque, immagina: lui sta facendo jogging e incontra lei che è a terra con una caviglia slogata...
- Mmh, già il fatto che ci sia una lei è un gran bel passo avanti." affermò guardandola sospettosa.
- Che brava che sono, eh? - ridacchiò Serena allegra. - Ma aspetta, ora arriva il meglio! - esclamò alzando una mano, presa dal racconto.
- Fremo...
- Allora, cominciano a uscire insieme e lui è davvero partito per lei, fino a quando lei non lo porta a casa sua e...
- E, fammi indovinare, incontra il di lei fratello barra migliore amico barra cugino barra omino che consegna le pizze e se ne innamora perdutamente. - concluse Uccia con un sospiro, inarcando un sopracciglio.
Serena rimase a bocca aperta, sgranando gli occhi e chiedendole con tono incredulo: - Come facevi a saperlo?!
- Guarda, conoscendoti non riesco a capacitarmi di non averlo capito prima. - rispose Uccia storcendo la bocca in una sua tipica smorfia di disappunto.
- Uffa, e quindi non va bene? - domandò l'altra in tono petulante. Quando faceva così, sembrava una bambina di cinque anni. Più del solito, s’intende.
- Guarda, se trasformassi lui in una lei, allora sì, andrebbe benissimo.
- Ma chi, il protagonista? - spalancò appena di più gli occhi.
- Ma no, non quel "lui", intendo l'altro, quello che incontra a casa della tipa!
- Ma dai, così diventerebbe pallosissimo! - piagnucolò Serena contorcendosi tra le lenzuola. No, non di cinque anni. Di due.
- Socia... - cominciò Uccia rivolgendosi di nuovo al suo blocco che già cominciava a riempirsi di ampie macchie rosso cupo. - Lo sai perché noi due non avremo mai un fidanzato?

- Perché? - chiese l’altra confusa.

- Perché tutti quelli interessanti che incontriamo, io me li immagino morti e tu che scopano con un altro uomo.

- E…non va bene?

Uccia riuscì a mantenere un tono di voce relativamente calmo solo immaginando di avere a che fare con un cactus alieno e non con un’ultra venticinquenne.

- No, non va bene, a meno che io non mi trovi un masochista con tendenze suicide o tu non ti infogni in una relazione aperta con un bisessuale malato di sesso.

Serena sembrò pensarci su. – È un’idea. – dichiarò alla fine – Però gli permetterei di andare solo con altri uomini, e a patto che poi mi racconti tutto.

Uccia scosse la testa strappando anche l’ultimo foglio del quaderno, poi lo appallottolò e lo gettò dall’altra parte della stanza. Cadde su Whiplasher Bernadotte, che emise un debole miagolio di protesta prima di rimettersi a dormire.

* gioco inventato da noi, fonte di infinita ispirazione e caldamente consigliato per ingannare il tempo durante le ore di lezione. Non servono molti ingredienti: bastano una socia disponibile, qualche esemplare umano degno di nota e tanta fantasia.
** in realtà è Uccia ad aver rischiato la pelle durante il nostro soggiorno, ma non lo vuole ammettere.
*** si trova in Valle d'Aosta e, giuriamo, esiste. Anche se probabilmente è troppo piccola per essere segnalata sulle cartine.
  
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