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Autore: nefert70    15/10/2010    1 recensioni
Il racconto della vita di Anna d'Este, duchessa di Guisa e di Nemours, che ha ispirato il personaggio della principessa di Cleves di M.me de La Fayette.
Genere: Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Epoca moderna (1492/1789)
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- Questa storia fa parte della serie 'Anna'
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Il 28 settembre 1548 alla presenza del vescovo di Comacchio e di tutta la corte Ferrarese, il fratello di mio marito, Renè di Lorena mi sposò per procura, i festeggiamenti poi proseguirono con una giostra di dodici cavalieri per parte, purtroppo rovinata dalla pioggia e dal vento di bora.
 
Messer Cristoforo da Messisburgo organizzò delle memorabili serate,  con sontuosi banchetti inframezzati da rappresentazioni sceniche e intrattenimenti musicali.
Ricordo ancora le figure di marzapane indorate e rappresentanti le armi di Ferrara e Francia, che concludevano i banchetti.
 
Il giorno dopo, le celebrazioni continuarono con la rappresentazione in casa di Messer Giraldi,  segretario di mio padre,  in Santa Maria de Bocco, della tragedia da lui scritta, l’Antivalomeni.
 
Il 3 ottobre 1548, lasciai per sempre la mia casa.
Fin dal mattino i cavalieri della scorta percossero le strade di Ferrara, secondo l’ordine di marcia.
Quando scesi la grande scala d’onore di marmo bianco vidi i cavalli che soffiavano e scalpitano nella piazza e i carri contenenti abiti, gioielli e la mia corte di donne.
Con le lacrime agli occhi salutai mio padre e salii sulla carrozza dove mia madre e le mie sorelle mi attendevano.
Questo viaggio era come una lama che tagliava tutti i fili della mia italianità, sentivo che segnava la fine di Anna e la nascita di Anne.
 
Quando si nasce in una famiglia regnante, anche se di un piccolo ducato, si cresce con la consapevolezza che molto presto si lascerà tutto ciò che ci è familiare per cominciare una nuova vita come moglie  e madre, ma vi posso assicurare che lasciare la propria famiglia e la propria casa è qualcosa di lacerante.
Il terrore mi attanagliava il cuore in quella fresca mattinata di ottobre,  mi sembrava quasi di non riuscire a respirare.
Sarei giunta in una nazione sconosciuta, in una famiglia estranea con usi e abitudini a me sconosciuti e poi mio marito, maggiore di me di dodici anni.
Chissà come sarei stata accolta? Come sarebbe stato il mio matrimonio?
Tutte queste domande e paure mi tormentavano.
 
Appena la carrozza partì, mi resi conto che il primo filo era stato reciso.
 
La prima tappa fu Mantova, dove i nostri cugini Gonzaga non furono molto contenti di riceverci.
Effettivamente eravamo in molti e dare alloggio e cibo per tutti era alquanto oneroso.
 
Quando ripartimmo da Mantova anche mia madre e le mie sorelle dovettero abbandonarmi e tornare a Ferrara.
 
Il secondo filo fu reciso, e i miei occhi non avevano più lacrime.
 
Michel de l’Hopital, che era stato nominato mio procuratore dalla famiglia di Guisa, cercò di alleviare le mie sofferenze conversando con me di lettere e musica.
 
Il viaggio fu lungo e impervio, i giorni trascorrevano lenti nella carrozza e la consolazione della sera era la riunione con le mie donne.
 
Ogni sera dovevamo trovare un luogo dove fermarci ma non sempre venivamo ben accolti.
 
Molte volte abbiamo dovuto dormire in piccole case che potevano dare rifugio solo a me e a poche delle mie dame, le altre e gli uomini di scorta erano costretti a dormire all’aperto o nelle carrozze.
 
Ricordo che nelle vicinanze di Vercelli abbiamo alloggiato in casa dei Trecchi.
Queste povere persone non erano intenzionate ad ospitarci poi si sono impietosite dopo che mi videro veramente provata e ci cedettero le poche stanze della casa.
Loro furono costretti ad alloggiare tutti nel fienile, però finalmente potemmo di nuovo mangiare un po’ di carne, erano giorni infatti che mangiavamo solo di magro.
 
Il viaggio continuò fino a Susa e qui cominciarono i festeggiamenti per le mie nozze, infatti gli uomini del forte erano agli ordini di mio marito, luogotenente generale del Piemonte.
 
Il 25 ottobre, finalmente giunsi a Grenoble dove mi attendeva il padre di mio marito, il duca di Guisa con la mia nuova famiglia.
Il duca era un uomo alto e robusto. Con capelli e barba bianchi e occhi azzurri molto intelligenti.
Molto affettuoso, appena mi vide mi abbracciò e baciò le guance.
Per fortuna non ripartimmo subito e così mi riposai per qualche giorno.
 
La mia corte di donne e la scorta che mi aveva accompagnato fino a Grenoble dovette ripartire per Ferrara.
 
L’ultimo filo fu tagliato.
 
Madame de Parroy mi fu presentata come la mia nuova governante. Devo dire che mi fu sempre fedele e affezionata ma in quel momento il mio cuore era troppo triste per accorgermi della sua gentilezza.
Della mia Ferrara rimaneva solo mio fratello Alfonso, la sua scorta personale e il cardinale di Ferrara. Tutto il resto era francese.
 
Quando raggiungemmo Fontanbleau incontrai per la prima volta mio cugino il re.
 
L’incontro fu davvero emozionante, mio cugino mi baciò e abbraccio più volte e così fece anche la regina Caterina.
Sin da quella volta si instaurò, con la regina Caterina, un legame che restò indissolubile per il resto della nostra vita, forse a legarci fu anche il fatto che entrambe eravamo italiane e molte volte ci ritrovammo a conversare nella nostra lingua nativa.
 
In quell’occasione incontrai anche l’amante del re e fedele amica della famiglia dei Guisa, Diana di Poitiers.
 
Ormai posso anche ammetterlo, non ho mai provato simpatia per lei. Troppo potente per essere solo l’amante del re. Ma in Francia le amanti contano più delle mogli!
 
L’incontro con il mio sposo avvenne a Saint-Germain-en-Laye, pochi giorni prima della data fissata per le nozze.
 
Era stato trattenuto in Guyenna fino a quel momento a causa di una rivolta.
 
L’incontro fu improvviso e senza cerimoniale. Appena giunto volle incontrarmi non preoccupandosi del suo aspetto infangato dalla lunga cavalcata.
 
La cosa mi fece piacere, perché era segno della sua impazienza. Lo trovai affascinate nonostante gli stivali infangati e l’abito non certo elegante. Francesco era alto e robusto, con grandi spalle e vita sottile, capelli biondi e occhi azzurri.
 
Nei giorni seguenti facemmo lunghe cavalcate e le sue attenzioni verso di me mi fecero intendere che era molto soddisfatto della scelta.
 
Il 16 dicembre 1548 fui unita in matrimonio a Francesco di Lorena.
Ero nelle mie stanze quando uno squillo di tromba mi annunciò l’arrivo del re e del mio sposo, era ora di andare in chiesa.
Il re appena mi vide esclamò “Mia cara cugina siete incantevole, sarete la gemma più bella della mia corte, tutti si innamoreranno di voi”.
 
Scortata dai mie nobili cavalieri procedetti nella galleria che collegava il palazzo alla cappella dove il cardinale di Guisa e il cardinale di Ferrara avrebbero officiato la cerimonia.
Quasi a metà navata Francesco mi  prese la mano e mi condusse per l’ultimo tratto, poi insieme ci inginocchiammo sul freddo marmo.
I cardinali recitarono la formula di rito. Dopo che fummo dichiarati marito e moglie ci alzammo e raggiungemmo il banco per seguire la messa.
 
La grande sala era stata addobbata con nastri e rami di sempreverde. Le tavolate coperte da pesanti drappi di raso rosso, riprendevano il colore delle bacche delle piante appese alle finestre e ai grandi lampadari appesi all’alto soffitto, sopra erano state disposte delle tovaglie di finissimo lino ricamate in oro. I piatti erano d’argento, i bicchieri di finissimo cristallo. Centinaia di candele illuminavano a giorno l’immensa stanza.
 
Al tavolo d’onore il re e la regina, il mio sposo alla destra del re ed io alla sinistra della regina.
Fu un susseguirsi di squilli di trombe che annunciavano l’arrivo delle pietanze, sontuosamente preparate su grandi vassoi d’argento e d’oro che dovevano essere portati da almeno quattro valletti.
Ad intervallare le portate c’erano i balli, ed io ballai con tutti.
Per primo il re, poi mio marito e poi  tutti i gentiluomini di corte che desideravano ballare con la nuova duchessa d’Aumale.
 
Per quanto, da sempre abituata agli omaggi dei cortigiani, mi sembrava che la corte  stesse esagerando a manifestarmi tutte queste attenzioni.
 
Ad un certo punto fui invitata a ritirarmi in camera.
Poco dopo venni raggiunta da Francesco, dal re, dalla regina e da alcuni amici.
Rimanemmo a conversare ancora un’ora davanti al camino, poi il re e la regina si congedarono e così anche gli altri amici.

Appena rimanemmo soli, Francesco mi spogliò del pesante abito di broccato ricoperto di gemme. Poi baciandomi mi condusse a letto. Ero emozionata.  Il mio sposo si spogliò e mi raggiunse.
Fu come mi era stato detto, doloroso ma veloce.

Le feste continuarono per molti giorni e poi cominciarono quelle per il santo Natale e per l’anno nuovo.
 
Pochi giorni dopo l’inizio del nuovo anno il mio sposo dovette partire per il Saintonge per sedare un’altra rivolta.
 
Io rimasi a corte. 
  
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