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Autore: nefert70    14/10/2010    2 recensioni
Il racconto della vita di Anna d'Este, duchessa di Guisa e di Nemours, che ha ispirato il personaggio della principessa di Cleves di M.me de La Fayette.
Genere: Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Epoca moderna (1492/1789)
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- Questa storia fa parte della serie 'Anna'
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Parigi, Hotel de Nemours, 18 maggio 1607
 
La giovane Anne Darnassel entrando nella stanza della duchessa fu raggiunta dall’odore della morte poiché il corpo della sua duchessa era stato solo da poco prelevato per essere sottoposto ai trattamenti necessari alla conservazione. La giovane scostò una delle pesanti tende di velluto rosso e aprì la grande finestra.
 
Anne si guardò intorno, da dove cominciare.
Il signore di Neufchalles, Guillaume Le Cirier, sovrintendente dell’Hotel de Nemours l’aveva incaricata di cercare eventuali nuove volontà della duchessa.
Anne era scettica, la mente della duchessa era da anni che non funzionava più bene, pensare che avesse potuto scrivere nuove volontà era una vera assurdità.
Comunque aveva ricevuto un ordine e quindi si mise al lavoro.
Cominciò con l’aprire il grande armadio e per l’ennesima volta si ritrovò ad ammirare gli splendidi abiti che conteneva, per la maggior parte non più usati da tempo, erano anni infatti che la duchessa non faceva vita di corte e viveva reclusa nel suo palazzo di Parigi.
Guardò da per tutto, ma nulla, l’armadio conteneva solo abiti e biancheria.
Passò al piccolo scrittoio. Sul piccolo tavolo di legno scuro finemente intarsiato c’erano solo il libro della spese, il completo per la scrittura in argento e la penna d’oca oltre ad alcuni vecchi libri che la duchessa aveva portato da Ferrara e da cui non si separava mai.
Anne aprì il cassetto e rimase sorpresa, all’interno vide un libro rilegato in pelle azzurra con impressa l’aquile estense.
Lo riconobbe immediatamente come il diario della duchessa. Ma cosa ci faceva lì. Ricordava che  la prima volta che l’aveva visto aveva chiesto alla duchessa come mai un libro così bello fosse relegato in fondo ad un baule, la sua signora le aveva spiegato che era stato un regalo dello zio, il cardinale Ippolito d’Este, in occasione delle sue nozze con il duca di Guisa. Lo zio l’aveva invitata a scriverci la sua vita, ma la duchessa ridendo le aveva detto “Come faccio a scriverla quando non ho neppure il tempo di viverla” e l’aveva nuovamente riposto in fondo al baule.
Ma ora era nel cassetto dello scrittoio, come ci era giunto? Non ricordava che la duchessa le avesse chiesto di prenderlo? Possibile che lo avesse fatto da sola?
Lo aprì.
 

Hòtel di Nemours, Parigi  gennaio 1607
 
Io Anne,  duchessa di Nemours, di Genevois e di Chartres, contessa di Gisors e signora di Montargis, Caen, Byeux et Falaise, consegno il racconto della mia vita a chi avrà la bontà di leggerle.
 

Anne riconobbe immediatamente la calligrafia della sua signora. Incredula scostò la sedia, si sedette e cominciò a leggere.
 

Sono anni che la mente ogni tanto mi abbandona, devo quindi approfittare delle ormai rare occasioni in cui sono lucida per scrivere queste mie memorie.
 
Sento le forze venir meno, credo che presto lascerò questo mondo.
 
La maggior parte dei miei cari e delle persone che ho conosciuto hanno lasciato questo mondo. Solo io sono sopravvissuta.
 
Anna è il mio nome, così sono stata chiamata quando sono venuta al mondo in un freddo pomeriggio del 16 novembre 1531 nel palazzo ducale di Ferrara.
Poi sono stata chiamata in tanti altri modi: duchessa di Aumale, duchessa di Guisa e infine duchessa di Nemours.
 
Mio nonno, Alfonso I d’Este duca di Ferrara, registrò la mia nascita qualche giorno dopo, con la delusione che ancora si respira  guardando quella frase nel grande libro che racchiude la storia della mia famiglia.

 
Mio padre chiese al papa Clemente VII  di essere il mio padrino, e sembra sia stato lui a volermi chiamare Anna in onore di mia nonna materna, la due volte regina di Francia Anna di Bretagna.
In realtà il papa non mi portò al fonte battesimale perché delegò il cardinale Ippolito de Medici che a sua volta inviò Francesco Guicciardini, governatore di Bologna.
Mio padre nonostante l’affronto organizzò una sontuosa cerimonia.
 
Nel 1533 finalmente mio nonno appuntò la nascita del tanto sospirato figlio maschio, mio fratello Alfonso.
Nel 1534 nacque mia sorella Lucrezia, nel 1537 Eleonora ed infine, nel 1538 anche se ormai i rapporti tra i miei genitori si erano definitivamente raffreddati, nacque Luigi.
 
Mio padre, soprattutto grazie all’educazione impartitagli da mia nonna, Lucrezia Borgia, fu un grande amante della musica, della poesia ma anche della caccia e delle feste.
Al contrario mia madre era più dedita alla studio che alle feste, la sua intelligenza era ancora più raffinata di quella di mio padre ma i suoi costumi molto più severi.
La vera ragione però del grande dissenso tra i miei genitori, fu la diversa professione religiosa.
Mia madre in quando principessa di Francia fu si istruita nella religione cattolica ma molti dei suoi precettori furono riformati e lei ne assorbì le idee tanto da, una volta giunta a Ferrara, seguirne le dottrine soprattutto dopo la visita, anche se sotto altro nome, di Giovanni Calvino.
Ricordo ancora il giorno in cui lo incontrai, avevo cinque anni, eravamo riuniti nel piccolo camerino di mia madre con le pareti rivestite di legno scuro.
Il visitatore che cominciò a disquisire di religione era un personaggio davvero singolare, un uomo piccolo, magro e tutto vestito di nero.
Ricordo ancora le sue magre labbra che si muovevano velocemente mettendo in discussione tutti i principali dogmi della nostra religione.
Ricordo che il mio sguardo passava dalla triste figura di Calvino a mia madre che lo guardava completamente assorta, con una luce che non le avevo mai visto.
Io stringevo forte la mano di mia sorella Lucrezia, sia per impedirle di correre per la sala e anche per farmi coraggio, nella stanza regnava un’atmosfera che mi terrorizzava.
Ad un certo punto la grande porta si aprì e mio padre entrò. Tutti fecero silenzio. La luce negli occhi di mia madre si spense. Mio padre fece uscire tutti.
Non so cosa si dissero esattamente i miei genitori quel giorno, ma il tetro Calvino da lì a pochi giorni andò via, anche se so che continuò a scrivere a mia madre e lei a rispondergli. 
 
Alla corte di mio padre oltre all’italiano, studiai il francese, il latino, il greco e l’arte dell’oratoria.
Tra le opere che ebbe la fortuna di studiare c’erano i grandi autori classici: Aristotele, Cicerone, Proclo, Pomponio Mela, Tolomeo, Euclide, Esopo ed Ovidio.
 
I miei insegnanti furono  Francesco Porto per il greco ed il latino e il cantore francese Milleville per la musica e il canto.
Mia madre mi affiancò anche  Killian Senf (Sinapius) per suscitarmi delle simpatie protestanti, ma il tempestivo intervento di mio padre mi fece sempre rimanere cattolica anche se non dimenticai mai quei primi insegnamenti.
L’insegnate a cui però fui più affezionata fu Fulvio Pellegrino Morato, letterato mantovano che giunse alla corte di mio padre nel 1539, con al seguito la figlia Olimpia che mi divenne compagna di studi e fidata amica.
 
Nel aprile 1543 ricevemmo la visita del pontefice Paolo III, la motivazione di una visita così importante fu la richiesta di un prestito di 50000 scudi d’oro e la mia mano per il nipote Orazio Farnese.
Mio padre, che sapeva bene per esperienza personale, quanto queste alleanze con le famiglie papali non siano convenienti, prese tempo con la scusa ero ancora troppo giovane per un matrimonio.
In quella occasione però, i miei fratelli ed io, mostrammo la nostra conoscenza del latino rappresentando la commedia degli Adelfi di Terenzio in lingua originale.
Lucrezia declamò il prologo, io e Alfonso rappresentammo le parti d’innamorati, Leonora di una giovinetta e Luigi di uno schiavo.
 
Qualche anno dopo cominciarono le ricerche per accasarmi.
Mio padre desiderava posare una corona sulla mia testa. Fu così che cominciarono le trattative con la corte tedesca che fallirono immediatamente perché luterana.
Nel 1546 rivolse l’offerta a Sigismondo I di Polonia per darmi in sposa all’erede del trono polacco. Le trattative però andarono per le lunghe soprattutto per la netta opposizione di Francesco I di Francia.  Il re di Francia propose di darmi in sposa ad un principe francese ma mio padre si oppose, ma acconsentì a concedere la mano di mia sorella Lucrezia a Francesco di Lorena duca D’Aumale.
Le trattative con la Polonia però andavano a rilento e neppure l’intervento del re di Francia poterono nulla. Nel frattempo il re Francesco I era morto e il suo successore era mio cugino Enrico II, le nostre madri erano sorelle.
 
All’inizio del 1548, il cardinale di Lorena, Carlo, in viaggio verso la Francia si fermò qualche giorno presso la nostra corte, mio padre adducendo come scusa la giovane età di mia sorella gli propose me per suo fratello il duca.
  
Il 19 agosto 1548 il re di Francia convocò mio padre a Torino e fu in quella occasione che si decise il mio futuro. Venne stabilito che sarei stata io la sposa di Francesco di Lorena e che la mia dote, 150000 lire tornensi sarebbero state versate alla famiglia dello sposo da Enrico II.
L’obbiettivo di mio padre era raggiunto, non avrebbe pagato la dote. 

  
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