Libri > Twilight
Segui la storia  |       
Autore: Ninfea Blu    15/10/2010    9 recensioni
Salve a tutte. E' la prima volta che scrivo in questa sezione, ma sono affascinata dal personaggio del dottor Cullen, che trovo complesso e interessante, quindi ho voluto provare. Attraverso questa ff, affronto una tematica che mi interessa molto. Ho cercato di rispettare il personaggio e di svilupparlo raccontando la sua esistenza e le sue esperienze.
2° cap - "Mio padre: mi era capitato di pensare a lui... mi chiedevo come avesse reagito alla mia scomparsa, se mi avesse fatto cercare."
5° cap - "Heidi mi inquietava; era un misto di grazia ultraterrena unita a una fisicità fatta di carne e sangue. Sentivo nei suoi confronti una specie di repulsione che si mischiava all'attrazione."
9° cap - "Il mio incontro col destino avvenne una fredda mattina di febbraio, con la luce chiara che entrava attraverso la finestra del mio studio e illuminava il volto delicato di un'umana, una donna che all'epoca era la moglie di un altro uomo."
Non so se la dicitura spoiler sia corretta, di fatto non è una if. Accetto consigli.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Edward Cullen, Heidi, Tanya, Un po' tutti | Coppie: Carlisle/Esme
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Precedente alla saga
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
15 – Affinità elettive

15 – Affinità elettive.

 

 

Buongiorno a tutte.

Scusate l’immenso ritardo, ma questo capitolo è stato un grosso ostacolo da superare. Ci ho messo l’anima per scriverlo e spero che vi piaccia, anche se… non so. Forse vi sorprenderà. In bene, spero.

Ringrazio Audreyny che lo ha letto in anteprima, mi ha aiutato e mi ha rassicurato sui dubbi che potevo avere.

Tetide, questo lo dedico a te, per il tuo entusiasmo e la tua costanza che mi spinge ad andare avanti con questa storia.

Grazie a tutte voi che leggete, e pazienti, continuate a seguire. Buona lettura.

 

 

*****

 

 

Iniziò a nascere in me qualcosa che potevo chiamare felicità, se questo stato dell’essere può esistere per un vampiro, una creatura cui non è attribuita un’anima.

In passato avevo avuto dei momenti di serenità legati al mio lavoro, al contatto con altre creature come me, come Eleazar e gli altri membri del Clan di Denali.

Ma si era trattato solo di attimi fugaci che duravano lo spazio di una breve stagione della mia esistenza eterna, perché la solitudine che per poco tempo mi abbandonava, tornava poi ad assalirmi quando mi accorgevo che non potevo accontentarmi di un benessere illusorio e quanto mai effimero.

La pace dell’anima anelata col timore di non raggiungerla mai, per una casualità incredibile e formidabile, l’avevo trovata in ospedale, a contatto con l’umanità che potevo tentare di salvare, espiando così quello che ero diventato.

Ma non avevo mai sconfitto davvero la solitudine. Essa era sempre lì, nascosta, che attendeva di afferrarmi nuovamente appena avessi abbassato le mie difese. Quell’abisso oscuro che mi divorava l’anima, periodicamente tornava ad aprirsi e ogni volta, sembrava che il buco che avevo al posto del cuore si allargasse, e richiuderlo diventava sempre più difficoltoso.

La prima vera mossa per vincere quel malessere cupo era stata la trasformazione di Edward, ma la tensione che subito era esistita tra noi, non aveva reso quell’atto perfetto; non ero più solo, ma se possibile, ero più dilaniato di prima, attraversato costantemente dal dubbio, perché Edward non concedeva risposte facili ai dilemmi che mi ponevo da sempre.

Solo con Esme, questa pace quasi rubata alla sorte, divenne completa e totale.

Solo con Esme, avevo scoperto il vero amore, quello più puro, profondo e costante; quello mai compreso e misterioso, narrato dai poeti e rappresentato dagli artisti, tanto forte da riempire il cuore muto e sommergere anche l’anima smarrita di un non morto; quello che travolgeva e culminava nel desiderio che restava inappagato.

Prima di Esme, non sapevo cosa volesse dire essere affini a qualcuno. 

Accanto a lei, lo scoprii.

Scoprii cosa significasse avvertire una vera affinità di spirito, di vita, di pensiero e sentire comune, e viverlo insieme; era comunicare senza usare le parole, senza rubare i pensieri all’altro, ma solo concepirli un attimo prima che venissero formulati. E lentamente cominciai a credere che anche le preghiere di un vampiro potevano essere ascoltate e esaudite, da chissà quale dio remoto e lontano.

 

Esme, con semplicità davvero straordinaria per una neonata, sembrò accettare la sua nuova inquietante natura, e si adattò con sorprendente tenacia a evitare ogni possibile contatto umano, durante il primo periodo di quella sua nuova vita, nei primi mesi della nostra convivenza.

Anche il suo rapporto con Edward era decisamente migliore del mio; benché avessero solo pochi anni di differenza e lei potesse apparire come una sorella maggiore, per istinto era portata ad avere un atteggiamento comprensivo, quasi materno con lui. Tra loro non c’era distanza, ma una sorta di confronto quasi ad armi pari.

“Dovresti andare a caccia; è più di una settimana che non lo fai e nel tuo caso non va bene. A scuola potresti avere delle difficoltà, vicino agli altri ragazzi. È più facile resistere se non si è assetati.”

E mio figlio tra il serio e il faceto, molto spesso l’ascoltava.

“Va bene, mamma apprensiva… Faccio come vuoi. Così a scuola non assalirò nessuno dei miei noiosi compagni. Alcuni fra loro, sono particolarmente irritanti…”

“Perché ti sforzi di essere cinico? Tu non sei così…”

“Cerco di resistere al tedio. Non sai che fatica sia a volte, dovermi adattare ai loro pensieri, dominati dagli ormoni in subbuglio… le menti umane degli adolescenti sono così scialbe, banali. Sono davvero poche quelle interessanti.”

“Potresti anche trovare un amico tra loro… non si sa mai.”

“Amico? - Esclamava stupefatto e lievemente divertito. – Che idea bizzarra. Nessuno vorrebbe essere amico di un vampiro, e non mi avvicino tanto a loro perché questo avvenga.”

“È un peccato Edward…” Rispondeva Esme con una punta di tristezza. Seguiva un silenzio denso di segreti, che solo Edward poteva sentire, e immaginavo che fosse saturo del pensiero più intimo di lei, il ricordo ormai sfocato della sua esperienza da umana, donna innamorata di un vampiro.

“Già… Sai Esme, forse non dovrei dirlo, ma sono felice che tu sia arrivata in mezzo a noi… Felice per Carlisle, intendo… Credo davvero che tu sarai una giusta compagna; sei così forte, così simile a lui, non lo deluderai come quasi certamente farò io…” 

“Ne sei così sicuro? Non puoi sapere che cosa farai…”

“No, è vero. Ma avverto troppo chiaramente le mie debolezze…” obbiettava Edward.

Nella risposta di Esme, era espresso, oltre il timore, un sentimento di affinità.

“Comunque, io non credo di essere come dici; anch’io ho paura di deluderlo. Di non saperlo amare come merita. In maniera profonda…”

A volte il mio desiderio di sangue, di altro… è così potente… così deleterio… se lui sapesse…

“Ti comprenderebbe. Esme, non devi vergognarti della tua natura, dei tuoi impulsi; li hanno tutti i neonati, è normale. Questa è una cosa che anche lui mi ha sempre detto.”

 

Sembrava facile per lei, ma sapevo che in realtà i suoi sforzi erano frutto di una volontà di ferro. Ma non era il disgusto di se stessa a muoverla.

In lei, non avvertivo la tensione che c’era in Edward, quel conflitto che dilaniava la carne e il corpo di un vampiro, tra quello che vorresti soddisfare, la brama di sangue, quel liquido denso capace di dare calore al nostro cuore di ghiaccio, e ciò che non vuoi essere, un mostro omicida. Non che in Esme non ci fosse questo conflitto, ma sapeva controllarlo molto meglio di mio figlio. Semplicemente, aveva scelto di non ascoltarlo, quasi di ignorarlo. Era stupefacente la forza che metteva in questo.

Forse non avrei dovuto sorprendermi, perché in tale atteggiamento, riconoscevo perfettamente la donna che avevo incontrato un mattino liquido e chiaro, diversi anni prima, nel mio studio. Era la stessa audacia, la stessa determinazione.

Lo stesso coraggio che la faceva camminare senza abbassare mai la testa.

“Esme, è sorprendente il modo che hai di accettare tutto quanto… non mi sarei mai aspettato una simile capacità di adattamento.”

“È inutile opporsi alla sorte, no? Si rischia solamente di farsi ancora più male, tentando di resistere a essa. Sono stata un’umana infelice; non so esattamente come, ma voglio credere che da vampira potrà essere diverso.”

Rispondeva così, di fronte alle mie perplessità, quando mi fermavo meravigliato a guardarla, mentre composta, accettava con apparente naturalezza di essere entrata nel mio mondo.

“L’eternità si paga a caro prezzo; significa anche rinunciare a molto. Per sempre. Per ora, non te ne rendi conto, ma domani potresti accorgerti che sei stata privata di tutte quelle esperienze umane che arricchiscono la vita, Esme… Vorrei che tu mi dicessi onestamente cosa pensi… vorrei sentirlo da te… prima che Edward possa leggerlo nella tua mente.”

Le chiedevo col timore di sentire le stesse accuse che mi erano state mosse da Edward.

“Siamo tutti responsabili, Carlisle. Io stessa ho fatto una scelta che mi ha portato a questo. Io ho tentato di distruggere la mia vita, che non aveva senso e tu me ne hai restituita un’ altra. Forse lo hai fatto perché mi amavi e io non posso avercela con te per i tuoi sentimenti. Ma so cos’è la solitudine; può fare molto male e può rendere folli gli uomini. Non voglio prenderla come una condanna, ma come una possibilità. A volte rifletto su quello che è stato; ho come l’impressione che ogni cosa dovesse portarmi qui, che tutto sia stato pianificato da qualcuno che non sono io… e neppure tu. Gli uomini si affannano tanto a progettare la loro esistenza, lo so bene anch’io, ma a volte si tratta solo di accettare quello che viene perché non si può fare altro. E allora tutto va come doveva andare fin dall’inizio…”

Era strano per me sentirla parlare così, avvertire questa fiducia che metteva nella sua nuova esistenza e in me. Le sue parole mi davano un enorme conforto.

 

Ma non tutto era così semplice come appariva.

Esme non lasciava che io vedessi la fatica della sua resistenza, la tensione che metteva nei suoi sforzi. E tutti i neonati devono fare i conti con i loro impulsi primari più feroci.

A volte pretendeva di andare a caccia da sola, senza che nessuno la seguisse. Tentavo di immaginarla in quei momenti di solitudine, e mi riusciva difficile. Edward aveva sondato i pensieri che la sconvolgevano e io avevo osservato i suoi occhi rossi e cupi e avevo chiesto spiegazioni.

“Non vuole che tu veda la rabbia, la ferocia che le annebbia la vista al profumo del sangue. Esme è molto forte e dolce nello stesso tempo, ma quando il demone vince la sua volontà, sembra un'altra persona. Stenteresti a riconoscerla. Io stesso sono sorpreso dai suoi pensieri. Sembra così simile a me, a volte… eppure è diversa…” Mi confidò.

C’era una lotta segreta in lei, che Edward aveva colto, ma che non mi rivelava per discrezione.

Sia io che Edward, cercammo di rispettare questo suo bisogno di riservatezza che col tempo si sarebbe affievolito da solo. Mi resi conto che conservavo di Esme un’ immagine ideale, perfetta, che non volevo sporcare con la mostruosità della realtà.

Sapevo bene che non poteva essere così; ora Esme era un vampiro, con tutto quello che ne conseguiva. Non troppo latente in lei, doveva esserci una parte oscura, eppure non riuscivo a visualizzarla nelle sue pulsioni da neonata, mentre lasciava uscire liberamente la sua furia, lasciandosi dominare dall’eccitazione violenta della sete, forse perché durante la prima caccia aveva saputo controllarsi così bene; e lei che magari aveva intuito i miei pensieri senza leggerli, per una sorta di strano pudore, o vergogna, non voleva mostrare sentimenti così estremi.

Quando tornava dalle sue cacce solitarie, i suoi occhi avevano preso una sfumatura diversa, meno aggressiva, il suo viso bellissimo e pallido era rilassato e mi sorrideva serafica.

E io la riaccoglievo vicina al mio fianco, sotto la veranda della nostra casa all’estremità della boscaglia, e restavamo lì, a guardare la luce morente del giorno che volgeva al crepuscolo, mentre i nostri silenzi gridavano più delle parole che non osavamo ancora pronunciare.

 

La sintonia che si creò tra noi era tale che ci sorprese negli sguardi che si perdevano a volte, dentro le profondità dell’altro. Nel pozzo dei suoi occhi rossi che lentamente, giorno per giorno, andavano schiarendosi in una sfumatura più tenue, ritrovavo il nostro amore originario che pareva risorgere come una fiamma antica, mai estinta, che si alimentava di nuova energia. E il desiderio tenace, che oscurava le nostre iridi, cresceva in me come in lei.

Lo percepivo chiaramente, dietro le parole, nell’intonazione soffocata ma seducente delle nostre voci, negli occhi che si inseguivano e si catturavano.

Tornavo dall’ospedale e la trovavo ad aspettarmi seduta sulla sedia a dondolo della veranda. Qualche volta Edward era con lei, ma appena io comparivo, mio figlio si eclissava subito, dileguandosi nell’intrico del bosco. Ero contento che avesse instaurato un buon rapporto con Esme, e attraverso lei, cercavo di non perdere il contatto con mio figlio. Era come se Esme gettasse un ponte tra me e lui. Ma pareva che Edward non sempre avesse voglia di attraversarlo.

“A volte ho l’impressione che stia cercando di allontanarsi, ma che gli manchi la forza per farlo… e io non so per quanto potrò trattenerlo. Lo sento molto sfuggente ultimamente… specie da quando tu sei qui…” confidavo a lei, che mi sorprendeva sempre un po’ con la sua comprensione, la stessa che avrebbe avuto una madre verso un figlio.

“Pensi, Carlisle, che io possa essere la causa dei suoi malumori?”

“No, non sei tu… con te si confronta volentieri. C’è qualcos’altro…”

“Edward, è un’anima tormentata. Sembra infelice; mi dispiace perché potrebbe vivere meglio, accettando la sua vita. Ma dalle sue parole ho capito che è in conflitto più con se stesso che con te.”

“Lui non crede di avere un’anima; disprezza profondamente se stesso, ma dà a me, la colpa di ciò che è… forse non ha neppure tutti i torti… In fondo, non siamo altro che mostri, abomini di natura.” risposi amareggiato.

“Eppure, Carlisle, quando parla di te, ha le stesse parole di stima che avrebbe verso un padre… - diceva convinta. - E io non ho mai pensato che tu fossi un mostro… neppure nel momento più estremo, quando il mio cuore martoriato si è arreso alla forza del tuo veleno e ha smesso di battere.”

L’ascoltavo e il mio cuore freddo e spento da secoli, sembrava si allargasse nel petto per contenere l’ intima pace che sapevano darmi le sue parole così terribili, eppure piene di comprensione.

Parlavamo come un tempo, forse di più, ed Esme mi faceva infinite domande sulla mia vita, sul mio lavoro, sulle sensazioni che mi dava, sul passato e sul futuro.

“Ti piace davvero fare il medico; si capisce guardandoti… L’inizio non dev’essere stato facile, però…”

“È vero, non lo è stato; una delle ragioni per cui amo il mio lavoro, è perché mi fa sentire umano...”

“Umano… - Esme mi lanciò un’ occhiata obliqua indagatrice, mentre mi pareva che stesse soppesando quella parola. - C’è qualcos’altro oltre al tuo lavoro, che ti fa sentire umano, Carlisle?”

La guardai intensamente; lessi dentro quello sguardo profondo come un abisso in cui potevo perdermi, la risposta che voleva e si aspettava da me. E senza resistere, mi lasciai imprigionare in quel pozzo ombroso e mutevole che erano i suoi occhi.

“Tu, Esme… Tu mi facevi e mi fai sentire… umano…” risposi in un soffio, accostando pericolosamente il mio viso al suo.

Era implicito il significato delle mie parole e Esme lo colse di sicuro, ma distolse i suoi occhi che presero a vagare nell’ambiente attorno. Poi tornarono a posarsi su di me per scrutarmi nuovamente e catturarmi nelle loro profondità.

“Come hai scoperto la tua vocazione? Come hai fatto a coltivarla, senza farti sopraffare dal desiderio per il sangue? Non era una tentazione costante?”

Ero ancora troppo vicino a lei, tanto che percepivo chiaramente il profumo invitante del suo respiro.

Mi allontanai un poco.

“Qualche volta sì, ma sono sempre stato determinato… La vocazione l’ho scoperta per caso; ho iniziato a studiare medicina e anatomia pochi anni dopo la mia nascita…”

Le raccontai così dei miei inizi, di come era nata in me la passione per la scienza medica, di come avevo condotto quella scelta e l’avevo portata fino in fondo.

Passai infiniti momenti a raccontarle di tutta la mia vita, avevo secoli alle spalle da dividere con lei e volevo che le appartenessero; ogni pensiero, ogni esitazione, ogni debolezza che mi avevano attraversato, l’infelicità della mia condizione maledetta, il senso di disgusto per me stesso. E poi l’amore, quello vero nato con lei, la voglia di non esser più solo, la paura disperata di cedere al mio egoismo, il mio desiderio di avere una famiglia, di mettere radici, di costruire qualcosa che potesse dare un senso a tutto quello che sembrava non averne, una ragione, un motivo a giustificare il mistero di ciò che ero. Il mio bisogno di condividere con lei la mia vita assurda.

Una tragedia che trovava il suo riscatto nello sguardo innamorato di Esme.

Ma lei non si accontentava della superficie, di quello che osavo mostrare attraverso il filtro delle mie parole che pure erano sincere; come aveva fatto da umana, voleva guardare dietro le cose, voleva scrutare oltre la maschera che portavo.

Continuava a fare domande che mi scavavano a fondo. Voleva entrarmi dentro.

“Sai, Carlisle, ricordo poco dei nostri incontri a Columbus… un viale alberato, foglie morte con i colori dell’autunno… ma c’era un particolare che mi aveva colpito; i tuoi occhi dorati, in certi momenti diventavano più scuri… non capivo esattamente perché…”

“Cosa pensavi allora?”

“A volte, mi sembrava di leggere in essi l’ombra di un’emozione cupa, la stessa che c’è anche ora…”

Parlava e intanto mi guardava fisso. Mi sentivo attraversato dal suo sguardo.

“Adesso lo hai capito cos’era? … Che cos’è?”

“Credo di sì, ma voglio sentirlo dire da te. Hai mai avuto altre tentazioni più umane, con me? Mi volevi, Carlisle? Non il mio sangue, ma… Mi volevi come un uomo desidera una donna?”

Mi domandò impietosa, provocandomi, avvicinando il suo corpo al mio, e io non mi feci alcuno scrupolo di parlare liberamente, mentre col pollice le sfioravo una guancia e scendevo lasciando scivolare la mano aperta lungo il collo bianco e liscio.

“Tu sei stata un’ enorme tentazione… in ogni senso… anche in quello… Lo sei anche adesso, forse di più.” le confessai senza remore, mentre i nostri sguardi si allacciavano.

“So cosa vuol dire…” sospirò, e lo sapeva davvero.

 

Non l’avevo ancora baciata, neppure una volta.

Attraverso il susseguirsi dei giorni, durante le ore passate nelle corsie dell’ ospedale, quel pensiero aveva iniziato a farsi strada nella mia mente quasi come un’ ossessione, tanto che addirittura Edward ne fu esasperato.

“Perché non ti decidi? Anche lei si chiede perché ancora non lo hai fatto.”

Edward rivelava tutto il suo nervosismo, per me abbastanza incomprensibile. In effetti, anche il suo comportamento era strano. Ma in quel momento ero troppo distratto da Esme, per osservarlo con la giusta attenzione.

Era la prima volta che mi trovavo a gestire sentimenti così dirompenti, che mi mettevano addosso una specie di ansia.

Era strana la mia esitazione. Quasi fossi in attesa di un segnale da lei.

Era la paura di non essere accettato, magari respinto, il timore di essere inadeguato; l’amore è un sentimento che può far sentire così insicuri, una fragilità tutta umana, quasi sconosciuta per un vampiro, una forza capace di sgretolare e rendere friabile anche la materia dura di cui sono fatto.

Con Heidi non era accaduto perché con lei tutto si era acceso in fretta, e altrettanto in fretta si era consumato.

Non c’era stata l’attesa, né la scoperta, ma solo voglie divoranti e divorate, bruciate nella frenesia di piaceri a volte violenti ed estremi, ma sempre uguali.

Quello per Esme, era un turbamento del tutto nuovo per me; sapevo cosa volesse dire lottare contro il desiderio, quello del sangue, quello del sesso, nascondere ciò che non si doveva mostrare, ma non avevo imparato a manifestarlo, a lasciarlo defluire all’esterno, a tradurre il pensiero, la volontà in un’ azione pura e semplice. Non sapevo soddisfare il semplice delicato desiderio di un bacio; troppo naturale, genuino, troppo intimo per un vampiro, troppo coinvolgente. Troppo emozionante, tenero e vivo per un cuore morto. Troppo umano. Una tenerezza in conflitto con ben altre brame più spinte che mi infiammavano la carne.

Mi avvicinavo ad Esme, ma non abbastanza, e questo, mi esasperava e frustrava lei che provava il mio stesso impulso sofferto.

E poi, nell’atmosfera c’era la strana sofferenza di Edward e io non sapevo esattamente da cosa dipendesse. Non era più solo la sete di sangue a tormentarlo. Si isolava da me e da Esme, molto più di quanto fosse necessario, molto più rispetto a un tempo quando eravamo solo io e lui. Non gli avevo più chiesto nulla della scuola, di come proseguissero le sue giornate; forse qualcosa lo preoccupava. Ne avrei parlato con lui, quando fossi stato più tranquillo anch’io. Era egoistico il mio comportamento in quel momento, ma il sentimento di felicità appena nato in me, mi portava a dimenticare tutto il resto di ciò che avevo attorno, e questo non era un fatto positivo.

 

Nella mia testa c’era Esme; lei e la sua bellezza devastante, la sua voluttà che scatenava la mia eccitazione, il suo fascino che mi stregava, la sua voce profonda e sensuale che mi rapiva, il suo corpo duro di vampira, ma dalle forme morbide e floride che conservavano per sempre l’impronta di un ventre che aveva generato la vita, una femminilità illusoria che scatenava le mie voglie insoddisfatte, violente e profonde.

La volevo, e allo stesso tempo, avevo quasi timore del mio desiderio immenso che qualche volta, si stemperava nella dolcezza dell’immagine di braccia candide che mi stringevano, che mi accarezzavano, mentre il gelo dei nostri corpi si confondeva accendendosi nel tepore di un abbraccio.

Volevo i suoi seni perfetti tra le mie mani grandi, la sua bocca che inseguiva la mia, i segni delle sue unghie affilate nella mia carne come un marchio sulla pelle, i nostri corpi di ghiaccio bollente mai sazi e avvinti dopo un amplesso disumano, risultato di una passione violenta e aggressiva, come può esserlo quella dei vampiri.

Avevo bisogno di lei, del suo profumo che mi catturava, della sua immagine che mi stordiva di cui non sapevo fare a meno.

 

Forse fu per sfinimento che un pomeriggio grigio e umido con un cielo di un colore slavato, per caso, la seguii in una delle sue cacce solitarie. Perché non potevo restare ad aspettarla con l’ansia di vederla riemergere tra l’intrico del fogliame e dei rami che si aprivano al suo passaggio; Edward aveva sentito i suoi pensieri affamati d’amore che il sangue non riusciva a saziare e mi aveva rivelato che erano rivolti a me in maniera altrettanto ossessiva, ma anche più dolorosa.

“Siete davvero fatti uno per l’altra; non capisco perché vi ostinate a resistere, quando anelate soltanto a stare insieme in modo completo. Vi fate del male quando potreste essere… felici?”

Sentivo tutta l’incredulità di Edward di fronte a quel concetto puramente astratto che sembrava non potesse esistere nella realtà di un vampiro. Soprattutto non esisteva per mio figlio; sentiva la felicità come una meta irraggiungibile, sogno utopico troppo lontano da sé. Altre volte in passato, mi ero soffermato a riflettere su cosa fosse per Edward, sentire i pensieri di tutti coloro che incrociavano il suo passaggio.  Per lui, spesso, doveva essere qualcosa di assordante. Se Esme mi desiderava con un quarto della passione che sentivo io, le nostre ossessioni dovevano essere un tormento per mio figlio, cui non riusciva sempre a sottrarsi. Una pena che esasperava maggiormente il suo senso di vuoto e solitudine.

Anch’io mi ero sentito, e mi sentivo vuoto, e solo Esme poteva riempire quel vuoto.

E quel giorno, nel profondo silenzio della foresta, il vuoto fu riempito e il desiderio soddisfatto, e insieme, godemmo della nostra lussuria, espressione vera e completa del nostro amore.

 

La sorpresi nel cuore della boscaglia mentre assaliva un animale. Era animata oltre che dalla sete, da una fame ingorda, da quella tipica frenesia che ci rende incapaci di fermarci e che fa brillare di un desiderio perverso e sinistro i nostri occhi.

La osservai, mio malgrado ammaliato e sedotto, mentre fulminea affondava vogliosa i denti nel collo della sua vittima, ne lacerava la pelle e i muscoli che cedevano, fino ad arrivare alla calda giugulare della sua preda ancora viva, mentre l’abbracciava in una morsa mortale e scivolava a terra sull’erba con l’animale che si dibatteva in un ultimo inutile tentativo disperato di resistere.

Era la lotta atavica della vita con la morte. Era il caldo e il freddo, luce e tenebre.

Ero affascinato dalla scena selvaggia che si presentava ai miei occhi, dalla sensualità violenta che emanava, dal sangue che colava e sporcava la bocca di Esme di un rosso vivo. Mi sembrava di sentirne non soltanto il profumo, ma il calore, mi pareva di avvertire con ogni senso che possedevo, la stessa eccitazione di Esme, che godeva di quel liquido che entrava nel suo corpo e lo scaldava. Sentivo i suoi gemiti estatici come se fosse in preda al delirio. La guardavo, rubando tutto ciò che il mio sguardo brunito ormai assetato poteva cogliere; ogni sua espressione, mista tra il piacere e un inspiegabile disgusto, il più piccolo movimento aggraziato del suo corpo. Le sue mani che artigliavano il corpo del povero essere mentre moriva.

Ero avido di ogni dettaglio e non mi importava che lei potesse scoprirmi in fallo.

Dissanguato l’animale, abbandonò la carcassa e non soddisfatta, riprese la caccia.

Io la seguii, ancora.

Vagò attraverso il bosco, famelica come un lupo e decisamente più pericolosa, i sensi troppo acuti all’ertati.

Attraverso il fitto del fogliame ombroso che oscillava qualche secondo al nostro passaggio, correvo insieme a lei senza farmi vedere, mantenendo la giusta distanza, quando improvvisamente avvertii una traccia fin troppo nota al mio olfatto allenato.

Profumo di sangue umano vivo e pulsante; ebbi un brivido che era eccitazione e terrore insieme.

C’erano degli escursionisti; probabilmente si erano persi, perché quella era una zona abbastanza lontana dai sentieri battuti dalle guide del luogo.

Anche Esme li avvertì ed esitò per una frazione di secondo, prima di mettersi sulle loro tracce. Mi colpì la strana luce che le fece brillare lo sguardo di folle audacia. Non riuscivo a credere che lo stesse facendo; li avrebbe attaccati?

Li raggiunse in breve tempo e si fermò a osservarli; annusò l’aria che portava il loro odore come a volersi riempire i polmoni, poi trattenne il respiro per alcuni secondi, prima di avvicinarsi ancora con una curiosa cautela. Fiutò di nuovo il profumo e la vidi saltare su un ramo alto, poi appiattirsi contro il tronco dell’ albero, chiudere gli occhi, e dopo, emettere un sospiro prolungato che pareva un gemito soffocato di puro piacere. Era come se stesse pregustando il sapore della sua prossima vittima. Decisi che non avrei aspettato per scoprirlo davvero. Avrei almeno tentato di fermarla. Fui a poca distanza da lei; pochi alberi ci separavano. E rivelai la mia presenza.

“Esme, non farlo… ti supplico…” ansimai quasi disperato.

Fu come se l’avessi schiaffeggiata.

Si volse verso di me con un’ espressione di puro sgomento dipinto in volto, gli occhi sbarrati e increduli, la bocca semiaperta in un ringhio senza suono. Ma bastarono pochi secondi a farle dimenticare gli umani e vidi mutare lo sguardo di sorpresa, in una profonda infamante vergogna, come se l’avessi colta a compiere l’azione più mostruosa e delittuosa.

E prima delle sue parole, fu il suono atterrito, mortificato della sua voce dolcissima a rivelarmi il senso di un tormento così ben nascosto, che non ero stato capace di vedere.

“No… Non tu!! Non dovevi, Carlisle!!”

Gridò con una disperazione che non avevo mai sentito prima in lei. Si mosse repentina per fuggire, forse perché l’umiliazione che avvertiva, le impediva di affrontarmi a viso aperto. Ma le impedii di scappare; con un balzo fui praticamente su di lei e quasi ingaggiai un corpo a corpo per trattenerla, lottando con difficoltà contro la sua forza di neonata. Cercai di calmarla, di farla ragionare.

“Esme, ti prego! Calmati, voglio solo parlare!!”

“Non dovevi seguirmi!! Perché lo hai fatto? Perché? Non potevi fidarti di me?” mi ringhiò contro.

“Non volevo, te lo giuro! È stato per puro caso se ti ho trovato nella foresta…”

Si agitava furiosa tentando di colpirmi e mi puntava addosso uno sguardo allucinato.

“Oh, Dio… cosa penserai adesso di me…” Singhiozzava.

Se avesse potuto farlo, avrebbe pianto. Riuscii a bloccare i suoi polsi dietro la schiena mentre la stringevo per immobilizzarla.

“Non penso nulla di terribile, Esme. Davvero, io non voglio giudicarti. Voglio capirti. Scusami se ti ho seguito, non l’ho fatto di proposito, ma sono fragile Esme e ho bisogno di te!! Ho un disperato bisogno di stare con te!”

Eravamo finiti a terra, tra le felci, le foglie secche e la terra umida, il mio corpo contro il suo che la schiacciava al suolo. Avrebbe potuto facilmente liberarsi, ma sembrava quasi arresa, oppressa più da se stessa. Solo alle mie parole aveva smesso di dibattersi. Continuai a parlarle col tono più suadente e morbido che possedevo, lasciando che il suono della mia voce le toccasse il cuore ferito.

“Io ti amo, Esme. Tu sai che è vero… So che è difficile per te, ma perché ti vuoi nascondere? Perché non vuoi che ti aiuti? Non vergognarti delle tue fragilità, ti prego…”

Allora parlò voltando il viso di lato per non guardarmi.

“Hai visto tutto vero? Hai visto che non riesco a dominare del tutto la mia sete? Ci provo a trattenermi, a essere come te… vorrei tanto essere come te…”

La sua voce era un crescendo di emozioni che mi travolgevano.

“Esme…” Le accarezzavo il viso dolcemente, mentre lei mi incalzava con le parole; era tornata a fissarmi, puntandomi addosso i suoi occhi inquieti.

“Ma è così difficile! Io voglio il sangue, la mia sete mi tormenta e poi… c’è un’altra sete che è implacabile. Non sapevo che fosse così; mi brucia le viscere, la carne fredda, e vado a caccia per placarla… ma lei non si placa. Aumenta ogni volta che ti vedo. Mi divora la mente… Oh, Carlisle!! Impazzisco se tu mi sfiori soltanto!“

Emise un ansito quasi disperato.

Per istinto naturale compresi quello che mi stava dicendo; lì, addosso a lei, sentivo lo stesso fuoco che a breve, ci avrebbe divorati entrambi.

Nella mia mente, tanta voglia di lei. [1]

“Esme, ascolta… anch’io…”

Ma lei non mi lasciava parlare.

Era come se dovesse confessare una colpa che la stava schiacciando.

“A volte mi metto alla prova, come ho fatto oggi. Sfido me stessa. Perché il profumo del sangue umano mi stordisce e non mi fa pensare davvero a quello che vorrei… a quello che voglio in realtà, ma è come scherzare col fuoco, e prima ho rischiato di bruciarmi davvero. Se tu non mi avessi fermato, adesso mi odieresti…”

“Non potrei mai odiarti, Esme… Mai. Per nessuna ragione al mondo… Non posso odiare quello che io stesso ho creato…”

“Oh, non questa volta. Edward crede che io sia forte… ma non è vero!! Il mio corpo è debole, come la mia volontà…  Carlisle…“

La sua voce aveva perso il tono disperato; ora suonava arresa e vinta mentre invocava il mio nome.

Avvicinai il mio volto al suo per confondere i nostri respiri, mentre le mie mani non la stringevano più con prepotenza, ma avevano iniziato a correre lungo il suo corpo e già tentavano di superare i vestiti.

Poi bisbigliai al suo orecchio. Volevo sedurla. Volevo amarla.

Volevo che fosse mia e volevo essere suo. Per sempre da quel preciso istante, immerso nel verde, nascosto dentro di lei.

“No Esme; io sono più debole di te… Lo vedi? Lo senti quanto ti desidero? Qui? Adesso? Non credo di poter aspettare…”

La mia voce era diventata un profondo sussurro roco, mentre annusavo la sua pelle. La sua era un velluto caldo e sensuale che mi calava addosso e stregava i miei sensi.

“Oh Carlisle, la voglia di te mi divora la carne e forse l’anima che non ho più!”

“La tua sete è la mia. Possiamo bruciare insieme, Esme.”

Ansimai con le labbra vicinissime alle sue, aspirandone il profumo.

Fu così che avvenne.

Fu così che la baciai per la prima volta.

Avvicinai le mie labbra alle sue e lasciai che il suo gusto mi invadesse la bocca. La sentii cercarmi, muoversi prima con dolcezza, assaggiare le mie labbra, lentamente; poi con ardore, morderle con una passione che annullava il freddo e faceva correre brividi intensi sui nostri corpi.

Così ci amammo, nell’ intrico del bosco che ci nascondeva.

Così ci prendemmo la pelle, il corpo, le mani. E ci mangiammo con gli occhi.

La baciai lì, tra le foglie, stesa al suolo mentre il suo sapore si confondeva col mio e mi faceva impazzire.

Sentivo il suo corpo sotto di me, e la mia virilità rispondeva impetuosa a quel contatto. Trattenevo la sua testa fra le mie mani, affondando le dita tra i suoi capelli color caramello e Esme mi abbracciava, baciandomi, legandomi stretto a lei.

Sentivo le sue mani che correvano sotto i miei vestiti, per tentare di superarli.

Mi allontanai solo un momento e mi misi in ginocchio per spogliarmi; sopra di lei, lentamente, slacciavo i bottoni della camicia, senza staccare i miei occhi dai suoi, che seguivano ogni singolo movimento delle mie dita. I suoi occhi brucianti di desiderio rubavano lembi di pelle del mio corpo e coglievano la luce rada che filtrava debole e timida, come se non volesse disturbare quella strana intimità dentro quell’alcova improvvisata, fatta di verde e di muschio. E la baciai di nuovo fino a succhiarle via il respiro e intanto, le sue dita lunghe e affusolate cercavano la fibbia dei miei pantaloni per liberare i miei lombi dal tessuto che li imprigionava.

“Ti prego Carlisle, spogliami…” mi supplicò.

Le aprii la camicetta e rimasi a guardare il suo corpo bianco, poi un po’ rudemente le sfilai la gonna e liberata la sua pelle d’alabastro della biancheria intima, lasciai correre dolcemente le mie mani lungo le curve piene e sode dei seni per scendere sui fianchi, mentre Esme inarcava la schiena tendendosi verso di me.

E quando i nostri corpi nudi furono di nuovo tanto vicini da aderire perfettamente uno all’altro, fu con gioia che scoprimmo il piacere proibito delle nostre carezze che osavano cercare, scoprire, giocare con le estremità più segrete. Le nostre mani aprivano la strada ai baci più infuocati e nuove sensazioni esplodevano ogni volta, quando il tocco dell’altro accendeva e sfiniva il desiderio.

Quando finalmente fui nel suo posto più intimo e segreto, caldo e accogliente per me, ebbi davvero l’impressione che le nostre anime morte si stessero fondendo in una nuova essenza di vita, mentre la voce di Esme vibrava intensa e sussurrava suoni quasi magici al mio orecchio.

“Oh, Carlisle… spegni la mia sete… Continua amore mio, continua a farmi sentire viva in questo corpo morto. Ti supplico, non fermarti…”

E io non mi sarei voluto fermare, mai più; non sarei più uscito da lei, perché quella fiamma ballerina che si era accesa nel buio della nostra anima, vibrava come cosa viva, e sconfiggeva la morte; scaldava sciogliendo il ghiaccio antico dei nostri corpi e cullava i nostri cuori e non lasciava dolore, ma solo l’estasi appagante dell’amore che fa sentire al sicuro. E lasciammo che il cielo sopra di noi, oltre le fronde degli alberi che ci nascondevano divenisse scuro.

Facemmo l’amore per ore, come se fossimo in astinenza da secoli e ci furono amplessi dolci come le maree che salgono, lambiscono, accarezzano la sabbia calda e umida delle spiagge, e altri violenti e profondi che esplodevano come lapilli e lava bollente da un vulcano. Fu meraviglioso e bellissimo. Una gioia potente e straordinaria. Era il mio sogno che diventava realtà.

 

E il cielo tornò chiaro e i deboli raggi di una giornata di sole pallido, filtravano tra le nubi, il mattino successivo, quando finalmente ci rivestimmo per tornare a casa felici, appagati, con una serenità nuova. Col sole non potevo andare a lavorare, sarei rimasto a casa. Sarei rimasto accanto a Esme per tutto il giorno, tra le sue braccia, nel suo corpo accogliente. La nostra voglia era troppa.

Edward avvertì immediatamente il cambiamento, percepì i nostri pensieri gioiosi che tornavano alla notte appena trascorsa. Era impossibile avere segreti con un vampiro come lui. Manifestò apertamente quanto fosse contento per noi.

E lo era davvero.

Ma avvertivo che oltre alla felicità, alla gioia condivisa, c’era dell’altro, un’inquietudine difficile da decifrare e interpretare.

Ogni volta era complicato confrontarmi con Edward, superare le sue barriere, ma dovevo affrontarlo senza troppo tergiversare. Una settimana più tardi, mi trovai da solo con lui. Mi parve l’occasione giusta per parlare.

Ero a casa, nel mio studio che stavo ricontrollando alcuni appunti che avevo preso sulla sintomatologia preoccupante di alcuni miei pazienti. Inoltre c’era un altro problema non del tutto imprevisto, che si era presentato e che dovevo risolvere; il marito di Esme si era rifatto vivo ed era venuto in ospedale a cercare notizie della moglie scomparsa. Quest’ultima cosa mi dava da pensare e stavo valutando la possibilità di dover lasciare la città. Tra un pensiero e l’altro, fermai Edward, mentre si apprestava ad uscire per andare non so dove.

“Edward, ho bisogno di parlare con te; mi concedi un minuto del tuo tempo?”

Mio figlio si fermò un momento ad osservarmi; colse nella mia mente le mie preoccupazioni attuali. Ma non interpretò con esattezza la mia intenzione del momento.

“Che cosa c’è? Vuoi lasciare la città a causa del marito di Esme?”

“Veramente, non era di questo che volevo parlare… sono preoccupato per te…”

“Non c’è motivo…”

Io credo di sì…

“A scuola va tutto bene. Mantengo benissimo il controllo… La mia è una recita quasi perfetta…”

Sorrise sfacciato. Si era seduto di fronte a me con una gamba piegata sopra l’altra, proprio come farebbe un ragazzino per ostentare sicurezza di fronte al padre.

“Non ne dubito, ma credo che il problema sia qui, non a scuola. Ti isoli più del solito, Edward, e non so perché… È solo un altro modo di manifestare il tuo disprezzo, oppure è qualcosa di più serio? Perché non mi dici che cosa ti angustia? Anche Esme si preoccupa per te; lei c’entra in qualche modo?”

“No, lei non c’entra niente. Esme è… - esitò - perfetta…”

Fu una vaga sensazione che svanì in fretta come un vapore leggero. Lo pensai solo per un istante, ma bastò per far assumere a mio figlio un’espressione seria e contrariata.

“Non sono geloso di Esme. Come fai a pensarlo?” Mi chiese irritato.

“Allora dimmi che cos’è. Parla con me, Edward. Non lasciarmi in questa incertezza…”

Tacque alcuni secondi; scosse la testa amaramente, prima di aprirsi in una confessione sofferta e inaspettata, che forse attendeva di uscire da tempo.

“Lo sai che il mio unico disprezzo è verso me stesso. Io sono felice per voi due, davvero; non potevi trovare una compagna migliore, ma… quando vi guardo insieme, io comprendo che non c’entro niente qui con voi… mi sento una specie di estraneo…”

Edward allora, si alzò in piedi; prese a camminare e parlare con enfasi, manifestando uno strano malessere che forse era più complesso e profondo della semplice gelosia. Sembrava timore, nascosto dietro l’aggressività. Una paura quasi indefinibile.

“Mi sento come se non appartenessi a niente… Carlisle, ho mai avuto uno spazio vero, un ruolo che fosse mio? Dovrei essere tuo figlio, ma non lo sono veramente… Non potrò mai esserlo nel profondo.“

“Edward, cosa stai cercando di dirmi?” Il mio tono non riusciva a nascondere l’apprensione.

“Che io non sarò mai per te, ciò che vorresti…Voi bastate a voi stessi, non avete bisogno di me… Anzi, io tra di voi, sono quello stonato che potrebbe rovinare tutta la composizione armonica, creare dei problemi alla vostra esistenza. Carlisle, io potrei andarmene domani e per te, per lei non cambierebbe niente… sareste ugualmente felici, anche senza di me; sono un tassello che non ha un incastro nella tua vita, e se lo cerco non lo trovo, in questa esistenza assurda cui siamo condannati. Perché non esiste.”

“Non è così Edward; per me tutto cambierebbe e anche per Esme, credo…”

“No. Tu hai trovato la tua parte buona perché forse sei altrettanto buono… per me la condanna resta… e mi spaventa… C’è il nulla che mi attende là fuori; non ci sono sentimenti, solo oblio. Tu non puoi compensare tutto questo…”

Dietro quelle parole amare sorprendenti, che in parte mi ferivano, ma che potevo comprendere, si celava la vera angoscia di mio figlio; la paura della solitudine. Una paura che vedevo espressa veramente per la prima volta. Peggio ancora; Edward credeva che io stesso, il suo creatore, potessi condannarlo alla solitudine dell’abbandono, della dimenticanza, privarlo di una collocazione all’interno del cerchio che componeva la mia vita che aveva determinato la sua. E quest’ultimo pensiero fu quello che mi fece più male.

“Edward, pensi davvero di non essere importante per me? Pensi che potrei voler perdere mio figlio, sostituirlo? Dimenticarlo? Ti ho dato questa impressione, forse? Tu e Esme occupate parti diverse del mio cuore che sanguinerebbe senza una di esse…”

“Forse… io non lo so. Leggo nel pensiero, non prevedo il futuro. Esme, ha occupato quasi totalmente i tuoi pensieri, ultimamente. Penso sia normale: la ami come non hai mai amato nessun’altro prima. Ma lei sa cosa vuol dire perdere un figlio; un’esperienza questa, che tu non farai mai… e in fondo, tu saresti anche disposto a lasciarmi andare… anzi, stai cercando di prepararti a questa possibilità…”

“Solo se questo fosse per te la felicità… e mi costerebbe comunque…” risposi con profonda amarezza.

 

Edward lasciò il mio studio senza aggiungere altro, ma con un’ evidente tristezza nello sguardo. Fu quello l’esatto momento in cui iniziai a domandarmi se non l’avessi trasformato troppo presto, intrappolandolo in un’ età difficile e scomoda.

Mio figlio sarebbe stato per sempre fermo al punto di partenza, come un atleta pronto allo scatto della corsa, che resta bloccato allo sparo dello starter; un giovane prigioniero dell’età dei sogni senza più sogni da coltivare, senza più speranze, perché distrutte dal morso di una creatura infernale, condannato a guardare tutti gli altri suoi coetanei che andavano incontro alla vita e costruivano il loro futuro mattone su mattone. Nessuno di quei ragazzi che andavano a scuola con lui, lo avrebbe aspettato. Nessuna di quelle ragazze che restavano rapite dal suo fascino, potevano accompagnarlo lungo il suo percorso.

La mia solitudine nei secoli era stata grande, vasta e opprimente quanto un deserto chiuso dentro l’orizzonte ondeggiante delle sue dune di sabbia riarsa dal sole, ma non avevo mai pensato che quella di Edward avrebbe potuto esserlo molto di più. All’improvviso, vedere e comprendere tutta la portata di quel peso immane mi atterrì, facendomi sentire impotente e in colpa per l’ennesima volta nella mia vita immortale...

 

 

Continua…

 

 

 

Scusate di nuovo per l’immenso ritardo, ma questo per me era l’ostacolo più difficile, perché non credo di essere portata per l’eccessivo romanticismo e da questo capitolo penso che si veda. Spero che vi sia piaciuto, anche se forse avrete trovato Esme, un po’ ooc, ma non so scrivere cose che non siano anche un po’ tormentate.

Non sapevo in quale altro modo suggerire il desiderio passionale, tormentato che corre parallelo alla sete di sangue di Esme neonata che deve imparare a essere come Carlisle. Che per amore vuole essere come lui. E tra loro c’è Edward, un personaggio certamente non facile; difficile immaginare i suoi sentimenti in quegli anni, prima che Bella entrasse nella sua vita, spero di essere riuscita a suggerire il suo malessere, il suo conflitto, che ho intenzione di sviluppare ancora nel prossimo capitolo.

Come sempre ringrazio tutte le mie lettrici, quelle che mi seguono dall’inizio e quelle nuove che si sono aggiunte. Mi sorprende come ogni volta aumenti il numero di coloro che preferiscono e seguono questa storia, mi fa davvero piacere e spero che avrete voglia di dirmi come vi è sembrato questo pezzo che mi è costato parecchio. E ringrazio infinitamente voi ragazze che recensite e che mi incoraggiate ad andare avanti. Per fortuna che ci siete.

 

Arte, Rebecca Lupin, Tetide, Io amo Jasper Hale, gingiolina

Selene Krystal, Myria (se siete ancora qui)

 

Grazie per ogni vostra parola.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] Tetide, questo è per te. Hai capito vero?

   
 
Leggi le 9 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Twilight / Vai alla pagina dell'autore: Ninfea Blu