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Autore: Geneviev    19/10/2010    0 recensioni
Forse la luna pallida e malata, è sofferente per l'inverno che regna nel cuore del lupo, forse è invidiosa di ciò che vede nascere nella foresta gelida.
Lontana, segue lo scorrere del destino aspettando che i fili si intreccino o vengano recisi.
Genere: Dark, Fantasy, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La tempesta batteva sulle finestre spesse pioggia e neve e nell’aria gelida correva l’ululato dei lupi feroci. Erano passati ventuno giorni dal suo arrivo, ed era una notte di ormai inizio inverno. Tessa tremava nel giaciglio fatto di cuscini di paglia, coperte e pellicce, sopra la panca vicino al caminetto.

In quel momento di angoscia e paura decise di infrangere la seconda regola e andò nella stanza, tremante e infreddolita, spaventata dall’ululato del vento che non copriva l’ululato dei lupi. Si avvicinò al letto, dove lui era sopito, osservandolo nella penombra che permetteva la luce creata dalla bufera di neve.

"Signore... " lo richiamò titubante.

"Mmh" fu la mugugnata risposta che ottenne.

"Posso rimanere qui?".

"Sparite immediatamente dalla mia camera" rispose lui, con la voce impastata dal sonno.

"Vi prego".

"Mmh... tappatevi quella bocca e dormite" disse categorico, poco incline a svegliarsi per quella sciocchezza. La ragazza si raggomitolò come un micio sotto le coperte, accanto a lui, e dopo un po’ riuscì ad addormentarsi.

Il mattino la luce debole del giorno imminente che filtrava dai rami e dall’atmosfera invernale rischiarava la stanza e il corpo della ragazza addormentata, i capelli biondi attorno al suo viso, mentre ancora la neve farinosa si abbatteva sulle finestre. Il ragazzo si limitava a fissarla in silenzio.

Era a petto nudo, nonostante il freddo, e la sua pelle era calda. Il suo braccio sinistro era completamente coperto da un’orribile scottatura che gli arrossava la pelle e lo deturpava dalla spalla al polso, e parte del dorso della mano. Si alzò per rivestirsi, ma Tessa si era svegliata a sua volta e lo stava fissando con i grandi occhi color miele.

"Niente domane, e uscite immediatamente dal mio letto" sentenziò freddamente lui, quando tornò a fissarla. La ragazza abbassò timidamente lo sguardo e scivolò fuori dalle lenzuola ruvide.

Quando furono seduti a tavola più tardi, immersi nel solito silenzio solo più teso, Tessa decise che poteva azzardarsi a infrangere la terza promessa fatta per poter rimanere in quella casa.

"Che cosa...?" iniziò, ma non poté finire. La punta del pugnale che si conficcava nel legno del tavolo troncò di netto le sue parole.

"Ho detto niente domande. Sapete che non amo ripetermi" disse freddo come la neve. La ragazza sospirò rabbrividendo.

"Posso almeno sapere il vostro nome?" osò ancora. Lui non rispose, le lanciò un’occhiata sinistra e avendo finito di consumare il pasto si alzò dalla sedia. La giovane non ne rimase turbata, ormai fin troppo abituata a vivere in quel modo. Lo vide sparire nella sua stanza con l’umore cupo di una belva pericolosa e si mise a svolgere le sue faccende. Solo quel pomeriggio il ragazzo riapparve.

"Starò via per tre giorni".

"Cosa? Mi... mi lasciate qui sola... per tre giorni? Perché?" chiese evidentemente turbata.

"Mi pare abbastanza chiaro quello che ho detto" replicò lui freddamente spazientito. Alzò una mano per prenderle il mento fra le dita.

"State diventando disubbidiente". La sua voce era crudele, ma non quanto il suo sguardo. Tessa si sentì dilaniare da quegli occhi verde chiaro. E nonostante quella morsa fosse a suo modo malvagia, non riuscì a non pensare che la sua mano fosse calda.

Uscì dalla porta senza dire nulla, ma quando fu oltre la soglia si voltò a fissarla ancora, mentre lei si avvicinava, attirata da una qualche forza.

"Non uscite da questa casa se non per una ragione più che valida, e di notte rimanete assolutamente chiusa dentro. Chiaro?". La ragazza annuì all’ordine e lo vide incamminarsi fra gli alberi.

Si sentì abbandonata e aveva paura, perché quella notte, gli ululati dei lupi sembravano essere più forti e feroci, così come le due notti seguenti. Era tormentata dal dubbio, dalla curiosità di sapere dove il suo anfitrione se ne fosse andato, e soprattutto se sarebbe tornato davvero. La seconda notte in cui dormì sola nel suo letto, sentì distintamente qualcuno battere, o meglio graffiare alla porta e si rintanò sotto le pellicce tremando, convinta di vivere un incubo, prima che i tuoni iniziassero a distruggere il cielo nero.

La mattina del terzo giorno batterono alla porta, e la voce del ragazzo suonò feroce e stanca allo stesso tempo, mentre le diceva di aprire.

Quando lo fece, si presentò al suo sguardo un ragazzo ormai uomo, dal viso pallido, i vestiti a brandelli e il fianco sinistro insanguinato. Si teneva una mano sulla ferita e barcollò nell’entrare, senza stivali ai piedi, sporco di terriccio.

Tessa lo portò nella sua stanza e si procurò acqua bollente e pezze pulite per medicarlo. Era un evidente morso, forse di un lupo o di un orso, e le zanne della bestia avevano scavato con violenza nella carne. Aveva perso i sensi e la sua pelle scottava. In preda al panico la ragazza decise di infrangere la prima promessa, e rovistò nella credenza nella speranza di trovare qualche unguento o qualche erba medicamentosa. Fortunatamente fra la moltitudine di cose che non sapeva riconoscere e svariati vecchi libri rilegati in pelle, trovò qualcosa di utile. Riuscì a prendersi cura di lui, che sembrava guarire velocemente.

Quando il ragazzo si svegliò dopo tre giorni, si ritrovò nel suo letto, il torso fasciato da bende bianche. Le lenzuola erano macchiate del suo sangue sbiadito e sul comodino accanto a lui c’era una scodella di zuppa ancora calda. La fanciulla era seduta sulla sedia, con una gamba piegata e la testa poggiata al ginocchio, dormiva. Si limitò a fissarla, muto.

Sopraffatto poi dalla fame, si avventò sul pasto. Quando finì si alzò in piedi, nudo come un verme, costatando che il dolore al fianco era minimo e facilmente sopportabile. Si avvicinò alla ragazza per carezzarle i capelli. Il suo delicato viso era pallido, e sfiorandole la fronte si rese conto che aveva poca febbre. Per prendersi cura di lui si era ammalata. La prese in braccio e la portò a letto, adagiandola lontano dalla chiazza rossa.

"Avete la febbre alta" mormorò lei svegliandosi.

"Shhh" le sussurrò lui, posandole l’indice sulle labbra. "Anche voi".

Tessa allungò una mano affusolata, per posarla sulla guancia di lui, la poca barba cresciuta per la trascuratezza. Per un infinito secondo si fissarono negli occhi. E nonostante lui sentisse l’impulso di saziarsi di lei, le accarezzò la mano, prima di andare ad alimentare il fuoco che stava spegnendosi.

La ragazza si risvegliò nel tepore della stanza, si rigirò nel letto e osservò il ragazzo, sdraiato accanto a lei, intento a leggere un libro. Lui si voltò a fissarla e senza dire nulla allungò il braccio sano verso di lei, così che potesse poggiare la testa alla sua spalla.

"Come state?" chiese Tessa, posando delicatamente la mano sulla benda bianca.

"Bene" fu la laconica risposta. Il silenzio tornò a regnare, teso, poiché la ragazza avrebbe voluto parlare, domandare.

"Avete frugato nella credenza" disse lui severamente. La ragazza non rispose, alzò gli occhi per osservarlo in viso, poi tornò a guardare la sua mano che carezzava la fasciatura. Respirò il profumo selvaggio della sua pelle che sapeva di alloro, e che era così piacevolmente calda. Si sentiva bene in quel momento.

"Rulfeus" disse lui. Lei lo fissò con aria interrogativa.

"E’ il mio nome". Tessa lo osservò ancora in viso, poi s’issò per avvicinare le labbra alle sue. Quando le sfiorò, erano calde e buone, si dischiusero per rispondere al suo bacio con eccessiva delicatezza. La mano della ragazza risalì scorrendo sul suo petto, fino a fermarsi al lato del suo collo, le dita che si tuffavano nei suoi capelli neri, e l’emozione del momento cresceva con l’intensità di quel bacio.

Di colpo lui la allontanò da sé, premendole le dita sul braccio tanto forte da farle quasi male. La fissò negli occhi, con occhi freddi e severi e lei non riuscì a reggere quello sguardo.

Il ragazzo si alzò dandole freddamente le spalle, rimanendo immobile fissando a terra, prima di rivestirsi, e lei scivolò fuori dal letto per tornare nell’altra stanza. Non si sentiva ancora molto bene, ma voleva preparare qualcosa per la cena e non pensare a cosa fosse successo. Si poggiò al piano, togliendo il panno dal tozzo di pane raffermo, ma chiuse gli occhi sentendo un moto di nausea sconvolgerle l’equilibrio.

"Tornate a letto". La voce di Rulfeus suonò lontana e severa, ma Tessa non riaprì gli occhi per scoprire dove fosse e come la stesse guardando. Le girava la testa non solo perché la febbre non l’aveva lasciata, ma perché era sconvolta dalle rivelazioni che si palesavano alla sua mente.

"State lontano tre giorni, con la luna piena..." iniziò lei aprendo gli occhi, andando a fissare fuori dalla finestra, le cime degli alberi innevati, colpiti dal sole rosso del tardo meriggio.

"E tornate...". Una morsa ferrea al suo braccio la costrinse bruscamente a voltarsi.

"Non fatevi troppe domane e non datevi alcuna risposta. Non so per quale ragione non vi abbia tagliato la gola il primo giorno che siete arrivata invece di accogliervi in casa mia, ma vi avevo avvertito che se aveste fatto qualcosa di sbagliato non avrei esitato. Ora vi esorto a non fare elucubrazioni su di me". La ragazza era sconvolta e schiuse la bocca per replicare, ma Rulfeus la fermò.

"Vi ringrazio per avermi curato, siete stata gentile e premurosa" aggiunse con un lieve sorriso che pareva quasi un ghigno, tutto fuorché rincuorante, quasi fosse seccato del debito.

"Ma se davvero ci tenete alla vostra vita vi consiglio di non iniziare nemmeno discorsi di cui potreste pentirvi, e soprattutto di obbedire ai miei ordini". La ragazza non fece in tempo a riempire d’aria i polmoni, per rispondergli, stanca di stare in silenzio, che la presa della mano di Rulfeus sul suo braccio si fece dolorosamente più decisa andando a troncare in partenza una frase di cui probabilmente si sarebbe pentita.

"Voi non mi servite a niente. Siete solo l’ultimo rimasuglio di caritatevole generosità che è rimasta in me, non approfittate della buona sorte. Ora andate a letto, non voglio che la vostra malattia intacchi la mia cena" disse categorico e arcigno, prendendo il coltello che sarebbe stato usato per tagliare il pane e conficcando la punta nel ripiano di legno.

Tessa abbassò lo sguardo, muta e immobile, per qualche secondo in balia dello sconforto, poi quando lui le permise di andarsene, tornò in camera.

 

 

... to be continued ...
   
 
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