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Autore: Esse Pi    19/10/2010    2 recensioni
“Aprimi, pezzo di imbecille!” urlò.
“E stai zitta, che dormono tutti qui!” berciò lui in risposta. “Poi danno la colpa a me e mi buttano fuori di casa.”
“Tanto sei al nero là dentro!” ribatté lei, indicandolo come per minacciarlo. A guardare verso l’alto, barcollò ed andò a sbattere contro la macchina che si trovava dietro, per poi cadere per terra.
“Merda…” mormorò il ragazzo esasperato. “Perché vieni a rompere i coglioni proprio a me? Cosa ti ho fatto?”
“Vuoi proprio che te lo ricordi?”
Genere: Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Twenties'
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Twenty-eight

Twenty-eight

 

In The Middle Of The Night

(2005)

 

Uscì da quella casa maledicendo il motivo per cui c’era entrata. Non aveva proprio voglia di quella festa, eppure ce l’avevano portata. Ma la cosa più stupida era che lei c’era andata senza nemmeno opporre troppa resistenza. Solo all’inizio aveva iniziato a ritrarsi, ma non seppe come, ci si era ritrovata dentro. Tutti gli amici se n’erano andati – persino Chiara – e lei non aveva potuto fare altro che divertirsi ad assaggiare tutti i peggiori intrugli che i suoi compagni di università avevano creato a partire da delle semplici bottiglie di Vodka, rum e chissà che altro. Certo, anche quelli da soli non erano proprio quel che a rigor di logica si sarebbe definito “salubre”, quindi immaginava già cosa sarebbero diventati quei pochi ingredienti mischiati tra loro. Però aveva iniziato a bere, e se lei iniziava a bere, difficilmente smetteva.

Solo quando rischiò di prendere a botte un ragazzo più giovane che cercava di palparle il sedere, si costrinse ad abbandonare quella casa con l’intenzione di tornare alla sua, ma già dopo qualche metro passato a barcollare ed ad appoggiarsi a qualche macchina per non cadere del tutto per terra, rifletté su quanto fosse stata idiota. Come poteva sperare di raggiungere casa in quelle condizioni? Era vero che era il centro storico e le macchine non potevano passarci come se fosse un’autostrada, ma c’era il rischio dietro ad ogni angolo vista l’ora tarda. Come minimo erano le cinque del mattino, e il giorno dopo aveva pure lezione alle nove.

Imprecò e si accostò al muro con una mano, seguendo il perimetro con il tatto per andare avanti, gli occhi aperti le facevano aumentare il mal di testa già assillante. Non doveva bere così tanto. Maledì la sua coinquilina per non esserle stata vicina e poi maledì se stessa per la sua indole a dare sempre la colpa agli altri.

No, in effetti c’era qualcuno a cui dare veramente la colpa, ma solo ricordare il suo nome la faceva imbestialire ancora di più, quindi preferì lasciare i suoi pensieri già contorti e sempre più astratti, prendere il sopravvento.

Camminò per metri senza sapere nemmeno dove si stesse dirigendo, quando finalmente, guardandosi con fatica attorno, riconobbe il luogo. Raggiunse il portone di vecchio legno che vedeva appannato sulla sua destra e tentò di raggiungere il campanello. Premette il bottone una volta, ma nessuno le rispose e lei, per la frustrazione, diede un calcio al muro davanti a sé con i suoi stivali marroni.

Si fece male, così male che si accucciò e si coprì il piede destro con le mani, facendo pressione come per far passare il dolore, ma fu inutile. Anche in quel caso non mancarono le maledizioni lanciate alla stessa persona innominabile che l’aveva portata a ridursi così, ovviamente indirettamente, ma era comunque responsabile e lei mai e poi mai avrebbe permesso che sfuggisse alle conseguenze che lei doveva subire per come era stata trattata.

Si rialzò con gli occhi lucidi per il piede che ancora sentiva pulsare e premette ancora il pulsante, questa volta più a lungo: almeno dieci secondi.

“Chi cazzo è a quest’ora?” rispose una voce ostile, leggermente appesantita e biascicata.

“Aprimi.” Disse lei senza nemmeno degnarsi di chiedere scusa per il disturbo.

“Nemmeno fossi l’ultima persona sulla terra.” Decretò la voce, riappendendo il citofono e chiudendo la conversazione con un rumore secco.

Lei batté un piede per terra – ricordandosi solo in quel momento la pulsazione che non era ancora del tutto passata – e imprecò, premendo nuovamente il bottone del campanello.

Questa volta, non ottenne risposta da quell’oggetto, ma dal balcone sopra di lei che si aprì violentemente e da cui apparve un ragazzo con addosso solo i pantaloni di una tuta nera. La ragazza nemmeno si preoccupò di pensare al fatto che stesse dormendo.

“Aprimi, pezzo di imbecille!” urlò.

“E stai zitta, che dormono tutti qui!” berciò lui in risposta. “Poi danno la colpa a me e mi buttano fuori di casa.”

“Tanto sei al nero là dentro!” ribatté lei, indicandolo come per minacciarlo. A guardare verso l’alto, barcollò ed andò a sbattere contro la macchina che si trovava dietro, per poi cadere per terra.

“Merda…” mormorò il ragazzo esasperato. “Perché vieni a rompere i coglioni proprio a me? Cosa ti ho fatto?”

“Vuoi proprio che te lo ricordi?” ringhiò lei, restando seduta per terra a massaggiarsi la schiena che aveva battuto. Si mise poi a gambe incrociate e rialzò la testa verso di lui. Tanto, più in terra di così non poteva andare.

“Che palle.” Fece lui. “Aspetta che vengo.” Acconsentì. “E intanto tirati giù la gonna che ti si vedono le mutande. Non vorrei che un malintenzionato possa stuprarti mentre scendo le scale.” E tornò dentro, chiudendo le porte del terrazzo dietro di sé.

“Ah, ora ti preoccupi anche per me?” continuò a gridare lei. L’idea che lui potesse essere accusato di disturbatore della quiete pubblica non poteva che farle piacere. “Peccato che facendo così non sembri altro che un ipocrita! Stronzo!” continuò imperterrita, forse aiutata anche dall’alcool che poteva benissimo aver preso il posto del sangue nelle sue vene. “Sappi solo che se non vieni subito ad aprirmi, mi attacco al campanello a peso morto! Non ti farò più dormire! Te lo giuro!” si passò una mano tra i corti capelli rossicci e si tolse un piccolo ciuffo da davanti agli occhi.

“Ma stai zitta!” gli rispose lui, aprendo il vecchio portone con un fragoroso rumore meccanico. Pure quel fastidioso scricchiolio che ne seguì, sapeva di antico. “Possibile che tu non faccia altro che lamentarti? E poi si può sapere cosa ci fai a quest’ora sotto casa mia?” le si avvicinò e la prese per un braccio, costringendola ad alzarsi. Aveva addosso un giacchetto che si doveva essere messo per l’occorrenza.

“Mi so alzare da sola.” Si impuntò lei, facendo resistenza, gli occhi serrati.

“Ma non farmi ridere, non ti reggi nemmeno in piedi.” La riprese lui, facendola alzare con uno strattone. La ragazza cascò in avanti e sbatté contro di lui, che le afferrò le spalle con le braccia. L’allontanò da sé e le mise una mano intorno alla vita per sorreggerla, mentre lei cercava di spingerlo via. “Ma che cazzo fai?”

“Non ti voglio!” rispose lei con una smorfia di disgusto.

“E allora perché diavolo sei venuta sotto casa mia?” insistette lui, iniziando ad arrabbiarsi. La strinse ancora di più e le fece varcare la soglia del portone, per poi chiuderlo con la mano libera.

Lei iniziò a puntare i piedi per terra per non farsi trascinare e tolse bruscamente la mano del ragazzo dal suo fianco. Lui con un’alzata di spalle l’accontentò, e lei cadde all’indietro, sbattendo la schiena contro lo stretto muro bianco dell’ingresso di quel piccolo e vecchio palazzo. In nemmeno mezzo secondo, si ritrovò a terra. Di nuovo.

“Ma sei cretino?” urlò lei, cercando di alzarsi.

“Ti ho solo fatto un favore, quindi vedi di non rompere troppo.” E le voltò le spalle.

“Aspetta, dove vai?”

“A letto.” Rispose schietto senza voltarsi.

“Stronzo! E mi lasci così?” lo accusò. Non tentò nemmeno di rialzarsi, tanto sapeva che non ce l’avrebbe fatta. Aveva decisamente bevuto troppo. Era già tanto che avesse raggiunto quella casa.

“Ma sei scema?” si girò per guardarla superiore. Sembrava del tutto disinteressato a ciò che lei stava passando e questo non poteva altro che aumentare la sua frustrazione.

“Idiota! Aiutami!”

Lui la osservò con espressione dubbiosa per qualche istante, poi sospirò e si avvicinò a lei. La prese per un braccio e se lo passò intorno al collo, mentre con l’altra mano l’afferrò per la vita, facendola alzare.

“Lo faccio solo perché trovarsi un cadavere di prima mattina nell’ingresso, non sarebbe proprio il massimo.” Spiegò lui.

La ragazza sospirò. Perché alla fine finiva sempre così? Perché alla fine lui l’aiutava sempre? Lei, che faceva sempre di tutto per essere stronza nei suoi confronti, non otteneva altro che il contrario. Che lo facesse apposta? Non lo sapeva, eppure, sebbene odiasse essere aiutata da lui, questa volta non oppose resistenza e si lasciò accompagnare per le scale, fino a raggiungere la porta del suo appartamento. Con la mano che prima la sosteneva per la vita, prese il mazzo di chiavi che si era infilato in tasca del giacchetto ed aprì, per poi entrare con lei vicino.

Chiuse la porta con un piede e la condusse nella sua camera da letto.

“Stai qui.” Le disse, facendola sedere sul letto.

Lei lo guardò indugiando sull’espressione da adottare. Dapprima aveva provato ad aggrottare la fronte, ma in pochi secondi si ritrovò a non saper più controllare i muscoli facciali, e la sua espressione assunse un’aria ferita. Gli occhi divennero senza che lei volesse lucidi e supplicanti, mentre osservava il ragazzo darle le spalle ed uscire dalla stanza. Lui non l’aveva guardata dritta negli occhi nemmeno una volta. Non aveva nemmeno chiesto come stesse. Non aveva voluto sapere niente di lei.

“Aspetta.” Lo chiamò con voce flebile.

Lui si girò e lei abbassò lo sguardo, sentendosi colpevole.

“Che c’è? Non ti sei ancora stancata di lamentarti?” fece lui, appoggiandosi allo stipite della porta, aprendo la cerniera del giacchetto. Sotto non aveva niente. Le era corso incontro senza nemmeno mettersi una maglia, solo il giacchetto.

Le parole che avrebbe voluto urlare per difendersi dai suoi occhi che non osavano guardarla, le morirono in gola. O forse fu l’alcool che la obbligò ad inghiottirle. Alzò lo sguardo su di lui e sperò che lui facesse altrettanto. Ma non fu così: i suoi occhi stavano guardando il letto, non lei.

“Senti…” tentò di iniziare un discorso. Non sapeva cosa avrebbe detto, né cosa voleva dire. La sua bocca tremava e sentiva dentro di sé il suo stomaco agitarsi ed impedirle di formulare un qualche discorso che potesse contenere una minima parvenza di serietà.

“Non voglio sentire scuse o qualcosa del genere.” Tagliò corto lui. “Non ora.” E finalmente alzò i suoi occhi verdi su di lei, che provò una fitta strana, non seppe se al cuore o allo stomaco.

Lei osservò quegli occhi di quel colore unico. Li invidiava e…

“Mettiti sotto le coperte e dormi. Domani mattina ti riaccompagno nel tuo appartamento.” E si passò una mano tra i disordinati capelli neri. Li portava così da non sapeva nemmeno quanto. Forse, non avevano mai avuto un ordine.

Lei annuì, passandosi una mano sul viso, per poi sospirare. Si tolse il giacchetto e lo posò sul letto.

“Non avevi una borsa?” domandò lui.

La ragazza sgranò gli occhi.

Cacchio!

“L’ho dimenticata!” esclamò. Come minimo non l’avrebbe nemmeno più ritrovata. Avrebbe dovuto rifare tutti i documenti proprio come quando le rubarono il portafoglio. L’unica cosa che aveva imparato da quell’esperienza – tenere i documenti in altri posti per evitare di doverli rifare per ogni volta che le avrebbero rubato il portafoglio in futuro – si era rivelata del tutto infruttuosa, visto che questa volta l’intera borsa era stata smarrita.

“Tranquilla,” sospirò lui, come se si aspettasse una cosa del genere da una come lei. “La andiamo a cercare domani.”

A quelle parole, lei sembrò calmarsi e rilassò i muscoli.

“Be’, allora grazie.” Disse, nascondendo il suo sguardo imbarazzato con un sorriso abbozzato.

Lui sembrò apprezzare quel tentativo di sorriso e gliene regalò uno per contraccambiare, ma ciò che lei non calcolò minimamente era il suo potere disarmante ed ammaliante. Un altro movimento strano da parte del suo stomaco la fece irrigidire.

Poi vomitò.

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Bene, finalmente ho deciso di pubblicarla! Allora, inizio le mie note d'autrice con un piccolo avvertimento: questo è solo il prologo, diciamo che la storia subirà un piccolo salto temporale verso il futuro (garantisco che non sarà come Lost!) e quindi la vera storia troverà inizio solo dal prossimo aggiornamento.

Detto questo, passo a spiegarvi come sono giunta a scrivere qualcosa di simile, perché nei prossimi capitoli troverete una situazione un po' particolare... Anzi, sapete cosa? Ve la spiegherò la prossima volta, perché potrei rovinarvi l'effetto sorpresa ;)

 

Be', che dire di più? Spero che il prologo vi abbia invogliato e che continuerete a seguirmi!

 

S.P.

  
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