Dedicata a chi crede ancora nei miracoli.
Mi sento discretamente male in questo periodo.
Per dirla tutta è una di quelle classiche fasi in cui ti va tutto
storto, ogni cosa sembra rivoltarsi contro di te e anche il minimo conforto che
gli altri riescono a donarti diventa inaccettabile.
Semplicemente perché ti ostini a rifiutarlo.
Io ho imparato ha fronteggiare le difficoltà da solo, sempre… ho
imparato che nella vita bisogna farsi forza anche nei periodi più cupi,
cercando di reagire, di riottenere il controllo…
Ho capito che nessuno ti regala mai niente, e che ogni cosa va ottenuta
con l’impegno e la dedizione, senza smettere mai di combattere.
Ma non è sempre facile adattarsi a tutto questo.
Io non ce la faccio. Ora.
Forse ci riuscirò in seguito, quando le cose inizieranno a girare e il
sole riscalderà l’atmosfera. Forse basterà il tempo, come spesso è accaduto, ad
aggiustare le cose.
Al momento gravito in una perenne condizione di apatia asfissiante,
rinchiuso tra quatto mura fredde pensando a cose che non succederanno mai.
Io non ce la faccio.
Ora.
Non mi resta altro che scrivere, unico mio mezzo di sfogo, e parlare di
quello che provo per il mondo adesso, giudicando quando non ne avrei alcun
potere, sputando sentenze sfacciatamente senza la minima remora.
Questo breve scritto, insulso monologo interiore – variante a tratti al
soliloquio – è soltanto un modo per esprimere tutto il rancore, l’odio, la
rabbia, la speranza, la tristezza che albergano dentro di me in questo momento.
Questo scritto è materiale di lavoro per un concorso che sto facendo
(Con.Giuliano Lucarelli – Versilia) e se non me lo avessero proposto forse non
mi sarei preso neanche la briga di provarci.
Fatto sta che l’ho fatto.
A voi il compito di scegliere se leggerlo o no.
In ogni caso… non avrà importanza.
*** *** ***
“ … fatti
non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza”
In questo mondo
stravolto l’uomo deve ritrovare la propria essenza.
È possibile il
miracolo?
L’uomo è uno e nessuno, e non è ben chiaro lo scopo
della sua esistenza.
Si trascina in avanti, stancamente, privo di
qualsiasi volontà, e si nasconde dietro comportamenti standardizzati,
stereotipati, banalmente servili.
L'uomo non vive… cerca
piuttosto di sopravvivere al meglio delle sue possibilità.
Inutile credere – da un punto di vista ottimistico
– che ogni cosa, ogni singolo oggetto in nostro possesso, possa poter esser
controllato dalle nostre mani, da quei palmi goffi e disarmonici che qualcuno
ha avuto il piacere di affibbiarci, in maniera definitiva, oltremodo
sacrosanta.
Il mondo è ormai diventato un travaglio continuo.
Un percorso difficile, ostico, pronto a farci soccombere, perire, pronto a
chiudere le proprie spire sulla nostra carne già stanca e provata dallo sforzo;
un enigma che per certi versi è irrisolvibile, congiunzioni astrali, calcoli
matematici: tanta confusione e un nulla di fatto fra le dita.
Possiamo vagare, e con noi quell’uomo che ci
rappresenta tutti e che comunque resta sconosciuto, in questa terra macchiata
dal sangue e dall’odio, da pregiudizi e mancanza di valori, chiedendoci perché
accade ciò che accade, interrogandoci sull’origine di ogni nuova catastrofe.
E la risposta è sempre la stessa: avviene perché è
inevitabile, e non possiamo farci nulla.
Davvero? E veramente così?
D'altronde è semplice abbandonarsi alla convinzione
che tutto debba succedersi – per quell’oggetto misterioso che gli uomini
chiamano destino – in maniera progressiva e inafferrabile, senza possibilità di
opporsi, senza motivo di cambiare; del resto è più facile lasciarsi
sottomettere, non protestare, non gridare, non ribellarsi, assoggettandosi al
primo venuto riconoscendolo come più forte, permettendogli usi e abusi,
consegnandogli la nostra libertà; in ogni caso è normale agire pensando per
prima cosa a noi stessi prima che agli altri, distribuendo consigli a destra e
a manca, rifiutandoci di aiutare con i fatti, ciancicando solo misere parole
che sanno tanto di presa in giro.
Nessuno ci vieta di agire così. Non c’è nessun
codice, imposizione alcuna che ci obblighi a comportarci diversamente. Non un
regolamento scritto, non un trattato morale, non un accenno su cosa è più o
meno giusto fare e in quali casi. Niente di niente.
Eppure, e a questo punto sembrerà strano sentirmelo
dire, c’è qualcuno che lo fa. Ci sono persone che non si fermano all’apparenza,
che non si fanno ingannare dal sistema che ogni giorno schiaccia le menti e la
volontà degli uomini ancora di più, che non sentono o fanno finta di non
sentire quando si parla loro di furto, ruberia, comportamento truffaldino. Ci
sono persone che vogliono cambiare, vogliono poter essere libere di alzare la
testa e dire: “Io sono nel giusto”. Ci sono persone che non smetteranno mai di
combattere per migliorare quello che, a dire il vero, andrebbe addirittura trasformato.
E per quelle persone, forse, esiste quella verità
inarrivabile che solo pochi sono riusciti a raggiungere: la vera essenza.
Per loro, per coloro che credono in questo e in
molto altro, che svegliandosi al mattino sanno già cosa fare e possono dire di
essere a posto con la coscienza, per quelle persone il non fermarsi
semplicemente a quello che gli si presenta davanti, è un motivo in più per
vivere, per conoscere, per capire.
Le virtù di un uomo non si basano solo su titoli
vinti al tiro a segno, o su pezzi di carta inutili magari neanche guadagnati
con impegno e sudore, ma si possono trovare dentro, all’interno di ogni
individuo cosciente delle proprie potenzialità. I valori, gli ideali…
Quelle fitte che ti prendono al cuore quando vedi
un bambino che non mangia, denutrito, bisognoso di cure; quella sensazione di
vuoto che ti attanaglia lo stomaco alla vista di un nuovo suicidio, di una
nuova tortura; quel commuoversi lento che parte dalla nostra anima, giunge al
nostro viso, infiammandoci, destandoci dal torpore delle abitudini, e che ci
riscuote, in qualche modo.
Ma non basta. Non basta dispiacersi per coloro che
hanno fame e sete, e che non avranno nè cibo nè acqua, se non facciamo nulla
per evitare la loro sofferenza. Non basta dichiararsi indignati di fronte ai
genocidi di massa dei paesi del mondo, se restiamo comodamente seduti sulle
nostre poltrone di ipocrisia e di falsi propositi, senza muovere un dito. Non
basta e semplicemente non basterà mai per coloro che soffrono, che piangono,
che lottano per qualcosa di migliore che forse neanche esiste. Non basta e non
basterà.
E allora: che fare?
Come comportarsi di fronte ad un nuovo scempio, ad
una nuova ingiustizia? Come reagire, come far sentire la propria voce in un
mondo di silenzi accomodanti e di frasi che non si sanno apprezzare? Come
combattere il morbo del totalitarismo, dello schiavismo, della vendita quasi
legalizzata degli organi, dei soprusi e delle molestie ai minori, dei mali
della società che schiaccia e controlla senza opposizione?
Come? Come si fa?
E la risposta, al travaglio di noi stessi e di
quello che ci circonda, è scritta dentro la conoscenza di sè e degli altri, ben
visibile sotto strati di infamia e di bugie abbellite dai modi e dai
comportamenti.
Possiamo scegliere.
Possiamo scegliere di portare avanti un progetto
che solo pochi hanno avuto il coraggio di pensare. Solo pochi e miseri cuori
che hanno cercato di prodursi in quello sforzo, provandoci, in ogni modo, in
ogni maniera, con energia costante. Possiamo scegliere di cambiare il mondo nel
nostro piccolo, conducendo la nostra ristretta battaglia personale con chi ci
ostacola, con chi ci blocca, e cercando di dare un sorriso anche a chi non lo
ha più. Con il nostro coraggio. Con noi stessi prima di tutto.
Portare la gioia e la speranza con il nostro
messaggio, aprendo gli occhi a chi li ha ancora chiusi, vibrando di furore e
amore, senza pensare a quello che verrà.
Cambiare per non continuare quest’eterna lotta con
l’indifferenza, per cominciare a vivere… a vivere davvero.
Ogni uomo può farlo. Ogni essere dotato di una ben
che minima intelligenza, di un desiderio critico di ponderare le cose, può dire
la sua e far sentire la sua voce, levarla in alto come una bandiera di spirito
e sventolarla di fronte al gelido muro di automi dallo sguardo indifferente.
Perché è questo che ci pone davanti la vita: un
deserto di facce sconosciute che non comprenderemo mai; un deserto di frasi
complicate, di messaggi indecifrabili che stenteremo a sentire come nostri; un
deserto di corpi calpestati con infamia e repulsa, sciocchi simboli di un
passato che non tornerà.
Un deserto. Un deserto di uomini che non sanno
pensare.
L’uomo è uno e nessuno, è si guarda intorno con
disperazione crescente.
Attorno a lui il gelido marmo della repressione dell’essere,
sbarre in metallo purissimo, simbolo di prigionia dell’animo, concatenazione di
forze maligne ed univoche. Si guarda intorno, nel buio di un posto che non
conosce e che non gli appartiene, scrutando dalla sua piccola finestra sul
mondo, la forza della realtà.
Facendosi spazio con fatica in quell’angusto
passaggio di immagini sfuocate, si ferma a contemplare il massacro del genere
umano. Dal suo specchio di vita delle conoscenze vissute, vede nella sua città,
nella sua terra, nella sua nazione, nelle altre nazioni, il destino di una
morte irreparabile: la guerra.
La guerra che si espande a furor di spada e
cannone. La guerra delle bombe e delle stragi davanti alle scuole. La guerra
dei bambini-soldato, che non capiscono, che sono costretti da una mentalità
infame all’uso delle armi. La guerra che si allarga oltre confine,
assoggettando popoli, uccidendone altri. La guerra voluta dai pochi e che
colpisce gli innocenti, con la ferocia di una tigre incattivita e impietosa.
La guerra dell’uomo, che non sì da pace, che chiede
e vuole potere. Controllo sugli altri. Strumento indegno per fini illeciti,
distruzione voluta e ponderata con freddezza umiliante.
La guerra. Il peccato e il vezzo mondiale
dell’umanità.
Le immagini si fanno sfuocate, distorte. Le
immagini passano e la vita sembra andare in avanti alla medesima velocità,
senza aspettare, senza riflettere. La vita passa e ti senti già vecchio,
incapace di aiutare chi non lo è ancora, schiavo dei rimorsi e dei ricordi.
Il buio si espande nella cella marmorea, nell’antro
oscuro di vetri infrangibili, portando all’uomo nuove sequenze di vita… o di
morte, nei casi peggiori.
Un bambino che subisce uno stupro…
Non sa cosa significa. Non comprende quello che gli
sta accadendo. Ma resterà segnato per sempre, resterà ferito nel cuore per
colpa di un mostro insensibile senza occhi e senza volto.
Una donna che perde un figlio.
Delitto di guerra. Delitto di orrore. Scomparso
senza motivo, senza una causa… per non tornare più.
Un uomo paralizzato sulla sedia.
Incapace di muoversi. Incapace di camminare. La
vita passata a spingere ruote quadrate o senza forma, delirio stesso
dell’anima, impotenza che affossa, desiderio di morire.
Creature deformi che si formano dagli abissi della
coscienza, che stringono, che avvinghiano in un abbraccio impietoso i residui
della nostra identità, che dilaniano, che spezzano il filo conduttore della
nostra esistenza, schernendoci, prendendosi gioco della nostra realtà.
E poi… la luce.
Lontana. Fioca. Irraggiungibile.
Un misero raggio di speranza in un valle di ombre.
L’uomo la vede. La sente. Percepisce il miracolo
impossibile posto all’origine di tutto, capta con i sensi rimasti la vita – ma
quella vera – che si diffonde da quell’unico spiraglio. E divincolandosi da
quell’oceano di mani cadaveriche che lo respingono nell’oscurità, cerca di
raggiungerla, di afferrarla, producendosi in uno sforzo che supera di gran
lunga le sue possibilità. E per quanto le sue energie siano tutte concentrate
per quell’unico obiettivo, la vede affievolirsi sempre di più, sfuggire di
fronte alle sue mani protese, scappare dalla sua presa esitante.
Ogni passo in avanti, due passi nel vuoto. Cadere.
Per non rialzarsi più.
E poi… ancora buio.
Il viaggio dell’essere e dell’esistenza continua su
binari discordanti.
Campi di fiori che si perdono nel vento e nella
memoria, immagini risucchiate in un imbuto profondo e astruso. Un petalo che
vola nell’aria, bianco, candido, puro.
Una strada alle spalle, la forza di andare avanti,
profumi di vita vissuta o solo immaginati, diramati nel cielo. L’asfalto che si
unisce nel confine con la terra, là dove l’uomo agisce sulla natura, e la
consapevolezza di esserci nonostante tutto.
Luce… solo per una volta ancora.
È possibile il miracolo? È possibile trovare la via
della pace e dell’onore, della calma e della febbrile eccitazione, guardando
soltanto a quel misero barlume di speranza? È possibile “vivere” anche solo per
un momento, in questo mondo stravolto, senza pensare al domani con egoismo e
falsa accondiscenza?
Io penso di sì.
Basta crederci. Basta trovare un appiglio, un
sostegno, un qualcosa che c’imponga di andare avanti, nonostante le tenebre,
nonostante il gelo. Una luce che sappia guidarci, magari da lontano,
conducendoci nel nostro cammino irto di sassi e di rocce affilate, senza
interferire con le nostre decisioni, ma aiutandoci a distanza, solo come gli
astri sanno fare.
Noi possiamo esistere.
Dobbiamo esistere.
E quest’essenza, questo essere noi stessi al di
fuori delle cose, viene proprio da tutto questo.
Essere significa vivere.
Vivere per il verde degli alberi, per l’azzurro dei
cieli. Per le lacrime salate e dolci di un bambino in fasce, per il sorriso di
una ragazza diventata madre e al tempo stesso donna.
Essere significa conoscere.
Comprendere per non fermarci alle apparenze. Capire
per non commettere sbagli irreparabili, figli di attenzione superficiale, padri
di conseguenze facilmente evitabili.
Essere significa guarire.
Curare le ferite di un mondo impallidito.
Cicatrizzare i segni delle lotte più aspre, e guardare dinanzi a noi,
considerando la realtà come presente, facendo tesoro del passato e consolidando
basi per il futuro.
Essere significa… molte cose.
Una più importante dell’altra. Tutte utili alla
stessa maniera.
La vita, purtroppo, è una sola. Le lacrime sgorgate
dai nostri occhi, i sorrisi dipinti sul nostro viso, le emozioni provate sulla
pelle, sul nostro corpo… i momenti passati guardando le stelle, o il sole, o la
luna, chiedendoci perché esistiamo e se lo scopo della nostra vita ha un senso.
L’uomo è uno e nessuno, e forse alla fine di tutto,
un motivo per vivere ancora ce l’ha.
Basta trovarlo. Basta crederci. Può essere
qualsiasi cosa…
La vita – come già detto – purtroppo, è una sola.
L’essenza dura ancor meno.
È possibile il miracolo?
*** *** ***
Non molti saranno
arrivati fin qui… e ammettiamolo, come biasimare chi ha abbandonato la lettura
prima di giungere alla fine?
Questo è un testo
pesante, prolisso… credo anche discretamente noioso.
Ma non posso farci
nulla. È uscito così…
Ringrazio comunque chi
è riuscito a leggerlo, nonostante tutto, e a chi si prenderà la briga di
scrivermi due righe di commento, giusto per farmi sapere cosa ne pensa.
Adesso vi lascio,
sperando di non avervi fatto perdere troppo tempo.
Nightmare
*** *** ***
Angolo degli annunci:
E’ stato aperto da un qualche mese un nuovo forum di Harry Potter molto
carino. Abbiamo un gioco di ruolo, lo smistamento, e ogni settimana chi troverà
la soluzione all'indovinello che l'Amministratore propone vincerà avatars, gift
e animazioni riguardanti chiaramente Hp! Abbiamo bisogno di nuovi iscritti per
salire nella Top 100! Quindi, perché non ci fate un salto? Ci farebbe davvero
molto piacere.
Sento il bisogno di
proporvi anche un altro forum! Non che io condivida i principi morali di questo
sito, ma visto che è stato creato da 3 delle mie più care amiche, mi sembrava
giusto segnalarlo!
Solo per chi odia,
disprezza, ritiene indegna di ruolo di attrice… Emma Watson!
Per coloro che
volessero contattarmi, per parlare del forum o di qualsiasi altra cosa, accludo
il mio indirizzo e-mail e il mio indirizzo MSN:
*** *** ***
<< Un grazie infinito al cielo, per
avermi donato le stelle… >>