Libri > Twilight
Segui la storia  |       
Autore: Abraxas    24/10/2010    5 recensioni
Tre secoli e mezzo dopo il confronto con i Cullen, il potere dei Volturi è solo una pallida ombra di ciò che era un tempo. Se solo le cose fossero andate diversamente, medita Aro…
E se esistesse un modo per cambiare gli eventi?
E se qualcuno fosse incaricato di impedire queste modifiche?
Qualcuno che non sospetta minimamente dell’esistenza di vampiri e licantropi…
Lei torna a sedersi dietro la scrivania, facendo segno di accomodarmi sulla poltrona di fronte. “Una missione Infiltrazione e Controllo temporale attivo standard. Primo decennio del ventunesimo secolo.”
Mi allunga un datapad, che prendo e comincio a scorrere velocemente.
“Sistemazione a centocinquanta miglia da Seattle? Riserva indiana di La Push? Dico, siete impazziti? Come diavolo farei a passare inosservato?”
Genere: Science-fiction, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Quileute, Seth Clearwater, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più libri/film
Capitoli:
 <<    >>
Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

- #1: Ricominciare -

 
Buio e silenzio. Lampi improvvisi illuminano a scatti lo stretto abitacolo in cui sono costretto, soffocando la fioca illuminazione della strumentazione olografica intorno a me. Un’insistente spia rossa cerca di richiamare la mia attenzione sull’esaurimento degli scudi posteriori, senza troppo successo. Lancio il caccia in una brusca picchiata nel vuoto siderale, inseguito dalle raffiche laser del mio avversario, che non sembra avere alcuna intenzione di mollarmi.
Mormoro un’imprecazione mentre perdo secondi preziosi nel portarmi alle sue spalle con consumata abilità, per abbatterlo subito dopo con un singolo colpo ben piazzato. Niente sta andando come dovrebbe. In teoria starei scortando il gruppo d’evacuazione Iota… in pratica sto cercando di restare vivo in mezzo a sciami senza fine di nemici che sembrano spuntare da ogni dove, e tanti saluti ai civili.
Poi lo vedo. Un convoglio di navette sta cercando di farsi lentamente strada nel campo di battaglia, zigzagando fra esplosioni e proiettili in volo da ogni parte… completamente prive di protezione.
Merda.

“Alfa Uno a Bravo Tre, ti avevo chiesto di stare incollato al gruppo Omega!”, sbraito rabbioso nel microfono incorporato all’interno del casco, mentre incenerisco un caccia sufficientemente imbecille da passarmi davanti come se niente fosse.

“Alfa Uno, ti spiace se prima mi levo dal culo questa mezza dozzina di stronzi che stanno cercando di farmi fuori?”

“Bravo Quattro doveva coprirti le spalle! Dove diavolo è quell’idiota?”

“Andato.”, risponde semplicemente.

Altra imprecazione. Si mette davvero male.
Una rapida occhiata al controllo squadriglia conferma le mie paure. Siamo rimasti in quattro.
Controllo velocemente il radar. Il gruppo Iota è a meno di un chilometro dal portale per Vega, quindi fra sessanta secondi circa saranno tutti al sicuro. Decido rapidamente che quelle navi possono anche cavarsela da sole, e che io invece posso concentrarmi sul nuovo nugolo di avversari che sta puntando con decisione verso la fregata Fortuna, impegnata ad allontanarsi vittoriosamente dal relitto della nave con cui stava scambiando colpi fino a qualche secondo fa.

“Alfa uno a Fortuna, avete sei bombardieri in avvicinamento a otto-tre-due, velocità quattro-due metri/secondo.”

“Ricevuto, Capo Alfa, ci penserà la contraerea. Vai a dare una mano al gruppo Omega, piuttosto. Da qui non possiamo farlo, e la scorta di Bravo Tre è appena andata a farsi benedire! Fai muovere quella carretta che piloti, ragazzo, vai!”

Un cerchio nero dal bordo rosso sul display mi conferma impassibile l’abbattimento del mio compagno. Perdo altri secondi preziosi rimanendo a bocca aperta come un ebete, incapace di compiere qualsiasi azione. Lei… non può… non è possibile…

“Alfa uno, sei ancora vivo? Al gruppo Omega serve copertura ORA!”

Ignoro la radio e le prime lacrime, per lanciare il caccia in una rapida cabrata e spingere i motori al massimo verso le navi che, realizzo solo ora, sono rimaste senza alcuna protezione. Ma per quanto spinga sui postbruciatori, non sono neppure a metà strada quando la prima bomba colpisce la navetta a capo della formazione Omega. Il buio cosmico è illuminato da una serie continua di palle di fuoco, mentre uno dopo l’altro i trasporti saltano in aria… insieme ad una buona parte dei profughi della colonia di New Haven.

. . .

“Comandante, lei non mi sta ascoltando.”

La voce melodiosa della donna sulla cinquantina al di là della scrivania mette bruscamente fine al binario dei miei pensieri. Pensieri che non hanno smesso un solo istante di tormentarmi da più di sei mesi. Stava parlando? Non lo so, e francamente, la cosa non mi interessa più di tanto. Non c’è niente che mi interessi più di tanto, ad essere sinceri.
“Sono mortificato, signore.”, le rispondo, la voce completamente atona, lo sguardo apatico fisso in un punto indefinito della skyline di Washington visibile dall’ampia vetrata a cui la mia interlocutrice sta dando le spalle, oltre i verdi parchi intorno ad Arlington. Lieutenant General Irina Novikova, dichiara la targhetta identificativa sul semplice tavolo di metallo.
Lei sospira, appoggiandosi allo schienale della poltrona ed incrociando le braccia sull’addome, puntandomi addosso quei suoi micidiali occhi di un azzurro chiarissimo. Quegli occhi che sembrano capaci di leggerti nell’anima, e che riescono sempre a metterti a disagio.

“Cosa la turba, figliolo?”

“Nulla di importante, signore.”

“Stronzate. Se la fa star male, è abbastanza serio da meritare la mia attenzione. Quindi avanti, ragazzo mio… non capita tutti i giorni di fare una chiacchierata amichevole con il suo ufficiale superiore.”, mi incoraggia sorridendo.

Non ho alcuna intenzione di parlarne. Non voglio star male di nuovo.

“E’ per quello che è successo a Polaris, Comandante?”, insiste.

Lei ed il suo dannatissimo intuito.

“Sì, signore.”, le rispondo chinando la testa.

Sospira, rumorosamente, alzandosi in piedi e mettendomi una mano sulla spalla. Rabbrividisco involontariamente per quell’inaspettato contatto fisico.

“Chi ha perso di importante?”, domanda senza troppi preamboli.

“Tutti. Del mio squadrone siamo sopravvissuti solo in tre.”

“Chi in particolare?”

“Io, il mio gregar…”

“Non ci siamo capiti, figliolo. Chi fra tutti quei morti era così importante?”

Mi mordo il labbro, chiudendo gli occhi, mentre sussurro la risposta.

“Tenente Vivianne Rodier, Aesir-02.”

“Capisco.”, dice lei, rafforzando la stretta sulla mia spalla. Se non sapessi che è assurdo, direi quasi che sta provando compassione per me.

Io e Vivianne eravamo stati insieme sin dal primo istante della nostra… rinascita. Fra i primi soggetti all’AdvancEd Soldier ImpRovement programAESIR per farla breve. Entrambi reduci da incidenti quasi mortali, ci era stata offerta la possibilità di una nuova vita al servizio dei reparti speciali dell’esercito. Che magnanimità, offrire una speranza di salvezza ad un diciannovenne in fin di vita.

. . .

Pioggia. Era l’unica cosa che riuscivo a sentire, nell’oscurità più totale. Acqua che scorreva lenta sul mio corpo martoriato. Chi aveva spento le stelle?

“Non c’è nulla che possiamo fare per lui, Capomilizia. Ha la colonna vertebrale fratturata in più punti. Volendo, potremmo arrestare le emorragie, ma sarebbe inutile.”

“C’è attività cerebrale?”

“Sì, ma non so per quanto durerà. Il cervello non è più in grado di controllare le attività corporee, una buona metà delle sue connessioni nervose è stata lesionata.”

Le voci erano confuse, lontane. Non vedevo nulla, non mi ricordavo nulla, se non lo schianto che mi aveva lanciato fuori dalla mia aviomobile. Dopo… solo il buio. Fratture multiple alla colonna vertebrale?… ecco perché non vedevo nulla, ecco perché non riuscivo a muovermi. Stavo morendo.

“Non così in fretta, signori… non così in fretta.”

La nuova voce era pacata, tranquilla. Femminile, a differenza delle altre due, con un marcato accento slavo.

“Signora, la prego di allontanarsi.”

“Non si preoccupi, Capomilizia, è tutto sotto controllo.”

Una breve pausa di silenzio. Un fruscio, come di carte ripiegate che venivano aperte.

“Capisco… Generale.”, mormorò infine la voce di quello che avevo identificato come il Capomilizia. “A cosa dobbiamo il suo interesse per un banale incidente automobilistico?”

“Voglio il ragazzo.”

“Sta scherzando, spero.”

“Ufficialmente, voi ne avete registrato il decesso… due secondi fa, diciamo.”

“Non so se…”

“Lo rimetteremo in sesto noi. Voi lo lascereste morire… con noi avrà una nuova vita.”

“Lei… lo vuole per trasformarlo in una di quelle schifose aberrazioni, vero?”

“La sua intolleranza è pari solo alla sua lentezza di comprendonio, Capomilizia. Ora, per farla breve, lei mi consegnerà il corpo adesso, o posso assicurarle che passerà il resto della sua carriera a dirigere traffico commerciale nelle miniere idriche in Antartide.”

La minaccia sembrava essere servita a qualcosa, perché mi caricarono sull’unità medica mobile per portarmi… dove?

“Stia tranquillo, figliolo…”, sussurrò la voce di donna, “quando avremo finito con lei, starà anche meglio di prima. Benvenuto nell’Esercito.”

. . .

In un certo senso, aveva avuto ragione. Mi avevano risistemato, e migliorato anche, con apparecchiature mediche di cui ignoravo persino l’esistenza. Potevo correre più veloce di quanto io avessi mai creduto possibile, muovermi con un’agilità che spaventava me stesso per primo, riuscire a ricordarmi ogni più piccolo dettaglio del più insignificante degli oggetti dopo una sola occhiata, e percepire distintamente i pericoli con una sorta di sesto senso che per quello che mi riguardava aveva molto in comune con la chiaroveggenza. Ma da novello Faust, avevo dovuto dare qualcosa in cambio di tutto ciò… nello specifico, la mia vita. Ora ero un supersoldato al servizio dell’Alleanza, una schifosa aberrazione, per usare le parole di quel Capomilizia che non ho mai conosciuto. Era naturale che legassi da subito con Vivianne, una come me, un mostro in un mondo che rifiutava persino di ammettere la nostra esistenza tranne quando gli faceva comodo averci sottomano. Ad esempio durante una guerra. Pedine sacrificabili… se moriva uno di noi, chi ne avrebbe mai pianto la scomparsa?

 “…e sento che dovrei dirle qualcosa di più che un mi dispiace, Comandante. Ma, in tutta onestà, non so cosa altro potrebbe avere anche solo un briciolo di utilità per lei.”

Ancora una volta mi sono perso nei miei pensieri, ed ancora una volta non mi importa nulla di quello che non ho sentito.

“Non si preoccupi, signore. Apprezzo il gesto.”

Sorrido con un sorriso vuoto. Da quando lei non c’è più è così che mi sento… vuoto. Rotto. Incompleto. Distaccato da questo mondo che ha perso la sua importanza.

“…ma c’è dell’altro, vero?”, continua il Generale, interrompendo la breve pausa di silenzio che si era venuta a creare.

Annuisco.

“Il gruppo Omega, signore. Li ho lasciati morire tutti. Perché? Perché non sono riuscito a salvarli?”

“Perché è umano, Comandante, per quanto lei continui a considerarsi un mostro. Non poteva essere ovunque. Ha salvato le chiappe della Fortuna, il che ci ha permesso di polverizzare quella corvetta saltata fuori dal nulla, il che a sua volta ha permesso ad un buon numero di unità d’evacuazione di lasciare il sistema prima che le cose… ah… degenerassero. Mi pare un buon risultato, tutto sommato.”

Degenerassero. Simpatica perifrasi per definire il caos incontrollato che era stata la battaglia di Polaris.

“Ho condannato a morte un intero convoglio di rifugiati civili, signore.”

“Il gruppo Omega è stato distrutto perché la sua scorta è venuta a mancare… scorta che, nella fattispecie, era composta dal Tenente Rodier. Lei si sente colpevole, vero?”

“Le ho ordinato io di proteggere quei trasporti. Sono stato io a metterla a morte.”

“Non diciamo scemenze. C’era una guerra, ricorda? Le perdite sono inevitabili. Qualcuno sopravvive, qualcun altro… molti qualcun altro… muoiono.”

“Io da solo ho causato più di cinquantamila perdite civili, signore. Tutto perché non sono riuscito a tenere viva la persona a cui tenevo di più.”

“Può darsi. Ma lei da solo ha garantito la salvezza a quasi cinque milioni di profughi. Quindi, la pianti di soffrire per niente. Si sente male per la sua amica? La capisco. Si sente male perché ci sono andati di mezzo dei civili? Questo non lo capisco.”

“Non dormo un sonno naturale da non so più quanto tempo, Generale. E devo ringraziare il fatto che l’essere un Aesir mi impedisca di fare sogni… credo che sia solo grazie a questo che sono riuscito a tirare avanti fino ad oggi.”

“Lei ha bisogno di cambiare aria, figliolo. Per questo l’ho chiamata… la rivogliono alla CHRONOS, e io la sto rispedendo da loro.”

CHRONOS. Collective Headquarters for the Regulation and OverseemeNt Of the Space-time continuum, l’organizzazione paramilitare che si occupa di controllo temporale. Era lì che… lavoravo, prima di essere richiamato per combattere la guerra.

“Come mai i temposbirri mi vogliono ancora?”, chiedo perplesso.

Lei torna a sedersi dietro la scrivania, facendo segno di accomodarmi sulla poltrona di fronte. “Una missione Infiltrazione e Controllo temporale attivo standard. Primo decennio del ventunesimo secolo.”

Mi allunga un datapad, che prendo e comincio a scorrere velocemente.

“Sistemazione a centocinquanta miglia da Seattle? Riserva indiana di La Push? Dico, siete impazziti? Come diavolo farei a passare inosservato?”

“Il contatto della CHRONOS responsabile per il Nordovest è in stretti rapporti di amicizia con l’agente locale del Bureau per gli Affari Indiani. Vi ha procurato una sistemazione senza dare fastidio a nessuno. Sperano che in questo modo l’interesse per la sua presenza rimanga limitato alla zona della riserva, senza che spiacevoli pettegolezzi si diffondano in centri urbani più grandi. Ed in ogni caso, non sarà solo. Le è già stato assegnato un compagno.”

“Tenente Comandante Eva Julia Cortéz, Aesir-27”, leggo. “Mandate due Aesir per una missione del genere? Perché non allegare un battaglione di carri armati, già che ci siamo?”

Noi Aesir siamo fatti per le missioni pericolose. Se ci mandano due di noi per assicurarsi che la storia segua il suo corso, significa che qualcuno ai piani alti teme che possa capitare qualcosa di parecchio… indesiderabile.

“Diciamo che alla CHRONOS due Aesir in più fanno sempre comodo… E pare che ci sia un rischio abbastanza elevato da quelle parti. Vogliono avere le chiappe coperte nel caso succedesse qualche casino.”

“Ci sono indiscrezioni su quale tipo di anomalia dobbiamo aspettarci?”

“Negativo. I nostri colleghi dal futuro sono stati parecchio attenti al riguardo.”

“Sicurezza temporale?”, chiedo, scettico. Novikova annuisce.

“Dicono che rivelare qualsiasi tipo di dettaglio potrebbe modificare in maniera sostanziale la timeline. Tuttavia… hanno richiesto gente dalla mentalità aperta. Adattabile.”

Inarco un sopracciglio.

“Cosa stanno macchinando?”

Lei si appoggia allo schienale, incrociando le dita di fronte al viso.

“Vorrei saperlo pure io, Comandante. Questo è uno dei motivi per cui sto spedendo lei e la Cortéz in un buco dimenticato da Dio con zero istruzioni e zero idee su quello che vi attende. Può sempre rifiutare l’incarico, se vuole. Non gliene farò una colpa…”

Solo allora mi rendo conto di quanto sia riuscita a coinvolgermi. Mi sta mandando allo sbaraglio insieme ad un supersoldato come me quasi quattro secoli nel passato… ma sono curioso di quello che preoccupa tanto la CHRONOS. L’apatia e la depressione che mi hanno accompagnato per sei mesi sembrano dimenticate. Per la prima volta da troppo tempo sento quella strana attrazione verso l’ignoto. Verso il pericolo e l’avventura.

“No, signore. Accetto.”

Un largo sorriso si apre sul viso del mio superiore.

“Non ne dubitavo, Comandante… non ne dubitavo. Si faccia trovare all’hangar sette di Fort Detrick alle 08:00 di domani mattina. Può andare.”

Faccio il saluto e mi dirigo verso la porta, prima di bloccarmi con la mano sul comando di apertura. Mi giro verso il generale, completamente assorta nella lettura di un datapad.

“Signore?”

“Sì, Comandante?”

“Grazie.”, le dico, sincero.

Sorride.

“Di niente. Bentornato nel mondo dei vivi, figliolo.”


- - -

 

“Tenente Comandante Eva Julia Cortéz  a rapporto, signore.”

La ragazza è immobile in un impeccabile saluto militare, che ricambio. Carina come sempre, penso divertito.

“Ci siamo già visti da qualche parte, Tenente?”, chiedo con aria fintamente pensosa.

“Probabilmente quella volta in cui ti ho tirato fuori prima che ti trasformassero in un colabrodo a Rigel…”

“Non esageriamo, me la stavo cavando alla grande!”, le rispondo scoppiando a ridere. Rivederla è un piacevole tuffo nel passato, quando ancora non ero uno zombie complessato dai sensi di colpa.

“Certo, certo… se per te stare di fronte ad un plotone d’esecuzione dei terroristi è cavarsela alla grande… Come stai? E’ da un pezzo che non ci si vede!”, replica abbracciandomi.

“Diciamo che si tira avanti. Negli ultimi mesi non me la sono passata un granché bene.”

“La maggior parte di quelli che conosco non hanno vissuto un gran periodo. Polaris.”

Si è improvvisamente fatta triste. La capisco benissimo.

“Mi spiace aver tirato fuori l’argomento. Colpa mia.”, sussurro, sentendomi in colpa.

“Sì, credo di sì. Come sempre… vedo che la tua capacità di dire le cose sbagliate al momento giusto non è cambiata per nulla, Matt!”, mi punzecchia, cercando di strapparmi un sorriso.

“Senti chi parla! Sei te quella che si è messa nei casini con la Commissione Disciplinare, o sbaglio?”

“Touchè!”, ammette sorridendo. “Ma solo perché quei barbogi in uniforme non hanno un minimo di senso dell’umorismo…”

“Ah beh. Giustificazione comprensibilissima… E' inconcepibile che non ti abbiano creduto!”

Mi becco uno scemo seguito da un pugno sulla spalla.

“Tre anni… non sei cambiato per niente, Matt.”

“Potrei dire lo stesso. Incantevole come suo solito, madamigella.”

Sprofondo in un mezzo inchino e le faccio il baciamano.

“Oh, sempre cavalleresco… chissà che strage di cuori avrai fatto in tutto questo tempo…”, insinua facendomi l’occhiolino. Io arrossisco.

“Non ho combinato proprio un bel niente. Non tutte anelano ad uscire con un Aesir.”

“Sì, conosco la situazione, credimi.”, risponde ridacchiando.

La osservo con più attenzione, e mi convinco che chiunque l’abbia rifiutata solo per la sua natura sia un emerito idiota. E’ decisamente più che carina… occhi di un verde purissimo, che risaltano sulla sua carnagione scura e sui capelli mori legati semplicemente in una coda. Come quasi tutti gli Aesir, il suo corpo è perfetto, e non dimostra più di diciotto anni.

“Nel tuo caso, hanno fatto un pessimo affare. Te l’ho mai detto che sei stupenda?”

“No, ma apprezzo la novità. Andiamo?”

Mi indica l’anonimo edificio dove siamo attesi. All’interno una mezza dozzina di tecnici sono affaccendati intorno ad una sfera di luce azzurra, da cui si dipanano cavi ed apparecchiature varie, intenti a fare gli ultimi controlli per poterci spedire nel passato.

“Comandante D’Aquila e Tenente Comandante Cortéz ?”, ci chiede uno di loro, asciugandosi con la manica dell’uniforme il sudore che gli imperla la fronte.

“Siamo noi.”, rispondo, mostrando i documenti di identificazione e passando per i controlli di sicurezza standard. Analisi retinica, vocale e delle impronte. Una volta confermato che siamo chi sosteniamo di essere ci aggiorna sui dettagli dell’operazione.

“Il terminale di ricezione si trova nell’installazione di Rocky Point, nel Nevada. Troverete un mezzo per raggiungere la vostra destinazione, già equipaggiato con tutto ciò di cui potreste avere bisogno per cominciare la vostra attività di inserimento, nonché le attrezzature necessarie e le interfacce personali per i cicli di rigenerazione. Nelle piastre di memoria esterne abbiamo già effettuato l’upload delle informazioni aggiuntive per l’operazione… ci sono cartine aggiornate di tutto lo Stato, i programmi scolastici, i moduli linguistici, le procedure di pilotaggio dei veicoli e via dicendo… siete già pratici di queste cose, no?”

Annuiamo entrambi.

“Non è la nostra prima operazione nel passato.”, lo rassicura Eva.

“Bene, in tal caso posso risparmiarmi la solita menata sulle misure di sicurezza… posizionatevi sulla piattaforma, per favore.”

Obbediamo, portandoci all’interno di quella sfera di luce celeste, che silenziosamente ci avvolge, cancellando ogni percezione dell’ambiente esterno. Sento un fremito sgradevole attraversarmi il corpo, mentre la macchina si prepara a scompormi in particelle da ricostituire tre secoli e mezzo prima.

“Diamo inizio al trasferimento… Signor Puskin, energia ai focalizzatori primari. Comandante, Tenente… Bon voyage.”


- - -



Centonovanta chilometri orari?

“Eva, non è il caso di rallentare? Vorrei evitare di essere inseguito da mezzo corpo di polizia dello Stato di Washington…”

“Devo proprio? Non pensavo che avrei mai potuto guidare un simile gioiellino… nell’ultima missione mi hanno rifilato una Ford modello T, un catorcio che si muoveva a malapena.”

Cerco di controllare l’ansia mentre il Porsche Cayenne Turbo S imbocca una curva a quella velocità spaventosa. Dubito fortemente che io riuscirei mai a fare una cosa del genere, riflessi Aesir o meno. Eva sembra essere molto più a suo agio.

“Ricordami di nasconderti le chiavi… La prossima volta guido io.”

Ride, una risata incantevole e delicata.

“Per favore! A quest’ora saremmo ancora a Boise!”

“Può darsi, ma perlomeno non starei rischiando un attacco cardiaco!”

“Non ti piace la velocità?”, mi domanda, stupita… staccando gli occhi dalla strada.

“Preferisco fare l’idiota a bordo di un caccia, piuttosto che su un coso a combustione interna!”

Lei mi guarda scandalizzata, senza accennare a tornare a controllare la strada fuori dal parabrezza.

“Dico, questa macchina è una leggenda! Arriva a..."

“Ti spiacerebbe controllare dove diavolo stiamo andando? Magari così riusciresti anche ad evitare di centrare un TIR alla prossima curva…”

“Esagerato…”, ma perlomeno torna a guardare di fronte alla macchina. Io soffoco un sospiro di sollievo, e riprendo in mano il plico di fogli che stavo leggendo. Quanto al convincerla a rallentare, beh, ho capito che è una battaglia persa in partenza. O forse no? Stiamo stranamente decelerando a velocità più umane.

“C’è l’intersezione con l’Interstate 90 fra qualche chilometro. Meglio non farsi notare.”, mi spiega.

Dio benedica le intersezioni autostradali.

“C’è qualcosa di interessante in mezzo a tutta quella roba burocratica?”, continua, indicando con la testa i fogli che ormai hanno invaso la mia parte dell’abitacolo.

“Oltre alle classiche raccomandazioni… Vediamo… abbiamo nuovi protocolli d’ingaggio”, rispondo, cercando il foglio giusto “sul modello a discrezione delle unità coinvolte. Alias, fate quel che ritenete necessario.”

“Persino la CHRONOS non vuole dirci nulla su quello che dovremmo fare, eh?”

“Già… e la cosa non mi piace per niente. Sanno dirci solo ‘occhi aperti’… a cosa, non si sa. Ma passando a cose più allegre… vuoi farti due risate leggendo la storia di copertura ufficiale?”

“Sentiamo… Scusa!”, aggiunge all’ultimo come giustificazione all’inchiodata cui costringe la macchina per evitare una Toyota lanciata a tutta velocità che cerca di superarci da destra. Bofonchia un qualcosa che suona molto come “pezzo d’imbecille”, spinge a fondo l’acceleratore, cambia rapidamente marce e lo lascia alle spalle, alzando il medio verso lo specchietto retrovisore con un sorrisetto compiaciuto.

“Tutto a posto?”

Decisamente devo trovare il modo di impedirle di prendere in mano le chiavi dell’auto.

“A parte variazioni di velocità che non vedevo da quando ho smesso di pilotare un caccia… sì.”

Lei mi rivolge un sorriso di scuse. E’ molto più che carina…

“Dicevi?”

“Eh?” mi rendo conto solo adesso di essermi imbambolato a guardarla sorridere. Che idiota.

“Riguardo alla copertura.”, aggiunge.

“Ah sì. Beh… secondo il genio di chiunque abbia organizzato questa cosa, io e te dovremmo essere due allegri e spensierati fidanzatini figli di papà che sono fuggiti all’estero per poter vivere insieme, dato che le nostre famiglie ci hanno proibito di frequentarci. Bleah. Non ci credo che qualcuno abbia potuto pensare seriamente una cosa del genere nel ventiquattresimo secolo…”

“Simpatico remake di Cime Tempestose. Con qualche modifica, beh, ma mi pare evidente che qualcuno ultimamente si è dato alla lettura della Bronte. Solo, non chiedermi di starti incollata come una fidanzatina adorante, ok?”

“Non era mia intenzione.”, le dico con un ghigno. Beh, diciamo che non mi sarebbe dispiaciuto sacrificarmi per la riuscita della messinscena, tutto sommato.

“Sarà meglio. Non credo che apprezzerebbero se ti spezzassi un braccio prima ancora di cominciare la missione.”, mi risponde senza guardarmi.

“D’accordo, Cortéz , cercherò di considerarti una vecchia racchia, ok?”

“Adesso non esagerare, D’Aquila.”

Sorride ancora con quell’espressione meravigliosa. Ed io mi incanto nuovamente a guardarla, per poi darmi ancora una volta dell’idiota.


***

N.d.A.: Ringrazio Elly_Volturi per l'incoraggiamento!
   
 
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Twilight / Vai alla pagina dell'autore: Abraxas