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Autore: Payton_    25/10/2010    21 recensioni
Quando i tuoi amici sono l’unica famiglia che hai, cerchi di fare in modo che il tuo ricordo resti indelebile nei loro cuori, come lo splendore della più rara delle stelle. Sirius Black, nella sua vita, ha tentato in tutti i modi di brillare nei cuori del Malandrini, ed i suoi sforzi, dimenticando per un attimo Peter Minus, non sono stati vani.
Questa storia ha partecipato al contest Proud or Ashamed of begin a Black indetto da vogue, classificandosi al Primo posto e vincendo il premio Interpretazione.
Genere: Avventura, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: James Potter, Sirius Black
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto, Dai Fondatori alla I guerra
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Questa storia ha partecipato al contest Proud or Ashamed of begin a Black indetto da vogue, classificandosi al Primo posto e vincendo il premio Interpretazione.

Ringrazio immensante vogue. Non speravo in un risultato così ottimo, e quindi sono ancora più contenta! Le belle parole che ha usato per commentare la mia storia sono il premio più bello.

Grazie Boss, di cuore! <3

   

 

Personaggio scelto: Sirius Black

 

Citazione scelta: “Ci sono stelle morte che brillano ancora perché il loro splendore è intrappolato nel tempo

Nda: questa storia è stata riscritta quattro volte, ed ha cambiato completamente il suo volto ad ogni stesura. In un primo momento la frase che mi è capitata mi ha fatto pensare alla morte di Sirius, al poi, ma ho trovato troppo scontata l’idea, quindi ho deciso di interpretare la frase in modo diverso. Spero che la mia scelta non ti abbia delusa, ma non avevo voglia di scrivere del solito, sfortunato, Sirius; volevo scrivere della parte bella della sua vita, e quindi ho ‘rivisto’ la citazione.

 

 

Una stella nata nel più profondo degli abissi

 

Nel buio della camerata, era quasi invisibile. Stentava a riconoscersi osservando il suo stesso riflesso allo specchio, illuminato solo dalla pallida luce della Luna piena che entrava dalle finestre. Non era riuscito a chiudere occhio quella sera, perché troppo arrabbiato con se stesso per non essere ancora riuscito nei suoi intenti, almeno fino a quel momento.

Dopo essersi osservato a lungo, il suo sguardo scuro si era posato sull’unico letto vuoto - a parte il suo - ed un sorriso soddisfatto aveva illuminato il suo volto. O meglio, aveva illuminato quello che doveva essere per forza il suo volto. Numerosi, folti, neri e lunghi peli ricoprivano tutto il suo corpo, e lui non era mai stato più felice.

Sirius Black non era quello che si poteva definire un ragazzo comune, ma da quel giorno la sua unicità sarebbe di certo aumentata. Era un mago dal sangue purissimo, discendente dell’Antichissima e Nobilissima Casata dei Black, e vergogna più grande dei suoi genitori. Con sua immensa soddisfazione, a dirla tutta. Era molto diverso dagli altri Black, quanto più si potesse immaginare. Quando il Cappello Parlante, quattro anni prima, aveva esclamato «Grifondoro!» la sua diversità era stata sancita in modo indelebile. Mai si era visto un Black indossare i colori dei giusti e dei coraggiosi e mai più si sarebbe visto, perché Sirius era una stella rara. Era cresciuto sentendosi ripetere ogni giorno quanto fosse importante la purezza del suo sangue, la grandezza del suo nome, e fregandosene altamente. A lui non importava nulla di essere un Purosangue, voleva solo essere un mago. Un mago e basta. Non aveva mai compreso l’ostentazione della ricchezza, della nobiltà e della discendenza di sangue. Si vergognava del suo pesante cognome, portato da persone dall’anima macchiata dai peccati più atroci.

Hogwarts, e per essa Grifondoro, era stata la sua prima vera casa. Grimmauld Place numero 12, abitazione dei nobilissimi Black, era stata una prigione per lui, più che una casa. Le pareti della sua stanza, ricoperte in ogni angolo da poster di ragazze ed auto Babbane per accrescere l’ira dei suoi genitori, sembravano volerlo soffocare ogni maledetta estate in cui era costretto a tornare a vivere in quel posto. Sì, casa era decisamente una parola inadeguata per descrivere il luogo in cui veniva rinchiuso per tre mesi l’anno. Sirius era a casa quando stava accanto ai suoi amici, a scuola, lontano da suo fratello, così maledettamente e perfettamente Black, e dai suoi genitori.

James Potter, Remus Lupin, Peter Minus, loro erano la sua famiglia. Soprattutto James, che altri non era che un fratello per Sirius, molto più di Regulus, suo fratello semplicemente per sangue.

Solo tra le pareti circolari, in pietra antica, del dormitorio di Grifondoro Sirius si sentiva davvero libero di essere se stesso, di fare tutto ciò che voleva – non era incline a rispettare le regole – ed anche di frequentare gentaglia come i figli di Babbani o i traditori del loro sangue. In molte occasioni, durante i suoi soggiorni forzati a Grimmauld Place, era stato tentato di dire alla sua famiglia che uno dei suoi migliori amici, Remus Lupin, era un licantropo. Poteva immaginarsi perfettamente lo svenimento di Walburga, sua madre, o l’ira di suo padre, ed anche l’indignazione, che sarebbe sfociata in una diffidenza ancor maggiore di quanto già non fosse, di suo fratello. Ovviamente, questi erano solo sogni di gloria, perché Sirius non poteva dire a nessuno di Remus, altrimenti l’amico sarebbe stato cacciato da scuola e nemmeno Silente avrebbe potuto fare qualcosa per impedirlo. Era il loro segreto, il segreto dei Malandrini, come venivano chiamati lui ed i suoi fedeli amici a Hogwarts. Anche grazie a quel segreto la loro amicizia era diventata così solida.

A Sirius non importava che i suoi genitori lo odiassero per essere un diverso, un nato sbagliato, una delusione. Era fiero d’esserlo, ed in quel momento, così ricoperto di peli neri, era fiero di sé come non mai. Mentre si osservava allo specchio però, l’idea di compiere una delle famose malandrinate era arrivata a stuzzicarlo e non aveva resistito all’idea di fare uno scherzo. Senza fare rumore s’era avvicinato al letto a baldacchino di James, aprendo le tende: non l’avrebbe riconosciuto di certo e si sarebbe spaventato a morte.

Prima di svegliare James, prese la bacchetta e praticò l’incantesimo Silencio, così da impedire che l’urlo spaventato dell’amico svegliasse tutta Grifondoro. Prese gli occhiali di James e glieli mise, facendo attenzione a non svegliarlo. Non voleva certo che lo scherzo fallisse per la cecità della vittima.

Pregustando in anticipo la soddisfazione della riuscita, scosse James con una delle pelose mani e lo chiamò.

«James, James svegliati!» sussurrò, faticando a trattenere una risatina compiaciuta. James aveva aperto gli occhi e, in un primo momento, per l’intorpidimento del sonno e l’inaspettato dono della vista non era riuscito a capire cosa stesse accadendo.

Quando aveva messo a fuoco tutti quei peli e quella strana figura china su di sé aveva cercato di urlare per la paura, ed era balzato il più possibile indietro per allontanarsi da quella… cosa.

Pensò che Remus, visto che c’era la Luna piena, fosse tornato al dormitorio per ucciderli e vendicarsi di tutti gli scherzi che gli avevano fatto. Era un pensiero idiota, soprattutto conoscendo Remus, ma in quel momento il brillante James capiva solo d’essere spaventato. A morte.

Rimase quindi scioccato quando la cosa si piegò in due dalle risate, allontanandosi da lui. Fece per parlare, ma la voce proprio non voleva uscire, facendo aumentare la sua ansia a dismisura.

Tra una risata e l’altra, Sirius spezzò l’incantesimo fatto a James, ancora paralizzato contro la testiera del suo letto.

«James, sono Sirius» riuscì a biascicare mentre rideva. Fortunatamente, Peter aveva il sonno molto pesante.

«S-Sirius?» chiese James, osservando tutti i peli neri visibili da sotto il pigiama dell’amico. «Ma come… Sei un idiota!» sbottò, sentendo ancora l’adrenalina scorrergli nelle vene.

«Dovevi vederti James, eri così buffo mentre urlavi senza voce!» disse Sirius sghignazzando «C’era il terrore puro nei tuoi occhi». James afferrò un cuscino e lo tirò a Sirius – o meglio, lo tirò alla palla di pelo che ricopriva Sirius – mandandolo energicamente in un preciso posto.

«L’avresti fatto anche tu, se fossi stato in me» disse Sirius, una volta che le risate si furono calmate. James non rispose, sapendo che l’amico aveva perfettamente ragione, e fece subito una domanda per non doverlo ammettere. S’era davvero spaventato a morte.

«Ma cosa ti è successo?»

«Ho provato a trasformarmi, James, ed il risultato questa volta è stato ottimo, come puoi vedere» rispose fiero di sé.

«Ottimo? E che animale dovresti essere?» chiese James, osservando dubbioso i peli neri di Sirius.

«Non lo so, ma questo è molto meglio dei bozzi che ti sono spuntati in testa l’ultima volta».

Entrambi i ragazzi risero di gusto al ricordo dell’ultima volta che James aveva provato a trasformarsi. Loro due e Peter stavano tentando di diventare Animagi – ovviamente illegalmente – per poter stare con Remus nelle notti di Luna piena. I lupi mannari, nei fatti, non attaccavano gli altri animali, e quindi avrebbero potuto sostenerlo, stargli accanto. Il loro amico era terribilmente solo il quelle notti maledette, costretto a rinchiudersi nella Stamberga Strillante ad Hogsmeade per non rischiare di fare del male a nessuno e spesso, il giorno dopo, tornava nel dormitorio ferito e con un aria troppo sciupata per non destare sospetti. Proprio per quelle sue sparizioni regolari, per la sua aria sempre sciupata ed essendo i suoi compagni di dormitorio, avevano scoperto il suo segreto. Erano i suoi amici, ed erano intenzionati ad esserlo in qualsiasi momento.

«Comunque è un ottimo risultato» convenne James, una volta placate le risate. «Sei momentaneamente spaventoso, ma credo che presto riuscirai a sembrare un animale»

«Grazie, James, non vedo l’ora.» rispose Sirius – forse sorridendo, ma con tutto quel pelo era davvero difficile dirlo, «Non sopporto più che debba essere così solo proprio quando ha più bisogno di noi». Entrambi, dopo quell’affermazione, osservarono il letto vuoto di Remus, persi nei loro tristi pensieri. Erano molto determinati a diventare Animagi, ed avevano tutte le capacità per riuscire nell’impresa. Per quanto si sforzassero di tenerlo nascosto – come diceva Remus – erano due maghi molto dotati.

«Ce la faremo, James» disse Sirius, deciso come non mai, portando lo sguardo sull’amico.

«Non ho dubbi a riguardo» rispose James, con la stessa determinazione negli occhi.

Se di una cosa legata alla sua famiglia Sirius era orgoglioso era il suo nome – nome, non cognome. Era stato il suo zio prediletto, Alphard Black – con sua cugina Andromeda, uno degli unici due Black che Sirius fosse mai riuscito a digerire – a farglielo apprezzare. Una volta, durante una di quelle noiosissime riunioni di famiglia dei Black che entrambi odiavano, gli aveva raccontato il significato del suo nome. Da tempi oramai immemori, i Black amavano utilizzare i nomi delle stelle per i loro discendenti, e Sirius non era stato da meno.

Alphard gli aveva spiegato che la stella da cui prendeva il nome, la Stella di Sirio, o Stella del Cane, era la più splendente del cielo notturno e che era visibile perfino di giorno. Era una stella rara, sacra per gli antichi, quindi doveva essere fiero di portare il suo nome. Una parte di quella conversazione era rimasta impressa nella mente di Sirius in modo indelebile.

«Sirius, ci sono stelle morte che brillano ancora perché il loro splendore è intrappolato nel tempo, ricordalo sempre. Tu, caro nipote, sei una stella nata nel più profondo degli abissi, completamente nero, non lasciare che ti avvolga, ma illuminalo con la tua luce. Brilla, brilla più che puoi, come la stella che porti per nome».

Inizialmente Sirius, essendo molto giovane all’epoca, non aveva capito appieno cosa volesse dire lo zio, ma crescendo aveva fatto suo quel pensiero ed aveva deciso di brillare con tutta la forza che aveva. Non era un Black e non voleva esserlo. Voleva solo che i suoi amici, la sua vera famiglia, anche a distanza di anni, perfino dopo la sua morte, si ricordassero di lui. Anche per questo era così determinato a diventare un Animagus: voleva brillare nel cuore dei suoi affetti più cari.

Le notti di Luna piena sarebbero diventate il loro ricordo più bello, una volta che tutti e quattro avrebbero potuto viverle insieme, ne era certo. Un ricordo indelebile nel cuore di tutti, come la luce di una stella che ha brillato con tutta la sua intensità.

«Credi che Peter ce la farà a diventare Animagus?» chiese Sirius, dopo un lungo silenzio. Per quanto fossero affezionati a Peter, non potevano negare che il loro amico fosse un po’ più imbranato di loro – minimizzando si intende. Avevano preso Peter sotto la loro ala protettiva; era un ragazzo timido ed impacciato, con constante bisogno di protezione e di conferme personali per non sentirsi un fallito.

«Noi lo aiuteremo, siamo una squadra, no?» rispose James, sicuro, sfoggiando un sorriso luminoso.

«Una squadra, certo!» commentò Sirius. Una famiglia, avrebbe voluto dire, ma anche James sapeva che dietro a quel ‘squadra’ si nascondeva molto, molto di più.

«Prima che tu torni... normale, facciamo uno scherzo a Peter?» propose James, una strana luce negli occhi.

«Non credi che ci resterà sulla coscienza?» chiese Sirius, anche lui con gli occhi illuminati da quella stessa luce. Erano uguali, lui e James, due anime affini. Due veri fratelli, anche se il loro sangue non era lo stesso.

«In questi quattro anni l’abbiamo decisamente temprato, non credo» disse distrattamente James, mentre già cercava la bacchetta per praticare l’incantesimo Silencio sull’ignaro Peter.

Lentamente, si avvicinarono al letto della nuova vittima, pronti per poter compiere un’altra delle loro famose malandrinate.

Sirius era davvero legato James, così come a tutti i Malandrini. Se aveva un modo per uscire dall’abisso in cui lo voleva rinchiuso la sua famiglia era quello di brillare nel cielo dell’amicizia. Avrebbe fatto di tutto per loro, compreso diventare un Animagus illegalmente. Lui era una stella, ed avrebbe brillato con tutta la sua forza, così da rendere la sua luce un bagliore impossibile da dimenticare. I Malandrini, tutti quanti, sapevano che Sirius Black era il nome che si poteva dare all’amicizia, e sapevano quanto splendente fosse la sua luce, tanto da illuminare la parte di lui marchiata con il cognome dei Black.

Ci sono stelle morte che brillano ancora perché il loro splendore è intrappolato nel tempo, e Sirius Black era davvero una di quelle stelle.

Le risate cristalline di James e Sirius, dovute al risveglio di puro terrore di Peter, segno della perfetta riuscita del loro scherzo, sarebbero state parte di quella luce, il faro che avrebbe illuminato la vita di un giovane mago fino a condurlo lontano da quell’abisso troppo nero per una stella luminosa come lui.

 

*

 

1°Classificata
PaytonSawyer “Una stella nata nel più profondo degli abissi”

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-Grammatica: 10/10
-Stile e Lessico: 10/10
-Originalità: 15/15
-IC: 15/15
-Attinenza alla citazione: 10/10
-Giudizio personale: 10/10

Totale: 70/70

Il punteggio parla da sé, vero? Non c’è bisogno che io aggiunga altro.
Eppure, in qualche modo, cercherò di farlo.
Non spendo più di due parole sulla grammatica, perché non v’è il minimo errore nella tua storia.
Qualcosa in più vorrei invece dirla sul lessico e sullo stile. La terminologia che hai utilizzato è quasi camaleontica, che poi è un aggettivo che a parer mio descrive un po’ tutta la storia. Cambi registro in base al contesto, passando da un lessico del tutto narrativo nelle parti dialogiche e che descrivono lo scenario quotidiano in sé e per sé, ad uno più ‘elevato’ nel momento in cui ti soffermi sull’introspezione di Sirius. Stessa identica cosa si può dire per quanto riguarda lo stile, anch’esso adattato al genere di situazione, e che complessivamente rende assai fluida la narrazione. Insomma, sai quello che fai, si può dir così.
Parliamo dell’originalità. Penso di aver letto parecchie storie sui malandrini, e posso dire che i concetti normalmente sono sempre gli stessi, è la situazione che varia.
Eppure, innanzitutto non ho mai letto una storia ambientata ai tempi in cui provavano a diventare animagi, e questo è un primo punto a tuo favore, secondo poi le riflessioni di Sirius non scadono mai nel banale, sono profonde, sono coerenti con il personaggio, e sono giustificate dalle sue azioni, che nascondono dei pensieri che vanno ben oltre le frivolezze a cui lui e gli altri si lasciano andare.
Ergo, la caratterizzazione è perfetta, in quanto sei stata in grado di esporre ciò che lo lega ai Malandrini in modo tale da non renderli i soliti pensieri sdolcinati che tanto si leggono in giro, ma da farli diventare qualcosa di concreto, di tangibile, e di coerente con quelli che davvero potevano essere i pensieri dello stesso Sirius. Il che mi rimanda alla citazione.
Come hai detto nelle note, quella frase in riferimento a Sirius sembrava ad interpretazione univoca. Immagina dunque il mio stupore quando ho visto il modo in cui l’hai inserita. Una citazione che rimandava alla morte di Sirius, e che tu invece hai ricondotto al momento in cui era più vivo che mai, e alla sua voglia di ‘brillare’, di riuscire a lasciare qualcosa di sé a quei tre ragazzi che per lui erano davvero tutto.
Insomma Pay, una storia assolutamente splendida e soprattutto completa, in quanto sei stata in grado di stemperare delle riflessioni che portavano in sé una certa malinconia con un episodio allegro, spensierato, e che lascia davvero con un sorriso. Questo, a parer mio, rappresenta tutta l’essenza di Sirius Black, ed il suo tentare costantemente di far andare tutto bene, anche se nel profondo si rende conto di avere dei conti in sospeso con se stesso. Bravissima, davvero.

*

Data la mia contentezza non saprei cosa commentare di intelligente. Cioè, con un giudizio così cosa mai potrei dire se non grazie? Ringrazio ancora di cuore vogue - non smetterò mai di farlo, e non solo per la vittoria ed il resto, ma anche per la velocità nel pubblicare i giudizi e per aver indetto questo contest; mi sono divertita a scrivere questa storia, e vederla così premiata mi riempie solo di immensa felicità. <3

   
 
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