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Autore: Amerginverdistelle    31/10/2010    1 recensioni
A volte i propri natali costituiscono un orgoglio e un premio al di là di meriti o valore effettivo. Altre volte sono invece un macigno che può schiacciare chi non ha spalle abbastanza robuste per reggere responsabilità e doveri che derivano dalla propria nascita.
Ma per Draco Malfoy il problema è ancora più pesante.. la sua nascita gli impone dei doveri a cui è impreparato e le scelte della sua famiglia lo indirizzano verso un destino sconvolgente.
Alla fine, è un ragazzo alle prese con qualcosa di molto più grande di lui. E da questo nasce la storia che andiamo a raccontare.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Draco Malfoy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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- Aprite il libro a pagina diciassette, prego...-

La voce stentorea della professoressa McGranitt eccheggiava nell'aula di Trasfigurazione, mentre studenti e studentesse si apprestavano a seguire la lezione in un silenzio quasi reverenziale.

 

Le capacità e la preparazione accademica della Vicepreside di Hogwarts erano ben note, così come il suo carattere, estremamente esigente in tema di attenzione e del tutto intransigente per quanto riguardava indisciplina e disinteresse verso la sua materia: le sue punizioni erano proverbiali, quindi tutti seguivano le sue parole esternando vivo interesse. Tutti, o quasi.

 

Draco Malfoy ascoltava le spiegazioni di Minerva, prendeva qualche appunto di tanto in tanto, ma i suoi occhi erano assenti, la sua mente macinava e rimacinava gli stessi pensieri da giorni, come fossero pezzi di roccia piazzati apposta a bloccare gli ingranaggi della sua lucidità.

 

Era cresciuto, Malfoy. Oh si, cresciuto per forza; dopo il pandemonio avvenuto al Ministero nella Sala delle Profezie, dopo l'arresto e l'incarcerazione di suo padre Lucius, nuove responsabilità erano piovute sulle spalle di Draco e grandi onori gli erano stati offerti.

Ma agli onori si accompagnano spesso grandi oneri, ed il compito assegnatogli era davvero colossale, e per certi versi assolutamente folle.

- Draco, dobbiamo prendere l'oggetto da Trasfigurare, muoviti! - gli sussurrò Pansy Parkinson, mentre gli passava accanto. Il giovane la seguì e dalla cattedra prelevò un tappo da bibita in metallo: suo compito era mutarlo in una coccinella, processo alquanto difficoltoso vista la natura inorganica dell'oggetto.

Ritornato al banco, posò il tappino e lo fissò, bacchetta alla mano. Difficile quel compito? E quello affidatogli dall'Oscuro Signore in persona cos'era, allora? Un suicidio più o meno assistito, tipo aprirsi il ventre con una cucchiaio di legno...maledetto destino, maledetto e inevitabile: non ci si poteva opporre al volere di Lord Voldemort, e poi lui era un Malfoy, erede di una delle più pure e nobili famiglie di maghi esistenti, era suo dovere tenere alto il buon nome della famiglia, affinchè fosse pronta ad assumere il ruolo di prestigio che sarebbe giunto con il nuovo avvento dell'Oscuro Signore.

 

Eppure, rimuginò picchettando con la bacchetta sul tappino col solo effetto di mutarne i colori, quell'onore non desiderato costava carissimo. Organizzare l'entrata dei Mangiamorte ad Hogwarts stava rivelandosi impegno assai arduo, specie con quell'Armadio Svanitore così pieno di bizze, imperfezioni, difetti.

Malfoy posò la bacchetta, accarezzandosi nervosamente i capelli. Alla fine sarebbe riuscito a sistemarlo, a farlo funzionare, ma a quel punto come.. come poteva pensare che sarebbe poi riuscito dove neppure maghi come Grindelwald e lo stesso Voldemort avevano fallito?

Una gomitata di Goyle lo scosse. - Draco, bisogna che ti dai da fare con quel pezzo di latta, la vecchia strega ti sta fissando! - Il viso quasi esangue del giovane e biondissimo mago si contrasse in una smorfia di fastidio, ma impugnò con determinazione la bacchetta e ritentò la Trasfigurazione, ottenendo un giusto numero di zampette ed ali, ma elitre decisamente troppo metalliche per poter sembrare reali.

 

Inutile, si disse, troppo distratto. Distratto dal dolore al braccio, dove il Marchio nero bruciava come una fiamma gelida, distratto dal desiderio di non essere lì, in quel momento. Alla fine non era stato lui a chiedere quel dono, quella magia che gli scorreva dentro; saper Appellare una scatola di biscotti dalla credenza, trasformare un porcospino in un'elegante spazzola per capelli, volare su un manico di scopa, a che gli serviva tutto quel potere se non gli aveva mai permesso di avere amiche ed amici normali, con cui giocare a football magari invece che a Quidditch, con cui andare in gita al mare invece che ad Hogsmeade? Della sua infanzia ricordava i pavoni bianchi sulle siepi del parco di villa Malfoy, le cene ed i ricevimenti con cui suo padre amava lucidare il blasone della famiglia, e gli interminabili sermoni di sua madre sulla necessità di essere sempre all'altezza dei suoi natali, di primeggiare in tutto, di essere “degno figlio di suo padre”.

Beh, concluse mentre un sorrisetto ironico gli passava sul volto, almeno in quello era riuscito in pieno: non come intendeva Narcissa forse, ma comunque..

-Malfoy!! Faccia attenzione ed esegua il suo compito! Non stia a guardare l'aria come fosse piena di Doxy, giovanotto! - La voce aspra della McGranitt fu come una scudisciata che lo scosse riempiendolo di rabbia, mentre riprendeva infruttuosamente i suoi tentativi.

 

La rabbia era un bel sentimento, per lui. Bruciava e distruggeva ogni cosa, e dopo lasciava la mente pulita, magari stanca o un po' triste, ma limpida come un cielo di luglio dopo un temporale.

Quanto avrebbe voluto sfogare quella rabbia su Silente, quanto avrebbe voluto odiarlo, quel mago così vecchio ma così potente, autorevole.. non era colpa sua se suo padre era ad Azkaban, la colpa era del maledetto Potter e dei suoi compagnucci, quel sangue sporco di Ron Weasley e la sporca mezzosangue Granger, schifosa secchiona presuntuosa di un'Hermione.. Strinse la bacchetta con ira non più repressa, sibilando un – Confringo! - e la coccinella di metallo deflagrò in maniera davvero spettacolare.

Calò un silenzio di tomba. Draco si alzò in piedi e ascoltò a testa china la sfuriata della Vicepreside, ingoiò l'umiliazione della punizione, e tornò a sedersi senza che il suo cervello si fermasse un secondo. Poteva odiare Potter, detestare la McGranitt, ma proprio non riusciva ad avercela con il Preside, non riusciva a indirizzare la rabbia nella giusta direzione. Forse aveva ragione zia Bellatrix, forse era solo un moccioso codardo: oppure, molto più verosimilmente, non era capace di detestare quell'uomo tanto da ucciderlo a sangue freddo.

Gli serviva aiuto, aiuto vero, non quello che potevano dargli quei perfetti beoti di Tiger e Goyle, non quello che Pansy gli offriva quasi supplicante: aiuto che poteva venirgli solo da Piton, da Severus Piton, il Direttore della sua Casa anch'egli Mangiamorte, uno dei più fidati e segreti servi dell'Oscuro Signore. Ma da lui, Draco non desiderava nulla.

 

Aveva sempre rispettato quel gelido professore e si era goduto le mille punizioni che aveva inflitto a Potter, ma da quando Lucius era confinato nelle celle vigliate dai Dissennatori, pareva che Voldemort avesse fiducia solo in Severus, e Draco non voleva l'appoggio di quella voce sottile e tagliente, di quel vigliacco così pronto ad umiliarlo in pubblico ed a blandirlo in privato.

Quell'aiuto, alla fine, non sarebbe mai arrivato. Malfoy lo sentiva dentro, toccava a lui, lui solo fare tutto, ne andava di suo padre, di tutta la sua famiglia, dell'onore della casata e delle loro ricchezze.

In quel mentre una voce lo riportò in sé.

- Draco? Anche tu hai un'ora libera adesso, vero? - Di nuovo la Parkinson, la fedele, appiccicosa Pansy Parkinson. Quella ragazza riusciva ad irritarlo magistralmente semplicemente con la sua presenza, pensò riponendo i libri ed avviandosi con gli altri verso l'uscita dell'aula.

- Pansy, ho un'ora vuota ma ho da fare. Scusami – disse avviandosi verso i Sotterranei. Lei lo trattenne per un braccio, sussurrandogli all'orecchio: - Senti, so che sei arrabbiato con quella megera della McGranitt. E' stata ingiusta a punirti, lo fa solo per metterti soggezione, non devi fare il suo gioco.. e poi – continuò attraendolo un po' a sé – non c'è niente di meglio per rilassarsi che fare due passi, magari verso la Torre di Astronomia, noi due soli..- terminò arrossendo e sorridendo un po' imbarazzata.

Draco si liberò dalla sua presa con forza, rispondendole gelido - Ho da fare. Stammi lontana. Lontana, afferri il concetto? - e la spinse via bruscamente, facendole cadere i libri e urtare contro un muro. Pansy rimase sbigottita, un po' stordita, senza però riuscire ad adirarsi. Raccolse le sue cose e poi, con le lacrime agli occhi, disse: - Ma che ti ho fatto, Draco? Che ti hanno fatto? Tu non sei a posto , oh no, niente affatto, niente affatto! - concluse allontanandosi a passo veloce, le spalle scosse dai singhiozzi.

 

Lui la guardò un attimo per poi avviarsi lungo il corridoio. Chissà se è così anche per l'Oscuro Signore, pensò. Chissà se anche lui disprezza chi gli si prostra, chissà se anche lui è così solo.

Una passeggiata con Pansy sarebbe stata certo piacevole. Alla fine si preoccupava davvero per lui, forse. E aveva delle belle labbra, anche se parlava a sproposito. Ma a che serviva pensare a lei? Essere dispiaciuti per quella spinta e quella risposta brusca? Aveva altro di cui occuparsi, aveva il suo compito. E aveva un disperato bisogno, in quel momento, di un posto dove stare in pace, da solo, per un po'.

Alzò gli occhi, e nel muro in fondo al corridoio si disegnò una porta. L'aprì, trovandosi in una sala lievemente illuminata, silenziosa, con una poltrona e null'altro.

 

La Stanza delle Necessità sapeva dare risposte a molte esigenze, pensò il giovane Malfoy sedendosi. Peccato non fosse in grado di offrire una soluzione al suo problema maggiore, vale a dire come uccidere Albus Silente. Chiuse gli occhi, pensando al fallimento della collana di opali maledetti ed al disastro dell'idromele avvelenato; e Potter, il lurido Potter sospettava certamente di lui, e avrebbe certo condiviso i suoi dubbi con il Preside, sempre che non l'avesse già fatto.

L'Armadio ormai era pronto. Presto sarebbe giunto il momento di agire, il Marchio Nero pulsava sempre più, a ricordargli il suo compito. Non poteva fallire. Non poteva permettere che la sua famiglia fosse vittima della vendetta di un Voldemort deluso, non voleva vedere sua zia Bellatrix ridere ancora di lui: se l'Oscuro Signore l'avesse comandato, era certo che lei l'avrebbe ucciso con gioia.

Il problema era tutto lì. Uccidere per non essere ucciso.

Ma Draco non sapeva uccidere. In realtà sapeva quanto profonda era la sua vigliaccheria, e sapeva anche che uccidere Silente sarebbe stato un passo senza ritorno nell'oscurità. Sapeva tutte quelle cose, e non sapeva che fare.

 

Si nascose il volto tra le mani, piangendo senza freni. Almeno aveva quell'angolo di quiete tutto per lui, almeno poteva sfogarsi un po'. Un'ora vuota, e una poltrona in una stanza altrettanto vuota.

 

Mentre il pianto si placava, tirò su col naso, e prese un respiro profondo. L'ultimo, prima di tuffarsi verso il suo destino.

 

 

Fine.

 

 

  
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