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Autore: Guessstar    31/10/2010    4 recensioni
"Come credi che stia?"
"Edward..."
"Rispondi. Come credi che stia?"
"Uno schifo..."
"Bene, non abbiamo più nulla da dirci".
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Bella/Edward
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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POV BELLA.

Era passata una settimana da quella famosa serata, una settimana in cui non facevo altro che maledirmi e pensare a Edward, alla sua espressione, alle sue lacrime, avevo potuto essere un mostro così orribile? Lo ero stato, avevo infranto il suo cuore e, con esso, anche il mio. Vedere Edward andare via era stato un dolore paragonabile all’abbandono di Jacob, avevo visto andar via da me anche un’ipotesi di vita migliore, lontana da ciò che ero, da ciò che sarei potuta diventare, un mostro senz’anima e senza rispetto. Non avevo piegato ciglio quando Edward era rientrato nel pub, ero rimasta nel parcheggio buoi, con le mani in tasca, e silenziosamente avevo chiamato un taxi, diretta a casa. Solo quando m’immersi tra le coperte del mio letto, compresi che avevo fatto il più grande errore della mia vita, abbandonare Edward, lasciarlo andare via.

In fondo era meglio così, se avessimo continuato a stare insieme, avremmo sofferto entrambi, e un nuovo dolore era insopportabile per me, per quello che avevo passato, non desideravo una storia tormentata, quella l’avevo già avuta, volevo avere una storia tranquilla, adorabile e invidiata. Con Edward non l’avrei avuta, e quella era una netta dimostrazione.

Eppure sentivo la sua mancanza, mi pesava enormemente, mi mancava tutto di lui, il suo profumo, la sua voce, i suoi occhi fissi nei miei.  Mi sembrava di sentire ancora il suo profumo sulla mia pelle, non riuscivo a capire come una persona potesse diventare così importante per me in così poco tempo, era davvero questo l’amore? Avere bisogno di una persona a tal punto da soffrire enormemente la sua mancanza, nonostante la sua vicinanza ti porti al dolore? evidentemente sì, l’amore non era altro che dolore, l’avevo provato sul mio corpo.

Stavo soffrendo, era vero. Ma era indispensabile, per me, per lui.

«Pronto?»

«Bella? Sono Alice, devi subito venire a casa mia! Ho bisogno di un consiglio»

«Alice… sai che io e Edward in questo momento non siamo in buoni rapporti…»

«Edward non è in casa! È uscito con Emmett! Dai Bella, vieni! È da tanto che non passiamo un po’ di tempo insieme» in fondo aveva ragione, da quando avevo litigato con Edward, passavo ogni pomeriggio con Angela, ignorandoli completamente.

«Okay Alice, dammi venti minuti» sbuffai e alzai gli occhi al cielo, controllando l’orologio.

«Te ne do dieci! Vieni subito!» riattaccò il telefono. Le buone maniere con Alice erano andate a farsi veramente benedire, ma purtroppo si doveva prendere così. Il problema sarebbe stato nel rivedere Edward, cosa avrei detto se me lo sarei ritrovata davanti, con i suoi occhi verdi e quelle labbra che volevo fare mie, sempre. Non avrei sicuramente resistito a vederlo nei suoi pantaloni della tuta e nella sua canottiera bianca.  Mi morsi il labbro, trattenendo un sorriso.

 

 

«Sei in ritardo!» Quella piccola peste era appena spuntata dalla porta, con quei piccoli occhietti severi e la bocca storta.

«Ti avevo detto che mi servivano venti minuti» sbuffai ed entrai in casa, andandomi a sedere sul divano.

«No, dobbiamo andare in camera mia… comunque mi sei mancata» mi voltai al sentire di quelle ultime tre parole e me la ritrovai tra le braccia, le sue mi cingevano fortemente la via, lasciandomi quasi senza fiato.

Le scompigliai i capelli «Anche tu piccolina».

Dopo qualche secondo mi afferrò per mano, salimmo insieme le scale e mi portò nella sua stanza, che in quel momento era irriconoscibile. Enormi cumuli di vestiti erano sparsi per tutto il pavimento, mentre il letto era completamente cosparso di biancheria intima, le scarpe erano tutte messe sui vari tappeti e le scatole erano sopra i vestiti. Guardai Alice con gli occhi sgranati, ricevendo un sorrisetto innocente da parte sua.

«Oggi io e Jasper facciamo un anno insieme… mi ha detto che ha preparato una sorpresa con i fiocchi per noi due, ma non c’è un vestito da sorpresa!» sbuffò e si lasciò cadere sul letto, completamente disperata.

Catturai tra le dita un perizoma striminzito «E questi dove li hai presi?»

Guardò l’oggetto che avevo tra le mani, poi le sue mani indicarono tutti i completini sul letto «li ho comprati tutti stamattina».

«Stamattina Alice? Hai praticamente rifatto tutta la biancheria» presi un babydoll rosso di pizzo, rigirandomelo tra le mani.

«Il fatto è che non ho mai avuto quel tipo di biancheria».

Rimasi a bocca aperta «Cioè… tu vuoi dirmi che con Jasper…».

Continuò a fissarmi, scuotendo la testa lentamente.

«Ma state insieme da un anno e non avete ancora fatto l’amore?» mi sedetti accanto a lei, cercando di restare seria.

Si mise a sedere, sbuffando e tirandosi leggermente indietro «Il fatto è che non mi sono mai sentita pronta Bella, quando mi sono messa con Jasper, avevo quindici anni, era ancora troppo presto per fare quel tipo di passo, e poi ero sicura che la mia storia con lui non sarebbe durata a lungo…»

«Perché?» non riuscivo a immaginare Alice o Jasper fare coppia con qualcun altro, loro erano fatti per stare insieme, senza alcun dubbio, quella confessione di Alice mi lasciò abbastanza interdetta.

«Perché lui è sempre stato uno dei ragazzi più carini di Forks, io invece sono sempre stata la classica sgobbona della classe, troppo timida e testarda per riuscire a fare amicizia con qualcuno».

«Come vi siete conosciuti?»

Sorrise, ricordando quei momenti piacevoli della sua vita, fatta di tanto amore e allegria «Con Jasper invece è sempre stato tutto diverso, lo conoscevo sin da quando ero nata, praticamente ero cresciuta insieme a lui e mio fratello, insieme ai suoi scherzi, ma ero sempre stata sicura che per Jasper io non fossi altro che la sorella del suo migliore amico. Un giorno mi ha confessato che era innamorato di me, lo ricordo ancora perfettamente.

Ero seduta sul portico di casa, lui è uscito dalla porta, aveva appena finito di studiare con mio fratello, io, invece, piangevo per l’ennesima buca che mi aveva dato Gerry Litclock, non vi fu bisogno che gli spiegassi il perché delle mie lacrime, lui aveva capito già tutto. Si sedette accanto a me e mi abbracciò, rimanemmo in quella posizione per l’intero pomeriggio. La sera, prima di andarsene, mi diede un bacio sulle labbra e dopo mi consegnò una lettera a cuore aperto. Non dimenticherò mai quel giorno».

«Hai ancora quella lettera?»

«Sì, ma l’ho nascosta talmente bene che non ricordo dove l’ho messa» sorrise, contagiando anche me.

«Alice, tu sei sicura di volerlo fare? Non devi sentirti obbligata solo perché è da un anno che state insieme e glielo devi. Sono sicura che se tu vuoi aspettare, lui aspetterà, perché ti ama, ne sono più che sicura».

Fu in quel preciso istante, che mi pose la domanda che mai avrei voluto sentire «E tu? Com’è stata la tua prima volta? L’hai fatto per amore?»

Bagni pubblici, davvero un luogo romantico per la mia prima volta. Jacob ubriaco, tutto il contrario del ragazzo dolce e sensibile con cui mi aspettavo di fare l’amore. Violenza, ciò di cui avrei fatto volentieri a meno. Lacrime, le mie. Sorrisi, i suoi.

«Sì, l’ho fatto per amore».

 

 

POV EDWARD.

«Grande Bakers! Ma chi siamo! Evvai!»

«Emmett, smettila di esultare sulla mia auto, non è il salotto di casa nostra».

Stavamo ritornando a casa, come il solito, quando ero in macchina con Emmett, la radio era sintonizzata su una stazione sportiva.

«Zitto, guido io e quindi decido io cosa fare o no nella mia auto».

Sbuffai e misi i piedi sul cruscotto.

«Poco fa mi è sembrato di dire che io potevo decidere cosa fare nella mia auto. Quando sei nella tua puoi fare tutto quello che vuoi, ma togli i piedi dal cruscotto!» disse l’ultima frase quasi strillando.

Vidi in lontananza l’immenso prato che precedeva la nostra casa, ben curato come sempre grazie al pollice verde della mamma.

«E adesso scendi, devo andare da Rosalie» mi diede uno scappellotto in testa, che ricambiai dandogli un pugno sulla spalla.

«E smettila di fare lo sbruffone solo perché sei più grande Emmett».

Non ricevetti nessuna risposta tranne che una sgommata e l’auto che si allontanava, sotto il mio sguardo allibito. Entrai in casa, che in quel momento era completamente silenziosa, forse non c’era nessuno a casa, i miei erano a lavoro e Alice si stava sicuramente preparando da Rosalie per l’anniversario con Jasper. Non riuscivo a credere che la mia sorellina aveva passato una anno assieme a quel decerebrato mentale, era una cosa impossibile, ma entrambi non potevano vivere senza l’altro. Chissà se avevano già fatto… al solo pensiero mi innervosivo. Era il mio migliore amico, era vero, la persona cui avevo sempre riposto tutta la mia fiducia, fino a quando non avevo scoperto che da due settimane si vedeva di nascosto con mia sorella, quel giorno mi ero davvero arrabbiato di brutto, con entrambi, beccandomi una punizione di due settimane per aver quasi rotto il naso a Jasper. Per fortuna le cose si erano risolte in meglio.

Mi sedetti sul divano, prendendo il telecomando, ma mi resi conto che in realtà non avevo voglia di guardare la tv. Un oggetto al centro della stanza catturò la mia attenzione, il mio pianoforte. Negli ultimi giorni avevo composto una melodia, dedicata esclusivamente a Bella. Mi venne l’improvvisa voglia di suonarla.

Mi sedetti sul seggiolino e le mie dita scorsero lentamente lungo quei tasti d’avorio, quei tasti in cui esprimevo sempre tutti i miei sentimenti, trasformandoli in musica. Ero sempre stato un bravo musicista, avevo imparato a suonare il pianoforte all’età di quattro anni, e da allora non avevo più smesso. Ero l’unico nella mia famiglia a suonare quello strumento, che custodivo gelosamente al centro del salotto, rialzato su una pedana di dieci centimetri.

La melodia dolce s’irradiò per tutta la casa, riempendola completamente di dolci note che stavo dedicando a una persona che non avrei mai più avuto, mai più visto, toccato, amato.  Da quella sera non l’avevo più vista, sentita, e a quanto pareva, neanche Alice. Solo Jasper aveva sue notizie, e riuscivo a capire anche il perché.

M’immersi completamente nella musica, abbandonando per quei pochissimi minuti tutti i brutti pensieri, le mie dita scorrevano velocemente lungo quella tastiera. Aggiunsi una riga armonizzante, lasciando che la melodia centrale vi s'intrecciasse.

«E' affascinante. Ha un nome?» sentii chiedere a Jasper, che non avevo sentito arrivare.

«Non ancora»

«Vi è una storia collegata?» domandò, un sorriso nella sua voce. Questo gli dava un immenso piacere, a Jasper piaceva la mia musica, me lo aveva sempre detto, diceva che mi contraddistinguevo dagli altri proprio per le mie capacità al piano.

«E'... una ninna nanna, suppongo.» Trovai l'accordo giusto. Si legò con facilità al movimento successivo, prendendo vita da solo.

«Una ninna nanna,» ripeté a se stesso.

Vi era una storia dietro questa melodia, e una volta che lo capii, tutti i pezzi si ricomposero facilmente. La storia era una ragazza con un passato difficile, dai capelli neri e folti, gli occhi color cioccolato, una bellezza come poche.

Sentimmo dei passi dalle scale e dei capelli neri corvini spuntarono sugli ultimi gradini. Alice si venne a sedere accanto a me sulla panca. Nella sua trillante, melodiosa voce, abbozzò una canzone senza parole superiore alla melodia di due ottave.

«Mi piace,» mormorai. «Ma che ne dici di questo?»

Aggiunsi la sua fila alla melodia, le mie mani volavano attraverso i tasti ora che i pezzi si erano ricomposti, modificandola un po', portandola in una nuova direzione...

Catturò l'inclinazione e cantò.

«Sì. Perfetta,» dissi.

Jasper mi diede una pacca sulla spalla.

Ma adesso potevo vedere la fine, ora che la voce di Alice sorgeva sopra la melodia e la portava verso altre parti. Potevo vedere come doveva finire la canzone, perché la ragazza triste era perfetta così com'era, e qualsiasi cambiamento sarebbe stato sbagliato, malinconico. La canzone vagò verso la comprensione, più lenta e più bassa adesso. Anche la voce di Alice si abbassò, e divenne solenne, una melodia che apparteneva ad archi echeggianti di una cattedrale illuminata da candele.

Suonai l'ultima nota, e poi inchinai la mia testa sulla tastiera.

«Edward, questo componimento è favoloso. Davvero fantastico» Alice mi strinse a se, per poi alzarsi e andare da Jasper.

«Okay, noi andiamo. Sei pronta Alice?»

«Sì, vado solo a prendere la borsa di sopra» salii le scale, lasciandoci nuovamente soli.

«Senti ancora la sua mancanza»

«Da impazzire, non riesco a non pensarla, è sempre un pensiero fisso».

Mi guardò, comprensivo «Edward…»

«Non preoccuparti per me, rispetto le sue scelte».

 

 

POV BELLA.

«… ma non le approvi» Jasper si trovava ai piedi della piccola pedana, dove in quel momento vi era seduto Edward.

«Per niente Jazz, l’aspetterei per anni se fosse necessario, tu lo sai, so aspettarla. Sempre e solo lei»

«Non credi ti stia fissando un po’ troppo su Bella?» Jasper si sedette sulla panca accanto a lui, mentre Edward pigiava alcuni tasti riproducendo una melodia malinconica appena udibile.

«Forse hai ragione, ma io la amo» a quelle parole un’immensa scarica di elettricità mi attraversò la schiena  e arrivò dritta al mio cuore. Per la prima volta fui travolta dalla consapevolezza che Edward mi amava davvero, che stava dicendo la verità e non mi aveva mai presa in giro «avrei preferito non averla mai conosciuta e continuare a sognare di poter stare con lei, piuttosto che conoscerla e perderla per sempre».

Fui strattonata alle spalle «Bella, non origliare! Senti, io devo andare, grazie mille per l’aiuto, te ne sono davvero grata, ci vediamo!» sussurrò Alice, prima di scendere le scale sopra i suoi tacchi 12 «sono pronta! Possiamo andare» stampò un bacio sulla guancia di Edward e poi sulle labbra di Jasper.

Sentii la porta d’ingresso chiudersi e il silenzio piombare nella stanza, un sospiro, il suo. Poi ancora il suono dei tasti pigiati del pianoforte, la melodia di poco prima.

Era il caso di farmi vedere o tentare una via di fuga dalla porta di servizio? Per fortuna avevo parcheggiato la macchina in un punto lontano della casa, in modo che se avessi visto Edward, sarei scappata all’istante senza che nessuno mi avesse vista. Purtroppo non potevo fare come avevo programmato. Ero a pochi metri dal suo corpo, dovevo scappare via, per non farlo soffrire ancora, ma la voglia di avvicinarmi a lui era sempre più forte.

«Bella’s lullaby» sentii sussurrare dalla sua voce. Aveva dedicato quella melodia a me, aveva dato il mio nome. Scesi un gradino, due, tre, fino ad arrivare all’ultimo gradino prima che il muro mi scoprisse completamente. Non ebbi alcuna esitazione, era davvero il caso di fare gli adulti e non scappare com’era sempre stata mia abitudine.

Scesi lo scalino e fui completamente visibile dai suoi occhi che, per la concentrazione, non mi videro. Il mio respiro si bloccò quando lo vidi ancor più da vicino, avevo dimenticato quel senso di sicurezza che mi trasmetteva lo stare con lui, avevo dimenticato quanto fosse bello e puro.

«Edward» il suono della mia voce fu sovrastato dalla dolce melodia di quella stanza, ma riuscì a sentirmi. Un accordo andò fuori posto, rovinando quella dolcissima musica, il silenzio piombò nella stanza.

I suoi occhi incontrarono i miei, facendomi provare le sensazioni più belle che potessero esistere «Bella, che ci fai qui?»

Feci un passo verso di lui, un altro, un altro ancora «ho sentito tutto, hai detto che mi ami…»

«Lo sapevi già» i suoi occhi si abbassarono, lasciò cadere la mano sulla panca, volgendosi verso di me.

«Però è stato bello sentirlo» ammisi.

Si alzò e scese dalla pedana, avvicinandosi a me, ritrovandosi a un palmo dal mio volto. Affondò la faccia tra i miei capelli «Ti amo» sussurrò.

Un’altra scossa di brividi mi attraversò il corpo, ancora più forte e potente della precedente, perché non vi erano barriere tra di noi, io non ero nascosta dietro un muro a origliare e lui sapeva che quelle parole le stava pronunciando a me. Per un attimo mi sentii ridicola. Ridicola di aver creduto che Jake fosse per me il vero amore, ridicola perché il sentimento che provavo per Edward era mille volte più forte e invincibile di quanto credessi. Mi sentivo ridicola perché avevo pensato di riuscire a dimenticarlo facilmente.

«Perché non riesco a fare a meno di te?» più che una domanda, era una semplice ammissione.

Lo sentii ridere tra i miei capelli «Non voglio lasciarti andare Bella, non proprio adesso che finalmente ti ho trovata»

«Non preoccuparti, adesso che ho provato cosa significa stare senza di te, non me ne andrò facilmente» lo sentii sospirare e allontanarsi da me «ho forse detto qualcosa che non va?».

Scosse la testa «No, non hai detto nulla» lentamente si avvicinò a me, titubante, pauroso di una mia reazione improvvisa che non tardò ad arrivare. 

Improvvisamente la voglia di giocare prese possesso del mio corpo, scappai prima che Edward potesse arrabbiarsi nuovamente.

 

POV EDWARD.

 «Trovami» sussurrò tra le mie labbra, con un sorriso di sfida sul volto. Quelle labbra mi lanciavano chiari segnali, erano desiderose di essere baciate, erano due boccioli di  rosa sorti in pieno deserto. Una tentazione irresistibile. Mi avventai su quelle labbra, ma non fui abbastanza veloce. La sua risata cristallina si espanse per tutto il terrazzo, mentre lei si allontanava, i suoi occhi ancora incatenati ai miei, per poi sparire dietro le ampie lenzuola che erano appese ovunque.

Cominciai a muovermi lentamente, inoltrandomi in quel labirinto, desideroso di trovarla e incatenare i miei occhi ai suoi, come avevamo sempre fatto. Attento a captare ogni minimo rumore per capire dove fosse, scrutai ogni ombra, ogni odore. Sì, annusavo l’aria. Ormai conoscevo il suo odore talmente bene da percepirlo anche a metri di distanza.

«Dove sei Bella?» sussurrai, anche se sapevo non mi avrebbe risposto. Quel giochetto stava cominciando a piacermi, rendeva il momento del bacio ancora più magico. Già, ero deciso a baciarla, e lo avrei fatto, quella notte, in quel terrazzo, tra quelle lenzuola.

Un’altra risata, la sua risata. Era dietro di me. Con un movimento fulmineo scostai il lenzuolo con entrambe le mani, ma anche questa volta, lei era stata più veloce. Ero sicuro sul mio viso si fosse dipinto una smorfia di delusione, ma fu subito sostituita dal solito sorrisetto perverso , il mio sorriso, quello che, ero sicuro, le faceva battere il cuore all’impazzata. Perché lei era cotta di me, lo sapevo, ne ero sicuro, bastava solo fare il primo passo, ed io lo stavo facendo.

Un’altra risata, una risata oltre il lenzuolo che si trovava dietro di me, mi voltai lentamente, attento a non produrre nessun rumore, mentre con la mano destra toccavo il lenzuolo e delicatamente spingevo in avanti, per non farla scappare. La sua mano toccò la mia, c’era solo quel sottile strato di tessuto bianco a separarci, fu una sensazione bellissima, sapere che dall’altra parte c’era la ragazza che desideravo.

A un tratto vidi sporgere qualcosa all’altezza del mio petto, era il suo viso. Potei riconoscere perfettamente la curva della fronte, del naso e del mento, ed ero abbastanza sicuro che tra le ultime due vi fossero le sue labbra. Così mi abbassai e toccai con le labbra quel tessuto. Potei toccare perfettamente la curva delle sue labbra, per un attimo immaginai che non ci fosse niente a separarci, immaginai le mie labbra sulle sue, così morbide, così vellutate, così dolci e invitanti.

Si separò da me e scappò via prima che io potessi scostare il lenzuolo. Era brava a fare la misteriosa, troppo. E a me questo piaceva, mi piaceva tutto di lei, ogni cosa formava il suo essere. M’inoltrai nuovamente nella sua ricerca, ripensando all’attimo prima, era stato così dolce. Adesso più che mai ero determinato a trovarla. Forse avrei dovuto girarci intorno, prenderla alle spalle e non farla più scappare. La intravidi al mio lato destro mentre guardava di fronte a se e sorrideva, sbirciando tra le lenzuola. In quel momento mi sembrò una bambina, una bambina dolce e delicata. Sorrisi e le andai dietro, scostai le lenzuola e finalmente mi trovai di fronte a lei, o meglio, mi trovai alle sue spalle. Non si accorse della mia presenza, così mi avvicinai al suo orecchio sinistro «Trovata» non so perché, ma la mia voce era roca, bassa, volutamente sensuale.

Sussultò e si voltò con gli occhi spalancati, l’espressione di un bambino che è stato appena beccato dalla mamma con la bocca sporca di cioccolato, ma quell’espressione fu subito sostituita da un sorrisetto furbo. Ero così concentrato a perdermi nei suoi occhi che non mi resi conto che stava scappando di nuovo. Ma questa volta fui io il più veloce. Riuscii a bloccarle il polso e la attirai a me, facendola scontrare contro il mio petto. La sua espressione si fece subito seria, continuavamo a fissarci negli occhi. Non m’importava quanto fosse dolce quella scena, quanto fosse inadeguata alla mia persona, con lei andava tutto bene. Le presi la mano bloccata e la poggiai sul mio petto, all’altezza del mio cuore, che aveva cominciato a scalpitare come le ali di un elicottero, lasciai andare la sua mano quando fui sicuro che non avrebbe abbandonato la presa. I suoi occhi andarono sulla sua mano e poi, si soffermarono su di me.

Era il momento di fare il passo decisivo, dovevo farmi avanti e mostrarle finalmente i miei sentimenti. Mi avvicinai al suo viso, alle sue labbra. Le mie mani sul suo viso, le sue sul mio petto. Stavo sudando freddo, sentivo una sensazione strana all’altezza dello stomaco e avevo la nausea. Sì, ero proprio cotto.

Ormai ci separavano pochi centimetri, distanza che lei azzerò con un movimento secco, entrando a contatto con le mie labbra. Le sensazioni che avevo provato prima, le farfalle allo stomaco, la semplicità di quel bacio tramite un lenzuolo… erano niente in confronto a quello che stavo provando. Le sue mani furono subito tra i miei capelli, attirandomi ancora di più verso di lei, ed io non chiedevo altro, non chiedevo altro se non restare per sempre vicino a lei, poter continuare a toccarla, a baciarla, ad accarezzarla, a incrociare i suoi occhi cioccolato. Non avrei mai voluto interrompere quel contatto, le nostre lingue che s’intrecciavano, le nostre labbra che si toccavano continuamente, inseguendosi e giocando insieme.

«Questa è stata la rivincita migliore in tutta la mia vita» sussurrai tra le sue labbra, affannando.

«E anche la mia miglior perdita» rispose lei, accennando quel sorriso sghembo che tanto adoravo.

 

 

*ANGOLINO DI GUESS*

Eccoci finalmente a commentare il loro primo bacio. Spero di aver suscitato in voi le stesse emozioni che mi ha suscitato scrivendolo. In realtà l'idea della storia mi era venuta in mente proprio da questo bacio, è partito tutto da questo momento. Finalmente Bella ha fatto il suo secondo passo verso Edward, riscattando i milioni passi fatti indietro. La sua è stata la paura di soffrire ancora, in fondo, chi non ha paura di stare nuovamente male dopo una storia d'amore che è stata un completo fiasco? Penso ognuna di noi.

Ringrazio chi ha commentato la mia storia, per i mille complimenti e per la completa fiducia nel mio lavoro. Ringrazio anche chi mi ha aggiunto tra gli autori preferiti e chi ha aggiunto questa storia tra le preferite, le seguite e le ricordate. Siete di grande aiuto e sostegno per me, davvero fantastici! Ci vediamo! Buon Halloween =) P.S. vi piace la nuova immagine della storia? =)

   
 
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