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Autore: micht82    01/11/2010    0 recensioni
uno scrittore alle prese con un blocco, riceve una telefonata che gli cambierà la vita.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Durante il tragitto con la macchina, che mi riportava a casa, ero stato completamente in silenzio a cercare di riprendermi da tutte l’emozioni ricevute in poco tempo.
Entrati in casa, entrai con passo lento fino a raggiungere il divano per sdraiarmi, mi sentivo spossato come se avessi fatto una maratona.
“Posso sapere che è successo di così terribile da essere ridotto come uno straccio?” mi ero scordato che Noemy era entrata in casa e giustamente meritava una spiegazione.
“Ancora un attimo, ti prego” dovevo raccogliere tutte le energie che mi erano rimaste.
“Mi stai facendo preoccupare, ma è morto qualcuno?” la sua voce era davvero preoccupata.
“Siediti… ho brutte notizie da darti” mi ero messo seduto ma la schiena era curva appesantita dal peso delle rivelazioni della giornata e lei forse angosciata dall’espressione greve del mio volto lo fece senza protestare.
Incominciai a raccontarle tutto quello che era successo in poche ore, partendo dalla telefonata della direttrice, alla morte di Maria per finire con Giada.
Anche lei come me era sconvolta per la morte di Maria erano state grandi amiche fin dall’infanzia, fino alla partenza di Maria per un paese vicino Torino.
“Quindi Giada è tua figlia, ma perché ti ha detto che hai abbandonato Maria quando è stata lei a partire e a non farsi più trovare?” aveva gli occhi umidi e la voce spezzata.
“Non lo so, continuo a domandarmelo da quando me l’ha detto, ma adesso non è questo che mi preme di più, ho scoperto di essere padre di una ragazzina di dodici anni… solo di questo mi devo preoccupare” .
“Cosa hai intenzione di fare?” mi chiese dopo alcuni minuti di silenzio.
“Noemi, lei è mia figlia e vorrei che vivesse con me voglio crescerla, ma per fare questo devo chiarirmi e spiegarmi con lei, raccontandole la mia verità” avevo avuto modo di rifletterci bene e non potevo permettere che anche questa volta una parte di me non facesse parte della mia vita.
“Vuoi che venga con te?”
“lo faresti, davvero?”
“Certo siamo amici, no?” e poi vorrei vederla anch’io” un timido sorriso irruppe sul suo viso velato di dolore.
Concordammo di incontrarci a casa mia per poi andare con la sua macchina all’istituto verso le nove, non prima di aver chiamato la direttrice per informarla delle nostre intenzioni, al principio sembrava titubante per non rischiare il ripetersi di un’altra incresciosa scena come quella avvenuta alla mattina, ma poi la convinsi che ero determinato a spiegare a Giada la verità, penso che accettò quando la mia voce cominciò ad alzarsi di un ottava, spiegandole che avevo tutti i diritti di vedere mia figlia.
Per oltrepassare il cancello di entrata dell’istituto mi occorse tanto coraggio, che mi infuse Noemy con la sua sola presenza al mio fianco.
Ci dirigemmo direttamente nell’ufficio della direttrice e una volta accomodati e fatte le dovute presentazioni cercammo di trovare un accordo per il bene di Giada.
Dopo un’ora di conversazione proficua, con punte d’isterismo da parte di Noemi che non sopportava i modi della direttrice perché secondo lei troppo superficiali, riuscimmo ad arrivare all’accordo che con la bambina si sarebbe proceduto per gradi, cercando di spiegarle la verità per non turbarla e che comunque la sua parola avrebbe avuto moltissima importanza.
La direttrice chiamò un numero interno per chiedere che Giada fosse accompagnata nel suo ufficio.
Furono minuti terribili nell’attesa che mi guardasse con odio e disprezzo, sapevo che non era colpa sua se provava questi sentimenti nei miei confronti, ma quell’astio nei miei confronti mi dilaniava l’anima.
Quando varcò la porta s’irrigidì immediatamente appena mi scorse, ma l’insegnante alle sue spalle la spinse delicatamente in avanti. Era palese la sua avversione a trovarsi con me nella stessa stanza.
“Cosa vuoi da me!” disse con rabbia.
“Voglio parlarti e poterti spiegare la situazione dal mio punto di vista” mi ero alzato in piedi lentamente, nella speranza di potermi avvicinare di più a lei.
“Non voglio niente da te! La zia mi ha già detto tutto, vigliacco!” i suoi occhi davano l’idea di appartenere a un adulto, ti scrutavano dentro, potevo solo immaginare com’era stata la sua vita ultimamente, dopo la morte di Maria e l’arresto di Silvana, ma ero sicuro che fosse stato un vero inferno.
Mosso dall’istinto di proteggerla feci qualche passo nella sua direzione, ma lei con uno scatto fulmineo si lanciò verso la porta aprendola e uscendo come una scheggia impazzita.
Rimasi solo per un secondo interdetto e confuso di fronte alla sua fuga, ma lasciandomi guidare dall’istinto le corsi dietro nel tentativo di raggiungerla.
Giada correva a perdifiato scansandosi all’ultimo momento, quando incontrava un ostacolo sia che fossero persone o mobili. La nostra corsa attraverso i corridoi e le scale dell’istituto ci aveva portato sul viale per arrivare al cancello.
Mi ero avvicinato molto a lei ancora qualche metro e l’avrei raggiunta, lei continuava a voltarsi per vedere dov’ero e fu forse per questo che non vide che avevo varcato il limitare dell’edificio e che ormai era in mezzo alla strada.
Una macchina cominciò a suonare all’impazzata e sentii lo stridore dei freni della macchina che cercava di arrestare la sua corsa.
Giada era paralizzata dal terrore, sapevo che non si sarebbe mai spostata, feci gli ultimi due passi pregando in cuor mio di riuscire ad arrivare prima della macchina.
Fu un sollievo quando la cinsi per la vita e la trascinai via dalla strada per raggiungere il marciapiede dall’altra parte della via.
Mi chinai immediatamente di fronte a lei per assicurarmi che stesse bene almeno fisicamente, quando fui convinto che il suo corpo stesse bene l’accompagnai con delicatezza verso quella stessa panchina su cui ieri mi ero seduto a riflettere.
Una volta seduta notai che non si era ancora ripresa dallo shock subito e i suoi occhi erano ancora pieni terrore ed era bianca come un lenzuolo.
Trascorsero cinque minuti, senza che nessuno dei due avesse ancora parlato, forse perché nessuno aveva il coraggio di parlare per primo.
“Sono stata una stupida!” la sua voce tremava.
“Anch’io, non avrei dovuto rincorrerti in quel modo, ma la voglia di parlarti non mi ha fatto ragionare in quel momento” non volevo minimamente pensare a cosa sarebbe accaduto se non l’avessi spostata dalla traiettoria della macchina.
“E perché vuoi parlarmi? Non hai mai voluto sapere niente di me fino adesso” la sua voce aveva ripreso un po’ di vigore e il viso aveva ripreso un colorito più naturale.
“Mi prometti che mi farai raccontare tutta la storia fino alla fine e che non m’interromperai?”
“Prometto”
“Io e tua madre siamo stati insieme per due anni, ma alla morte dei suoi genitori sua sorella decise di trasferirsi. Non ho mai saputo il vero motivo di quel cambiamento. Ci promettemmo di scriverci e appena avesse saputo il suo numero di telefono me lo avrebbe dato per continuare a rimanere in contatto.
Da lei ricevetti una telefonata, da una cabina telefonica perché a casa non aveva ancora il telefono, in cui mi diceva che era arrivata a destinazione e che pensava che le fosse successa una cosa bellissima, ma voleva essere sicura prima di dirmela . Solo adesso capisco che pensava di essere incinta di te.
Dopo quella conversazione ricevetti una lettera, dopo che gliene avevo spedita una io spiegandole quanto mi fosse intollerabile sopportare la sua lontananza da me, in cui mi diceva che non potevamo più stare insieme e che dovevamo lasciarci”.
Diedi a Giada la lettera con cui sua madre metteva fine al nostro amore e che lei iniziò a leggere avidamente, quando alzò lo sguardo da essa aveva negli occhi una strana espressione che non riuscivo a interpretare e ripresi a parlare.
“Non fu facile per me, l’amavo troppo per perderla in quel modo, le scrissi decine di lettere, ma non ricevetti nessuna risposta, volevo andarla a trovare di persona per sapere perché non mi voleva più, ma i miei genitori non volevano che partissi da solo dopotutto ero ancora minorenne. Non hai idea di quante volte li avessi implorati per farmi andare a trovarla finché un giorno, dopo mesi d’insistenza, mio padre acconsentì ad accompagnarmi da lei, ma con l’unico risultato di trovare altre persone all’indirizzo che mi aveva dato Maria.
Da quel momento non ho saputo più niente di lei fino a ieri. Ti ho raccontato solo la verità Giada, credimi” dissi sperando che mi credesse.
“Non sono ancora sicura che mi hai detto la verità, la zia dopo la morte della mamma mi ha raccontato che tu l’hai lasciata per un’altra donna e che quando hai saputo di me hai detto che non eri mio padre, fin al quel momento nessuna di loro mi aveva detto niente erano sempre state vaghe su di te” disse con una punta di risentimento nella voce.
“Non è vero… te lo giuro!” ero stupito da quello che le aveva raccontato Silvana, perché mentirle in quel modo su di me?
“Non so cosa fare!” disse cominciando a piangere.
Davanti al pianto disperato mi sentii così impotente, era una bambina sola e stava portando sulle sue spalle pesi che avrebbero schiacciato una persona adulta.
Mi accovacciai davanti a lei e le presi dolcemente le mani che aveva messo davanti agli occhi per nascondere le lacrime e gliele spostai delicatamente affinché potesse guardarmi negli occhi.
“Giada… ho una proposta da farti, perché non mi giudichi tu, potremmo passare del tempo insieme così potrai capire da sola qual è la verità. Decidi tu come vederci” speravo che accettasse di vedermi.
“Alla mattina sono impegnata con le insegnanti, potremmo vederci alla fine delle lezioni e poi alla sera tornerei a qui a dormire” pronunciò lei titubante con gli occhi gonfi di pianto.
“Sono contento che tu voglia vedermi, mi riempie di gioia e se in futuro vorrai c’è una camera da letto che ti aspetta se deciderai di dormire a casa mia” la felicità nelle mie parole era incontenibile.
“…non so ancora se faccio bene a fidarmi di te” era evidente nella sua espressione e nella sua voce il conflitto che c’era in lei.
Decidemmo insieme, che ci saremmo rivisti più tardi alla fine delle lezioni.
Ritornati dentro l’istituto dissi ciò che avevamo deciso io e Giada omettendo del tutto il pericolo che avevamo corso, perché mi sembrava già troppo preoccupata per dirglielo.
Le lezioni finivano all’una ed io ero pronto con la macchina vicino all’edificio, ero emozionato di poter passare del tempo con mia figlia.
Ero ansioso di poterla a pranzo e a fare un giro per negozi e magari farle vedere casa mia.
La vidi uscire dal cancello, in viso si leggeva chiaramente la preoccupazione di trovarsi in quella situazione.
Mi avvicinai con la macchina e le feci segno di salire.
“Ciao, andiamo in un bel ristorante a mangiare?” le chiesi tutto sorridente.
“Tu non sai cucinare?” mi chiese a bruciapelo.
“Si, qualcosa so cucinare… ma non bene come un cuoco” le dissi sulla difensiva.
“Vorrei mangiare qualcosa cucinato da te” mi disse semplicemente.
“D’accordo però non aspettarti niente di elaborato” dissi ansioso e lei accennò un sorriso.
Arrivati nella casa, che mi ero fatto costruire con gli incassi della vendita dei miei precedenti libri, la feci accomodare in salotto mentre io sarei andato a preparare il pranzo e ad apparecchiare.
Feci una semplice pasta al ragù e apparecchiai allegramente. Una volta che era pronto la chiamai, ma non ricevetti risposta, allora andai in salotto, ma come potei constatare lei non era lì.
Cominciai a cercarla nelle varie stanze del piano terra, però non c’era in nessuna di quelle stanze.
Incominciavo a preoccuparmi mentre salivo le scale per arrivare al primo piano, andai dritto verso il mio studio.
La porta era aperta, entrai con circospezione e la vidi seduta a terra che mi dava le spalle.
Vicino a lei c’erano diversi album di fotografie che immortalavano la mia vita dall’infanzia fino all’età adulta.
Mi avvicinai silenziosamente a lei, che stava guardando una foto di me e Maria, che ci abbracciavamo stretti l’uno all’altra felici del nostro amore.
Con le dita della mano accarezzava la figura di Maria.
“Ti manca?” le dissi per spezzare il silenzio.
Si voltò spaventata verso di me, stringendo l’album verso di se.
“Scusa, non volevo spaventarti” le dissi con fare rassicurante.
“Mi annoiavo in salotto e ho fatto un giro ed ero curiosa…” si vedeva che aveva l’aria colpevole.
“… e hai frugato nel mio studio per cercare qualcosa che ti raccontasse qualcosa su di me, ho indovinato?” le chiesi facendole l’occhiolino.
“Si, è stato più forte di me” era imbarazzata e rossa in viso per essere stata colta in flagrante.
“Giada è pronto da mangiare, potremmo vedere e discutere delle mie foto e della mia vita, dopo esserci rimpinzati a dovere, d’accordo?” la mai voce era calma, volevo che capisse che non ero arrabbiato.
“In effetti ho molta fame e sono curiosa di assaggiare la tua cucina” si alzò e si diresse in cucina con uno sguardo impaziente.
Mangiammo fino ad essere completamente sazi, Giada anche se era una ragazzina minuta mangiava come un adulto e con molto gusto.
“Possiamo tornare nello studio?” chiese impaziente dopo aver sparecchiato.
“Certo vuoi continuare a guardare le foto?” chiesi non riuscendo a trattenere la contentezza.
“Non solo… voglio sapere anche dove sono state scattate, mi devi dire tutto!” aveva assunto un cipiglio quasi autoritario.
“Agli ordini!” e feci il gesto di mettermi sugli attenti.
Ritornati nel mio studio ci sedemmo sul comodo divanetto grigio perla a due posti, mantenendo una certa distanza fra noi: per la prossimità non era ancora il momento.
Aprii l’album e cominciai a spiegare ogni fotografia che vedevamo: chi c’era con me e Maria? Dove eravamo? Ma soprattutto lei voleva conoscere aneddoti sulla nostra vita insieme.
Giada alternava espressioni gioiose a momenti di commozione a seconda di ciò che raccontavo. Ogni volta che descrivevo il legame che mi univa a Maria, la sentivo distante e triste.
Quasi senza che ce ne accorgessimo arrivò l’ora di riportarla all’istituto per la cena e i compiti.
“Domani è domenica, vuoi ancora venire da me?” le chiesi speranzoso, mentre eravamo vicino al cancello dell’ organizzazione.
“Si… devo ancora farti un mucchio di domande” il suo volto tradiva la sua immensa curiosità.
“Vengo domani mattina alle dieci a prenderti”
Tornato a casa mi preparai dei panini imbottiti per mangiarli nello studio.
Dovevo cercare di scrivere il più possibile per rispettare i tempi previsti per la consegna del libro.
Aver parlato con mia figlia della mia vita passata e il fatto che lei fosse interessata ad ascoltarmi mi rendeva euforico.
Ed’improvviso riuscii a capire come scrivere una delle parti più difficili del libro, le parole venivano da sole e incominciai a scriverle al computer, non sentivo né fame né sonno solo lo scorrere dei pensieri, il ticchettio dei tasti del computer e la dolce melodia della musica jazz come sottofondo musicale.
   
 
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