16 – Amore
platonico, orgoglio e gelosia
Questo capitolo lo dedico a Rebecca Lupin, perché
lei in parte, lo ha ispirato con la sua recensione e il suo suggerimento.
Grazie e spero che sia di tuo gradimento.
A tutti, buona lettura.
*****
Era bellissimo e dava un senso di completezza appagante poter vivere finalmente il nostro amore nella pienezza della sua manifestazione; ci sentivamo come se avessimo trovato una ragione di vita sufficiente a giustificare la nostra esistenza. Era bello poter fare l’amore ogni volta che si voleva, ascoltare solo il fervente desiderio che ci prendeva in ogni momento e soddisfarlo. Non c’erano paure o inibizioni di alcuna sorta. Quando Esme mi baciava sentivo che non c’erano colpe, dolori, ma solo la gioia di donarsi, una voglia possente che cancellava quasi totalmente ogni altro suo terribile impulso.
Quando la spogliavo sul nostro letto, o nel mezzo del bosco dopo una caccia, non c’era solo lussuria, ma la nostra fame d’amore da soddisfare e la sensazione che i nostri cuori avessero ripreso a battere e che il sangue si fosse sciolto e corresse impetuoso nelle nostre vene come un fiume caldo.
Amarsi, per sentirsi meravigliosamente ancora vivi.
La felicità mia e di Esme sarebbe stata quasi assoluta, senza l’afflizione per mio figlio; scoprire così chiaramente la sua inquietudine mi fece sentire triste e inutile.
Potevo solo sperare che trovasse presto una sua dimensione, un equilibrio all’interno del nostro piccolo mondo.
Esme avrebbe potuto aiutarlo in questo, meglio di quanto sarei riuscito a fare io. Almeno con lei, a momenti alterni riusciva ad essere sereno.
Avrebbe avuto bisogno di una compagna, che gli rendesse più sopportabile l’esistenza amara, ma dove trovarla? Questa era una cosa che neppure io potevo fare.
Quando e come avrebbe potuto innamorarsi? Sapevo quanto fosse difficile trovare qualcuno simile a noi.
Ripensai a Tanya; la bellissima vampira era stata respinta più di una volta e caratterialmente, forse non era del tutto indicata.
Come Esme mi aveva fatto notare, riflettendo su quanto Edward odiasse la sua natura, era probabile che il disprezzo di sé gli impedisse di cogliere quello che di bello e delicato, magari fortuitamente, sarebbe potuto entrare nella sua vita.
A scuola, Edward non aveva mai dimostrato interesse verso nessuna delle sue compagne, e il suo talento così particolare, uccideva in lui qualunque curiosità verso di loro. Se all’inizio della sua vita, quell’esperienza aveva avuto i suoi lati piacevoli e intriganti, col passare degli anni, i pensieri di quelle ragazze umane che subivano il fascino innaturale di mio figlio, finirono spesso per annoiarlo. Quando questi pensieri erano troppo spinti, alla noia seguiva l’irritazione, a cui reagiva escludendo dalla mente la quasi totalità di quelle voci femminili.
Tutto troppo
prevedibile, senza mistero, componente alla base di ogni interesse maschile
verso una donna.
Mi ero innamorato di
Esme quando era ancora umana per la sua aurea misteriosa, per quel conturbante
fascino femminile che sa celare l’indefinibile nello sguardo, un enigma da
risolvere quasi irrisolvibile, che cattura e avvince l’anima di un uomo e
forse, anche quella bruciata di un vampiro.
Troppo consapevole
di questo, credevo che nessuna ragazza avrebbe saputo esercitare una simile
attrazione su Edward. Per lui, non ci sarebbe mai stato il gusto della
scoperta. Edward sembrava vivere in mezzo agli umani, violando i loro pensieri
più contorti, senza lasciarsi sfiorare da nessuna emozione, senza mai lasciarsi
coinvolgere dai loro drammi personali; appariva quasi indifferente a tutto
quello che poteva turbare la loro vita. Mi era parso così la maggior parte
delle volte e lo sarebbe stato ancora chissà per quanto. Ogni volta che la mia
famiglia avesse lasciato una città, per mio figlio, non ci sarebbe stato altro
che un’infinita sequela di esperienze sempre uguali da lasciarsi alle spalle.
Così pensavo.
Così vedevo mio
figlio, per quel poco che mi lasciava vedere; c’era una parte del suo mondo
privato in cui lui non mi permetteva di entrare.
Lui si confidava con Esme più di quanto non facesse con me; infatti, a lei per prima, raccontò una storia sorprendente di cui io non ero mai venuto a conoscenza.
Avevo detto a Esme della nostra piccola discussione e ne era rimasta molto impressionata.
Lo aveva raggiunto nella sua stanza; Edward, straiato su un grande divano era sprofondato nella lettura di un libro, ma appena lei mise piede nella camera le prestò subito tutta la sua attenzione.
Fu investito dai suoi pensieri carichi d’ansia.
- È vero Edward? È vero che hai pensato di abbandonarci?
“No Esme, stai pure tranquilla. È qualcosa che ho considerato, ma per ora non lo farò…”
“Se è per causa mia, ti dico subito che non c’ è motivo che tu faccia una cosa del genere. Perderti sarebbe penoso non solo per Carlisle, ma anche per me. Ti sembrerà assurdo, ma io ti considero quel figlio che non potrò mai più avere…”
“Lo so Esme…e ti ringrazio. Tu sei molto cara e io non voglio darti un dispiacere… e non voglio darlo neppure a lui, in fondo…”
“Edward, non credi che la felicità potrebbe esistere anche per te, se tu volessi concedere una possibilità al tuo cuore? Perché pensi di non esserne degno? Hai bisogno di qualcuno accanto… non negarlo. Se l’amore arrivasse col vento non bisogna chiudere le finestre…”
A quel punto, Edward chiuse definitivamente il libro che stava leggendo, si alzò dal divano per riporlo sulla scrivania, quindi si appoggiò contro di essa infilandosi le mani nelle tasche dei calzoni.
“Voglio raccontarti una storia Esme… una storia che neppure Carlisle conosce…”
Solo un istante, puntò lo sguardo ambrato fuori dalla finestra, perdendosi nei dettagli del panorama che si intravedeva attraverso i vetri; il vento freddo dell’autunno scuoteva le foglie che si staccavano dagli alberi quasi spogli. Edward colse una foglia secca nel momento preciso in cui la vide oscillare e staccarsi dal ramo, ne seguì il percorso delle volute disegnate nell’aria, mentre lentamente, si posava al suolo perdendosi con le altre.
Allora, tornò a spostare la sua attenzione su Esme che seduta sul divano lo fissava immobile.
Iniziò a raccontare.
“È accaduto pochi mesi prima che Carlisle ti trovasse in ospedale…
C’era una ragazza a scuola; si chiamava Emy Foster.
Emy era una ragazzina di quindici anni piuttosto chiusa, timida e riservata, nascosta dietro un paio di lenti che facevano apparire più grandi i suoi occhi scuri. Non era particolarmente graziosa o avvenente; fisico acerbo e capelli corti, nessuno badava a lei. I ragazzi non le mostravano alcun interesse, ma a lei pareva non importare.
Aveva un’ amica del cuore, una compagna di scuola con cui si confidava e andava d’accordo. Ricordo che erano davvero inseparabili.
Non frequentava i miei corsi, per cui non la vedevo spesso. La incontravo solo alla mensa della scuola…
Sembrava vivere in un mondo tutto suo, e sondando i suoi pensieri, capii quale fosse la ragione. - Fece una pausa, come se stesse riavvolgendo pensieri e immagini nella sua testa. - …Il padre era un alcolizzato, un ubriacone incapace di tenersi un lavoro, che quando beveva troppo, diventava violento e riempiva di botte sua madre. Emy viveva una realtà da incubo e per sfuggire a quella realtà squallida che era la sua vita, si rifugiava nei suoi sogni di adolescente; sognava di andarsene per il mondo a cercar fortuna, di prendere sua madre e di andare in un’altra città per ricominciare da capo, senza il padre.
Voleva fare la stilista di moda, ma le sarebbe piaciuto disegnare fumetti; le pagine dei suoi quaderni, i bordi dei libri di testo erano pieni di schizzi a biro e disegni a matita che faceva in ogni momento, anche durante le lezioni di matematica. Vedevo quei disegni nascere nella sua testa completi di forma e colori; quando li trasportava su carta a volte, erano diversi da come erano stati concepiti all’inizio. Potevano essere migliori o peggiori; sciolti e liberi, pieni di energia nella loro espressione di vitalità, o deboli, poco incisivi. Come si arrabbiava quando non riusciva a concretizzare l’idea originaria; prendeva il disegno e lo distruggeva con un moto improvviso di frustrazione. A me pareva che attraverso quegli schizzi, Emy liberasse la sua anima.
La cosa che maggiormente m’incuriosì di lei, era il fatto che non sembrava subire il mio fascino come accadeva a tutte le altre; si sarà soffermata a pensare a me, una volta o due, e mai in maniera morbosa; poco interessata al mio aspetto, più che altro, si chiedeva perché apparissi così scostante. Un giorno, mentre stava lasciando la mensa, le caddero a terra i fogli dei suoi disegni. Mi ero appena alzato dal mio posto per uscire e le passai accanto, e per uno strano impulso da cui di solito, non mi lasciavo prendere, mi chinai e l’aiutai a raccoglierli. Lei mi guardò un po’ meravigliata, mentre per la prima volta, pensava che fossi un ragazzo magari un po’ scontroso, ma comunque gentile.
Belli i tuoi disegni - le dissi.
Grazie – mi rispose.
Praticamente, fu la nostra unica conversazione. Non ci furono mai altre parole tra di noi.
Ma da quel momento, Emy iniziò a pensare a me in maniera diversa e con più frequenza di prima. Cominciò a fantasticare su come fossi in realtà: disponibile, sensibile, generoso, mi attribuì ogni buona qualità le venisse in mente. In pratica, mi idealizzò trasformandomi nel bravo ragazzo per eccellenza. Una vera sognatrice.
Non so come fu, ma lentamente, Emy si innamorò di me, o di ciò che io rappresentavo per lei; l’evasione, la fuga dalla realtà.
Penso che se mi avesse visto baciare una ragazza diversa, sarebbe caduta nella depressione più nera. E già ne aveva di motivi per essere depressa.
Il suo era un amore assolutamente platonico. Era la prima volta che mi capitava d’incontrarlo tra gli umani; non avevo molta esperienza, ma che io ne fossi l’oggetto era sorprendente. E devo dire che all’inizio, mi piacque molto.
Mi piaceva guardarmi attraverso i suoi occhi; contemplavo con sincero stupore il riflesso di me stesso che mi restituiva la sua mente ingenua e innocente.
Era bello vedersi come un bravo ragazzo, non semplicemente come il sogno erotico di ragazze più disinvolte. Mi faceva sentire migliore di ciò che ero.
Era una bella illusione; mi cullai in essa per un po’… - Edward sorrise al ricordo, come se la dolcezza di una sensazione venisse a solleticargli l’anima spenta. -
Era bello essere amato anche così, a distanza.
Non c’era il rischio di un reale coinvolgimento che potesse complicare tutto.
Soprattutto, non era pericoloso; io non ero davvero attratto da lei. Emy non si sarebbe mai dichiarata, non avrebbe mai manifestato i suoi sentimenti, non mi avrebbe mai chiesto di uscire con lei; nessun appuntamento, o bacio furtivo dato sotto la luna, di nascosto dai genitori. Lei non voleva nessuna di queste cose, perché era troppo timida solo per immaginarle, e se anche le avesse volute, non le avrebbe confessate neppure sotto tortura.
Era diventato quasi piacevole andare a scuola per spiarmi nei suoi pensieri; fuori da quella bolla di grazia, i suoi sogni erano sempre inquinati dalla realtà più triste che viveva in famiglia. Non avevo bisogno di conoscere suo padre, per odiarlo in maniera viscerale. Mi bastava vederlo attraverso la sua mente; dovevo stringere i denti per non cedere alla rabbia segreta che mi covava dentro. Poi, un brutto giorno non venne a scuola.
Iniziai a preoccuparmi seriamente dopo quattro giorni di assenze prolungate.
Perché Emy non tornava? Era un’ allieva diligente e studiosa.
Sondai le menti degli altri ragazzi alla ricerca di informazioni, ma nessuno sapeva nulla, o si chiedeva il motivo delle assenze di Emy. Anche la sua amica del cuore non la vedeva da giorni; in lei trovai la mia stessa preoccupazione e forse, un timore in più; conosceva le cattive abitudini del padre.
Sapevo dove abitava; la sua casa sorgeva nel piccolo quartiere popolare della città, una specie di ghetto di uno squallore desolante.
Decisi di andare a verificare che stesse bene e che non le fosse accaduto nulla di terribile. Quella sera andai a casa sua, senza essere visto.
Sua madre era in casa; sentivo i suoi pensieri confusi e preoccupati, ma non furono quelli a spaventarmi, quanto la paura, il senso di panico da cui erano pervasi, che le schiacciava il cuore. Un pensiero su tutti gli altri mi colpì, impietoso come un colpo di frustra che lacera la pelle del corpo.
- Se l’è presa anche con lei… finché si trattava di
me, potevo sopportarlo, ma non deve fare del male a Emy…
La mia mente si oscurò per un istante; provai autentico terrore.
Dovevo vedere Emy; dovevo essere sicuro che stesse bene.
Sbirciai dalla finestra della sua stanza che dava direttamente sulla strada posteriore. E la vidi.
Vidi il suo piccolo corpo, le sue spalle troppo fragili per quel peso.
Era sul letto, rannicchiata con le gambe piegate contro il petto, trattenute dalle piccole braccia magre, raccolta in una posizione di difesa.
Sentii i suoi pensieri e il suo pianto silenzioso e senza lacrime.
Edward, ti prego… vieni a salvarmi, portami via da
questo posto. Se solo tu potessi… sono certa che lo faresti, perché sei un
ragazzo buono. Non sei come mio padre…
Non avevo mai capito quanto fosse fragile, prima di vederla lì, sul suo letto.
Confusamente sperava, sognava che io, per qualche assurdo miracolo venissi a salvarla, a portarla via da lì. Ma sapeva che nessuno – tanto meno io - l’avrebbe salvata.
I suoi pensieri mi distrassero solo un momento dai suoi lividi scuri, ne aveva sulle braccia e sulle gambe semicoperte dalla gonna; sulla tempia all’altezza dell’occhio destro, un grosso ematoma di colore violaceo si stava riassorbendo.
Fui invaso da un furore folle; se in quel momento, avessi avuto suo padre tra le mani, so esattamente come sarebbe finita. Lo avrei ucciso senza nessuna pietà.
Per giorni lottai con l’impulso, la tentazione di attuare il mio proposito. Desideravo solo liberarla dal padre aguzzino. Volevo uccidere quell’uomo; volevo ucciderlo perché in fondo, ero più mostro di lui. Volevo torturarlo e fargli male, fargli pagare il tormento fisico e morale che infliggeva alla figlia.
Quando ho cominciato a pensare a questo, ho capito che la bella illusione in cui mi ero cullato fino a quel momento, stava crollando.
L’ideale di Emy, non avrebbe retto il confronto con la realtà. Il mostro stava ricomparendo davanti ai miei occhi. Per poco, lo avevo soffocato, o semplicemente rivestito di una livrea nuova. Era inutile illudersi, credersi diverso. Io non ero perfetto, non ero un bravo ragazzo, soprattutto non ero qualcuno da poter amare.
L’amore platonico sarebbe sfumato in nulla davanti al ghigno orrendo del vampiro.
Se Emy avesse saputo cosa ero in realtà, non avrebbe provato altro che disgusto e orrore. Emy amava un ragazzo che non esisteva e non poteva esistere.
Amava un’illusione, una sua costruzione mentale che opponeva alla tristezza della sua condizione d’infelice.
Emy era troppo innocente e pura per amare un vampiro.
Sarebbe stato solo crudele, da parte mia, farla uscire da un incubo per farla entrare un uno anche peggiore.
Semplicemente, nessuna ragazza poteva amarmi davvero per ciò che ero.
Io potevo offrire loro, solo un bell’involucro, un’immagine illusoria che serviva a nascondere un essere mostruoso.”
Esme aveva ascoltato il racconto senza respirare, lasciandosi invadere dall’emozione.
“Edward, vedi ancora Emy? Cosa le è accaduto?”
“Non è più tornata a scuola; la madre, per proteggerla, l’ha mandata a vivere con alcuni parenti in un’altra città.”
“Che storia triste e commovente… Però dimostra qualcosa d’importante…” Edward colse subito il pensiero successivo della vampira.
Hai provato qualcosa di buono per quell’umana… forse
qualcosa di simile all’amore…C’è del buono in te, Carlisle ha ragione di
crederlo…
“No Esme, non pensarlo neppure. Non era amore, non ho mai guardato Emy in quel modo…”
“Hai provato dei sentimenti per lei, ti sei preoccupato per un essere umano. Questo vorrà pure dire qualcosa; significa che è possibile…”
…potresti innamorarti… non sei il mostro che credi…
“Dimentichi che volevo uccidere suo padre; liberarla di un mostro per imporle la presenza ancora più inquietante di un vampiro sarebbe stato crudele e assurdo. No… era qualcosa che non poteva funzionare.”
“Perché non hai cercato di avvicinarti a Emy? Avresti potuto essere suo amico. Avrebbe fatto bene a te e a lei; magari per poco l’avresti resa felice.”
“Te lo ripeto; non avrebbe funzionato. Un giorno sarei dovuto andarmene per lasciarla sola. Sarebbe stato solo peggio, non credi?”
Esme sospirò senza sapere che rispondere.
Chissà, magari avrebbe funzionato. Forse Edward con Emy si sarebbe sentito meno solo.
Di quella storia non ne avevo mai saputo nulla, mio figlio non mi aveva mai parlato di Emy, di quello che aveva provato per quella ragazza.
Forse in quel periodo avevo colto in lui qualcosa di diverso, un’insolita sfumatura nello sguardo meno cupo, ma non l’avevo attribuita a un evento particolare della sua vita. Era solo all’inizio della sua esperienza scolastica e credevo che in lui prevalesse il gusto per la novità.
Quando Esme in confidenza, mi raccontò la storia, restai assolutamente sorpreso. Ma arrivai alle stesse conclusioni di lei; Edward avrebbe potuto trovare l’amore un giorno, provare quel sentimento che ci faceva sentire tanto umani, che ci rendeva più ricchi e migliori.
Credo che anche per
mio figlio, fu una sorta di amore platonico, se questa definizione può essere
esatta e se questo concetto può esistere per un vampiro.
Ma non aveva voluto
crederci fino in fondo. Forse aveva avuto paura delle conseguenze.
La storia di Emy mi
avrebbe fatto riflettere ancora molto sulla condizione di Edward, ma
nell’immediato, avevo altre preoccupazioni.
Charles Evenson era
tornato ancora in ospedale.
Finché mi era stato
possibile, avevo cercato di evitare quell’incontro col passato di Esme, ma
quell’uomo, suo marito in un’altra vita, non si era rassegnato di fronte ai
muri che opponevo alla sua ricerca. Era arrivato una mattina, inaspettato come
una pioggia torrenziale improvvisa che ti sorprende in mezzo alla strada; aveva
chiesto all’infermiera dell’accettazione della misteriosa donna suicida,
anonima sconosciuta che nessuno era venuto a reclamare e che era stata sepolta
nel cimitero della città a spese dell’ospedale.
- Qual è il nome del
medico che prestò i primi soccorsi alla donna?
- Il dottor Carlisle
Cullen…
Appena saputo il mio
nome, Charles Evenson non aveva saputo mascherare un vero moto di sorpresa,
anche l’infermiera l’aveva notato.
- Vorrei parlare col
dottor Cullen…
- Sono spiacente; in
questo momento non è di turno…
- Quando lo posso
trovare?
- Magari domani mattina…
Era tornato diverse
volte a chiedere di me, ma per puro caso, o perché non mi facevo trovare, ero
sempre riuscito ad evitare d’incontrarlo. Non era per mancanza di coraggio che
lo stavo evitando… o forse, tentavo di convincermi di questo; cosa avrei potuto
dirgli? E soprattutto, lui che cosa mi avrebbe chiesto? Sospettava qualcosa?
Sicuramente ricordava i pettegolezzi a Columbus, di cui io e Esme eravamo stati
involontari protagonisti. Sapevo che all’epoca, furono motivo d’attrito tra lui
e la moglie.
Avevo falsificato il
certificato di morte di Esme con un nome fittizio, ma volevo evitare che si
sollevassero indagini sulla donna sconosciuta, o peggio, che venisse richiesta
la riesumazione della salma; nella bara di Esme c’era il corpo di una barbona uccisa
dal freddo, che quell’inverno era stato particolarmente rigido.
In obitorio, era
stato uno scherzo sostituire Esme con il cadavere della povera donna; per
sicurezza, quasi con un senso di leggera nausea, perché mi sembrò di compiere
una profanazione, le avevo anche procurato delle fratture che suggerissero una
morte violenta. Nessuno aveva fatto domande.
In fondo, non c’era
stata mai profanazione più grande e disgustosa di quella che avevo fatto, prima
a Edward, e dopo, alla donna che amavo.
Quindi, perché
tormentarmi, se mi ero già macchiato della colpa più grave?
Ma il destino,
volente o no, viene sempre a chiederti il conto delle tue azioni; con me, lo
stava facendo attraverso il marito di Esme. Ho imparato con l’esperienza che quelle
di noi vampiri hanno sempre un prezzo più alto di quelle umane. Ogni
trasformazione che mi sono trovato a compiere mi ha presentato la controparte
sulla bilancia della sorte. Così alla fine, mi decisi ad affrontare quella
prova che non potevo più rimandare.
Un pomeriggio umido
di pioggia che scivolava sui vetri in una serie infinita di goccioline,
nell’ufficio anonimo dell’ospedale, mi trovai faccia a faccia con Charles
Evenson.
Era un uomo dal
fascino austero; capelli scuri pettinati all’indietro e baffi che gli
conferivano un aspetto severo. Indossava un completo grigio di taglio
sartoriale; il suo aspetto elegante suggeriva un uomo dominato da un forte
orgoglio, abituato ad avere successo in tutti i campi.
“Finalmente ci
incontriamo, dottor Cullen… Non ho mai avuto il piacere, prima…” disse
accomodandosi sulla sedia che gli indicavo.
Percepii una certa
arroganza. Tenni le mani in tasca; di solito non lo facevo, ma non volevo
stringergli la mano. In piedi, dietro la scrivania, parlai simulando una tranquillità
che non ero certo di avere. Ma per noi è sempre molto facile fingere.
“Che cosa posso fare
per lei, signor Evenson?”
“Sto cercando mia
moglie…” esordì senza inutili preamboli.
“Perché la cerca
qui?”
“Gli ospedali sono i
primi posti in cui si cercano le persone scomparse…” ironizzò.
“Dovrebbe rivolgersi
alla polizia.”
“Potrei farlo, ma
credo di non averne bisogno.”
“Perché si è rivolto
a me? Secondo lei, io dovrei sapere cosa è accaduto a sua moglie?” Esclamai un
po’ forzatamente.
“Beh, so che vi
conoscevate molto bene; ho pensato che poteste esservi incontrati prima della
sua scomparsa…”
“Io non la vedo da
anni… Comunque, conoscevo la signora Evenson perché era una mia paziente…”
tagliai corto.
“Mi risulta, invece,
che il vostro non era un semplice rapporto medico/paziente, ma piuttosto, di
intima confidenza…”
Alludeva alle
dicerie che erano girate su di noi. Nascosi un moto di stizza.
“Le ripeto che si
trattava di una confidenza medico/paziente. Qualsiasi altra cosa lei abbia
sentito erano tutte falsità. È venuto qui per gettarmi addosso fango e gettarne
a sua moglie?”
“No. Sono venuto qui
perché mia moglie è scomparsa, sono mesi che non ho sue notizie, e lei dottore,
è una delle poche persone qui in città che la conosceva; il giorno che è
sparita, è stata vista vagare poco distante dalla zona del burrone qui ad
Ashland… e quello stesso giorno, una suicida fu portata in questo ospedale e mi
risulta che fu lei, dottor Cullen, a occuparsene; nessuno venne a riconoscere
quella disgraziata… Ora, sulla base di tutto ciò, solo lei può dirmi se quella
donna era mia moglie…”
“Posso dirle
tranquillamente che non si trattava di sua moglie. Era una perfetta
sconosciuta, di cui non abbiamo mai scoperto il nome. Ma che motivi ha, per
credere che sua moglie abbia tentato di togliersi la vita?”
Colsi un fremito
leggero in lui; bloccò il respiro per un secondo, e forse, l’ombra fugace di un
dolore gli passò sul viso, ma non lasciò che alterasse la sua espressione
decisa.
“Mia moglie era
depressa…”
Nessun riferimento
al figlio che avevano perso. Pronunciò quella frase sintetica quasi in tono
neutro, senza particolari inflessioni.
“Capisco… Beh, mi
dispiace non poterle essere di maggior aiuto. Forse, ha atteso troppo prima di
iniziare le ricerche…”
In quel momento sperai
che se ne andasse, ma non sembrava averne voglia e io stavo diventando
impaziente di liquidarlo in fretta. Come se si fosse perso in una sua
riflessione, Evenson fece una lunga pausa, senza mai staccare i suoi occhi dai
miei. Avevo incontrato poche le persone che sapessero sostenere senza disagio
lo sguardo ammaliante di un vampiro; era lo sguardo di un uomo abituato alle
sfide e sempre pronto a raccoglierle; fissavo quegli occhi neri che sostenevano
i miei senza apparente sforzo, e capivo che non si sarebbe arreso di fronte al
primo ostacolo. Tornò a parlare con uno strano tono ambiguo, quasi cinico.
“Lo sa, è strano
dottor Cullen…”
“A cosa si
riferisce?”
“Al fatto che mia
moglie, che conosceva piuttosto bene a quanto mi risulta, sia scomparsa nella stessa
città in cui lavora lei: è quantomeno, una strana coincidenza. Non trova,
dottore?”
“Davvero, io non
afferro il senso delle sue parole…”
“Suvvia, dottor
Cullen… siamo uomini di mondo, no?” Ironizzò nuovamente mentre piegava la bocca
nella smorfia di un sorriso.
“Le sue allusioni
iniziano a non piacermi…e ora se vuole scusarmi, io dovrei tornare dai miei
pazienti…”
Evenson si alzò
dalla sedia per andarsene.
“Non la trattengo
oltre dottore. Ma le dirò solo una cosa: ho la strana certezza che mia moglie
sia ancora viva. Sono abituato ad andare al fondo delle cose; scoprirò la
verità… può giurarci. Ho molte conoscenze e posso arrivare dove voglio.”
Rimasi solo nel mio
studio a soppesare l’importanza delle parole di quell’uomo. Era chiaro che non
si sarebbe fermato e che aveva una sua idea in testa.
Quale fosse io non
potevo saperlo, ma Edward lo avrebbe scoperto per me. Telefonai subito a casa
mia per parlare con mio figlio e spiegargli la situazione.
Mi rispose subito
all’altro capo del telefono.
“Carlisle, che
succede?”
“Si tratta del
marito di Esme; è venuto qui e ha fatto un sacco di domande… Vorrei verificare
i suoi sospetti; dovresti sondare la sua mente, Edward.”
Tornai a casa un’
ora più tardi, dove Esme mi accolse col suo consueto calore; percepì subito che
qualcosa non andava. Edward era uscito a fare quello che gli avevo chiesto.
“Amore mio, perché
hai l’aria così preoccupata? Qualcuno ha scoperto che sei un affascinante
vampiro?” Rise.
Avrei voluto ridere con lei, ma non ne avevo
voglia.
“Edward non ti ha
detto niente, Esme?”
“No. L’ho visto
uscire in fretta, mezzora fa, ma non mi ha detto dove andava.”
“Andava da tuo
marito…”
“Cosa? E perché
mai?”
“Ti sta cercando
Esme. Non potrà mai intuire la verità, ma dobbiamo sapere cosa ha in mente. È
convinto che tu sia ancora viva…”
Parlai con la
massima tranquillità esponendo i fatti.
Le raccontai tutto
della discussione che avevo avuto con Charles Evenson. Esme mi ascoltò con
calma, senza tradire nessuna apparente emozione o titubanza, prima di chiedermi
quello che già sapeva.
“Dovremo lasciare la
città, vero?” Sembrava più una constatazione che una domanda.
“Credo di sì, ma
aspettiamo di sapere cosa avrà scoperto Edward. Poi decideremo.”
“Carlisle, per quel
poco che posso ricordare di lui, so che è un uomo testardo. Non si arrenderà
facilmente.”
“Lo credo anch’io. –
Mi avvicinai alla mia compagna e l’accarezzai sulle braccia - …Non preoccuparti
Esme; io sono deciso a proteggere questa famiglia. Charles Evenson non potrà
farci alcun male.” La baciai con passione, stringendola a me.
Per quanto Charles
fosse testardo, non avrebbe potuto nulla contro tre vampiri e certamente, non
avrebbe potuto prendere Esme o costringerla a tornare da lui. Ma c’era il
nostro segreto da custodire e proteggere, e non potevo permettere che Evenson
formulasse accuse infamanti contro di me.
Edward tornò circa
due ore dopo. Io e Esme lo attendevamo impazienti.
Era andato a casa
dell’uomo, ma aveva dovuto aspettare che tornasse. Rimase all’esterno
dell’abitazione, ma bastò per sentire i suoi pensieri meschini.
Non dovevi
permetterti di lasciarmi…
Una moglie non
lascia un marito…
Ti troverò Esme…
so che sei con lui,
lo sento.
Prima o poi, lo
scoprirò.
Tu e Cullen non
sarete liberi di essere felici.
Sarà la missione
della mia vita.
Esme aveva ragione,
era un uomo testardo, non abituato ad arrendersi. Ma il vero problema era il
sentimento rancoroso e vile che quell’uomo nutriva. E sulla vicenda di sua
moglie si era fatto un’ idea pericolosa, troppo vicina alla verità, o almeno a
una parte di essa.
“Edward, cosa hai
scoperto?”
Ero ansioso e non
riuscivo a nasconderlo.
“Charles Evenson è
convinto che Esme, non soltanto sia ancora viva, ma che stia con te, Carlisle.
Crede che sua moglie gli sia stata infedele e che ora, dopo averti ritrovato,
abbia deciso di lasciare il tetto coniugale per stare finalmente con l’uomo di
cui si era innamorata a Columbus, dimenticandosi anche del bimbo che hanno
perso. Vuole venire qui con dei testimoni a smascherarla, e rovinare anche la
reputazione del dottor Cullen… è un uomo pieno di risentimento e livore.”
A quel punto Esme,
esplose di rabbia; il suo primo impulso fu quello di precipitarsi dal marito,
forse per fargli del male. Dovetti trattenerla a forza.
“Maledetto!! Come
osa? Come osa solo pensare una cosa del genere?! Che io abbia dimenticato il
mio bambino!! Come può essere così meschino!!”
“Calmati Esme, per
favore. Non risolveremo nulla comportandoci così. Tuo marito sta reagendo come
un uomo che è stato ferito nell’orgoglio; per fortuna non ha nessuna prova a
conferma delle sue teorie. Non dobbiamo fare passi falsi e agire d’impulso.
Possiamo solo andarcene, dobbiamo farlo prima che decida davvero di venire qui.
Troverà solo una casa vuota. Sarà impossibile per lui trovarci.”
E così facemmo.
Preparammo in fretta
e furia tutte le nostre cose.
Caricammo poche
valigie in macchina. Nella casa non restò traccia di noi.
Chi vi fosse
entrato, l’avrebbe trovata spoglia e disabitata, senza alcun riferimento al
luogo della nostra destinazione.
Con l’ospedale avevo
già messo le mai avanti da tempo; una mia lettera di dimissioni era già
depositata da qualche settimana presso l’ufficio dell’amministrazione.
Non era una
procedura molto regolare, ma avevo lasciato intendere di avere problemi di
carattere famigliare, che avrebbero richiesto presto la mia presenza lontano da
Ashland. Il direttore dell’ospedale si era dimostrato dispiaciuto all’idea di
perdere un medico con la mia preparazione, ma non aveva potuto opporsi.
Tutto mi sembrò
risolto. Ma per Esme non fu esattamente così.
In maniera del tutto
imprevista, lei avrebbe messo la parola fine al rapporto con suo marito,
in modo del tutto personale, ma certo, proprio del suo carattere forte.
Quella sera, presa
la decisione di lasciare la città, la vidi correre di sopra nella nostra
camera. Si assentò, mentre io e Edward, seduti in sala da pranzo, decidevamo
dove dirigerci. Ogni tanto Edward puntava lo sguardo al soffitto, dove c’era la
nostra camera da letto, come se ascoltasse.
Percepivo una strana
atmosfera d’aspettativa. Non mi sentivo tranquillo.
Dopo una decina di
minuti, vidi Esme scendere velocemente dalle scale, avvicinarsi a me per
accarezzarmi amorevolmente una guancia.
“Carlisle, devo fare
una cosa… - mi disse. – Torno subito, non preoccuparti e fidati di me.”
Colsi uno scambio di
sguardi tra lei e mio figlio.
“Edward, diglielo
tu… non ho segreti per lui.”
Poi corse fuori,
prima che io avessi il tempo di una qualsiasi reazione.
Incerto, guardai mio
figlio, aspettando spiegazioni. Non avevo nessuna idea di cosa Esme volesse
fare. Non potevo averla.
“Cosa diavolo sta
succedendo? Posso saperlo?” chiesi un po’ spazientito.
Non sapere cosa
stava per accadere a un membro qualsiasi della mia famiglia, mi rendeva nervoso
e insicuro. Fragile.
“Non allarmarti, ma
Esme sta andando da Charles; c’è una cosa che ha deciso di fare e vuole farla
da sola…”
“Cosa vuole fare,
Esme? Dimmelo Edward…”
“Vuole lasciare una
lettera a suo marito, prima della nostra partenza…”
“Una lettera a
Charles? È rischioso! A quale scopo? Quell’uomo capirà ogni cosa… potrebbe
mettersi sulle nostre tracce con un simile indizio tra le mani.”
“È qualcosa che lei
sente di dover risolvere. Per se stessa e anche per noi. Se vorrà, sarà lei a
parlartene; ho letto quella lettera nella sua mente mentre la scriveva. Forse
erano cose che teneva dentro da tanto tempo, ma che non era mai riuscita a
dire. Sente di doverlo fare ora, perché non avrà altre occasioni…”
La mia coraggiosa,
la mia energica Esme; l’amavo per questo. La potevo comprendere.
Voleva affrontare il
suo passato fatto di dolore, per chiudere i conti con esso e non sfuggirlo in
eterno. Non si può iniziare una nuova vita, se non si chiude con quella
precedente. Bisogna tagliare i rami secchi, per dare a quelli nuovi la
possibilità di fiorire rigogliosi.
****
Charles,
ti sorprenderà ricevere questa lettera, ma se ho deciso di scriverti e
perché non voglio lasciare nulla in sospeso tra noi.
Da troppo tempo, aspettavo l’occasione giusta per liberarmi da questa
oppressione che mi ha fatto star male a lungo.
E mentre scrivo, mi rendo conto che è una cosa che ho rimandato per
troppo tempo, e capisco che se l’avessi fatta prima,
forse non saremmo mai arrivati dove siamo ora. Quando leggerai questa
lettera io sarò già troppo lontana perché tu possa trovarmi.
Con questa
lettera ti dico addio, Charles. Devi rassegnarti.
Non
cercarmi più, perché non mi troveresti. Io non esisto.
Per te non
esisterò più.
Non resta
niente di quello che sono stata un tempo, neppure il ricordo.
Lo so che
probabilmente, non afferri il senso delle mie parole, ed è meglio così.
Non
cercare la verità, perché non potresti vederla.
La Esme
che tu conoscevi, non esiste più; è morta per sempre.
Al suo
posto ora, c’è una creatura diversa che tu non potresti neanche riconoscere.
Che tu non
potresti comprendere.
La cosa
più saggia che tu possa fare è dimenticarmi, non cercare una soddisfazione che
non troveresti mai.
Perderesti
la tua vita a inseguire un fantasma. E alla fine, ti ritroveresti solo con la
morte.
Pensaci;
non ne vale la pena.
Sono morta
col mio bambino Charles, e tu non te ne sai mai preoccupato.
Hai
pensato che il tuo dolore fosse più grande del mio.
Hai
lasciato che io affogassi, perché di me, non ti è mai importato nulla.
Ma Derek,
nostro figlio, sarà sempre nel mio cuore e questo è qualcosa che tu non puoi
togliermi.
Nessuna
delle tue bassezze potrà farlo.
Sono morta
e rinata in un’altra forma. Potrei essere addirittura pericolosa per te.
Una
minaccia reale… non puoi capire quanto.
Sei sempre
stato un uomo troppo orgoglioso… Troppo
preso da te stesso.
Come fai
ora, a reclamare qualcosa che tu hai lasciato andare?
Tu mi hai
lasciato morire nel dolore più atroce, ma hai il coraggio del vigliacco di
accusarmi.
Non
augurarti d’incontrarmi ancora; conosco i tuoi pensieri vili.
Posso
quasi sentirli e mi fanno diventare furiosa.
Non puoi
pretendere nulla, perché nulla mi hai dato.
Non hai
diritti su di me e quel pezzo di carta non ci ha mai legati;
non ha
nessun valore e non ne ha mai avuto per te. Tu non mi hai mai amata, Charles.
E questa è
l’unica verità.
Una verità
che ho dovuto accettare, per la quale ho sofferto, inutilmente.
Perché ci
ho provato a farmi amare da te, ma tu hai sempre preferito le altre.
Davvero,
credevi che non lo sapessi?
Io sapevo,
ho sempre saputo.
E ho
sempre finto. Non fingerò più… Torna pure dalle tue amanti.
Neppure
io, ti ho mai amato, ora lo sai come lo so io.
Anche a
questo dovrai rassegnarti.
E lo so, perché
adesso amo davvero, Charles.
Ora
conosco la differenza tra un pallido sentimento che si perde morendo al soffio
dell’aria,
e una
passione profonda che mette radici nell’anima.
Tu non
potresti neppure immaginare quanto sia incredibile. Quanto sia vitale questo
sentimento.
Quanto mi
sia necessario… non potrei più farne a meno.
Lui non è
chi tu credi. Non cercare un uomo che non esiste e in verità, non è mai
esistito.
Amo colui
che mi ha riportato alla vita, che ha dato un nuovo senso alla mia esistenza.
Amo lui,
come non ho mai amato te, e anche questa è una verità che dovrai accettare.
E
soprattutto, lui mi ama, come non sono mai stata amata.
Ora potrei
essere felice e lotterò per esserlo, anche lontano da qui.
Lotterò
per proteggere ciò che ho adesso, qualcosa che mi è stato negato per gran parte
della mia vita,
ma che
nessuno potrà più togliermi. E sarò felice, come non sono mai stata con te.
Tu non
potrai fare nulla per impedire questo. Credimi, ogni tuo sforzo sarebbe vano.
Rinuncia e
vai per la tua strada. Non hai altra scelta.
Lui è il
mio destino. Non potrai mai separarmi da lui.
E neppure
immagini quanto pesi questo mai.
Non
torneremo.
Quindi,
non cercarci.
Addio. E.
Continua…
Spero che
questo capitolo vi sia piaciuto e che mi direte sinceramente che ne pensate.
Forse vi avrà
sorpreso un po’, ma io credo abbia una sua logica e serve a spiegare meglio
l’evoluzione della storia e di alcuni personaggi.
Allora, come avete
trovato la storia di Emy? Spero non troppo patetica, anche se ho rischiato,
devo ammetterlo.
Lo so che prima di
Bella, nessuna ragazza ha turbato la vita del nostro Edward, ma poi ho
cominciato a pensare che il nostro vampiro non poteva essere passato in mezzo
agli umani senza mai lasciarsi sfiorare dalle loro emozioni. Anche se per gran
parte della sua vita deve aver chiuso il cuore a possibili coinvolgimenti,
almeno una volta doveva esserci stato una specie di confronto… così è nata la
figura di Emy.
Spero che vi piaccia
perché in lei c’è un po’ di me (tranquille: io non sono così sfigata).
E poi la storia del
marito di Esme. Vi è simpatico il signor Evenson?
Fedifrago, cinico, non
l’ho trattato molto bene.
Questo è un episodio che
non avevo previsto all’inizio, anzi avevo pensato di liquidare la storia in
fretta e di far ripartire la famiglia Cullen verso altri lidi, ma poi Rebecca
Lupin, (santa donna che si è sorbita tutti i capitoli e li ha recensiti) mi ha
dato questo suggerimento, e io ho detto: cavolo! Ma è un’ idea fantastica!! Una
situazione interessante da sviluppare. Quindi, grazie cara!! Se ti venissero
altri suggerimenti, spara pure. Saranno sempre bene accetti.
Tu hai ispirato questo
capitolo, che altrimenti non sarebbe mai stato scritto, almeno non così nella
seconda parte. La dedica era d’obbligo.
Come sempre vi ringrazio
per tutte le vostre belle parole, per i suggerimenti e l’entusiasmo che mi
dimostrate.
Grazie ragazze, a tutte
voi, vecchie e nuove lettrici che seguite la mia storia. Vorrei rispondervi
singolarmente; ora non posso, ma mi riprometto di farlo nel prossimo capitolo.
A presto.