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Autore: Ninfea Blu    02/11/2010    7 recensioni
Salve a tutte. E' la prima volta che scrivo in questa sezione, ma sono affascinata dal personaggio del dottor Cullen, che trovo complesso e interessante, quindi ho voluto provare. Attraverso questa ff, affronto una tematica che mi interessa molto. Ho cercato di rispettare il personaggio e di svilupparlo raccontando la sua esistenza e le sue esperienze.
2° cap - "Mio padre: mi era capitato di pensare a lui... mi chiedevo come avesse reagito alla mia scomparsa, se mi avesse fatto cercare."
5° cap - "Heidi mi inquietava; era un misto di grazia ultraterrena unita a una fisicità fatta di carne e sangue. Sentivo nei suoi confronti una specie di repulsione che si mischiava all'attrazione."
9° cap - "Il mio incontro col destino avvenne una fredda mattina di febbraio, con la luce chiara che entrava attraverso la finestra del mio studio e illuminava il volto delicato di un'umana, una donna che all'epoca era la moglie di un altro uomo."
Non so se la dicitura spoiler sia corretta, di fatto non è una if. Accetto consigli.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Edward Cullen, Heidi, Tanya, Un po' tutti | Coppie: Carlisle/Esme
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Precedente alla saga
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16 – Amore platonico, orgoglio e gelosia

16 – Amore platonico, orgoglio e gelosia

 

 

Questo capitolo lo dedico a Rebecca Lupin, perché lei in parte, lo ha ispirato con la sua recensione e il suo suggerimento.

Grazie e spero che sia di tuo gradimento.

A tutti, buona lettura.

 

*****

 

Era bellissimo e dava un senso di completezza appagante poter vivere finalmente il nostro amore nella pienezza della sua manifestazione; ci sentivamo come se avessimo trovato una ragione di vita sufficiente a giustificare la nostra esistenza. Era bello poter fare l’amore ogni volta che si voleva, ascoltare solo il fervente desiderio che ci prendeva in ogni momento e soddisfarlo. Non c’erano paure o inibizioni di alcuna sorta. Quando Esme mi baciava sentivo che non c’erano colpe, dolori, ma solo la gioia di donarsi, una voglia possente che cancellava quasi totalmente ogni altro suo terribile impulso.

Quando la spogliavo sul nostro letto, o nel mezzo del bosco dopo una caccia, non c’era solo lussuria, ma la nostra fame d’amore da soddisfare e la sensazione che i nostri cuori avessero ripreso a battere e che il sangue si fosse sciolto e corresse impetuoso nelle nostre vene come un fiume caldo.

Amarsi, per sentirsi meravigliosamente ancora vivi.

La felicità mia e di Esme sarebbe stata quasi assoluta, senza l’afflizione per mio figlio; scoprire così chiaramente la sua inquietudine mi fece sentire triste e inutile.

Potevo solo sperare che trovasse presto una sua dimensione, un equilibrio all’interno del nostro piccolo mondo.

Esme avrebbe potuto aiutarlo in questo, meglio di quanto sarei riuscito a fare io. Almeno con lei, a momenti alterni riusciva ad essere sereno.

Avrebbe avuto bisogno di una compagna, che gli rendesse più sopportabile l’esistenza amara, ma dove trovarla? Questa era una cosa che neppure io potevo fare.

Quando e come avrebbe potuto innamorarsi? Sapevo quanto fosse difficile trovare qualcuno simile a noi.

Ripensai a Tanya; la bellissima vampira era stata respinta più di una volta e caratterialmente, forse non era del tutto indicata.

Come Esme mi aveva fatto notare, riflettendo su quanto Edward odiasse la sua natura, era probabile che il disprezzo di sé gli impedisse di cogliere quello che di bello e delicato, magari fortuitamente, sarebbe potuto entrare nella sua vita.

A scuola, Edward non aveva mai dimostrato interesse verso nessuna delle sue compagne, e il suo talento così particolare, uccideva in lui qualunque curiosità verso di loro. Se all’inizio della sua vita, quell’esperienza aveva avuto i suoi lati piacevoli e intriganti, col passare degli anni, i pensieri di quelle ragazze umane che subivano il fascino innaturale di mio figlio, finirono spesso per annoiarlo. Quando questi pensieri erano troppo spinti, alla noia seguiva l’irritazione, a cui reagiva escludendo dalla mente la quasi totalità di quelle voci femminili.

Tutto troppo prevedibile, senza mistero, componente alla base di ogni interesse maschile verso una donna.

Mi ero innamorato di Esme quando era ancora umana per la sua aurea misteriosa, per quel conturbante fascino femminile che sa celare l’indefinibile nello sguardo, un enigma da risolvere quasi irrisolvibile, che cattura e avvince l’anima di un uomo e forse, anche quella bruciata di un vampiro.

Troppo consapevole di questo, credevo che nessuna ragazza avrebbe saputo esercitare una simile attrazione su Edward. Per lui, non ci sarebbe mai stato il gusto della scoperta. Edward sembrava vivere in mezzo agli umani, violando i loro pensieri più contorti, senza lasciarsi sfiorare da nessuna emozione, senza mai lasciarsi coinvolgere dai loro drammi personali; appariva quasi indifferente a tutto quello che poteva turbare la loro vita. Mi era parso così la maggior parte delle volte e lo sarebbe stato ancora chissà per quanto. Ogni volta che la mia famiglia avesse lasciato una città, per mio figlio, non ci sarebbe stato altro che un’infinita sequela di esperienze sempre uguali da lasciarsi alle spalle. Così pensavo.

Così vedevo mio figlio, per quel poco che mi lasciava vedere; c’era una parte del suo mondo privato in cui lui non mi permetteva di entrare.

Lui si confidava con Esme più di quanto non facesse con me; infatti, a lei per prima, raccontò una storia sorprendente di cui io non ero mai venuto a conoscenza.

Avevo detto a Esme della nostra piccola discussione e ne era rimasta molto impressionata.

Lo aveva raggiunto nella sua stanza; Edward, straiato su un grande divano era sprofondato nella lettura di un libro, ma appena lei mise piede nella camera le prestò subito tutta la sua attenzione.

Fu investito dai suoi pensieri carichi d’ansia.

 

- È vero Edward? È vero che hai pensato di abbandonarci?

 

“No Esme, stai pure tranquilla. È qualcosa che ho considerato, ma per ora non lo farò…”

“Se è per causa mia, ti dico subito che non c’ è motivo che tu faccia una cosa del genere. Perderti sarebbe penoso non solo per Carlisle, ma anche per me. Ti sembrerà assurdo, ma io ti considero quel figlio che non potrò mai più avere…”

“Lo so Esme…e ti ringrazio. Tu sei molto cara e io non voglio darti un dispiacere… e non voglio darlo neppure a lui, in fondo…”

“Edward, non credi che la felicità potrebbe esistere anche per te, se tu volessi concedere una possibilità al tuo cuore? Perché pensi di non esserne degno? Hai bisogno di qualcuno accanto… non negarlo. Se l’amore arrivasse col vento non bisogna chiudere le finestre…”

A quel punto, Edward chiuse definitivamente il libro che stava leggendo, si alzò dal divano per riporlo sulla scrivania, quindi si appoggiò contro di essa infilandosi le mani nelle tasche dei calzoni.

“Voglio raccontarti una storia Esme… una storia che neppure Carlisle conosce…”

Solo un istante, puntò lo sguardo ambrato fuori dalla finestra, perdendosi nei dettagli del panorama che si intravedeva attraverso i vetri; il vento freddo dell’autunno scuoteva le foglie che si staccavano dagli alberi quasi spogli. Edward colse una foglia secca nel momento preciso in cui la vide oscillare e staccarsi dal ramo, ne seguì il percorso delle volute disegnate nell’aria, mentre lentamente, si posava al suolo perdendosi con le altre.

Allora, tornò a spostare la sua attenzione su Esme che seduta sul divano lo fissava immobile.

Iniziò a raccontare.

 

“È accaduto pochi mesi prima che Carlisle ti trovasse in ospedale…

C’era una ragazza a scuola; si chiamava Emy Foster.

Emy era una ragazzina di quindici anni piuttosto chiusa, timida e riservata, nascosta dietro un paio di lenti che facevano apparire più grandi i suoi occhi scuri. Non era particolarmente graziosa o avvenente; fisico acerbo e capelli corti, nessuno badava a lei. I ragazzi non le mostravano alcun interesse, ma a lei pareva non importare.

Aveva un’ amica del cuore, una compagna di scuola con cui si confidava e andava d’accordo. Ricordo che erano davvero inseparabili.

Non frequentava i miei corsi, per cui non la vedevo spesso. La incontravo solo alla mensa della scuola…

 

Sembrava vivere in un mondo tutto suo, e sondando i suoi pensieri, capii quale fosse la ragione. -  Fece una pausa, come se stesse riavvolgendo pensieri e immagini nella sua testa. - …Il padre era un alcolizzato, un ubriacone incapace di tenersi un lavoro, che quando beveva troppo, diventava violento e riempiva di botte sua madre. Emy viveva una realtà da incubo e per sfuggire a quella realtà squallida che era la sua vita, si rifugiava nei suoi sogni di adolescente; sognava di andarsene per il mondo a cercar fortuna, di prendere sua madre e di andare in un’altra città per ricominciare da capo, senza il padre.

Voleva fare la stilista di moda, ma le sarebbe piaciuto disegnare fumetti; le pagine dei suoi quaderni, i bordi dei libri di testo erano pieni di schizzi a biro e disegni a matita che faceva in ogni momento, anche durante le lezioni di matematica. Vedevo quei disegni nascere nella sua testa completi di forma e colori; quando li trasportava su carta a volte, erano diversi da come erano stati concepiti all’inizio. Potevano essere migliori o peggiori; sciolti e liberi, pieni di energia nella loro espressione di vitalità, o deboli, poco incisivi. Come si arrabbiava quando non riusciva a concretizzare l’idea originaria; prendeva il disegno e lo distruggeva con un moto improvviso di frustrazione. A me pareva che attraverso quegli schizzi, Emy liberasse la sua anima.

La cosa che maggiormente m’incuriosì di lei, era il fatto che non sembrava subire il mio fascino come accadeva a tutte le altre; si sarà soffermata a pensare a me, una volta o due, e mai in maniera morbosa; poco interessata al mio aspetto, più che altro, si chiedeva perché apparissi così scostante. Un giorno, mentre stava lasciando la mensa, le caddero a terra i fogli dei suoi disegni. Mi ero appena alzato dal mio posto per uscire e le passai accanto, e per uno strano impulso da cui di solito, non mi lasciavo prendere, mi chinai e l’aiutai a raccoglierli. Lei mi guardò un po’ meravigliata, mentre per la prima volta, pensava che fossi un ragazzo magari un po’ scontroso, ma comunque gentile.

 

Belli i tuoi disegni - le dissi.

Grazie – mi rispose.

 

Praticamente, fu la nostra unica conversazione. Non ci furono mai altre parole tra di noi.

Ma da quel momento, Emy iniziò a pensare a me in maniera diversa e con più frequenza di prima. Cominciò a fantasticare su come fossi in realtà: disponibile, sensibile, generoso, mi attribuì ogni buona qualità le venisse in mente. In pratica, mi idealizzò trasformandomi nel bravo ragazzo per eccellenza. Una vera sognatrice.

Non so come fu, ma lentamente, Emy si innamorò di me, o di ciò che io rappresentavo per lei; l’evasione, la fuga dalla realtà.

Penso che se mi avesse visto baciare una ragazza diversa, sarebbe caduta nella depressione più nera. E già ne aveva di motivi per essere depressa.

Il suo era un amore assolutamente platonico. Era la prima volta che mi capitava d’incontrarlo tra gli umani; non avevo molta esperienza, ma che io ne fossi l’oggetto era sorprendente. E devo dire che all’inizio, mi piacque molto.

Mi piaceva guardarmi attraverso i suoi occhi; contemplavo con sincero stupore il riflesso di me stesso che mi restituiva la sua mente ingenua e innocente.

Era bello vedersi come un bravo ragazzo, non semplicemente come il sogno erotico di ragazze più disinvolte. Mi faceva sentire migliore di ciò che ero.

Era una bella illusione; mi cullai in essa per un po’… - Edward sorrise al ricordo, come se la dolcezza di una sensazione venisse a solleticargli l’anima spenta. -

 

Era bello essere amato anche così, a distanza.

Non c’era il rischio di un reale coinvolgimento che potesse complicare tutto.

Soprattutto, non era pericoloso; io non ero davvero attratto da lei. Emy non si sarebbe mai dichiarata, non avrebbe mai manifestato i suoi sentimenti, non mi avrebbe mai chiesto di uscire con lei; nessun appuntamento, o bacio furtivo dato sotto la luna, di nascosto dai genitori. Lei non voleva nessuna di queste cose, perché era troppo timida solo per immaginarle, e se anche le avesse volute, non le avrebbe confessate neppure sotto tortura.

Era diventato quasi piacevole andare a scuola per spiarmi nei suoi pensieri; fuori da quella bolla di grazia, i suoi sogni erano sempre inquinati dalla realtà più triste che viveva in famiglia. Non avevo bisogno di conoscere suo padre, per odiarlo in maniera viscerale. Mi bastava vederlo attraverso la sua mente; dovevo stringere i denti per non cedere alla rabbia segreta che mi covava dentro. Poi, un brutto giorno non venne a scuola.

Iniziai a preoccuparmi seriamente dopo quattro giorni di assenze prolungate.

Perché Emy non tornava? Era un’ allieva diligente e studiosa.

Sondai le menti degli altri ragazzi alla ricerca di informazioni, ma nessuno sapeva nulla, o si chiedeva il motivo delle assenze di Emy. Anche la sua amica del cuore non la vedeva da giorni; in lei trovai la mia stessa preoccupazione e forse, un timore in più; conosceva le cattive abitudini del padre.

Sapevo dove abitava; la sua casa sorgeva nel piccolo quartiere popolare della città, una specie di ghetto di uno squallore desolante.

Decisi di andare a verificare che stesse bene e che non le fosse accaduto nulla di terribile. Quella sera andai a casa sua, senza essere visto.

Sua madre era in casa; sentivo i suoi pensieri confusi e preoccupati, ma non furono quelli a spaventarmi, quanto la paura, il senso di panico da cui erano pervasi, che le schiacciava il cuore. Un pensiero su tutti gli altri mi colpì, impietoso come un colpo di frustra che lacera la pelle del corpo.

 

- Se l’è presa anche con lei… finché si trattava di me, potevo sopportarlo, ma non deve fare del male a Emy…

 

La mia mente si oscurò per un istante; provai autentico terrore.

Dovevo vedere Emy; dovevo essere sicuro che stesse bene.

Sbirciai dalla finestra della sua stanza che dava direttamente sulla strada posteriore. E la vidi.

Vidi il suo piccolo corpo, le sue spalle troppo fragili per quel peso.

Era sul letto, rannicchiata con le gambe piegate contro il petto, trattenute dalle piccole braccia magre, raccolta in una posizione di difesa.

Sentii i suoi pensieri e il suo pianto silenzioso e senza lacrime.

 

Edward, ti prego… vieni a salvarmi, portami via da questo posto. Se solo tu potessi… sono certa che lo faresti, perché sei un ragazzo buono. Non sei come mio padre…

 

Non avevo mai capito quanto fosse fragile, prima di vederla lì, sul suo letto.

Confusamente sperava, sognava che io, per qualche assurdo miracolo venissi a salvarla, a portarla via da lì. Ma sapeva che nessuno – tanto meno io - l’avrebbe salvata.

I suoi pensieri mi distrassero solo un momento dai suoi lividi scuri, ne aveva sulle braccia e sulle gambe semicoperte dalla gonna; sulla tempia all’altezza dell’occhio destro, un grosso ematoma di colore violaceo si stava riassorbendo.

Fui invaso da un furore folle; se in quel momento, avessi avuto suo padre tra le mani, so esattamente come sarebbe finita. Lo avrei ucciso senza nessuna pietà.

Per giorni lottai con l’impulso, la tentazione di attuare il mio proposito. Desideravo solo liberarla dal padre aguzzino. Volevo uccidere quell’uomo; volevo ucciderlo perché in fondo, ero più mostro di lui. Volevo torturarlo e fargli male, fargli pagare il tormento fisico e morale che infliggeva alla figlia.

Quando ho cominciato a pensare a questo, ho capito che la bella illusione in cui mi ero cullato fino a quel momento, stava crollando.

L’ideale di Emy, non avrebbe retto il confronto con la realtà. Il mostro stava ricomparendo davanti ai miei occhi. Per poco, lo avevo soffocato, o semplicemente rivestito di una livrea nuova. Era inutile illudersi, credersi diverso. Io non ero perfetto, non ero un bravo ragazzo, soprattutto non ero qualcuno da poter amare.

L’amore platonico sarebbe sfumato in nulla davanti al ghigno orrendo del vampiro.

Se Emy avesse saputo cosa ero in realtà, non avrebbe provato altro che disgusto e orrore. Emy amava un ragazzo che non esisteva e non poteva esistere.

Amava un’illusione, una sua costruzione mentale che opponeva alla tristezza della sua condizione d’infelice.

Emy era troppo innocente e pura per amare un vampiro.

Sarebbe stato solo crudele, da parte mia, farla uscire da un incubo per farla entrare un uno anche peggiore.

Semplicemente, nessuna ragazza poteva amarmi davvero per ciò che ero.

Io potevo offrire loro, solo un bell’involucro, un’immagine illusoria che serviva a nascondere un essere mostruoso.”

 

Esme aveva ascoltato il racconto senza respirare, lasciandosi invadere dall’emozione.

“Edward, vedi ancora Emy? Cosa le è accaduto?”

“Non è più tornata a scuola; la madre, per proteggerla, l’ha mandata a vivere con alcuni parenti in un’altra città.”

“Che storia triste e commovente… Però dimostra qualcosa d’importante…” Edward colse subito il pensiero successivo della vampira.

 

Hai provato qualcosa di buono per quell’umana… forse qualcosa di simile all’amore…C’è del buono in te, Carlisle ha ragione di crederlo…

 

“No Esme, non pensarlo neppure. Non era amore, non ho mai guardato Emy in quel modo…”

“Hai provato dei sentimenti per lei, ti sei preoccupato per un essere umano. Questo vorrà pure dire qualcosa; significa che è possibile…”

 

…potresti innamorarti… non sei il mostro che credi…

 

“Dimentichi che volevo uccidere suo padre; liberarla di un mostro per imporle la presenza ancora più inquietante di un vampiro sarebbe stato crudele e assurdo. No… era qualcosa che non poteva funzionare.”

“Perché non hai cercato di avvicinarti a Emy? Avresti potuto essere suo amico. Avrebbe fatto bene a te e a lei; magari per poco l’avresti resa felice.”

“Te lo ripeto; non avrebbe funzionato. Un giorno sarei dovuto andarmene per lasciarla sola. Sarebbe stato solo peggio, non credi?”

Esme sospirò senza sapere che rispondere.

 

 

Chissà, magari avrebbe funzionato. Forse Edward con Emy si sarebbe sentito meno solo.

Di quella storia non ne avevo mai saputo nulla, mio figlio non mi aveva mai parlato di Emy, di quello che aveva provato per quella ragazza.

Forse in quel periodo avevo colto in lui qualcosa di diverso, un’insolita sfumatura nello sguardo meno cupo, ma non l’avevo attribuita a un evento particolare della sua vita. Era solo all’inizio della sua esperienza scolastica e credevo che in lui prevalesse il gusto per la novità.

Quando Esme in confidenza, mi raccontò la storia, restai assolutamente sorpreso. Ma arrivai alle stesse conclusioni di lei; Edward avrebbe potuto trovare l’amore un giorno, provare quel sentimento che ci faceva sentire tanto umani, che ci rendeva più ricchi e migliori.

Credo che anche per mio figlio, fu una sorta di amore platonico, se questa definizione può essere esatta e se questo concetto può esistere per un vampiro.

Ma non aveva voluto crederci fino in fondo. Forse aveva avuto paura delle conseguenze.

La storia di Emy mi avrebbe fatto riflettere ancora molto sulla condizione di Edward, ma nell’immediato, avevo altre preoccupazioni.

 

Charles Evenson era tornato ancora in ospedale.

Finché mi era stato possibile, avevo cercato di evitare quell’incontro col passato di Esme, ma quell’uomo, suo marito in un’altra vita, non si era rassegnato di fronte ai muri che opponevo alla sua ricerca. Era arrivato una mattina, inaspettato come una pioggia torrenziale improvvisa che ti sorprende in mezzo alla strada; aveva chiesto all’infermiera dell’accettazione della misteriosa donna suicida, anonima sconosciuta che nessuno era venuto a reclamare e che era stata sepolta nel cimitero della città a spese dell’ospedale.

 

- Qual è il nome del medico che prestò i primi soccorsi alla donna?

- Il dottor Carlisle Cullen…

 

Appena saputo il mio nome, Charles Evenson non aveva saputo mascherare un vero moto di sorpresa, anche l’infermiera l’aveva notato.

 

- Vorrei parlare col dottor Cullen…

- Sono spiacente; in questo momento non è di turno…

- Quando lo posso trovare?

- Magari domani mattina…

 

Era tornato diverse volte a chiedere di me, ma per puro caso, o perché non mi facevo trovare, ero sempre riuscito ad evitare d’incontrarlo. Non era per mancanza di coraggio che lo stavo evitando… o forse, tentavo di convincermi di questo; cosa avrei potuto dirgli? E soprattutto, lui che cosa mi avrebbe chiesto? Sospettava qualcosa? Sicuramente ricordava i pettegolezzi a Columbus, di cui io e Esme eravamo stati involontari protagonisti. Sapevo che all’epoca, furono motivo d’attrito tra lui e la moglie.

Avevo falsificato il certificato di morte di Esme con un nome fittizio, ma volevo evitare che si sollevassero indagini sulla donna sconosciuta, o peggio, che venisse richiesta la riesumazione della salma; nella bara di Esme c’era il corpo di una barbona uccisa dal freddo, che quell’inverno era stato particolarmente rigido.

In obitorio, era stato uno scherzo sostituire Esme con il cadavere della povera donna; per sicurezza, quasi con un senso di leggera nausea, perché mi sembrò di compiere una profanazione, le avevo anche procurato delle fratture che suggerissero una morte violenta. Nessuno aveva fatto domande.

In fondo, non c’era stata mai profanazione più grande e disgustosa di quella che avevo fatto, prima a Edward, e dopo, alla donna che amavo.

Quindi, perché tormentarmi, se mi ero già macchiato della colpa più grave?

Ma il destino, volente o no, viene sempre a chiederti il conto delle tue azioni; con me, lo stava facendo attraverso il marito di Esme. Ho imparato con l’esperienza che quelle di noi vampiri hanno sempre un prezzo più alto di quelle umane. Ogni trasformazione che mi sono trovato a compiere mi ha presentato la controparte sulla bilancia della sorte. Così alla fine, mi decisi ad affrontare quella prova che non potevo più rimandare.

Un pomeriggio umido di pioggia che scivolava sui vetri in una serie infinita di goccioline, nell’ufficio anonimo dell’ospedale, mi trovai faccia a faccia con Charles Evenson.

Era un uomo dal fascino austero; capelli scuri pettinati all’indietro e baffi che gli conferivano un aspetto severo. Indossava un completo grigio di taglio sartoriale; il suo aspetto elegante suggeriva un uomo dominato da un forte orgoglio, abituato ad avere successo in tutti i campi.

 

“Finalmente ci incontriamo, dottor Cullen… Non ho mai avuto il piacere, prima…” disse accomodandosi sulla sedia che gli indicavo.

Percepii una certa arroganza. Tenni le mani in tasca; di solito non lo facevo, ma non volevo stringergli la mano. In piedi, dietro la scrivania, parlai simulando una tranquillità che non ero certo di avere. Ma per noi è sempre molto facile fingere.

“Che cosa posso fare per lei, signor Evenson?”

“Sto cercando mia moglie…” esordì senza inutili preamboli.

“Perché la cerca qui?”

“Gli ospedali sono i primi posti in cui si cercano le persone scomparse…” ironizzò.

“Dovrebbe rivolgersi alla polizia.”

“Potrei farlo, ma credo di non averne bisogno.”

“Perché si è rivolto a me? Secondo lei, io dovrei sapere cosa è accaduto a sua moglie?” Esclamai un po’ forzatamente.

“Beh, so che vi conoscevate molto bene; ho pensato che poteste esservi incontrati prima della sua scomparsa…”

“Io non la vedo da anni… Comunque, conoscevo la signora Evenson perché era una mia paziente…” tagliai corto.

“Mi risulta, invece, che il vostro non era un semplice rapporto medico/paziente, ma piuttosto, di intima confidenza…”

Alludeva alle dicerie che erano girate su di noi. Nascosi un moto di stizza.

“Le ripeto che si trattava di una confidenza medico/paziente. Qualsiasi altra cosa lei abbia sentito erano tutte falsità. È venuto qui per gettarmi addosso fango e gettarne a sua moglie?”

“No. Sono venuto qui perché mia moglie è scomparsa, sono mesi che non ho sue notizie, e lei dottore, è una delle poche persone qui in città che la conosceva; il giorno che è sparita, è stata vista vagare poco distante dalla zona del burrone qui ad Ashland… e quello stesso giorno, una suicida fu portata in questo ospedale e mi risulta che fu lei, dottor Cullen, a occuparsene; nessuno venne a riconoscere quella disgraziata… Ora, sulla base di tutto ciò, solo lei può dirmi se quella donna era mia moglie…”

“Posso dirle tranquillamente che non si trattava di sua moglie. Era una perfetta sconosciuta, di cui non abbiamo mai scoperto il nome. Ma che motivi ha, per credere che sua moglie abbia tentato di togliersi la vita?”

Colsi un fremito leggero in lui; bloccò il respiro per un secondo, e forse, l’ombra fugace di un dolore gli passò sul viso, ma non lasciò che alterasse la sua espressione decisa.

“Mia moglie era depressa…”

Nessun riferimento al figlio che avevano perso. Pronunciò quella frase sintetica quasi in tono neutro, senza particolari inflessioni.

“Capisco… Beh, mi dispiace non poterle essere di maggior aiuto. Forse, ha atteso troppo prima di iniziare le ricerche…”

In quel momento sperai che se ne andasse, ma non sembrava averne voglia e io stavo diventando impaziente di liquidarlo in fretta. Come se si fosse perso in una sua riflessione, Evenson fece una lunga pausa, senza mai staccare i suoi occhi dai miei. Avevo incontrato poche le persone che sapessero sostenere senza disagio lo sguardo ammaliante di un vampiro; era lo sguardo di un uomo abituato alle sfide e sempre pronto a raccoglierle; fissavo quegli occhi neri che sostenevano i miei senza apparente sforzo, e capivo che non si sarebbe arreso di fronte al primo ostacolo. Tornò a parlare con uno strano tono ambiguo, quasi cinico.

“Lo sa, è strano dottor Cullen…”

“A cosa si riferisce?”

“Al fatto che mia moglie, che conosceva piuttosto bene a quanto mi risulta, sia scomparsa nella stessa città in cui lavora lei: è quantomeno, una strana coincidenza. Non trova, dottore?”

“Davvero, io non afferro il senso delle sue parole…”

“Suvvia, dottor Cullen… siamo uomini di mondo, no?” Ironizzò nuovamente mentre piegava la bocca nella smorfia di un sorriso.

“Le sue allusioni iniziano a non piacermi…e ora se vuole scusarmi, io dovrei tornare dai miei pazienti…”

Evenson si alzò dalla sedia per andarsene.

“Non la trattengo oltre dottore. Ma le dirò solo una cosa: ho la strana certezza che mia moglie sia ancora viva. Sono abituato ad andare al fondo delle cose; scoprirò la verità… può giurarci. Ho molte conoscenze e posso arrivare dove voglio.”

 

Rimasi solo nel mio studio a soppesare l’importanza delle parole di quell’uomo. Era chiaro che non si sarebbe fermato e che aveva una sua idea in testa.

Quale fosse io non potevo saperlo, ma Edward lo avrebbe scoperto per me. Telefonai subito a casa mia per parlare con mio figlio e spiegargli la situazione.

Mi rispose subito all’altro capo del telefono.

“Carlisle, che succede?”

“Si tratta del marito di Esme; è venuto qui e ha fatto un sacco di domande… Vorrei verificare i suoi sospetti; dovresti sondare la sua mente, Edward.”

Tornai a casa un’ ora più tardi, dove Esme mi accolse col suo consueto calore; percepì subito che qualcosa non andava. Edward era uscito a fare quello che gli avevo chiesto.

“Amore mio, perché hai l’aria così preoccupata? Qualcuno ha scoperto che sei un affascinante vampiro?” Rise.

 Avrei voluto ridere con lei, ma non ne avevo voglia.

“Edward non ti ha detto niente, Esme?”

“No. L’ho visto uscire in fretta, mezzora fa, ma non mi ha detto dove andava.”

“Andava da tuo marito…”

“Cosa? E perché mai?”

“Ti sta cercando Esme. Non potrà mai intuire la verità, ma dobbiamo sapere cosa ha in mente. È convinto che tu sia ancora viva…”

Parlai con la massima tranquillità esponendo i fatti.

Le raccontai tutto della discussione che avevo avuto con Charles Evenson. Esme mi ascoltò con calma, senza tradire nessuna apparente emozione o titubanza, prima di chiedermi quello che già sapeva.

“Dovremo lasciare la città, vero?” Sembrava più una constatazione che una domanda.

“Credo di sì, ma aspettiamo di sapere cosa avrà scoperto Edward. Poi decideremo.”

“Carlisle, per quel poco che posso ricordare di lui, so che è un uomo testardo. Non si arrenderà facilmente.”

“Lo credo anch’io. – Mi avvicinai alla mia compagna e l’accarezzai sulle braccia - …Non preoccuparti Esme; io sono deciso a proteggere questa famiglia. Charles Evenson non potrà farci alcun male.” La baciai con passione, stringendola a me.

Per quanto Charles fosse testardo, non avrebbe potuto nulla contro tre vampiri e certamente, non avrebbe potuto prendere Esme o costringerla a tornare da lui. Ma c’era il nostro segreto da custodire e proteggere, e non potevo permettere che Evenson formulasse accuse infamanti contro di me.

Edward tornò circa due ore dopo. Io e Esme lo attendevamo impazienti.

Era andato a casa dell’uomo, ma aveva dovuto aspettare che tornasse. Rimase all’esterno dell’abitazione, ma bastò per sentire i suoi pensieri meschini.

 

Non dovevi permetterti di lasciarmi…

Una moglie non lascia un marito…

Ti troverò Esme…

so che sei con lui, lo sento.

Prima o poi, lo scoprirò.

Tu e Cullen non sarete liberi di essere felici.

Sarà la missione della mia vita.

 

Esme aveva ragione, era un uomo testardo, non abituato ad arrendersi. Ma il vero problema era il sentimento rancoroso e vile che quell’uomo nutriva. E sulla vicenda di sua moglie si era fatto un’ idea pericolosa, troppo vicina alla verità, o almeno a una parte di essa.

“Edward, cosa hai scoperto?”

Ero ansioso e non riuscivo a nasconderlo.

“Charles Evenson è convinto che Esme, non soltanto sia ancora viva, ma che stia con te, Carlisle. Crede che sua moglie gli sia stata infedele e che ora, dopo averti ritrovato, abbia deciso di lasciare il tetto coniugale per stare finalmente con l’uomo di cui si era innamorata a Columbus, dimenticandosi anche del bimbo che hanno perso. Vuole venire qui con dei testimoni a smascherarla, e rovinare anche la reputazione del dottor Cullen… è un uomo pieno di risentimento e livore.”

A quel punto Esme, esplose di rabbia; il suo primo impulso fu quello di precipitarsi dal marito, forse per fargli del male. Dovetti trattenerla a forza.

“Maledetto!! Come osa? Come osa solo pensare una cosa del genere?! Che io abbia dimenticato il mio bambino!! Come può essere così meschino!!”

“Calmati Esme, per favore. Non risolveremo nulla comportandoci così. Tuo marito sta reagendo come un uomo che è stato ferito nell’orgoglio; per fortuna non ha nessuna prova a conferma delle sue teorie. Non dobbiamo fare passi falsi e agire d’impulso. Possiamo solo andarcene, dobbiamo farlo prima che decida davvero di venire qui. Troverà solo una casa vuota. Sarà impossibile per lui trovarci.”

 

E così facemmo.

Preparammo in fretta e furia tutte le nostre cose.

Caricammo poche valigie in macchina. Nella casa non restò traccia di noi.

Chi vi fosse entrato, l’avrebbe trovata spoglia e disabitata, senza alcun riferimento al luogo della nostra destinazione.

Con l’ospedale avevo già messo le mai avanti da tempo; una mia lettera di dimissioni era già depositata da qualche settimana presso l’ufficio dell’amministrazione.

Non era una procedura molto regolare, ma avevo lasciato intendere di avere problemi di carattere famigliare, che avrebbero richiesto presto la mia presenza lontano da Ashland. Il direttore dell’ospedale si era dimostrato dispiaciuto all’idea di perdere un medico con la mia preparazione, ma non aveva potuto opporsi.

Tutto mi sembrò risolto. Ma per Esme non fu esattamente così.

In maniera del tutto imprevista, lei avrebbe messo la parola fine al rapporto con suo marito, in modo del tutto personale, ma certo, proprio del suo carattere forte.

Quella sera, presa la decisione di lasciare la città, la vidi correre di sopra nella nostra camera. Si assentò, mentre io e Edward, seduti in sala da pranzo, decidevamo dove dirigerci. Ogni tanto Edward puntava lo sguardo al soffitto, dove c’era la nostra camera da letto, come se ascoltasse.

Percepivo una strana atmosfera d’aspettativa. Non mi sentivo tranquillo.

Dopo una decina di minuti, vidi Esme scendere velocemente dalle scale, avvicinarsi a me per accarezzarmi amorevolmente una guancia.

“Carlisle, devo fare una cosa… - mi disse. – Torno subito, non preoccuparti e fidati di me.”

Colsi uno scambio di sguardi tra lei e mio figlio.

“Edward, diglielo tu… non ho segreti per lui.”

Poi corse fuori, prima che io avessi il tempo di una qualsiasi reazione.

Incerto, guardai mio figlio, aspettando spiegazioni. Non avevo nessuna idea di cosa Esme volesse fare. Non potevo averla.

“Cosa diavolo sta succedendo? Posso saperlo?” chiesi un po’ spazientito.

Non sapere cosa stava per accadere a un membro qualsiasi della mia famiglia, mi rendeva nervoso e insicuro. Fragile.

“Non allarmarti, ma Esme sta andando da Charles; c’è una cosa che ha deciso di fare e vuole farla da sola…”

“Cosa vuole fare, Esme? Dimmelo Edward…”

“Vuole lasciare una lettera a suo marito, prima della nostra partenza…”

“Una lettera a Charles? È rischioso! A quale scopo? Quell’uomo capirà ogni cosa… potrebbe mettersi sulle nostre tracce con un simile indizio tra le mani.”

“È qualcosa che lei sente di dover risolvere. Per se stessa e anche per noi. Se vorrà, sarà lei a parlartene; ho letto quella lettera nella sua mente mentre la scriveva. Forse erano cose che teneva dentro da tanto tempo, ma che non era mai riuscita a dire. Sente di doverlo fare ora, perché non avrà altre occasioni…”

 

La mia coraggiosa, la mia energica Esme; l’amavo per questo. La potevo comprendere.

Voleva affrontare il suo passato fatto di dolore, per chiudere i conti con esso e non sfuggirlo in eterno. Non si può iniziare una nuova vita, se non si chiude con quella precedente. Bisogna tagliare i rami secchi, per dare a quelli nuovi la possibilità di fiorire rigogliosi.

 

 

****

 

 

Charles,

 

ti sorprenderà ricevere questa lettera, ma se ho deciso di scriverti e perché non voglio lasciare nulla in sospeso tra noi.

Da troppo tempo, aspettavo l’occasione giusta per liberarmi da questa oppressione che mi ha fatto star male a lungo.

E mentre scrivo, mi rendo conto che è una cosa che ho rimandato per troppo tempo, e capisco che se l’avessi fatta prima,

forse non saremmo mai arrivati dove siamo ora. Quando leggerai questa lettera io sarò già troppo lontana perché tu possa trovarmi.

Con questa lettera ti dico addio, Charles. Devi rassegnarti.

Non cercarmi più, perché non mi troveresti. Io non esisto.

Per te non esisterò più.

Non resta niente di quello che sono stata un tempo, neppure il ricordo.

Lo so che probabilmente, non afferri il senso delle mie parole, ed è meglio così.

Non cercare la verità, perché non potresti vederla.

La Esme che tu conoscevi, non esiste più; è morta per sempre.

Al suo posto ora, c’è una creatura diversa che tu non potresti neanche riconoscere.

Che tu non potresti comprendere.

La cosa più saggia che tu possa fare è dimenticarmi, non cercare una soddisfazione che non troveresti mai.

Perderesti la tua vita a inseguire un fantasma. E alla fine, ti ritroveresti solo con la morte.

Pensaci; non ne vale la pena.

 

Sono morta col mio bambino Charles, e tu non te ne sai mai preoccupato.

Hai pensato che il tuo dolore fosse più grande del mio.

Hai lasciato che io affogassi, perché di me, non ti è mai importato nulla.

Ma Derek, nostro figlio, sarà sempre nel mio cuore e questo è qualcosa che tu non puoi togliermi.

Nessuna delle tue bassezze potrà farlo.

Sono morta e rinata in un’altra forma. Potrei essere addirittura pericolosa per te.

Una minaccia reale… non puoi capire quanto.

Sei sempre stato un uomo troppo orgoglioso…  Troppo preso da te stesso.

Come fai ora, a reclamare qualcosa che tu hai lasciato andare?

Tu mi hai lasciato morire nel dolore più atroce, ma hai il coraggio del vigliacco di accusarmi.

Non augurarti d’incontrarmi ancora; conosco i tuoi pensieri vili.

Posso quasi sentirli e mi fanno diventare furiosa.

Non puoi pretendere nulla, perché nulla mi hai dato.

Non hai diritti su di me e quel pezzo di carta non ci ha mai legati;

non ha nessun valore e non ne ha mai avuto per te. Tu non mi hai mai amata, Charles.

E questa è l’unica verità.

Una verità che ho dovuto accettare, per la quale ho sofferto, inutilmente.

Perché ci ho provato a farmi amare da te, ma tu hai sempre preferito le altre.

Davvero, credevi che non lo sapessi?

Io sapevo, ho sempre saputo.

E ho sempre finto. Non fingerò più… Torna pure dalle tue amanti.

Neppure io, ti ho mai amato, ora lo sai come lo so io.

Anche a questo dovrai rassegnarti.

E lo so, perché adesso amo davvero, Charles.

Ora conosco la differenza tra un pallido sentimento che si perde morendo al soffio dell’aria,

e una passione profonda che mette radici nell’anima.

Tu non potresti neppure immaginare quanto sia incredibile. Quanto sia vitale questo sentimento.

Quanto mi sia necessario… non potrei più farne a meno.

Lui non è chi tu credi. Non cercare un uomo che non esiste e in verità, non è mai esistito.

Amo colui che mi ha riportato alla vita, che ha dato un nuovo senso alla mia esistenza.

Amo lui, come non ho mai amato te, e anche questa è una verità che dovrai accettare.

E soprattutto, lui mi ama, come non sono mai stata amata.

Ora potrei essere felice e lotterò per esserlo, anche lontano da qui.

Lotterò per proteggere ciò che ho adesso, qualcosa che mi è stato negato per gran parte della mia vita,

ma che nessuno potrà più togliermi. E sarò felice, come non sono mai stata con te.

Tu non potrai fare nulla per impedire questo. Credimi, ogni tuo sforzo sarebbe vano.

Rinuncia e vai per la tua strada. Non hai altra scelta.

Lui è il mio destino. Non potrai mai separarmi da lui.

E neppure immagini quanto pesi questo mai.

Non torneremo.

Quindi, non cercarci.

 

Addio. E.

 

 

  Continua…

 

 

Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e che mi direte sinceramente che ne pensate.

Forse vi avrà sorpreso un po’, ma io credo abbia una sua logica e serve a spiegare meglio l’evoluzione della storia e di alcuni personaggi.

Allora, come avete trovato la storia di Emy? Spero non troppo patetica, anche se ho rischiato, devo ammetterlo.

Lo so che prima di Bella, nessuna ragazza ha turbato la vita del nostro Edward, ma poi ho cominciato a pensare che il nostro vampiro non poteva essere passato in mezzo agli umani senza mai lasciarsi sfiorare dalle loro emozioni. Anche se per gran parte della sua vita deve aver chiuso il cuore a possibili coinvolgimenti, almeno una volta doveva esserci stato una specie di confronto… così è nata la figura di Emy.

Spero che vi piaccia perché in lei c’è un po’ di me (tranquille: io non sono così sfigata).

E poi la storia del marito di Esme. Vi è simpatico il signor Evenson?

Fedifrago, cinico, non l’ho trattato molto bene.

Questo è un episodio che non avevo previsto all’inizio, anzi avevo pensato di liquidare la storia in fretta e di far ripartire la famiglia Cullen verso altri lidi, ma poi Rebecca Lupin, (santa donna che si è sorbita tutti i capitoli e li ha recensiti) mi ha dato questo suggerimento, e io ho detto: cavolo! Ma è un’ idea fantastica!! Una situazione interessante da sviluppare. Quindi, grazie cara!! Se ti venissero altri suggerimenti, spara pure. Saranno sempre bene accetti.

Tu hai ispirato questo capitolo, che altrimenti non sarebbe mai stato scritto, almeno non così nella seconda parte. La dedica era d’obbligo.

Come sempre vi ringrazio per tutte le vostre belle parole, per i suggerimenti e l’entusiasmo che mi dimostrate.

Grazie ragazze, a tutte voi, vecchie e nuove lettrici che seguite la mia storia. Vorrei rispondervi singolarmente; ora non posso, ma mi riprometto di farlo nel prossimo capitolo. A presto.

 

 

 

 

   
 
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