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Autore: HarryJo    06/11/2010    4 recensioni
Ricordalo, ricordalo Alessandro: leucemia.
Sono le parole che mi son ripetuto con maggiore frequenza negli ultimi giorni, guardandola.
Con quei capelli rossi al vento, o meglio, rossi e statici. A meno che un giorno qualcuno non porti un ventilatore nell'autobus, non li vedrò mai mentre librano nell'aria, purtroppo, ma sono pronto a scommetterci che sarebbero bellissimi.
Ogni tanto durante la notte mi concedo di sognarla. Non che sia tanto diverso dalla realtà: siamo sempre nello stesso autobus mattutino, sempre lei, in ogni suo dettaglio, compreso il palo, l'ipod e la macchina fotografica. Ed io che la osservo di lontano con una voce in testa che continua a scandire quelle stra maledette parole: "Ricordalo, ricordalo Alessandro: leucemia". Poi mi sveglio e ricomincia un'altra giornata, una in meno da segnare sul calendario.
Genere: Malinconico, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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TI ODIO PERCHE' MI AMI.

Ad Andrea, che anche se peggiora giorno per giorno,
trova la forza per sorridere e stare accanto a Valentina.
A Valentina, che nel suo diciottesimo compleanno ha voluto
festeggiare solo con Andrea, chiedendogli di sposarla.

 



2. Come sempre, se non fosse impossibile.



Ricordalo, ricordalo Alessandro: leucemia.

Sono le parole che mi son ripetuto con maggiore frequenza negli ultimi giorni, guardandola.

Con quei capelli rossi al vento, o meglio, rossi e statici. A meno che un giorno qualcuno non porti un ventilatore nell'autobus, non li vedrò mai mentre librano nell'aria, purtroppo, ma sono pronto a scommetterci che sarebbero bellissimi.

Ogni tanto durante la notte mi concedo di sognarla. Non che sia tanto diverso dalla realtà: siamo sempre nello stesso autobus mattutino, sempre lei, in ogni suo dettaglio, compreso il palo, l'ipod e la macchina fotografica. Ed io che la osservo di lontano con una voce in testa che continua a scandire quelle stra maledette parole: "Ricordalo, ricordalo Alessandro: leucemia". Poi mi sveglio e ricomincia un'altra giornata, una in meno da segnare sul calendario.

Sono qui, seduto sotto ad un albero, in questa fredda giornata del 21 dicembre, che guardo in giro e affluisco nei miei soliti pensieri quotidiani, quando: "Alessandro" dice una voce cristallina. Mi costringo ad alzare gli occhi verso Eleonora e le sorrido.

"E' ora" mi dice, indicando l'orologio che ormai segna le 7.02. Non so neanche da quanto sono sotto qui, mi sono svegliato presto e ho passato il tempo nei meandri della mia mente.

Ormai le ore passano lentamente, a forza di attenderle. "Destino, sono qui!" mi verrebbe da urlare, ma non mi ascolta: lui è stato chiaro, due mesi devo aspettare prima che venga a farmi visita. Non ho paura di morire, no. Ormai la vita stessa si è trasformata solo in un'ansia che precede quell'attimo infernale.

Rimango cinque ore a fissare una lavagna con numeri e parole, e poi esco per primo, come sempre.

Sempre la stessa storia, giorno per giorno. Solo che oggi sento qualcosa di diverso nell'aria, come se qualcosa fosse incredibilmente cambiato, ma sarà probabilmente solo l'idea che si avvicinano le vacanze a farmi sentire così.

Prendo l'autobus, mi siedo sul terzo posto a destra, come sempre.

Però, per la primissima volta da quel che io ricordi, trovo lei anche al ritorno. E me ne sorprendo, il mio petto fa le fusa dentro di me e i miei occhi la osservano con la sua solita macchina fotografica, all’erta.

E non mi guarda, come sempre. Questa cosa comincia a essere davvero frustrante per me, ma non m'importa. Intanto l'ammiro, come sempre. La voglio, come sempre. Non cambia mai nulla nella mia solita monotona vita di solitudine che mi sono creato, per fortuna che finirà presto.

Solo che oggi ho voglia di camminare, ho voglia di guardare, osservare, questo mondo che piano piano lascerò alle spalle. Ho voglia di perdermi in assurdi pensieri filosofici e camminare, fino a creder di poter volare.

Perciò prendo e scendo una fermata prima della stazione, per fare un po' di tragitto a piedi. E con mia sorpresa, lei scende dietro di me, con un libro in mano, che sembra intenta a mangiarsi.

Cammino molto lentamente, la voglio lasciar passare perché la voglio continuare a osservare finché posso; quando mi passa accanto per superarmi sento una leggera brezza e annuso l'aria quasi volendomi intossicare. Intossicare di lei.

Ad un certo punto starnuto, sono di salute molto cagionevole, com'è tipico nei soggetti della mia malattia. Chiudo gli occhi d'istinto e prendo un fazzoletto, senza più guardarla, senza accorgermi che si è fermata davanti a me per fotografare chissà che cosa di così meraviglioso che le toglie il fiato. Non me ne accorgo, e le finisco addosso, facendole cadere il libro che aveva messo in mezzo alle gambe. E si ferma il tempo, e non conto più i secondi.

"Scusa" mormoro imbarazzato.

"Fa nulla" risponde lei senza guardarmi negli occhi, ancora intenta con la macchina fotografica a cogliere quell'attimo e quasi imperturbabile al fatto che le sono appena andato addosso.

Così, per scusarmi, mi abbasso io a raccogliere il libro e ne riconosco subito la copertina. "L'Ultima Canzone? E' di Nicholas Sparks, giusto?" le dico, incapace di trattenermi.

Lei si gira verso di me e guarda il libro, senza degnarmi del minimo sguardo, il che mi tormenta sul serio; non pensavo di essere così inguardabile.

"E beh grazie, l'hai letto sulla copertina!" mi dice, ridendo.

"Non è vero! Lo conosco, l'ho letto!" ribatto, quasi offeso.

Finalmente, come ho tanto agognato nei miei sogni, mi guarda dritto negli occhi, ed è uno sguardo fiero. Io mi sento impotente a confronto, ma allo stesso tempo è come se nulla avesse più senso: lei mi ha guardato negli occhi, lei mi ha parlato, lei mi ha sorriso. Lei è davanti a me, e nemmeno la leucemia può cambiare questo.

"Piacere, Andrea" si presenta tendendomi la mano e mandando gentilmente e senza troppi complimenti il mio cervello in tilt.

"Alessandro" dico a mia volta, stringendogliela. E' così calda la sua, è così fredda la mia. Mi costa un'enorme fatica lasciargliela andare, mi costa molto più di quanto son disposto a sopportare oggi, domani, per i prossimi due mesi. A confronto le chemioterapie sono una passeggiata.

"Alessandro" ripete lei. "Leggi Nicholas Sparks?" mi chiede, mentre iniziamo a camminare fianco a fianco questa volta.

"Leggo tutto" rispondo, sincero. "Mi piace leggere sempre nuove storie, Nicholas Sparks ha uno stile particolare che mi appassiona. Ti piace quel libro?" chiedo a mia volta, ancora sorpreso di parlarle.

"Per adesso sì, però so già come finisce" mi dice.

"E come mai?" le chiedo, sorpreso.

"Mi piace sapere in anticipo le cose, mi rende più sicura. Se per qualche strano motivo non riuscissi a finire di leggere il libro, dovrei rimanere con il dubbio di come finirà tra Will e Ronnie? O dei misteri riguardanti suo papà? O quel che riguarda l’incendio alla chiesa? No, almeno posso star tranquilla" spiega, come se non ci fosse ragionamento più logico.

"Questo potrebbe essere un ragionamento che mi calza a pennello" commento, serio. Non avevo mai pensato ad una cosa del genere sinceramente, ma adesso capisco che ha ragione. Insomma, se adesso iniziassi a leggere un libro e ci mettessi più tempo del previsto spegnendomi prima di aver letto il finale? Certo, da morto non è che potrò tanto dirmi "Non so com’è finito il libro!", ma in effetti, a me che mangio le storie scritte sulla carta, dispiacerebbe non conoscere il finale di un racconto entusiasmante.

"Come mai?" chiede, sempre in quel sorriso antipatico di cui ho un ossessione da mesi.

"Lascia stare, magari te lo spiego un'altra volta" borbotto, mentre il tatuaggio torna a farsi vivo dentro di me. Non pensarci, non desiderarla. Leucemia, leucemia, leucemia, Alessandro.

"Ma se non ci fosse una prossima volta?" mi chiede.

"Allora significherebbe che il tuo ragionamento è più che valido. Lasciamo che questa sia una prova" le dico, perché non voglio, non voglio vederla diventare triste dicendole della mia patologia. Non deve starci male, non deve nemmeno saperlo che i miei secondi sono contati. Tic, tic, tic... L'orologio continua a scandirli inesorabilmente, ma per la prima volta in vita mia, lo ignoro.

Perché, anche io ora sono contento, dopo non so quanto tempo. La felicità non esiste, lo ribadisco, ma esser contento mi è più che lecito, anche se spero solo di non sentire mai la nostalgia di questo momento. E comincio ad odiarla, così.

Insomma, finché ero ossessionato dal suo pensiero mi andava bene, sapevo che avrei dovuto aspettare le 7.09 e l'avrei rivista. Ma ora quando mai avrei più risentito quella voce? Quando mai avrei potuto parlarle insieme ancora? Ecco, questo non ci voleva: non dovevo fare nulla che mi portasse a sentirne la mancanza.

Ma mi obbligo a non pensarci adesso, non ora che ce l'ho qui che parla e mi racconta di cosa le piace di quel libro, non adesso che finalmente riesco ad amarla molto più che in superficie. Non adesso, leucemia, non colpirmi ora.

"Ora devo andare" mi dice arrivata in stazione. "Ciao, ci si vede, Alessandro" saluta, e scappa via, diretta verso una stradina lì vicino.

Il primo impeto è quello di volerla seguire, ma mi fermo e mi calmo. Non devo, non posso, non è quello il mio destino. Io mi posso cibare di lei da lontano, ma non posso vivere di lei.

E con questo pensiero mi costringo a girarmi verso la stazione dei treni con uno sforzo disumano, mai provato, mai dovuto fare. Prendo e mi dirigo al solito binario numero otto, mi siedo sulla panchina e aspetto, mentre attorno a me una miriade di ragazzi parla tra loro, ride, scherza, discute.

Un mondo che non ho mai conosciuto è il loro, un mondo che non conoscerò mai; quello della spensieratezza, quello dei ragazzi adolescenti sani. Io vivo in questa solitudine, un po' voluta e un po' forzata. E mi va quasi bene, ci si abitua. Come sempre.

Ma non so se ci credo sul serio. Forse me lo dico per convincermi che deve essere per forza così, che deve andare per forza così. E poi come si fa ad essere contenti di essere soli? Insomma, l'uomo ha bisogno di qualcuno accanto, per principio, per definizione, è risaputo. Ed io invece sono rimasto in quest'ottica di mondo esterno a me, estraneo a me.

Persino con la mia famiglia non riesco a trovarmi. Mi trattano bene, come se avessi solo bisogno di cure, come se potessi svanire a un loro rimprovero. Come se non fossi umano.

E loro non se ne accorgono. Non li biasimo: probabilmente soffrono anche molto più di me per tutto questo. Loro perderanno un figlio e un fratello, io perderò me stesso, e di sicuro non avrò occasione di sentire la mia stessa mancanza.

Lo vedo negli occhi della piccola Eleonora, che seppur nei suoi dieci anni, soffre tantissimo nel sapere e nel vedere che suo fratello diventa sempre più pallido e più stanco. Lei mi adora, ed io le voglio bene come a nessun altro: forse è l'unica persona che è davvero me stessa con me; la sua tenera età le impedisce di fingere.

Mamma e papà d'altro canto mi trattano come se fossi un angelo, e a me da fastidio. Vorrei essere come gli altri, vorrei... Vivere, e non sopravvivere sotto le loro cure. Ho provato a dir loro all'inizio quanto poco bene facesse quel loro atteggiamento, ma non sono riuscito a migliorare granché la situazione. Ed ora è tale quale a prima.

Monto sul treno e dico addio per un altro giorno a quella città, dico addio per un altro giorno per dirigermi al mio piccolo paese di periferia, dove la vita rimane comunque la stessa, giorno per giorno, come sempre.

Solo lei, solo lei riesce a darmi un sorriso in questo giorno particolare, perché oggi ha cambiato qualcosa dentro di me, ha rivoluzionato un mio modo di pensare; ha reso tutta quella mia ossessione come se non fosse impossibile, anche se lo sappiamo tutti che invece lo è. Non riesco a pensare ad un altro volto, ad un altro respiro, ad un'altra risata, perché lei ormai ha preso e ha reso suo quel che rimane di me. Dopo mesi di pura tortura e masochismo, l'ho conosciuta, e questo non so se sia un bene, anzi, lo ritengo quasi per certo un male. E sapete perché?

Perché ora la rivoglio accanto, voglio sentire ancora il suo profumo vicino al mio.

La voglio. Ma non più come sempre.

Leucemia, Alessandro, leucemia.

 

 

{ Spazio Harry_Jo

Ragazzi, io spero solo che non sia così brutta questa storia.

Non so neanche perché la scrivo, ma non sopporto più di vedere mia sorella triste, e nel giorno del suo diciottesimo compleanno mi ha chiesto di rendere onore ad Andrea trasformandolo in un mio personaggio. Dicono che son brava, con le parole, anche se in realtà ho tanta paura di deluderli.

Lasciando stare questo sproloquio, ringrazio chi legge, mi fa sentire almeno un po' seguita, anche se in realtà non lo sono per niente.

Grazie se comunque avete letto.

Se avete riso.


Giulla: Oh cara sei troppo gentile! Mi segui anche qui? Te ne sarei grata.. non immagini quanto!

Tu parli di "dono", io spero tanto che sia così, anche se in realtà trovo sempre più belle le parole degli altri. Ci sono persone che ricevono ottomiliardi di recensioni e che sono seguite da settecentofantastiliardi di accaniti lettori, io no.. Non è che mi lamenti, ma ho paura di non piacere! Non so se mi capisci.. E tu comunque sei brava davvero. :)

Sono proprio contenta che tu sia qui,e spero continuerai ad esserci.

Alla prossima recensione o al prossimo capitolo in caso!Erica alias Harry_Jo

Emily Doyle: Ehilà, sono contenta che ti sia piaciuto il primo capitolo, e mi dispiace se sono riuscita quasi a farti arrivare alle lacrime (perché scrivo sempre cose strazianti??T-T), anche se al contempo mi rende felice, significa che magari qualcosina ti ho trasmesso ;) Spero che mi farai sapere cosa ne pensi anche di questo capitolo e dei prossimi..Erica alias Harry_Jo


Ora vi lascio, e.. Alla prossima!

Vostra, triste

Erica.

   
 
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