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Autore: Fiamma Drakon    06/11/2010    1 recensioni
Erika cercò di districarsi dalle lamiere contorte del mezzo, senza riuscirci.
Della piramide che aveva gelosamente custodito, nessuna traccia.
Le lacrime le pungevano gli occhi e il fumo le impediva di respirare. Gli occhiali erano volati chissà dove a seguito dell’impatto e tutto il mondo circostante le appariva come una sfocata chiazza di colori.
Tossì, lacrimando.
«Papà! Papà!» chiamò, piangendo e imprecando tra sé.
Ma io, come diavolo ci sono finita in questo inferno...?!

[Linguaggio colorito; possibile cambio di rating]
Genere: Azione, Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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8_Nell'ombra della prigionia Erika continuava a stropicciarsi nervosamente un lembo della canottiera sporca e sudata, mentre i suoi occhi si posavano su suo padre: l’uomo dall’aura azzurra lo teneva saldamente immobilizzato per le braccia in una posizione che doveva senz’altro essere dolorosissima anche per un redivivo come lui, costretto a camminare a capo chino e rapidamente, ignorando - o tentando di ignorare - il dolore alle braccia.
Razza di infami! Avevano detto che non gli avrebbero fatto del male! sibilò tra sé, profondamente arrabbiata.
L’ira le fluiva e rifluiva dentro, come magma incandescente, pronto ad eruttare da un momento all’altro. Voleva dimostrare loro quanto quella “ragazzina” potesse diventare pericolosa, quanto la rabbia potesse trasformarla in una macchina capace di far loro rimpiangere di essere nati; quanto quel sentimento che si agitava e si dibatteva ferocemente dentro di lei come un leone in gabbia riuscisse a darle la forza necessaria ad affrontarli.
Ribolliva silenziosamente di furia repressa, pazientando fino al momento in cui avrebbe potuto fargliela vedere. Dentro di sé, sentiva che quel momento non era poi così lontano.
I due uomini misteriosi li scortarono fino alla loro vettura, parcheggiata non troppo distante dall’ingresso del cimitero.
Quello con l’aura rossa le aprì la portiera posteriore, invitandola col silenzio ad entrare.
Ma mentre chinava la testa per sistemarsi nell’abitacolo, sentì un’esclamazione sofferente da parte di suo padre, che la spinse a voltarsi di scatto: l’uomo provvisto d’energia azzurra aveva lasciato cadere Alan sul marciapiede. Lo vide assestargli un poderoso calcio nello stomaco, mozzandogli di netto il fiato, per poi alzare lo sguardo sulla macchina.
Solo allora Erika capì che sarebbe rimasta sola.
«Papà! PAPÀ!!!» urlò, facendo per tornare indietro, ma ambedue i gemelli si gettarono su di lei e la misero a tacere con un colpo ben piazzato dietro la nuca.
Alan rialzò il capo in tempo per vedere i suoi aggressori scaraventare il corpo di sua figlia sui sedili posteriori e chiudere con un colpo secco la portiera dietro di lei.
«Erika...» sussurrò, disperato.
Mentre si protendeva verso lo sportello, vide l’ombra dell’uomo dall’aura rossa avvicinarsi a lui.
«Non provarci nemmeno, redivivo» sibilò, quindi abbatté un colpo violento sul braccio che aveva proteso verso la macchina. L’arto ricadde a terra, inerte.
Un grido di dolore tracimò dalle labbra di Alan, che si chinò e raccolse il braccio spezzato.
L’auto partì sgommando nell’istante in cui rialzava il capo, deciso ad ignorare il dolore per aiutare la sua bambina.
«Erika! ERIKAAAAAAAAAAAAAAAAAA!!!» chiamò, guardando impotente l’auto che si allontanava velocemente, sparendo nella pioggia.
Batté un pugno sul marciapiede sotto di lui e si chinò su di esso, piangendo: l’aveva persa. Non aveva fatto niente per salvarla, proteggerla.
E ora la sua Erika non era più con lui, ma in balia di quelle bestie.
L’acqua picchiettava sulla sua schiena e sulla sua testa, scivolando lungo i suoi capelli e unendosi alle sua lacrime di dolore.
Non sapeva dove la stavano portando. Non sapeva chi fossero. Aveva però un’idea di quel che volessero fare ad Erika, e ciò non faceva altro che aumentare esponenzialmente la sua voglia di trovarli e fargliela pagare, sfogare tutta la sua nuova forza sui loro corpi, massacrarli finché non avessero esalato il loro ultimo respiro.
Ma non avrebbe potuto farlo, non avrebbe potuto togliersi quello sfizio né salvare sua figlia.
Era davvero giunto al capolinea? Di già?
Una macchina frenò bruscamente davanti a lui, il quale alzò gli occhi su di essa: chi poteva essere...?
Una figura scese e gli si avvicinò.
«Come ti senti?» chiese una voce maschile a lui sconosciuta.
Si impegnò a scrutare, attraverso la coltre di dolore e pioggia, il viso del suo ignoto soccorritore, scoprendo i tratti del volto di un ragazzo: aveva gli occhi neri, capelli corti dello stesso colore e appiattiti sul capo dalla pioggia scrosciante; i delicati lineamenti del suo viso erano contratti in un’espressione adulta e seria, minata di preoccupazione.
Aveva un’aria vagamente familiare, anche se non riusciva a capire o ricordare dove l’avesse già incontrato.
Chi diavolo è questo ragazzo?
Prima che potesse formulare una domanda - o una risposta - il moretto gli prese il braccio rotto, strappandogli un gemito di dolore.
«È fratturato» asserì, poi riportò gli occhi su di lui.
«Andiamo. So dove hanno portato la ragazza» disse, lasciando Alan totalmente di sasso: lui... lo sapeva?!
Il redivivo si lasciò cingere e sollevare, quindi si lasciò trasportare fino all’interno della sua macchina.
Non appena all’interno, il giovane mise in moto e partì a tutta velocità. Mentre viaggiavano, Alan non riuscì a soffocare la domanda: «Come ti chiami?».
Notò un bagliore ilare brillare nello sguardo del suo interlocutore, prima che, con un mezzo sorriso, rispondesse: «Marcus».

Al suo risveglio, la prima cosa che Erika avvertì fu un sordo e pulsante dolore alla nuca. Non capiva dov’era perché, benché avesse aperto gli occhi, era tutto buio attorno a lei.
Mi avranno bendata... commentò tra sé, affatto entusiasta.
In quell’istante, tutto quello che era accaduto le riapparì nitidamente davanti agli occhi: i due aggressori avevano gettato suo padre sul marciapiede e l’avevano privata dei sensi.
Maledetti...! Che cosa vorranno mai da me? si chiese, irritata.
Era a terra e le mani erano legate dietro la schiena. Iniziò a muoversi, cercando di liberarsi, ma avvertì quasi subito il dolore alla nuca farsi più forte, costringendola a rimanere ferma.
Dannazione! Che cosa mi hanno fatto?!
«Ehi, Luke... la mocciosa si è svegliata!».
Era uno dei due, ed era incredibilmente vicino.
«Strano... con quella botta dietro la nuca sarebbe dovuta rimanere priva di coscienza ancora per un po’...»
«Allora, che faccio?»
«Che cosa vuoi fare, Ted? Tienila d’occhio e assicurati che non si liberi! Il capo è stato chiaro: dobbiamo consegnargliela viva».
Il capo... ripeté tra sé e sé Erika ... che sia la stessa persona che c’era nel retrobottega della signorina Penelope? Quello stregone...?
Ricordò le parole che aveva pronunziato quando era arrivato nel negozio: aveva ordinato ai suoi uomini di catturarla senza farle del male.
Sì, con ogni probabilità questi due sono altri scagnozzi di quello stregone... concluse infine Erika.
Però, non poteva lasciare che la catturasse senza opporre resistenza.
Devo riuscire a liberarmi! Mio padre mi aspetta! Non posso abbandonarlo, non voglio! Non devo essere un peso per lui! Devo aiutarlo a riprendere quella piramide, ma come faccio?! Mi sento la testa... a pezzi... mi fa male... che cosa mi hanno fatto?
«Ehi, ragazzina...! Smettila di muoverti tanto!» esclamò Ted.
Erika si piegò quando sentì un calcio arrivarle direttamente nello stomaco.
Digrignò i denti e serrò la mascella.
Se solo fossi libera... gliela farei vedere io...!
Non si arrese: continuò ad agitare le mani, cercando di farle sgusciare fuori dalla stoffa che avevano usato per legarla.
«Arrenditi, piccola mocciosa! Non ce la farai mai a liberarti!».
Stavolta il colpo le fu inferto al fianco, con un calcio tale da farla girare supina.
Le braccia le facevano male per la posizione assolutamente scomoda, oltretutto adesso schiacciate dal peso del resto del corpo.
Mugolò, cercando di rimettersi su un fianco, ma il suo aguzzino le premette un piede sulla pancia, schiacciandola sulle braccia.
«Ahah... e adesso che cosa fai, mocciosa, eh?» la schernì in tono tagliente.
A sorpresa, Erika scoprì che poteva far toccare le mani tra loro, anche se con un po’ di fatica. Il dolore e la paura di non poter vedere più suo padre e di deluderlo iniziarono a far lavorare febbrilmente il suo cervello.
Prima che l’uomo che l’aveva picchiata potesse far qualcosa, o rendersi comunque conto di quel che stava facendo, la ragazza fece toccare i palmi delle mani, autoinfliggendosi un forte dolore alle articolazioni, quindi fece in modo che le dita sfiorassero il terreno.
Riuscì a percepire del calore vicino a lei e qualcosa sfrigolarle contro il braccio, segno che lì doveva esserci la bolla d’energia rossa - come l’aveva definita suo padre.
Non riuscì a vedere se aveva colpito il bersaglio, né con cosa l’avesse colpito, ma sperava proprio che la sua Alchimia funzionasse ugualmente anche se non riusciva a visualizzare l’obiettivo.
A giudicare dal grugnito e dal piede sollevato dal suo stomaco, pareva di sì.
«Piccola str...!» esordì, ma la sua imprecazione fu soffocata da un boato assordante, il rumore di un muro che veniva abbattuto.
«Cosa cazzo succede?!» sentì gridare più lontano.
Erika udì dei passi di corsa allontanarsi da lei e rumori di lotta più lontano.
«ERIKA!».
La ragazza sussultò: era la voce di suo padre.
Era venuto a salvarla!
Si sentì immensamente sollevata e rincuorata, pensando che suo padre era attorno a lei, da qualche parte.
Cercò ancora di divincolarsi, agitandosi, riuscendo solo a mettersi su un fianco. Era comunque un qualche progresso: almeno le braccia non erano più costrette a sopportare il peso del resto del corpo.
«Papà! Papà!» chiamò: non sapeva se era in vista o no, così sperava che almeno seguendo la sua voce l’avrebbe trovata.
«Papà!!!»
«Tuo padre sta tenendo a bada quei due laggiù...».
Di chi era quella voce? Era maschile, giovane e profonda, ma non l’aveva mai sentita prima di allora.
Sentì delle mani scivolarle dietro la schiena e armeggiare con la stoffa che le imprigionava i polsi, quindi il suo misterioso salvatore passò alla benda sugli occhi.
Quando la tolse, finalmente il mondo riapparve attorno ad Erika, anche se orribilmente sfocato a causa della mancanza dei suoi occhiali, finiti chissà dove.
Riusciva a distinguere delle pareti grigio metallico, e dei cumuli di grosse scatole di legno intorno a lei. In lontananza, alla sua destra, scorse una macchia più scura, forse un’automobile. Maledisse tra sé e sé i suoi rapitori: senza gli occhiali, non era buona a niente. Era già tanto se riusciva a camminare senza inciampare in qualcosa.
Comunque, la probabile auto era quella con cui, quasi sicuramente, suo padre e il suo soccorritore erano arrivati.
A proposito del soccorritore...
La giovane Reagh si voltò, incrociando finalmente l’immagine del misterioso ragazzo che l’aveva liberata. Grazie al cielo era abbastanza vicino perché riuscisse a vederlo in modo abbastanza nitido: aveva i capelli neri e spettinati, occhi dello stesso colore, carnagione pallida ed era magrolino.
Be’, è già tanto che riesca a vedere questo... commentò tra sé.
«Chi sei?» chiese subito dopo, assumendo un cipiglio perplesso.
«Ah, scusami, io sono Marcus. Tu devi essere...?»
«Ha-hai detto “Marcus”?!» scattò immediatamente la ragazza.
Lui si ritrasse un po’, stupito di una reazione del genere.
«S-sì... perché?».
No, non è questo il momento di chiedergli del libro: papà è in pericolo...!
«Ho bisogno della mia tracolla e degli occhiali! Vai ad aiutare papà, mentre cerco qui intorno!» disse lei, abbassando gli occhi.
Era stupido da parte sua anche il solo pensare di riuscire a trovare le sue cose in quel posto a lei completamente sconosciuto, oltretutto senza vederci ad un palmo dal naso.
Accidenti alla mia dannata miopia! sbottò in silenzio, contrariata.
«Ah, penso allora che siano tue queste cose...».
Marcus le porse una borsa nera e un paio di occhiali.
Inforcando questi ultimi, la ragazza sbatté più volte le palpebre: finalmente vedeva di nuovo! Ora riusciva a distinguere nitidamente Marcus e, soprattutto, cosa aveva intorno!
Ad una seconda occhiata - finalmente data con un minimo di consapevolezza - riuscì a capire che erano in un capannone in lamiera di quelli utilizzati per conservare le merci in attesa di essere imbarcate.
Senza perdere neppure un istante, Erika si rialzò in piedi, ma barcollò subito e fu solo grazie al pronto intervento del suo salvatore che non ricadde a terra.
«Attenta: sei ferita alla testa. È meglio se non cammini da sola» la ammonì dolcemente il moro, fissandola intensamente negli occhi, grandi pozzi di nera pece in cui la Reagh si perse.
I suoi occhi sono... così belli...!
«Ah, non pensare a me! Vai ad aiutare mio padre, ti prego!» esclamò, rossa in viso, scostandosi da lui e appoggiandosi a degli scatoloni situati alle sue spalle.
In quel momento, con un grido di dolore, uno dei due gemelli volò sopra di loro, atterrando sopra un cumulo di scatole in lontananza, fracassandole.
«Be’, non sembra abbia bisogno di aiuto...» commentò Marcus, stupito da una tale dimostrazione di forza.
Alan fece il suo ingresso in scena in quel preciso istante a passi pesanti, le mani contratte come da uno spasmo convulso d’ira, lo sguardo acceso d’una furia selvaggia.
«Brutto stronzo... non credere di passarla liscia così, dopo avermi strappato la mia bambina!!!» sibilò.
«Sembra che ti sia molto affezionato...» osservò il giovane al fianco di Erika.
«Eh-eh... già...» disse semplicemente quest’ultima, senza fare a meno di apparire un po’ imbarazzata, anche se dentro di sé era felice di una reazione così esagerata da parte di suo padre.
Era certa che, se ne avesse avuto la possibilità, lui sarebbe riuscito a riversare in onde concrete la sua stessa ira.
«Papà, perché non ce ne andiamo?» lo chiamò la ragazza.
«Eh? - fece lui, voltandosi - Erika!» esclamò, sgranando gli occhi nel vederla.
Le corse incontro e la strinse a sé in un abbraccio stritolatore.
«Sono così contento di rivederti! Stai bene?» chiese, prendendole fra le mani il viso per guardarla dritta negli occhi.
«È ferita alla testa e non si regge in piedi molto bene... per il resto è okay...» rispose Marcus al posto suo.
La ragazza sentì i muscoli dell’uomo contrarsi in modo repentino a quella risposta e seppe che i suoi rapitori stavano per finire male.
Alan fece per rialzarsi, ma lei lo trattenne.
«No, papà andiamocene. Prima parlavano di consegnarmi al loro capo e non voglio che ci trovi qui quando arriverà... non voglio che ti faccia del male per me» disse lei, cercando di assumere un tono sincero.
In realtà, non voleva vederlo diventare un aguzzino, ma se gliel’avesse detto era certa che non avrebbe comunque rinunciato a vendicarsi dei due gemelli.
Vide l’indecisione accendere il suo sguardo, poi lo sentì mormorare: «Tsk! Va bene, andiamo».
Prima che lei potesse dire o fare qualcosa, si ritrovò in grembo a suo padre.
«Allora, Marcus... già che ci hai aiutato con questi... hai anche un posto dove poter andare?»
«Penso che prima dovreste tornare al cimitero e prendere quel che avete lasciato là: non è saggio lasciare dei vostri oggetti in giro, soprattutto quando avete a che fare con questo genere di gente. Comunque, vi porterò in un posto più sicuro: ora che sanno dove vi nascondevate, è pericoloso per voi rimanere lì» rispose il ragazzo, avviandosi verso la porta.
«Come ce ne andiamo? Voglio dire...  l’auto è distrutta» commentò Erika, perplessa, aggrappandosi stretta alla maglietta di suo padre.
Il moretto volse il busto verso di lei, inchiodandola con uno sguardo bellissimo e malizioso. Da una tasca dei suoi stretti jeans neri estrasse una chiave.
«A quei due dev’essergli caduta sulla scrivania laggiù per sbaglio...» esclamò, in tono scaltro, quindi riprese a camminare.
Erika rimase ad osservarlo, folgorata, mentre suo padre la portava fuori.





Angolino autrice
Sono in orribile, schifoso ritardo °____° non so davvero come scusarmi ç__ç sono incasinata un sacco, per di più è periodo di compiti e il pc è un lusso che mi permetto un giorno sì e tre no ç____ç è una tristezza infinita... bei tempi, l'estate <3
Anyway, ringrazio Sachi Mitsuki per la recensione allo scorso capitolo e quanti hanno aggiunto la fic alle preferite/ricordate/seguite.
Al prossimo chappy! ^^
F.D.
   
 
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