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Autore: Sanya    06/11/2010    1 recensioni
Alice Cullen non riesce a ricordare nulla del suo passato. Vede solo uno spesso muro nero, quando ci pensa. Ma vi siete mai chiesti cosa c'era esattamente nel suo passato? Quali sono state le decisioni che l'hanno portata a finire in manicomio e ad essere trasformata in una vampira?
E poi, siamo davvero sicuri che il suo creatore rappresentasse per lei solo uno sconosciuto?
Capitoli in via di revisione. Work in Progress
Genere: Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Alice Cullen, Altro personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Precedente alla saga
Capitoli:
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Ed Eccomi qui, puntuale!
Bhe che dire....In questo capitolo si capiranno un bel po' di cose: innanzi tutto l'avversione nei confronti di questa zia un po' ambigua, secondo verranno accennate alcune cose che nei prossimi capitoli saranno pressoche fondamentali...
Ok, non voglio dilungarmi molto nella presentazione. Non voglio annoiarvi, visto che già la storia non è il massimo...
Buona lettura ;)

Ps: chiudo scusa per la lunghezza precaria dei capitoli...Spero che possano piacere comunque ^^


CAPITOLO 14


Sedemmo rigidi, fissi sulle sedie di vimini nel salotto dei Brandon. Era strano vedere come i componenti nella famiglia, solitamente così aperti, socievoli e pieni di argomenti su cui discorrere, si sentissero così a disagio davanti a una presenza insolita.
Fissavamo dubbiosi la piccola ma imponente presenza della signora Claire sorseggiare tranquilla il suo the.
Era preoccupante come solo la presenza di una persona indesiderata possa portare sconforto nella vita di una famiglia adattata.
Alice reggeva con le mani tremanti la tazza, lanciandomi ogni tanto dei vaghi sguardi indescrivibili.
-Bhe,- esortò Virginia. -Spero che riesca a trovarsi bene da noi, signora Claire-.
-Oh, sì, cara. Lo spero anche io- rispose fredda.
Christopher cominciò a tossire forte. –Scusatemi- biascicò, e aiutato da Margaret, si diresse verso le scale.
-Ho bisogno di parlarti- mi sussurrò Alice all’orecchio.
Annuii e la seguii verso le scale, lasciandoci alle spalle l’insolito gelo che avvolgeva il salotto. Mi spinse all’interno della sua stanza e chiuse la porta con circospezione.
Era incredibile il cambiamento che aveva subito quella stanza. Non era più il luogo di morte e sofferenza che avevo sempre visto: dalle finestre filtrava la luce debole e vaga del sole coperto dalle nuvole, i colori avevano ricominciato a riacquistare la vita che prima le era stata tolta.

Alice si sedette sul letto.
-Hai visto cos’è successo- chiese. Lessi nei suoi occhi tutto quello che non avrei mai voluto vedere in essi: terrore per qualcosa più grande di lei, ansia per le conseguenze di ciò che stava diventando, rassegnazione per ciò a cui non poteva trovare soluzione.
-Lo so- mormorai, cercando di apparire il più cauto possibile.
Abbassò lo sguardo, sospirando. Il suo respiro cominciò ad accelerare, la sua espressione mutò diventando una maschera di puro dolore.
-Alice- la chiamai, sedendomi accanto a lei, sul letto.
Alzò lo sguardo e vidi le lacrime scavarle le guance. Non è minimamente descrivibile la sensazione che in quei momenti legò il mio corpo. Una sofferenza più grande di quella che legava il cuore di Alice, senza dubbio. Io non dovevo combattere solo con la sofferenza che provava lei, ma anche con la convinzione di non poter far nulla per placarla.
-No, Alice. No- tentai di rassicurarla, accarezzandole dolcemente la lunga chioma corvina. Ma nulla. I singhiozzi non volevano placarsi, la disperazione non voleva placarsi.
I miei occhi cominciarono a pizzicare sgradevolmente. Le lacrime stavano combattendo contro il mio corpo impassibile, tentando di trovare una via di fuga, ma rimanendo, inevitabilmente, intrappolate in sé stesse.
Quante volte mi ero promesso di non vederla più piangere? Infinite. Mi ero promesso un milione di volte che non avrei più permesso all’angoscia di toccare il suo cuore, eppure più cercavo di portare a termine il mio compito, più qualche evento imprevisto sbilanciava il nostro già precario equilibrio.
Sarei stato uno schiocco se mi fossi ripromesso un’altra volta di estirpare la sua sofferenza per sempre. Ora come mai prima, sarebbe stato da cechi sperare in una cosa del genere. Sapevo che non avrei mai potuto proteggerla dal dolore che provava. Mai.
Non ci ero mai riuscito e probabilmente non ci sarei mai riuscito davvero.
La presi tra le braccia, stringendola a me delicatamente. Lei nascose il viso tra le pieghe della mia camicia sgualcita. Le lacrime cominciarono a bagnarla e in qualche modo riuscirono a farmi scaldare il cuore.
-Che devo fare? Dimmi, che devo fare?- implorò.
-Alice, io giuro, giuro su Dio, che manterrò il segreto, non lo dirò a nessuno. Te lo giuro. Sarò sempre pronto a sorreggerti-.
Sembrò tranquillizzarsi. -Grazie, Byron. Non so cosa potrei desiderare di più-.
Si asciugò gli occhi e mi guardò, sorridendo. -Sei l’unica persona di cui mi possa fidare-.
Le baciai la fronte con le mie labbra fredde.
 
Scesi le scale ancora non sicuro di quello che fosse successo. Era davvero successo? Non ci credevo.
Io e Alice non avevamo mai avuto quel tipo di rapporto da amici intimi. Forse il primo periodo, quello felice, quello nel quale dovevo solo preoccuparmi della mia natura e non dei mille e più problemi che adesso ci travolgevano. Anche dopo che mi raccontò le sue prime visioni il rapporto non era più lo stesso: la freddezza che aveva cominciato a far capolino nel nostro rapporto un po’ mi spaventava, ad essere sincero.
Attraversai il corridoio e mi fermai poco prima di entrare in cucina. Fu il chiacchiericcio tra Margaret e la signora Claire a fermarmi.
-Margaret, scusa se ho deciso di farmi viva ora, dopo tanto tempo. Cynthia non mi ha parlato molto bene della vostra situazione attuale e ho pensato di venire a darvi una mano- spiegò, senza sentirsi però davvero costretta a precisazioni.
-Già. Bhe, in effetti, siamo rimasti un po’ sorpresi dal tuo telegramma. Pensavo che fossi davvero troppo occupata col tuo lavoro nel negozio di antiquariato- rispose, evitando mi inserire troppa enfasi.
Tesi al massimo le orecchie, catturando ogni minimo spostamento d’aria.
-Oh, immagino, cara. Credimi, lo immagino. Ma dopo essere stata a contatto con Cynthia non ho potuto non intervenire- ammise.
Margaret si irrigidì. –Che…Che intendi dire?-
-Bhe, mi sembra chiaro che il suo comportamento non sia accettabile per una ragazza in età da marito. Insomma, dovrebbe apparire elegante, educata, più donna e invece sembra ancora una bambina- puntualizzò.
Sentii Margaret nascondere uno sbuffo di impazienza. Era furiosa, tesa, insofferente verso quella persona che evidentemente non poteva sopportare di vedere in casa sua. Ma doveva sopportare, come me.
-Non metto in dubbio che tu e Christopher abbiate fatto un buonissimo lavoro, però penso che senza il mio aiuto la vostra famiglia non riuscirà mai a riscattarsi- aggiunse.
-Anche Alice ha raggiunto l’età per sposarsi, non è vero?- domandò, evidentemente incuriosita dall’argomento. Strinsi i pugni, nascondendo un ringhio.
-Intendi dire che sei venuta qui solo per far sposare le nostre due figlie?- accusò Margaret.
-Esattamente, mia cara- annuì. Mi immaginai il sorriso potente che troneggiava sul viso di quella tradizionalista. -Se ci pensi, tutte le famiglie in rovina e un po’ più sveglie della vostra accedono a questo metodo-.
-Claire, non ti permetterò di fare una cosa del genere. Neanche sotto tortura- si oppose la madre di Cynthia e Alice.
-Bhe, non c’è bisogno che ti torturi, per farti accettare-. Le gambe di una sedia strisciarono sul pavimento. -Mi basta ricordarti che l’eredità dei nostri genitori è in mano mia. C’è bisogno che ti riporti alla mente che questa casa è solo una mia gentile concessione?! Io non ti devo niente, sorella. Sei tu che mi devi qualcosa-. Il rumore di un accendino spezzò il silenzio. L’odore di tabacco bruciato giunse alle mie narici. -Pensala in questi termini: ti sto aiutando a ritrovare le ricchezze che avete perduto-.
I passi sicuri della signora Claire attraversarono la stanza. La porta della cucina si aprì. Non mi calcolò neppure. Uscì in veranda per finire la sigaretta.   

***************
Mafra: Hey! Bhe diciamo che la tua supposizione è abbastanza esatta xD I fatti si stanno incasinando...E parecchio. Però devo dire che è davvero brutto tentare di scrivere di una storia di cui si sa già il finale...E' triste =(
Sono felice che, nonostante tutto, la storia continui a piacerti! Spero di non cominciare ad apparire noiosa o scontata o mielosa o robe del genere..In ogni caso, non aspettare a dirmelo! Il parere della gente mi aiuterebbe davvero a sviluppare la storia in modo migliore....
Grazie di tutto!


   
 
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