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Autore: Bibismarty    07/11/2010    2 recensioni
Lie, una ragazza senza padre e in fuga da una madre drogata, si imbatte in un quartetto piuttosto speciale. Come un fulmine si ritrova a vivere con i Tokio Hotel, conosce la loro amica Erika e comincia a provare un affetto particolare che non aveva mai provato prima. Riuscirà a sentirsi in famiglia tra un Bill romanticone, un Tom innamorato, un gustav silenzioso, un georg allegro e Erika orfana di madre e padre? Cosa potrebbe succedere se Lie si accorgesse di amare Bill, per il quale prima provava solo indifferenza e potrebbe essere corrisposta? E se si trovassero a dormire nello stesso letto per mancanza di una camera doppia? E se molte verità venissero nascoste? Come potrebbero vivere nascondendosi dietro un muro di silenzio?
Genere: Comico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bill Kaulitz, Georg Listing, Gustav Schäfer, Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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22 Ehi chi ha visto gli EMA? Hanno vinto i nostri amati TH?? Partecipavano ad una sola categoria purtroppo! Fatemi sapere!
Allora rieccoci :) Chi è pronto per un nuovo capitolo alzi la mano! Chi ha voglia di ridere alzi la mano! Chi crede che sia demente alzi la mano!

Oddio non mi aspettavo così tante mani all'ultima affermazione! XD
Prima di cominciare a leggere, dovete sapere che non c'è nessun gelato in questo capitolo, perchè non ci stava proprio materialmente. È una sberla di 14 pagine, non so se mi spiego! Quindi, vi devo informare che sarà sicuramente nel prossimo capitolo :) promesso! Ah e se siete così gentili da sgolosare ancora su queste righe, vi informo che troverete cose almeno in parte piccanti, quindi reggetevi alle vostre seggiole XD


Le risposte alle mie lettrici: A tutte: vi ringrazio di cuore per avere la pazienza di leggere e recensire :)
Layla: Mi sono impegnata con Tom, per renderlo più comunemente umano. Tutti lo dipingono come un fattone, cannaiolo, ubriacone! Io lo vedo come un vero romantico, che nasconde la sua natura dolce. 
Lie non è piatta, e dice a Bill di esserlo perchè non ha molta autostima di sé. Non ho capito, quindi perchè mi hai scritto: Almeno Lie sa di non essere piatta XD!
Uhuh attenditi un infarto per questo capitolo. Non voglio attentare alla tua vita, ma ti auguro una buona lettura :) per ogni danno collaterale rivolgersi alla cassa XD Kuss Kuss!
SplashedAlcoholic: Non sono riuscita a realizzare le vostre richieste. Il doppio senso non lo troverai, perchè queste sono già 14 pagine! Ma nel prossimo capitolo stai sicura che ci sarà! Uhm Tom e Erika sono dei birichini XD chissà chissà che ci sarà in questo capitolino! Mah :) Bill e Lie, sono due tartarughe, rincitrullite! Poveri compatiscili. Hai presente quando parli con uno che non ci arriva? “G-l-i p-i-a-c-i” E questo ti risponde: “Cosa?”. Non sono convinti di piacersi. E più attendono, più si convincono che non sono fatti l'uno per l'altra. Buona lettura e bacioni :)
Kyara Agatha Mainlander: Ma ciaooo! :) Non mi rompi (a parte quando devo scrivere il tuo nome complicato!) Scommetto che sarai arrabbiatissima con me :( scusami, ma gli impegni mi impediscono di dedicarmi completamente alla storia, che purtroppo ha bisogno di un puro restauro. In certe parti era veramente pessima!
Bella la telecronaca :) mi servirebbe per presentare il capitolo :) (ah mi dispiace di non aver potuto mettere il gelato!) Ah, ho l'accetta pronta, aspettami che arriverò con Gollum un giorno o l'altro XD ciaoooooo!




Capitolo 22:
Un fine anno esplosivo!


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Bill. Roma.
Bill guardava il commesso come se fosse un guerriero pronto ad uno scontro mortale.
Incuteva veramente paura e negli occhi gli splendeva una luce di particolare eccitazione.
Poi scoppiò in una risata fragorosa, agghiacciante.
Le mie mani sfiorarono la stoffa della giacca che indossava e tirai quella che sembrava essere una manica, per fargli arrivare un messaggio molto chiaro. Dovevamo andarcene. E in fretta.
Eppure il mio accompagnatore non voleva mollare la sua posizione.
Avete presente quelle scene di film western, in cui due uomini uno di fronte all'altro osservano l'avversario con la mano sulla pistola? Ecco Bill, vi si era completamente immedesimato.
Divaricò le gambe, strisciando la suola sulla moquette blu scuro e portò lentamente una mano alla tasca destra posteriore. Escludendo una auto-palpatina, che cosa stava facendo Bill??
Non ebbi il tempo di pensare, che l'uomo dal naso sofisticato, aprì la mani in segno di sfida e ci indicò la porta. Nel suo sguardo c'era malizia, senso di vittoria che lo entusiasmava. I suoi denti bianchi, sembravano scintillare, mentre scoppiò a ridere. “Dovreste lasciare il locale immediatamente, grazie” ci delucidò, sornione.
Le porte scorrevoli di entrata si aprirono ed entrarono due clienti. Erano due signori in caldi cappotti di pelliccia. Probabilmente avevano i soldi anche nelle mutande.
Il commesso sorrise ai clienti appena entrati e si mostrò subito disponibile ad esaudire tutti i loro desideri.
Stronzo! Questo era l’unico termine che gli si addiceva. Un vero STRONZO!
Il moro, sventata l'ipotesi di auto-palpatina, infilò la mano dentro la misteriosa tasca e ne estrasse...il portafoglio!
Dio, come mi era venuto in mente che Bill volesse palparsi in un negozio?
Bill lo soppesò, con sguardo sicuro e mostrò al suo avversario la sua arma aperta (ancora il taccuino).
“Non mi interessa cosa è in vendita e cosa no. Io ho detto che la mia amica qui presente vuole provare il vestito e lo proverà. E si muova a toglierlo dalla gruccia. Abbiamo fretta” sentenziò girando sui talloni per dirigersi verso una poltrona zebrata.
Il commesso deglutì piano. Alzò gli occhi, e senza fiatare sparì dai nostri occhi.
Quel taccuino non poteva che avere diverse banconote viola, per aver lasciato così di stucco il commesso. Qualche milione nel portafoglio di una star mondiale, poteva anche starci.
Dopo qualche manciata di secondi, ritornò il commesso, portando tra le mani lo stesso modello che era in vetrina.
L'uomo, di fronte a noi, si spostò appena la cravatta e notai che i suoi occhi si erano accesi di una luce nuova. Poi si rivolse a me: “Le porgo le mie più sincere scuse. Devo aver commesso un brutale errore. Non è questo il vestito di cui stavo parlando. La signorina vuole provare l’abito? Si accomodi pure nella sala di prova” asserì, chinando leggermente le spalle verso terra in segno di reverenza e sparì nuovamente, diretto probabilmente ai camerini.
Avevo ancora la bocca aperta, per protestare a quella reverenza inusuale.
“Chiudi la bocca, Lie. Non c'è niente di stupefacente: per il mondo, chi ha soldi ha tutte le porte spalancate” Bill strinse la fessura degli occhi e si sistemò i capelli. Era totalmente calmo. Come faceva?
Le mosse che ora il cantante compiva erano studiate alla perfezione, sembrava seguire uno schema ben preciso, perchè non era il comportamento che assumeva in occasioni normali. Era come assistere alla scena di un film: Bill stava recitando.
Chiusi gli occhi a quell'assurdo codice di cortesia che non volevo capire e assimilare. Era inconcepibile. Come poteva un uomo comandare solo per un sostanzioso conto in banca? Era un'ingiustizia.
In silenzio mi avviai in direzioni dei camerini: bianchi rettangoli, con grandi grandi tende nere di velluto.
Nella sala vi erano anche comode poltrone di pelle, dove ci si poteva sedere ad attendere.
Se il negozio non fosse stato del commesso, avrei strillato e sarei corsa a provare la comodità di quell'angolo di beatitudine, ma l'orgoglio mi diceva di strappare il vestito dalle mani del mio nemico e dirigermi nel camerino.
Quest’ultimo era enorme. Dentro vi erano tre specchi sulla tre pareti davanti a me, al soffitto vi era un grande lampadario dalla luce abbagliante. Non era una sala prova, ma una casa.
Sospirai fissando la mia figura minuta allo specchio. Quella ero io: le punte dei miei piedi voltate verso l’interno, la braccia lungo i fianchi, i capelli che mi cadevano sulle spalle e un ciuffo sbarazzino, corto, verso sinistra. Mi morsicai le labbra timidamente. Ma chi volevo prendere in giro??
Io non ero all’altezza di stare in quel cazzo di camerino e provare un abito da schianto come se fossi sexy. Io ero solo una povera stupida che si stava illudendo.
Quel pensiero mi fece sentire come quando ti tirano un pugno dritto nello stomaco. Presi l’abito arrabbiata con me stessa e lo indossai sperando che non mi entrasse, o magari che si rompesse così mi sarei anche vendicata con quello stupido negozio.
Invece mi calzava a pennello e quando alzai la zip dietro la schiena mi fissai allo specchio e notai che mi stava perfettamente. Non mi ingrassava, mi slanciava e mi evidenziava le gambe sottili e il copri spalle mi aderiva alle braccia e esaltava il collo adornato dalla collana che mi aveva regalato mio papà.
Tremavo: così sarei stata costretta a comperarlo! E poi cosa avrebbe detto Bill?
Aprii la tenda, sperando che Dio non stesse schiacciando un sonnellino.
Il moro che stava fissando il soffitto appena mi vide uscire si sistemò meglio sulla poltroncina.
Non disse nulla. Rimase a fissarmi a bocca aperta.
Incrociai le braccia sul petto. “Bill non fare il cretino. Non mi prendere per il culo. Non mi sta bene…dai ora ti prego possiamo tornare a casa?”
Il commesso si intromise. “Le sta benissimo…”
Lo fissai inorridita. L'incoerenza non aveva limiti.
Poi ritornai a concentrarmi su Bill, che non voleva cogliere le mie richieste. Mi si avvicinò e cominciò a lisciarmi la gonna ad alzarmi il corpetto e mi spostò le ciocche di capelli sulle spalle.
“Bill smettila!” dissi afferrandogli un polso. “Sono stanca. Andiamo a casa…Ti prego!” supplicai esausta.
“Sei ancora più bella quando sei arrabbiata. Ti supplico comperalo. Fallo per me!” disse con due occhioni, colmi di tristezza.
“Si lo comperi, è un bel capo. Le dona” continuò il rompiscatole.
Lo avrei preso a schiaffi se la mia attenzione non fosse stata catturata da Bill, che quando voleva ottenere una cosa sfoggiava una tecnica imbattibile: la commiserazione.
“Ok!” dissi. Ma il kaiser non esultò. Si limitò a sorridermi.
“Avete deciso?”
“Si, e la finisca, con questa farsa!” rispose Bill, con un tono, che sembrava quello di Tom.
Mi ricambiai e ci dirigemmo alla cassa, pagammo e una volta fuori scoppiai a ridere. “E si muova a toglierlo dalla gruccia. Abbiamo fretta!” citai Bill, gongolante. “Ma dico come mai sei un grandissimo genio, Bill?”
“Ci sono nato. Ho un estro particolare, per la recitazione!”
Risi. Risi per tutto il tragitto, grazie alle stravaganti battute sul commesso scorbutico e leccaculo , che Bill si inventava. Come potevo dimenticarmi un simile pomeriggio? Era stato come una folata di petali in pieno gelido inverno.

Bill. Roma.
Uscii dalla doccia e strusciai nella mia stanza avvolto in un morbido asciugamano azzurro.
Aprii la porta, ma mentre mi stavo dirigendo verso il mio armadio mi apparve una scena del tutto inaspettata: Lie si stava alzando la cerniera dell'abito, senza risultati.
La schiena retta e sensuale era esposta ai miei occhi. Non si era accorta che ero entrato. Sentii un suono simile a mille campane.


Ancora a piedi scalzi procedetti nella sua direzione, senza provocare rumori e quando le fui dietro i miei polpastrelli percorsero la schiena di Lie fino al fondo schiena per risalire in ampi cerchi.
Lie non si ritrasse, lasciò che le mie mani si impossessassero del suo corpo. I miei palmi si fecero strada sulle linee geometriche della sua schiena, lambendo la pelle profumata di Lie, che cadde indietro.
I nostri corpi cozzarono delicatamente e constatai che combaciavano perfettamente.
I sussurri di Lie mi svuotarono. Non accennava a cacciarmi. Non urlava. Era totalmente assorbita dalle mie carezze.
Quella scena sensuale dei nostri corpi quasi nudi adiacenti mi risvegliò dal mio stato di inebriamento. Mi staccai sgomento.
“Ti alzo la cerniera” sussurrai piano, sperando che l'intimità di prima si fosse cancellata.
Le mie mani strinsero i lembi del vestito, uno accanto all'altro, e con velocità feci salire la zip.
Lie si voltò, fregandosi le mani una contro l'altra.
“Hai un bel petto…” Indicò il mio petto, alzando appena lo sguardo.
“Tu una bella schiena” mormorai d'un fiato.
Lie arrossì. “Ti lascio cambiarti, ti aspetto in salotto”.
Non potevo lasciare che l'imbarazzo le rubasse il sorriso. Non anche a fine anno.
“Potresti rimanere a guardarmi per ricambiare la mia scortesia”
Lie rise. “Mi farebbe piacere Kaulitz, ma ho un sacco di lavoro da svolgere!”.
Ricambiai il sorriso, poi sparì lasciandomi solo.

Lie. Roma.
L’aria quella sera era piuttosto fresca. Con quel maledetto vestito che avevo dovuto indossare avevo freddo alle gambe e anche alle spalle nonostante avessi il copri spalle. Un bel cappotto non guastava.
Il cielo tempestato di stelle era bellissimo. Rimasi a naso all’insù, finché Bill non spuntò da dietro e mi chiese se avevo freddo.
“Oh no, è solo il trentun dicembre!” soffiai con la mani sui fianchi.
Bill ridacchiò. “Dai tanto sono guarito. Tienila tu, che sennò ti ammali. E poi che cavaliere sarei se non sopportassi un po’ di freddo e non prestassi la mia giacca a una ragazza che ha freddo?”
“Un cavaliere meno esibizionista…” risposi seria, ma poi scoppiai a ridere. “E comunque la giacca ce l'ho mio salvatore!”
“Si. Però sono fatto così e non puoi cambiarmi.” aggiunse Bill stringendosi nelle spalle.
“Ehi voi due! Muovetevi mancano cinque minuti alla fine dell’anno. Festeggiate con me?” urlò Saki con mia nonna appollaiata al suo braccione.
“Tua nonna ha un debole per il povero Saki” commentò Bill al mio orecchio prima di prendermi dalla vita e prima di portarmi in braccio fino al parapetto del terrazzo in cima al condominio.
Le punte dei piedi toccarono terra, ma il moro non mi mollò del tutto. Rimasi sbilanciata contro il suo petto aggrappata al suo collo. Mi sorrise e con uno scattò mi alzò in aria facendomi alzare anche la gonna (giuro che in quel momento l’avrei ammazzato!) e mi mise a sedere sul muretto. Lui ridacchiò della mia disgrazia e io tenni il muso lungo. “Disgraziato!” borbottai più rivolta a me che a lui.
“Magnifica…” affiorò dalle labbra di Bill.
Provai a sturarmi le orecchie. “Puoi ripetere caro?” chiesi ridendo imitando mia nonna.
Lui mi prese una mano e la strinse. Fece un piccolo passetto in avanti e si accostò alle mie ginocchia. “Mia carissima principessa. Lei è una magnifica, bellissima, affascinate fanciulla. Mi permetterebbe di baciarle la mano, mia cara?”
Io entrai nella parte. Mi gonfiai il petto e mi limitai ad annuire con la testa.
Bill chiuse gli occhi e un piccolo inchinò mi fece un elegante baciamano. Non riuscireste a credere ai vostri occhi. Bill sembrava davvero un principe di alto rango!
“Lasci che le mostri la bellezza del mio regno…” disse indicando il cielo.
“Due minuti, deficiente!” strillò Saki.
Bill si pietrificò. Portò una mano chiusa a pugno davanti alla bocca e imitò un colpo di tosse. “Scusate l’ignoranza del mio servo, mia cara. Sono mortificato di questo brutto inconveniente…” disse Bill come un vero principe.
“Oh non si deve preoccupare mio principe! Aspetterò tutta la vita se ce ne sarà bisogno e poi non mi stancherò accanto alla sua dolcezza…”
Il moro rimase piuttosto scioccato da quelle parole. Forse avevo detto qualcosa di sbagliato?
“Un minuto, porco spino da palcoscenico!”
Nonostante avessi tentato in tutti i modi di non ridere, scoppiai e con me anche il tedesco.
“Bene, mia cara. Là su in cielo tutte quelle stelle sono così splendenti perché le ho accese con la grandezza del mio amore. Sono il riflesso della vostra bellezza”
Non ebbi il tempo di commentare che in cielo esplosero un boato di fuochi provenienti da tutta la città di Roma. Anche Saki si era messo di buona lena e stava spedendo in aria quelli che aveva comperato al supermercato.
Il cielo ora risplendeva di mille colori e di cascate di tonanti fuochi d’artificio. Non avevo parole per esprimere la mia emozione in quegli istanti.
Poi Bill mi fece scendere dal muretto e mi cinse la vita. E ballammo. Ballammo tutta la notte sotto il mantello incastonato di bellissime e luccicanti stelle.

Erika. Germania.
“Tom! Non fare il cretino!” protestai, quando mi prese a mo’ di sacco e mi portò sulla sua spalla per tutta la casa. I due G erano impegnati in dolci effusioni con le due K sul divano di casa Kaulitz, mentre Simone stava sistemando i fuochi d’artificio con Gordon in giardino. “Ragazzi venite! Mancano cinque minuti!”
Le rotelle del cervello di Tom cominciarono a funzionare e finalmente decise di lasciarmi andare. Tutti insieme ci dirigemmo in giardino.
Io indossavo un abito bianco accollato e per niente sfacciato con delle scarpe sobrie. L’unico strappo alla regola erano i capelli che ero andata a sistemare per rendermi irresistibile. Tom invece si era fatto convincere da me a togliere il cappellino e aveva provato a mettere una camicia nera, ma si era impuntato sul fatto che non avrebbe mai più messo la giacca. I due G erano eleganti come sempre mentre Karin e Klarissa avevano un po’ esagerato e si erano concesse una gonna, ma avevano tenuto una scollatura in limiti accessibili.
“Due minuti, nevrotico!” dissi io accostandomi a Tom.
Lui mi annusò l’odore dei capelli, mentre mi sfiorò delicatamente le braccia.
“Chissà come sta Bill!” sospirò Simone.
“Bene, penso. E poi a fargli compagnia ci sono Saki e Lie…” dissi io per distrarmi dall’insistenza di Tom.
“Un minuto. Tom lasciala in pace quella povera ragazza! Georg non toccare i fuochi! Attento a dove metti i piedi amore!” Simone aveva ordini per tutti.
Mi voltai verso il mio ragazzo. Lui non aveva occhi che per me. “Me la prometti una cosa?”
“Certo amore…” disse lui serio.
“Promettimi che farai di tutto per mantenere il nostro amore vivo e combatterai fino allo sfinimento per non mandare tutto a rotoli?”
“Te lo prometto. Ti amo!” disse lui alzandomi il mento e baciandomi.
In quel momento esplosero nel cielo centinaia di fuochi d’artificio colorando la fredda notte di una piccola città nell’Est della Germania.

Bill. Roma.
Avevo paura. Ecco cosa provavo: paura di perderla o semplicemente di amarla. Più la guardavo e più mi convincevo che non sarebbe stata altro che un’amica. Più la guardavo più mi sentivo stupido.
La stanza era immersa nell’oscurità. L’unica fonte di luce proveniva dal lampione fuori dalla finestra.
Non ero riuscito a chiudere occhio. Ero ancora seduto sul letto ad osservarla, mentre dormiva nel suo letto. Non avevo le forze nemmeno per togliermi le scarpe. Ero rimasto in camicia, che avevo sbottonato per il caldo insieme all cravatta che riposava sul tappeto della stanza. I capelli stirati verso il basso mi caddero in avanti, mentre abbassai il capo. Un dolore lancinante mi stava attanagliando il petto, e più specificamente il cuore. Faceva male. Mi faceva davvero male. Ogni minuto che passava aumentava e mi comprimeva lo stomaco, la testa mi esplodeva e non riuscivo più a sentirmi le gambe che ormai tremavano senza sosta.
sei bellissimo
Quelle due parole mi trivellavano il cervello da quando le erano affiorate dalle labbra. Ancora mi chiedevo come fosse possibile che le fossero fuggite, visto che fino ad ora non le erano quasi mai usciti complimenti per me. Però non aveva nessun significato. Io le avevo detto che era semplicemente uno schianto e lei mi aveva risposto che quella sera anche io ero bellissimo, ma…c’era un però, mi aveva detto che i miei complimenti la confondevano. Volevo prometterle che non le avrei più fatto un complimento, ma…anche per me c’era un però, non potevo dirle una bugia. Non potevo mettere un freno alla mia lingua visto che ero un logorroico di prima categoria, così ero rimasto ferito dal suo però e ora odiavo il mio di però.
Ma la cosa che più di tutte mi aveva ferito era stato il suo sguardo innocente quando si era stretta nelle spalle e aveva sussurrato che non importava.
Eravamo rimasti a guardare il cielo fino a quando la sua testa non era crollata sulla mia spalla. Allora con delicatezza l’avevo presa in braccio e l’avevo stesa sul letto. Le avevo rimboccato le coperte e le avevo stampato un tenero bacio sul naso prima si sedermi sul mio letto e rimanere a fissarla come in paradiso.
Ogni minuto che passava ripensavo alla sensazione delle sue labbra unite alle mie.
E mi scendeva un brivido lungo la schiena.
E con quella sensazione mi si chiusero gli occhi e raggomitolandomi come un riccio sul letto mi lasciai trasportare nel mondo dei sogni.

Tom. Germania.
Bagnato. Ero bagnato come un pulcino. Ma non importava. Ero riuscito a fare ciò che volevo fare: portare Erika a vedere l’alba in mezzo ad un campo.
Quando mi aveva chiesto se potevo esaudire il suo desiderio mi ero spaventato. Pensavo potesse avere la febbre, ma era seria. Così ora mi ritrovavo in un enorme campo incolto con un mega impermeabile giallo attorno in cui si era rifugiata anche Erika e guardava estasiata la palla rossa che solcava il cielo. Erika era bella come il sole. Il suo corpo contro il mio era la fonte di calore più stupefacente che avesse accarezzato la mia pelle.
Non volevo perderla per nulla al mondo, era l’unica cosa cara che mi rimaneva non contando Bill per il quale provavo un amore incondizionato perché era la mia fotocopia (l’ironia della frase mi sembra evidente: Tom ama se stesso per cui anche Bill perché è la sua fotocopia! ;) )
La piccola manina della bionda accarezzò la mia e i suoi capelli piovvero come una cascata sul mio viso. Le sue labbra si unirono con le mie e le emozioni volarono via spalancando le ali.

Mi svegliai in un pigiama il doppio di me. Lo squadrai perplessa e notai che sul bordo della maglia del pigiama era stampato un nome a caratteri cubitali: Bill. Non si bada a spese quando sei egocentrico.
Ma sorrisi al pensiero di indossare ancora un suo indumento, di sentire sulla pelle il suo odore, come se mi stesse stringendo in un lungo abbraccio. Raccolsi le gambe contro il petto e appoggiai il mento sulle ginocchia avvolgendomi le caviglie con le braccia. Gli occhi cominciarono a prudermi e presto scesero le lacrime. Un pianto silenzioso e che dava poco nell’occhio.
Quando l’ultima lacrima mi solcò il volto mi sentivo svuotata di tutte le mie emozioni e di tutti i miei pensieri. Non c’era cosa che sapesse rifarmi tornare il sorriso. Inclinai la testa per spiare Bill. Dormiva nel suo letto, come un angioletto. Non so quanto rimasi lì, a guardarlo. L’unica cosa che mi fece svegliare dal trans furono i movimenti bruschi che il ragazzo fece tra le lenzuola e il nome che urlò con quanto fiato avesse in gola: Lie.
Saltai giù dal letto e mi precipitai sul suo. Mi accostai a lui e gli strinsi la testa molto teneramente baciandogli la fronte. Bill si calmò improvvisamente. Io non sapendo che fare e non avendo voglia di muovermi rimasi lì accoccolata con il kaiser e continuai a proteggerlo dai suoi sogni tormentati.

“Piccioncini! Sveglia!” mi urlò una voce nei timpani.
Aprii lentamente gli occhi e li stropicciai con il dorso della mano, ancora assonnata. Abbracciavo ancora Bill per proteggerlo e alla vista di Saki mi staccai preoccupata che potesse fraintendere.
“Ma no non volevo disturbarvi!” disse lui in un sussurro. Mi porse un vassoio con la colazione e mi sorrise teneramente. Non l’avevo mai visto così dolce.
Se ne andò in punta di piedi.
Appoggiai la testa sul cuscino e sbuffai. Quanto avrei dovuto tenere solo per me il mio segreto? E come avrebbe reagito Bill nel venirne a conoscenza?
Eppure forse non mi importava come sarebbe andata. L’importante era amarlo. L’importante era esserci ogni volta che lui mi cercava, ogni volta che ne aveva bisogno. Proteggerlo con il mio amore. Mi stesi sul fianco e accarezzai la guancia al moro. Era così bello.
“Non sono un peluche. Ne un cane” commentò Bill con la voce impasticcata appena aprì gli occhi.
Ridacchiai. “Scusa ma hai avuto un incubo e ti tenevo compagnia…”
Bill si guardò il petto e vide che la camicia era tutta sbottonata. “Oddio. Scusa” disse coprendosi subito.
“Ma non mi dava fastidio anzi!” Ma come cazzo mi erano uscite quelle parole!
Il moro infatti mi guardò perplesso. Poi rise.
“Che hai da ridere?” protestai interdetta.
Il kaiser si gettò su di me e cominciò a farmi il solletico. “Nooooooo! Bill nooooo!” gridai tra lo sbellicamento generale.
“Guerra!!!! Attenta, un attacco dal versante destro e un aereo! Jumby a rapporto!”
“Che demente, Bill!” urlai io morta dalle risate.
“Attenzione è in arrivo un missile!” urlò saltandomi sopra prendendo una posizione migliore per torturarmi.
“Aiuuuuuuuuuuutooooooooooo!” gridai prima che Bill la smettesse per prendere fiato.
Ammiccò e poi ripartì. Io ero totalmente inebriata al suo contatto, le sue dita che mi sfioravano i fianchi facendomi ridere come una pazza, il suo sorriso bello come quello di un bambino e il petto scoperto invece era il segno che era un uomo. Rimasi un attimo confusa e poi mi venne un’idea. Mi alzai con la schiena e passai le braccia sotto le sue e mi ritrovai faccia a faccia con il moro.
Le ciocche dei suoi capelli mi caddero come una cascata sul viso e mi fecero il solletico.
Bill non disse niente, rimase a fissarmi negli occhi.
Io mi avvicinai piano diretta alle sue labbra, ma poi cambiai direzione e gli baciai il naso. “È così perfetto questo naso che se lo merita questo bacio!”
Gli occhi di Bill diventarono lucidi d’improvviso.
“Ehi! Cosa c’è?” chiesi preoccupata.
Bill sembrava muto, mentre una lacrima gli sfuggì e rotolò sulla guancia e poi cadde sul mio viso. Oddio, forse l'avevo ferito in qualche modo. “Bill…Ti prego non piangere…”
“Perché? Non ha importanza” disse molto distaccato.
“Invece si. A me si che mi importa!”
Lo sguardo di Bill si vece più insistente. “Cosa provi per me?”
Un velo di terrore mi pervase. Cosa voleva che gli dicessi? “Io…Tu sei un mio carissimo amico…”
“Tutto qui?” domandò molto deluso.
Non sapevo cosa dire. Io lo amavo, ma non avevo il coraggio di ammetterlo. “Bill provo quello che provi tu…Solo amicizia…Ma perché dovrei provare qualcosa per te? E poi che importanza ha?”
“No in effetti…nessuna” disse chiudendo gli occhi. “Solo che sono molto confuso e non so se provo solo amicizia per te” .
Deglutii piano. “E cosa provi?”
“Ci sarebbe solo un modo per capirlo” Io alzai un sopracciglio perplessa. “Posso baciarti?”
A quella domanda il cuore mi saltò fuori dal petto. “Bill l’hai già fatto per due volte ci vuole anche una terza?”
Bill aprì gli occhi e il nocciola dei suoi occhi mi estasiò. “Io...Non sono più tanto sicuro di niente in questa vita. Tu, sei l’unica mia certezza. Quando ti ho baciato ho capito che sei speciale. Che sei tu che mi hai cambiato radicalmente la vita”
“Bill…io…”
“Lasciati baciare…” disse posandomi l’indice sulle labbra. Mi abbandonai tra le sue braccia socchiudendo gli occhi e mi baciò.
Non so ancora perché avevo accettato se poi non avevo risposto. Forse non mi sentivo pronta. Eppure Bill mi aveva appena detto che forse provava per me più di un’amicizia. Ma ancora mi sentivo incerta e dubbiosa. Tuttavia mi lasciai baciare.
Quando il moro si staccò da me rimase a fissarmi con un velo di tristezza negli occhi. La mia mano gli accarezzò i capelli, mentre lui si morsicò il labbro inferiore.
“Grazie per aver accettato anche se non provi niente per me…” disse distogliendo lo sguardo da me.
Si alzò molto lentamente e si avviò verso la porta. Scesi con un balzo sul pavimento e gli afferrai un braccio. “Bill…”
Il moro si girò e lo abbracciai. Lui sembrò molto colpito dalla mia reazione e appoggiò imbarazzato le mani sulla mia schiena.
“Ti andrebbe di andare in un posto bello bello solo con me?” chiesi con un po’ di timore.
“Certo…” rispose il kaiser piano.
“E se riuscirai a farmi divertire ti prometto che ti dico se mi è piaciuto il tuo bacio…”
Bill si ritirò un attimo quel tanto che bastava per fissarmi negli occhi e sorrise. “Accetto! Ricordati che però io posso farti morire dalle risate!”
“Tu mi fai il solletico solo per baciarmi dopo” risposi io scherzando.
Bill si strinse nelle spalle. “Potrebbe essere, però è più forte di me…”
“Beh stupidino prendi gli occhiali da sole e costume e partiamo!”
Il moro fece un salto che toccò quasi il soffitto. “Andiamo in piscinaaaaaaaaaaaaa!”
“No. Vedrai, ti piacerà!”
Bill mi fissò con un muso lungo. “Ma andiamo in piscina? Ho voglia di fare un bagno!”
Gli stampai un bacio sulla fronte e lo spedii fuori dalla stanza. “Mi cambio. Faccio in fretta”.
Dopo dieci minuti ero fuori dalla camera. Avevo messo un paio di converse, un paio di jeans e una felpa; mi ero truccata e avevo raccolto i capelli in una coda. Bill si doveva essere cambiato in bagno perché ora indossava una maglietta nera e i jeans e teneva in mano un costume. “Ma ci serve?”
Scoppiai a ridere. “Il costume era per scherzare, furbizia! Non vorrai andare a fare il bagno il primo di gennaio?”
La mandibola di Bill crollò mostrando le sue bellissime tonsille. “Non ci posso credere!”
Feci un passo in avanti e gli alzai la mandibola. “Dai cucciolo il mare ci aspetta…” dissi superandolo e incamminandomi verso la porta d’entrata raccogliendo la giacca, il berretto e la sciarpa.
Bill si voltò perplesso. “Hai detto cucciolo?”
Mentre mi infilai il berretto risi sotto i baffi. “Muoviti Bill!”
Lui allargò le braccia in segno che non aveva capito. Poi si rassegnò. “Ok”

Le basculanti si alzarono lentamente rivelando una moto di grossa cilindrata. Era nera con un grosso teschio sul fianco destro.
“Wow!”
“E' tutta tua, campione!”
Bill mi fissò perplesso. “Ma…Lie…Non credo…”
“Era di mio padre…Nella tomba non credo gli serva più…”
“No no dicevo che non so se posso guidarla, non ho mai avuto una moto…”
“Che ci vuole! Basta che la accendi…e parti!”.
Sul volto di Bill si dipinse una faccina incredula. “Donne e motori non vanno d’accordo…”
“Senti da quando in qua ti intendi di motori tu??” chiesi arrabbiata.
Lui sbuffò e cominciò ad ispezionare la moto di mio papà. “Dovreb….” Sussurrò togliendo la cavalletta e girando la chiave, ma si riempì il garage di fumo, proveniente dalla marmitta. “No non dovrebbe…”
“Tutto bene?” mi sfuggì, mentre ridacchiavo divertita per la scena buffa di Bill tutto nero.
Lui mi sorrise consapevole della figuraccia.
Mi avvicinai e senza spostare lo sguardo da Bill accesi il motore della moto e fissata con stupore dal moro mi strinsi nelle spalle. “Mio papà mi aveva fatto fare un giretto una volta…”
Bill si sistemò la giacca e montò. Fece fare retromarcia alla moto e indossò il casco. “Ehi baby monta dai…”
“Si istrice, con calma”
Indossai il casco e mi sedetti accostandomi alla schiena di Bill. Lui s’irrigidì istintivamente. Era timido o lo mettevo in imbarazzo. Non so.
Chiusi la mente ai dubbi e saltai dalla gioia, perché ora ero a stretto contatto con la sua pelle e potevo sprofondare la testa nei suoi capelli profumatissimi.
La moto usci lentamente sotto il cielo di un tiepido primo gennaio. Circondai con le braccia il torace di Bill e lui fece sgommare la moto uscendo in strada e cominciando il nostro viaggio verso il mare.
Stretta al corpo del moro non mi ci volle molto per sentirmi le palpebre cadere dal sonno.
Così Bill abbandonò l’autostrada e ci fermammo in un autogrill. Accostò la moto dietro l’edificio e si sfilò il casco liberando la chioma corvina. Come una mezza ubriaca sbandata e demente smontai reggendomi sulle gambe come un palloncino in balia del vento.
Bill fu pronto a sorreggermi e far sembrare tutto molto normale mi prese per mano e mi condusse all’interno ordinando un caffè.
“A me non piace il caffè” ammisi seria.
“Davvero? Be’ però ti devi svegliare sennò mi cadi giù dalla moto…” Nei suoi occhi baluginava una piccola scintilla di compassione. Cosa che non condividevo per nulla.
Arrivato il caffè che aveva ordinato mi costrinse a berlo. Mi sorrise stringendo il casco. Era così bello che avrei fatto qualunque cosa per lui.
Bevvi il caffè quasi tutto d'un fiato.
Ogni giorno che passava sapevo che era sempre più speciale e avrei provato di tutto per renderlo felice. Abbassai lo sguardo messa a disagio dal suo sguardo così gentile e affascinante.
Il suo indice mi sfiorò il mento nel segno di alzare il capo e il mio cuore cominciò a battere a più non posso. “Ehi! Va tutto bene?”
Mi capiva così bene da sapere, quando stavo male.
“Uhmmm…Non so cosa mi succede” ammisi sconsolata, di certo avrebbe capito se gli avessi detto una bugia.
Una mano di Bill mi strinse un braccio e l’altra mi circondò la vita avvicinandomi a se. “Se vuoi tornare a casa basta che lo dici, ok? E comunque ci sono io a proteggerti. Non ti devi preoccupare”.
“No andiamo, in ogni modo mi devo preoccupare proprio perché sei tu che mi deve proteggere!” risposi ridendo.
“Ah già vero non ti fidi di me, eh?”
Gli stampai un bacio sulla guancia. “Dai mio piccolo istrice il mare ci attende”
Il moro tenendomi sempre per mano mi accompagnò fuori dal bar e raggiungemmo il punto dove era parcheggiata la moto.
Mi sedetti dietro Bill e indossai il casco, mentre una strana sensazione mi attagliò lo stomaco. Mi sentivo vuota e avevo paura, ma non sapevo di che cosa.
Mi accostai alla schiena del moro e mi abbandonai alla sua protezione sognando di volare nel cielo azzurro cobalto mano nella mano con Bill.

Tom. Germania.
Correva a perdifiato girandosi per controllare che la stessi seguendo. Saltellava nel campo tra le erbacce come una bambina.
Mi fermai un attimo per riprendere fiato e mi spuntò una lampadina sulla testa. Idea! Mi accucciai e scomparii alla sua visuale.
Non riuscivo più a sentire le risate di Erika. Ne dedussi che si fosse fermata per capire che fine avevo fatto.
Qualche attimo dopo la sentii avvicinarsi. Indietreggiai appena, quando entrò nella mia visuale e appena fu di spalle la gettai a terra.
“Ti ho preso!” urlai felice.
I suoi occhioni azzurri mi perforarono l’anima. Li chiuse lentamente e si avvicinò baciandomi. Prima lentamente poi sempre più appassionatamente. Le mie mani nei sui capelli, le sue sotto mia la maglietta, le mie labbra sul suo collo, poi le sue sul mio orecchio. La mia maglia volò via come avvenne per le sue scarpe. Ci rotolammo stringendoci, baciandoci.
“Sei sicura?” le chiesi preoccupato.
Lei mi sfiorò la guancia e mi sorrise teneramente. “Si…Ti amo…”
“Anche io” la baciai e lei si sfilò la maglietta.
Facemmo l’amore per tutta la mattina, ma la cosa che mi sconvolse di più fu sapere che Erika mi ringraziò per questo e si addormentò tra le mie braccia.
Così la coprii con delicatezza e la stendetti sul sedile della macchina e la portai a casa. Era l’unica donna su questa terra che avessi mai amato e che mi avesse davvero dato tutto quello che un uomo potesse desiderare: ero amato.
Imboccai l’autostrada e le diedi uno sguardo fuggente e sorrisi. Ero felice.




   
 
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