Allora rieccoci :) Chi è pronto per un nuovo capitolo alzi la mano! Chi ha voglia di ridere alzi la mano! Chi crede che sia demente alzi la mano!
Oddio non mi aspettavo così tante mani all'ultima affermazione! XD
Prima di cominciare a leggere, dovete sapere che non c'è nessun gelato in questo capitolo, perchè non ci stava proprio materialmente. È una sberla di 14 pagine, non so se mi spiego! Quindi, vi devo informare che sarà sicuramente nel prossimo capitolo :) promesso! Ah e se siete così gentili da sgolosare ancora su queste righe, vi informo che troverete cose almeno in parte piccanti, quindi reggetevi alle vostre seggiole XD
Layla: Mi sono impegnata con Tom, per renderlo più comunemente umano. Tutti lo dipingono come un fattone, cannaiolo, ubriacone! Io lo vedo come un vero romantico, che nasconde la sua natura dolce.
Lie non è piatta, e dice a Bill di esserlo perchè non ha molta autostima di sé. Non ho capito, quindi perchè mi hai scritto: Almeno Lie sa di non essere piatta XD!
Uhuh attenditi un infarto per questo capitolo. Non voglio attentare alla tua vita, ma ti auguro una buona lettura :) per ogni danno collaterale rivolgersi alla cassa XD Kuss Kuss!
SplashedAlcoholic: Non sono riuscita a realizzare le vostre richieste. Il doppio senso non lo troverai, perchè queste sono già 14 pagine! Ma nel prossimo capitolo stai sicura che ci sarà! Uhm Tom e Erika sono dei birichini XD chissà chissà che ci sarà in questo capitolino! Mah :) Bill e Lie, sono due tartarughe, rincitrullite! Poveri compatiscili. Hai presente quando parli con uno che non ci arriva? “G-l-i p-i-a-c-i” E questo ti risponde: “Cosa?”. Non sono convinti di piacersi. E più attendono, più si convincono che non sono fatti l'uno per l'altra. Buona lettura e bacioni :)
Kyara Agatha Mainlander: Ma ciaooo! :) Non mi rompi (a parte quando devo scrivere il tuo nome complicato!) Scommetto che sarai arrabbiatissima con me :( scusami, ma gli impegni mi impediscono di dedicarmi completamente alla storia, che purtroppo ha bisogno di un puro restauro. In certe parti era veramente pessima!
Bella la telecronaca :) mi servirebbe per presentare il capitolo :) (ah mi dispiace di non aver potuto mettere il gelato!) Ah, ho l'accetta pronta, aspettami che arriverò con Gollum un giorno o l'altro XD ciaoooooo!
Capitolo
22: Un fine
anno esplosivo!
Bill. Roma.
Bill
guardava il
commesso come se fosse un guerriero pronto ad uno scontro mortale.
Incuteva
veramente
paura e negli occhi gli splendeva una luce di particolare
eccitazione.
Poi scoppiò in una risata fragorosa, agghiacciante.
Poi scoppiò in una risata fragorosa, agghiacciante.
Le
mie mani
sfiorarono la stoffa della giacca che indossava e tirai quella che
sembrava essere una manica, per fargli arrivare un messaggio molto
chiaro. Dovevamo andarcene. E in fretta.
Eppure
il mio
accompagnatore non voleva mollare la sua posizione.
Avete
presente
quelle scene di film western, in cui due uomini uno di fronte
all'altro osservano l'avversario con la mano sulla pistola? Ecco
Bill, vi si era completamente immedesimato.
Divaricò
le
gambe, strisciando la suola sulla moquette blu scuro e portò
lentamente una mano alla tasca destra posteriore. Escludendo una
auto-palpatina, che cosa stava facendo Bill??
Non
ebbi il tempo di
pensare, che l'uomo dal naso sofisticato, aprì la mani in
segno di sfida e ci indicò la porta. Nel suo sguardo c'era
malizia, senso di vittoria che lo entusiasmava. I suoi denti bianchi,
sembravano scintillare, mentre scoppiò a ridere.
“Dovreste
lasciare il locale immediatamente, grazie” ci
delucidò,
sornione.
Le
porte scorrevoli
di entrata si aprirono ed entrarono due clienti. Erano due signori in
caldi cappotti di pelliccia. Probabilmente avevano i soldi anche
nelle mutande.
Il
commesso sorrise
ai clienti appena entrati e si mostrò subito disponibile ad
esaudire tutti i loro desideri.
Stronzo!
Questo era
l’unico termine che gli si addiceva. Un vero STRONZO!
Il
moro, sventata
l'ipotesi di auto-palpatina, infilò la mano dentro la
misteriosa tasca e ne estrasse...il portafoglio!
Dio,
come mi era
venuto in mente che Bill volesse palparsi in un negozio?
Bill
lo soppesò,
con sguardo sicuro e mostrò al suo avversario la sua arma
aperta (ancora il taccuino).
“Non
mi interessa
cosa è in vendita e cosa no. Io ho detto che la mia amica
qui
presente vuole provare il vestito e lo proverà. E si muova a
toglierlo dalla gruccia. Abbiamo fretta” sentenziò
girando
sui talloni per dirigersi verso una poltrona zebrata.
Il
commesso deglutì
piano. Alzò gli occhi, e senza fiatare sparì dai
nostri
occhi.
Quel
taccuino non
poteva che avere diverse banconote viola, per aver lasciato
così
di stucco il commesso. Qualche milione nel portafoglio di una star
mondiale, poteva anche starci.
Dopo
qualche
manciata di secondi, ritornò il commesso, portando tra le
mani
lo stesso modello che era in vetrina.
L'uomo,
di fronte a
noi, si spostò appena la cravatta e notai che i suoi occhi
si
erano accesi di una luce nuova. Poi si rivolse a me: “Le
porgo le
mie più sincere scuse. Devo aver commesso un brutale errore.
Non è questo il vestito di cui stavo parlando. La signorina
vuole provare l’abito? Si accomodi pure nella sala di
prova”
asserì, chinando leggermente le spalle verso terra in segno
di
reverenza e sparì nuovamente, diretto probabilmente ai
camerini.
Avevo
ancora la
bocca aperta, per protestare a quella reverenza inusuale.
“Chiudi
la bocca,
Lie. Non c'è niente di stupefacente: per il mondo, chi ha
soldi ha tutte le porte spalancate” Bill strinse la fessura
degli
occhi e si sistemò i capelli. Era totalmente calmo. Come
faceva?
Le
mosse che ora il
cantante compiva erano studiate alla perfezione, sembrava seguire uno
schema ben preciso, perchè non era il comportamento che
assumeva in occasioni normali. Era come assistere alla scena di un
film: Bill stava recitando.
Chiusi
gli occhi a
quell'assurdo codice di cortesia che non volevo capire e assimilare.
Era inconcepibile. Come poteva un uomo comandare solo per un
sostanzioso conto in banca? Era un'ingiustizia.
In
silenzio mi
avviai in direzioni dei camerini: bianchi rettangoli, con grandi
grandi tende nere di velluto.
Nella
sala vi erano
anche comode poltrone di pelle, dove ci si poteva sedere ad
attendere.
Se
il negozio non
fosse stato del commesso, avrei strillato e sarei corsa a provare la
comodità di quell'angolo di beatitudine, ma l'orgoglio mi
diceva di strappare il vestito dalle mani del mio nemico e dirigermi
nel camerino.
Quest’ultimo
era
enorme. Dentro vi erano tre specchi sulla tre pareti davanti a me, al
soffitto vi era un grande lampadario dalla luce abbagliante. Non era
una sala prova, ma una casa.
Sospirai
fissando la
mia figura minuta allo specchio. Quella ero io: le punte dei miei
piedi voltate verso l’interno, la braccia lungo i fianchi, i
capelli che mi cadevano sulle spalle e un ciuffo sbarazzino, corto,
verso sinistra. Mi morsicai le labbra timidamente. Ma chi volevo
prendere in giro??
Io
non ero
all’altezza di stare in quel cazzo di camerino e provare un
abito
da schianto come se fossi sexy. Io ero solo una povera stupida che si
stava illudendo.
Quel
pensiero mi
fece sentire come quando ti tirano un pugno dritto nello stomaco.
Presi l’abito arrabbiata con me stessa e lo indossai sperando
che
non mi entrasse, o magari che si rompesse così mi sarei
anche
vendicata con quello stupido negozio.
Invece
mi calzava a
pennello e quando alzai la zip dietro la schiena mi fissai allo
specchio e notai che mi stava perfettamente. Non mi ingrassava, mi
slanciava e mi evidenziava le gambe sottili e il copri spalle mi
aderiva alle braccia e esaltava il collo adornato dalla collana che
mi aveva regalato mio papà.
Tremavo:
così
sarei stata costretta a comperarlo! E poi cosa avrebbe detto Bill?
Aprii
la tenda,
sperando che Dio non stesse schiacciando un sonnellino.
Il
moro che stava
fissando il soffitto appena mi vide uscire si sistemò meglio
sulla poltroncina.
Non
disse nulla.
Rimase a fissarmi a bocca aperta.
Incrociai
le braccia
sul petto. “Bill non fare il cretino. Non mi prendere per il
culo.
Non mi sta bene…dai ora ti prego possiamo tornare a
casa?”
Il
commesso si
intromise. “Le sta benissimo…”
Lo
fissai
inorridita. L'incoerenza non aveva limiti.
Poi
ritornai a
concentrarmi su Bill, che non voleva cogliere le mie richieste. Mi si
avvicinò e cominciò a lisciarmi la gonna ad
alzarmi il
corpetto e mi spostò le ciocche di capelli sulle spalle.
“Bill
smettila!”
dissi afferrandogli un polso. “Sono stanca. Andiamo a
casa…Ti
prego!” supplicai esausta.
“Sei
ancora più
bella quando sei arrabbiata. Ti supplico comperalo. Fallo per
me!”
disse con due occhioni, colmi di tristezza.
“Si
lo comperi, è
un bel capo. Le dona” continuò il rompiscatole.
Lo
avrei preso a
schiaffi se la mia attenzione non fosse stata catturata da Bill, che
quando voleva ottenere una cosa sfoggiava una tecnica imbattibile: la
commiserazione.
“Ok!”
dissi. Ma
il kaiser non esultò. Si limitò a sorridermi.
“Avete
deciso?”
“Si,
e la finisca,
con questa farsa!” rispose Bill, con un tono, che sembrava
quello
di Tom.
Mi
ricambiai e ci
dirigemmo alla cassa, pagammo e una volta fuori scoppiai a ridere.
“E
si muova a toglierlo dalla gruccia. Abbiamo fretta!” citai
Bill, gongolante. “Ma dico come mai sei un
grandissimo
genio, Bill?”
“Ci
sono nato. Ho
un estro particolare, per la recitazione!”
Risi.
Risi per tutto
il tragitto, grazie alle stravaganti battute sul commesso scorbutico
e leccaculo , che Bill si inventava. Come potevo dimenticarmi un
simile pomeriggio? Era stato come una folata di petali in pieno
gelido inverno.
Bill.
Roma.
Uscii
dalla doccia e
strusciai nella mia stanza avvolto in un morbido asciugamano azzurro.
Aprii
la porta, ma
mentre mi stavo dirigendo verso il mio armadio mi apparve una scena
del tutto inaspettata: Lie si stava alzando la cerniera dell'abito,
senza risultati.
La
schiena retta e
sensuale era esposta ai miei occhi. Non si era accorta che ero
entrato. Sentii un suono simile a mille campane.
Ancora
a piedi
scalzi procedetti nella sua direzione, senza provocare rumori e
quando le fui dietro i miei polpastrelli percorsero la schiena di Lie
fino al fondo schiena per risalire in ampi cerchi.
Lie
non si ritrasse,
lasciò che le mie mani si impossessassero del suo corpo. I
miei palmi si fecero strada sulle linee geometriche della sua
schiena, lambendo la pelle profumata di Lie, che cadde indietro.
I
nostri corpi
cozzarono delicatamente e constatai che combaciavano perfettamente.
I
sussurri di Lie mi
svuotarono. Non accennava a cacciarmi. Non urlava. Era totalmente
assorbita dalle mie carezze.
Quella
scena
sensuale dei nostri corpi quasi nudi adiacenti mi risvegliò
dal mio stato di inebriamento. Mi staccai sgomento.
“Ti
alzo la
cerniera” sussurrai piano, sperando che l'intimità
di prima
si fosse cancellata.
Le
mie mani
strinsero i lembi del vestito, uno accanto all'altro, e con
velocità
feci salire la zip.
Lie
si voltò,
fregandosi le mani una contro l'altra.
“Hai
un bel
petto…” Indicò il mio petto, alzando
appena lo sguardo.
“Tu
una bella
schiena” mormorai d'un fiato.
Lie
arrossì.
“Ti lascio cambiarti, ti aspetto in salotto”.
Non
potevo lasciare
che l'imbarazzo le rubasse il sorriso. Non anche a fine anno.
“Potresti
rimanere
a guardarmi per ricambiare la mia scortesia”
Lie
rise. “Mi
farebbe piacere Kaulitz, ma ho un sacco di lavoro da
svolgere!”.
Ricambiai
il
sorriso, poi sparì lasciandomi solo.
Lie.
Roma.
L’aria
quella sera
era piuttosto fresca. Con quel maledetto vestito che avevo dovuto
indossare avevo freddo alle gambe e anche alle spalle nonostante
avessi il copri spalle. Un bel cappotto non guastava.
Il
cielo tempestato
di stelle era bellissimo. Rimasi a naso all’insù,
finché
Bill non spuntò da dietro e mi chiese se avevo freddo.
“Oh
no, è
solo il trentun dicembre!” soffiai con la mani sui fianchi.
Bill
ridacchiò.
“Dai tanto sono guarito. Tienila tu, che sennò ti
ammali. E
poi che cavaliere sarei se non sopportassi un po’ di freddo e
non
prestassi la mia giacca a una ragazza che ha freddo?”
“Un
cavaliere meno
esibizionista…” risposi seria, ma poi scoppiai a
ridere. “E
comunque la giacca ce l'ho mio salvatore!”
“Si.
Però
sono fatto così e non puoi cambiarmi.” aggiunse
Bill
stringendosi nelle spalle.
“Ehi
voi due!
Muovetevi mancano cinque minuti alla fine dell’anno.
Festeggiate
con me?” urlò Saki con mia nonna appollaiata al
suo
braccione.
“Tua
nonna ha un
debole per il povero Saki” commentò Bill al mio
orecchio
prima di prendermi dalla vita e prima di portarmi in braccio fino al
parapetto del terrazzo in cima al condominio.
Le
punte dei piedi
toccarono terra, ma il moro non mi mollò del tutto. Rimasi
sbilanciata contro il suo petto aggrappata al suo collo. Mi sorrise e
con uno scattò mi alzò in aria facendomi alzare
anche
la gonna (giuro che in quel momento l’avrei ammazzato!) e mi
mise a
sedere sul muretto. Lui ridacchiò della mia disgrazia e io
tenni il muso lungo. “Disgraziato!” borbottai
più rivolta
a me che a lui.
“Magnifica…”
affiorò dalle labbra di Bill.
Provai
a sturarmi le
orecchie. “Puoi ripetere caro?” chiesi ridendo
imitando mia
nonna.
Lui
mi prese una
mano e la strinse. Fece un piccolo passetto in avanti e si
accostò
alle mie ginocchia. “Mia carissima principessa. Lei
è una
magnifica, bellissima, affascinate fanciulla. Mi permetterebbe di
baciarle la mano, mia cara?”
Io
entrai nella
parte. Mi gonfiai il petto e mi limitai ad annuire con la testa.
Bill
chiuse gli
occhi e un piccolo inchinò mi fece un elegante baciamano.
Non
riuscireste a credere ai vostri occhi. Bill sembrava davvero un
principe di alto rango!
“Lasci
che le
mostri la bellezza del mio regno…” disse indicando
il cielo.
“Due
minuti,
deficiente!” strillò Saki.
Bill
si pietrificò.
Portò una mano chiusa a pugno davanti alla bocca e
imitò
un colpo di tosse. “Scusate l’ignoranza del mio
servo, mia cara.
Sono mortificato di questo brutto inconveniente…”
disse Bill come
un vero principe.
“Oh
non si deve
preoccupare mio principe! Aspetterò tutta la vita se ce ne
sarà bisogno e poi non mi stancherò accanto alla
sua
dolcezza…”
Il
moro rimase
piuttosto scioccato da quelle parole. Forse avevo detto qualcosa di
sbagliato?
“Un
minuto, porco
spino da palcoscenico!”
Nonostante
avessi
tentato in tutti i modi di non ridere, scoppiai e con me anche il
tedesco.
“Bene,
mia cara.
Là su in cielo tutte quelle stelle sono così
splendenti
perché le ho accese con la grandezza del mio amore. Sono il
riflesso della vostra bellezza”
Non
ebbi il tempo di
commentare che in cielo esplosero un boato di fuochi provenienti da
tutta la città di Roma. Anche Saki si era messo di buona
lena
e stava spedendo in aria quelli che aveva comperato al supermercato.
Il
cielo ora
risplendeva di mille colori e di cascate di tonanti fuochi
d’artificio. Non avevo parole per esprimere la mia emozione
in
quegli istanti.
Poi
Bill mi fece
scendere dal muretto e mi cinse la vita. E ballammo. Ballammo tutta
la notte sotto il mantello incastonato di bellissime e luccicanti
stelle.
Erika.
Germania.
“Tom!
Non fare il
cretino!” protestai, quando mi prese a mo’ di sacco
e mi portò
sulla sua spalla per tutta la casa. I due G erano impegnati in dolci
effusioni con le due K sul divano di casa Kaulitz, mentre Simone
stava sistemando i fuochi d’artificio con Gordon in giardino.
“Ragazzi venite! Mancano cinque minuti!”
Le
rotelle del
cervello di Tom cominciarono a funzionare e finalmente decise di
lasciarmi andare. Tutti insieme ci dirigemmo in giardino.
Io
indossavo un
abito bianco accollato e per niente sfacciato con delle scarpe
sobrie. L’unico strappo alla regola erano i capelli che ero
andata
a sistemare per rendermi irresistibile. Tom invece si era fatto
convincere da me a togliere il cappellino e aveva provato a mettere
una camicia nera, ma si era impuntato sul fatto che non avrebbe mai
più messo la giacca. I due G erano eleganti come sempre
mentre
Karin e Klarissa avevano un po’ esagerato e si erano concesse
una
gonna, ma avevano tenuto una scollatura in limiti accessibili.
“Due
minuti,
nevrotico!” dissi io accostandomi a Tom.
Lui
mi annusò
l’odore dei capelli, mentre mi sfiorò
delicatamente le
braccia.
“Chissà
come sta Bill!” sospirò Simone.
“Bene,
penso. E
poi a fargli compagnia ci sono Saki e Lie…” dissi
io per
distrarmi dall’insistenza di Tom.
“Un
minuto. Tom
lasciala in pace quella povera ragazza! Georg non toccare i fuochi!
Attento a dove metti i piedi amore!” Simone aveva ordini per
tutti.
Mi
voltai verso il
mio ragazzo. Lui non aveva occhi che per me. “Me la prometti
una
cosa?”
“Certo
amore…”
disse lui serio.
“Promettimi
che
farai di tutto per mantenere il nostro amore vivo e combatterai fino
allo sfinimento per non mandare tutto a rotoli?”
“Te
lo prometto.
Ti amo!” disse lui alzandomi il mento e baciandomi.
In
quel momento
esplosero nel cielo centinaia di fuochi d’artificio colorando
la
fredda notte di una piccola città nell’Est della
Germania.
Bill.
Roma.
Avevo
paura. Ecco
cosa provavo: paura di perderla o semplicemente di amarla.
Più
la guardavo e più mi convincevo che non sarebbe stata altro
che un’amica. Più la guardavo più mi
sentivo stupido.
La
stanza era
immersa nell’oscurità. L’unica fonte di
luce proveniva dal
lampione fuori dalla finestra.
Non
ero riuscito a
chiudere occhio. Ero ancora seduto sul letto ad osservarla, mentre
dormiva nel suo letto. Non avevo le forze nemmeno per togliermi le
scarpe. Ero rimasto in camicia, che avevo sbottonato per il caldo
insieme all cravatta che riposava sul tappeto della stanza. I capelli
stirati verso il basso mi caddero in avanti, mentre abbassai il capo.
Un dolore lancinante mi stava attanagliando il petto, e più
specificamente il cuore. Faceva male. Mi faceva davvero male. Ogni
minuto che passava aumentava e mi comprimeva lo stomaco, la testa mi
esplodeva e non riuscivo più a sentirmi le gambe che ormai
tremavano senza sosta.
…sei
bellissimo…
Quelle
due parole mi
trivellavano il cervello da quando le erano affiorate dalle labbra.
Ancora mi chiedevo come fosse possibile che le fossero fuggite, visto
che fino ad ora non le erano quasi mai usciti complimenti per me.
Però non aveva nessun significato. Io le avevo detto che era
semplicemente uno schianto e lei mi aveva risposto che quella sera
anche io ero bellissimo, ma…c’era un
però, mi aveva detto
che i miei complimenti la confondevano. Volevo prometterle che non le
avrei più fatto un complimento, ma…anche per me
c’era un
però, non potevo dirle una bugia. Non potevo mettere un
freno
alla mia lingua visto che ero un logorroico di prima categoria,
così
ero rimasto ferito dal suo però e ora odiavo il mio di
però.
Ma
la cosa che più
di tutte mi aveva ferito era stato il suo sguardo innocente quando si
era stretta nelle spalle e aveva sussurrato che non importava.
Eravamo
rimasti a
guardare il cielo fino a quando la sua testa non era crollata sulla
mia spalla. Allora con delicatezza l’avevo presa in braccio e
l’avevo stesa sul letto. Le avevo rimboccato le coperte e le
avevo
stampato un tenero bacio sul naso prima si sedermi sul mio letto e
rimanere a fissarla come in paradiso.
Ogni
minuto che
passava ripensavo alla sensazione delle sue labbra unite alle mie.
E
mi scendeva un
brivido lungo la schiena.
E
con quella
sensazione mi si chiusero gli occhi e raggomitolandomi come un riccio
sul letto mi lasciai trasportare nel mondo dei sogni.
Tom.
Germania.
Bagnato.
Ero bagnato
come un pulcino. Ma non importava. Ero riuscito a fare ciò
che
volevo fare: portare Erika a vedere l’alba in mezzo ad un
campo.
Quando
mi aveva
chiesto se potevo esaudire il suo desiderio mi ero spaventato.
Pensavo potesse avere la febbre, ma era seria. Così ora mi
ritrovavo in un enorme campo incolto con un mega impermeabile giallo
attorno in cui si era rifugiata anche Erika e guardava estasiata la
palla rossa che solcava il cielo. Erika era bella come il sole. Il
suo corpo contro il mio era la fonte di calore più
stupefacente che avesse accarezzato la mia pelle.
Non
volevo perderla
per nulla al mondo, era l’unica cosa cara che mi rimaneva non
contando Bill per il quale provavo un amore incondizionato
perché
era la mia fotocopia (l’ironia della frase mi sembra
evidente: Tom
ama se stesso per cui anche Bill perché è la sua
fotocopia! ;) )
La
piccola manina
della bionda accarezzò la mia e i suoi capelli piovvero come
una cascata sul mio viso. Le sue labbra si unirono con le mie e le
emozioni volarono via spalancando le ali.
Mi
svegliai in un
pigiama il doppio di me. Lo squadrai perplessa e notai che sul bordo
della maglia del pigiama era stampato un nome a caratteri cubitali:
Bill. Non si bada a spese quando sei egocentrico.
Ma
sorrisi al
pensiero di indossare ancora un suo indumento, di sentire sulla pelle
il suo odore, come se mi stesse stringendo in un lungo abbraccio.
Raccolsi le gambe contro il petto e appoggiai il mento sulle
ginocchia avvolgendomi le caviglie con le braccia. Gli occhi
cominciarono a prudermi e presto scesero le lacrime. Un pianto
silenzioso e che dava poco nell’occhio.
Quando
l’ultima
lacrima mi solcò il volto mi sentivo svuotata di tutte le
mie
emozioni e di tutti i miei pensieri. Non c’era cosa che
sapesse
rifarmi tornare il sorriso. Inclinai la testa per spiare Bill.
Dormiva nel suo letto, come un angioletto. Non so quanto rimasi
lì,
a guardarlo. L’unica cosa che mi fece svegliare dal trans
furono i
movimenti bruschi che il ragazzo fece tra le lenzuola e il nome che
urlò con quanto fiato avesse in gola: Lie.
Saltai
giù
dal letto e mi precipitai sul suo. Mi accostai a lui e gli strinsi la
testa molto teneramente baciandogli la fronte. Bill si calmò
improvvisamente. Io non sapendo che fare e non avendo voglia di
muovermi rimasi lì accoccolata con il kaiser e continuai a
proteggerlo dai suoi sogni tormentati.
“Piccioncini!
Sveglia!” mi urlò una voce nei timpani.
Aprii
lentamente gli
occhi e li stropicciai con il dorso della mano, ancora assonnata.
Abbracciavo ancora Bill per proteggerlo e alla vista di Saki mi
staccai preoccupata che potesse fraintendere.
“Ma
no non volevo
disturbarvi!” disse lui in un sussurro. Mi porse un vassoio
con la
colazione e mi sorrise teneramente. Non l’avevo mai visto
così
dolce.
Se
ne andò in
punta di piedi.
Appoggiai
la testa
sul cuscino e sbuffai. Quanto avrei dovuto tenere solo per me il mio
segreto? E come avrebbe reagito Bill nel venirne a conoscenza?
Eppure
forse non mi
importava come sarebbe andata. L’importante era amarlo.
L’importante era esserci ogni volta che lui mi cercava, ogni
volta
che ne aveva bisogno. Proteggerlo con il mio amore. Mi stesi sul
fianco e accarezzai la guancia al moro. Era così bello.
“Non
sono un
peluche. Ne un cane” commentò Bill con la voce
impasticcata
appena aprì gli occhi.
Ridacchiai.
“Scusa
ma hai avuto un incubo e ti tenevo compagnia…”
Bill
si guardò
il petto e vide che la camicia era tutta sbottonata. “Oddio.
Scusa”
disse coprendosi subito.
“Ma
non mi dava
fastidio anzi!” Ma come cazzo mi erano uscite quelle parole!
Il
moro infatti mi
guardò perplesso. Poi rise.
“Che
hai da
ridere?” protestai interdetta.
Il
kaiser si gettò
su di me e cominciò a farmi il solletico.
“Nooooooo! Bill
nooooo!” gridai tra lo sbellicamento generale.
“Guerra!!!!
Attenta, un attacco dal versante destro e un aereo! Jumby a
rapporto!”
“Che
demente,
Bill!” urlai io morta dalle risate.
“Attenzione
è
in arrivo un missile!” urlò saltandomi sopra
prendendo una
posizione migliore per torturarmi.
“Aiuuuuuuuuuuutooooooooooo!”
gridai prima che Bill la smettesse per prendere fiato.
Ammiccò
e poi
ripartì. Io ero totalmente inebriata al suo contatto, le sue
dita che mi sfioravano i fianchi facendomi ridere come una pazza, il
suo sorriso bello come quello di un bambino e il petto scoperto
invece era il segno che era un uomo. Rimasi un attimo confusa e poi
mi venne un’idea. Mi alzai con la schiena e passai le braccia
sotto
le sue e mi ritrovai faccia a faccia con il moro.
Le
ciocche dei suoi
capelli mi caddero come una cascata sul viso e mi fecero il
solletico.
Bill
non disse
niente, rimase a fissarmi negli occhi.
Io
mi avvicinai
piano diretta alle sue labbra, ma poi cambiai direzione e gli baciai
il naso. “È così perfetto questo naso
che se lo
merita questo bacio!”
Gli
occhi di Bill
diventarono lucidi d’improvviso.
“Ehi!
Cosa c’è?”
chiesi preoccupata.
Bill
sembrava muto,
mentre una lacrima gli sfuggì e rotolò sulla
guancia e
poi cadde sul mio viso. Oddio, forse l'avevo ferito in qualche modo.
“Bill…Ti prego non piangere…”
“Perché?
Non ha importanza” disse molto distaccato.
“Invece
si. A me
si che mi importa!”
Lo
sguardo di Bill
si vece più insistente. “Cosa provi per
me?”
Un
velo di terrore
mi pervase. Cosa voleva che gli dicessi? “Io…Tu
sei un mio
carissimo amico…”
“Tutto
qui?”
domandò molto deluso.
Non
sapevo cosa
dire. Io lo amavo, ma non avevo il coraggio di ammetterlo.
“Bill
provo quello che provi tu…Solo amicizia…Ma
perché dovrei
provare qualcosa per te? E poi che importanza ha?”
“No
in
effetti…nessuna” disse chiudendo gli occhi.
“Solo che sono
molto confuso e non so se provo solo amicizia per te” .
Deglutii
piano. “E
cosa provi?”
“Ci
sarebbe solo
un modo per capirlo” Io alzai un sopracciglio perplessa.
“Posso
baciarti?”
A
quella domanda il
cuore mi saltò fuori dal petto. “Bill
l’hai già
fatto per due volte ci vuole anche una terza?”
Bill
aprì gli
occhi e il nocciola dei suoi occhi mi estasiò.
“Io...Non
sono più tanto sicuro di niente in questa vita. Tu, sei
l’unica mia certezza. Quando ti ho baciato ho capito che sei
speciale. Che sei tu che mi hai cambiato radicalmente la
vita”
“Bill…io…”
“Lasciati
baciare…” disse posandomi l’indice sulle
labbra. Mi abbandonai
tra le sue braccia socchiudendo gli occhi e mi baciò.
Non
so ancora perché
avevo accettato se poi non avevo risposto. Forse non mi sentivo
pronta. Eppure Bill mi aveva appena detto che forse provava per me
più di un’amicizia. Ma ancora mi sentivo incerta e
dubbiosa.
Tuttavia mi lasciai baciare.
Quando
il moro si
staccò da me rimase a fissarmi con un velo di tristezza
negli
occhi. La mia mano gli accarezzò i capelli, mentre lui si
morsicò il labbro inferiore.
“Grazie
per aver
accettato anche se non provi niente per me…” disse
distogliendo
lo sguardo da me.
Si
alzò molto
lentamente e si avviò verso la porta. Scesi con un balzo sul
pavimento e gli afferrai un braccio.
“Bill…”
Il
moro si girò
e lo abbracciai. Lui sembrò molto colpito dalla mia reazione
e
appoggiò imbarazzato le mani sulla mia schiena.
“Ti
andrebbe di
andare in un posto bello bello solo con me?” chiesi con un
po’ di
timore.
“Certo…”
rispose il kaiser piano.
“E
se riuscirai a
farmi divertire ti prometto che ti dico se mi è piaciuto il
tuo bacio…”
Bill
si ritirò
un attimo quel tanto che bastava per fissarmi negli occhi e sorrise.
“Accetto! Ricordati che però io posso farti morire
dalle
risate!”
“Tu
mi fai il
solletico solo per baciarmi dopo” risposi io scherzando.
Bill
si strinse
nelle spalle. “Potrebbe essere, però è
più
forte di me…”
“Beh
stupidino
prendi gli occhiali da sole e costume e partiamo!”
Il
moro fece un
salto che toccò quasi il soffitto. “Andiamo in
piscinaaaaaaaaaaaaa!”
“No.
Vedrai, ti
piacerà!”
Bill
mi fissò
con un muso lungo. “Ma andiamo in piscina? Ho voglia di fare
un
bagno!”
Gli
stampai un bacio
sulla fronte e lo spedii fuori dalla stanza. “Mi cambio.
Faccio in
fretta”.
Dopo
dieci minuti
ero fuori dalla camera. Avevo messo un paio di converse, un paio di
jeans e una felpa; mi ero truccata e avevo raccolto i capelli in una
coda. Bill si doveva essere cambiato in bagno perché ora
indossava una maglietta nera e i jeans e teneva in mano un costume.
“Ma ci serve?”
Scoppiai
a ridere.
“Il costume era per scherzare, furbizia! Non vorrai andare a
fare
il bagno il primo di gennaio?”
La
mandibola di Bill
crollò mostrando le sue bellissime tonsille. “Non
ci posso
credere!”
Feci
un passo in
avanti e gli alzai la mandibola. “Dai cucciolo il mare ci
aspetta…”
dissi superandolo e incamminandomi verso la porta d’entrata
raccogliendo la giacca, il berretto e la sciarpa.
Bill
si voltò
perplesso. “Hai detto cucciolo?”
Mentre
mi infilai il
berretto risi sotto i baffi. “Muoviti Bill!”
Lui
allargò
le braccia in segno che non aveva capito. Poi si rassegnò.
“Ok”
Le
basculanti si
alzarono lentamente rivelando una moto di grossa cilindrata. Era nera
con un grosso teschio sul fianco destro.
“Wow!”
“E'
tutta tua,
campione!”
Bill
mi fissò
perplesso. “Ma…Lie…Non
credo…”
“Era
di mio
padre…Nella tomba non credo gli serva
più…”
“No
no dicevo che
non so se posso guidarla, non ho mai avuto una
moto…”
“Che
ci vuole!
Basta che la accendi…e parti!”.
Sul
volto di Bill si
dipinse una faccina incredula. “Donne e motori non vanno
d’accordo…”
“Senti
da quando
in qua ti intendi di motori tu??” chiesi arrabbiata.
Lui
sbuffò e
cominciò ad ispezionare la moto di mio papà.
“Dovreb….”
Sussurrò togliendo la cavalletta e girando la chiave, ma si
riempì il garage di fumo, proveniente dalla marmitta.
“No
non dovrebbe…”
“Tutto
bene?” mi
sfuggì, mentre ridacchiavo divertita per la scena buffa di
Bill tutto nero.
Lui
mi sorrise
consapevole della figuraccia.
Mi
avvicinai e senza
spostare lo sguardo da Bill accesi il motore della moto e fissata con
stupore dal moro mi strinsi nelle spalle. “Mio
papà mi aveva
fatto fare un giretto una volta…”
Bill
si sistemò
la giacca e montò. Fece fare retromarcia alla moto e
indossò
il casco. “Ehi baby monta dai…”
“Si
istrice, con
calma”
Indossai
il casco e
mi sedetti accostandomi alla schiena di Bill. Lui
s’irrigidì
istintivamente. Era timido o lo mettevo in imbarazzo. Non so.
Chiusi
la mente ai
dubbi e saltai dalla gioia, perché ora ero a stretto
contatto
con la sua pelle e potevo sprofondare la testa nei suoi capelli
profumatissimi.
La
moto usci
lentamente sotto il cielo di un tiepido primo gennaio. Circondai con
le braccia il torace di Bill e lui fece sgommare la moto uscendo in
strada e cominciando il nostro viaggio verso il mare.
Stretta
al corpo del
moro non mi ci volle molto per sentirmi le palpebre cadere dal sonno.
Così
Bill
abbandonò l’autostrada e ci fermammo in un
autogrill.
Accostò la moto dietro l’edificio e si
sfilò il casco
liberando la chioma corvina. Come una mezza ubriaca sbandata e
demente smontai reggendomi sulle gambe come un palloncino in balia
del vento.
Bill
fu pronto a
sorreggermi e far sembrare tutto molto normale mi prese per mano e mi
condusse all’interno ordinando un caffè.
“A
me non piace il
caffè” ammisi seria.
“Davvero?
Be’
però ti devi svegliare sennò mi cadi
giù dalla
moto…” Nei suoi occhi baluginava una piccola
scintilla di
compassione. Cosa che non condividevo per nulla.
Arrivato
il caffè
che aveva ordinato mi costrinse a berlo. Mi sorrise stringendo il
casco. Era così bello che avrei fatto qualunque cosa per
lui.
Bevvi
il caffè
quasi tutto d'un fiato.
Ogni
giorno che
passava sapevo che era sempre più speciale e avrei provato
di
tutto per renderlo felice. Abbassai lo sguardo messa a disagio dal
suo sguardo così gentile e affascinante.
Il
suo indice mi
sfiorò il mento nel segno di alzare il capo e il mio cuore
cominciò a battere a più non posso.
“Ehi! Va tutto
bene?”
Mi
capiva così
bene da sapere, quando stavo male.
“Uhmmm…Non
so
cosa mi succede” ammisi sconsolata, di certo avrebbe capito
se gli
avessi detto una bugia.
Una
mano di Bill mi
strinse un braccio e l’altra mi circondò la vita
avvicinandomi a se. “Se vuoi tornare a casa basta che lo
dici, ok?
E comunque ci sono io a proteggerti. Non ti devi
preoccupare”.
“No
andiamo, in
ogni modo mi devo preoccupare proprio perché sei tu che mi
deve proteggere!” risposi ridendo.
“Ah
già
vero non ti fidi di me, eh?”
Gli
stampai un bacio
sulla guancia. “Dai mio piccolo istrice il mare ci
attende”
Il
moro tenendomi
sempre per mano mi accompagnò fuori dal bar e raggiungemmo
il
punto dove era parcheggiata la moto.
Mi
sedetti dietro
Bill e indossai il casco, mentre una strana sensazione mi
attagliò
lo stomaco. Mi sentivo vuota e avevo paura, ma non sapevo di che
cosa.
Mi
accostai alla
schiena del moro e mi abbandonai alla sua protezione sognando di
volare nel cielo azzurro cobalto mano nella mano con Bill.
Tom.
Germania.
Correva
a perdifiato
girandosi per controllare che la stessi seguendo. Saltellava nel
campo tra le erbacce come una bambina.
Mi
fermai un attimo
per riprendere fiato e mi spuntò una lampadina sulla testa.
Idea! Mi accucciai e scomparii alla sua visuale.
Non
riuscivo più
a sentire le risate di Erika. Ne dedussi che si fosse fermata per
capire che fine avevo fatto.
Qualche
attimo dopo
la sentii avvicinarsi. Indietreggiai appena, quando entrò
nella mia visuale e appena fu di spalle la gettai a terra.
“Ti
ho preso!”
urlai felice.
I
suoi occhioni
azzurri mi perforarono l’anima. Li chiuse lentamente e si
avvicinò
baciandomi. Prima lentamente poi sempre più
appassionatamente.
Le mie mani nei sui capelli, le sue sotto mia la maglietta, le mie
labbra sul suo collo, poi le sue sul mio orecchio. La mia maglia
volò
via come avvenne per le sue scarpe. Ci rotolammo stringendoci,
baciandoci.
“Sei
sicura?” le
chiesi preoccupato.
Lei
mi sfiorò
la guancia e mi sorrise teneramente. “Si…Ti
amo…”
“Anche
io” la
baciai e lei si sfilò la maglietta.
Facemmo
l’amore
per tutta la mattina, ma la cosa che mi sconvolse di più fu
sapere che Erika mi ringraziò per questo e si
addormentò
tra le mie braccia.
Così
la
coprii con delicatezza e la stendetti sul sedile della macchina e la
portai a casa. Era l’unica donna su questa terra che avessi
mai
amato e che mi avesse davvero dato tutto quello che un uomo potesse
desiderare: ero amato.
Imboccai
l’autostrada e le diedi uno sguardo fuggente e sorrisi. Ero
felice.