Diciotto
All’iniziale carica
d’entusiasmo dettata dalla voglia di provare a svagarsi un po’, si era
sostituita in Alberto una strana malinconia. Appena era entrato nella
discoteca (che era peraltro mista, non come si aspettava), con tutte quelle
luci e quella musica sparata al massimo, si era sentito subito un pesce fuor
d’acqua. E pensare che durante il tragitto si era riempito di buoni propositi
di divertirsi almeno un po’, dato che gli ultimi sviluppi non erano poi così
promettenti, posto che Thomas non avesse trovato qualcosa di interessante su
cui poter lavorare. Seduto su un divanetto, ripensava ai giorni scorsi.
L’appuntamento con Daniele, poi la sua sparizione, la comparsa di quel mezzo
punk di nome Thomas con quei suoi capelli rossi e quella personalità così
lunatica, poi il casolare, il suo sogno… se ci fosse stato Dario Argento lì
vicino a lui su quel divano, sarebbe stato ben lieto di raccontargli questa
storia, affinché ne potesse trarre un nuovo film horror. Ma Dario Argento non
c’era, e quella era la realtà. Nonostante ciò, non sapeva ancora dove si
collocasse Nathan in questa realtà. Thomas aveva detto che lo stesso individuo
che aveva rapito Daniele poteva essere lo stesso di Nathan, anzi ne era quasi
certo, però le indagini proseguivano piuttosto a rilento. Strinse i pugni,
pensando che forse Thomas se la stava prendendo troppo comoda con le indagini, ma
si calmò immediatamente pensando che comunque era l’unico jolly che gli era
capitato fino ad ora.
Alzò gli occhi. La
discoteca era piena di “ragazzi del sabato sera”, tutti tirati a lucido e bellissimi a vedersi,
ma che, Alberto ne era sicuro, non avrebbero saputo reggere una conversazione
sui grandi cineasti della storia italiana. E di nuovo ritornò alla mente
Nathan, con la sua passione per il cinema ed il teatro, che il sabato sera
anziché portarlo in discoteca, lo portava a teatro a vedere molte opere
liriche, tra cui “Il Lago dei Cigni” di Tchaikovsky, oppure la “Madama Butterfly” di Puccini. Cosa ci si poteva
aspettare da un ragazzo come Nathan, ballerino professionista e laureato al
DAMS? Tante cose. Per esempio, non era vero che passavano le serate sempre da
soli. Tempo fa avevano anche una compagnia di amici (ovviamente Nathan ne aveva
di più, mentre Alberto poteva contare solo e sporadicamente sull’Ingegner
Fabrizio Foschi, che il più delle volte non partecipava alle uscite per non
venire infastidito dagli amici gay di Nathan), i quali adoravano andare in
discoteca a scatenarsi prima e a fare sesso dopo. “Certo che deve essere
proprio stancante avere un fidanzato fisso, non credi, Nathan?” ricordava di
aver sentito una volta, mentre era in bagno. Si ricordava anche il volto di chi
aveva fatto quella domanda, era un idiota di quarant’anni amico di Nathan che
si dava a tutti e che non era mai stanco di prenderlo nel didietro. Forse si
chiamava Giacomo?
“Parli così solo perché sei
invidioso” aveva ribattuto Nathan con quel suo solito sorriso dolce. Poi aveva
chiuso la bocca, sbattuto le palpebre ed aveva aggiunto “…E poi, in tutta
confidenza… Non credo che facendo queste domande insidiose a me, guadagnerai un
po’ di felicità nella tua vita. Incomincia con l’essere meno aperto e più
riflessivo.” Concludendo, ricordava che Nathan gli avesse toccato la spalla e
si era allontanato, mentre quello era rimasto da solo a digrignare i denti,
perché avrebbe tanto voluto farsi Nathan, ma c’era Alberto di mezzo. In
quell’occasione gli era anche scappata una risatina, e si era persino commosso
per la consapevolezza di avere un ragazzo così.
Se non altro, quella
serata in discoteca era servita da viatico per farlo ritornare in sé dopo gli
sconvolgimenti degli ultimi giorni. Thomas era un bel ragazzo, però sicuramente
non era Nathan. E Alberto voleva lui, e non Thomas, ancora una volta. Si pentì
persino di avergli offerto la possibilità di baciarlo…
“Certo che sono stato
proprio un pirla. Ma che mi è saltato in mente di dargli tutta quella
confidenza.” Pensò, salvo poi pentirsi del suo stesso pensiero, proprio mentre
ripensava a Thomas. Si guardò intorno, sperando magari di vederlo comparire. Se
non altro, avrebbe parlato con qualcuno, anziché aspettare Filippo che se ne
stava lì a ballare con altra gente. Lo osservò. Certo che anche lui era un bel
ragazzo, però non sapeva proprio niente di lui. Di nuovo, quella domanda:
perché aveva accettato?
“Oh cazzo, quanti problemi
che mi faccio. Ma perché non mi lascio andare, una buona volta nella mia
vita???”
Strinse i denti e chiuse
gli occhi. Quando li riaprì, Filippo era lì seduto accanto a lui.
-Ciao!- gli disse, con un
sorriso –Ti stai annoiando?-
-No, stavo soltanto
riposandomi un po’.- rispose Alberto, accavallando le gambe e mettendosi le
mani in grembo. Filippo gli andò vicino.
-Sai, sono contento che tu
abbia accettato il mio invito.- altro sorriso. Altro avvicinamento tattico,
questa volta la mano di Filippo era appoggiata allo schienale del divanetto, ma
Alberto non poteva andare oltre perché bloccato dal bracciolo. Poteva sentire
il profumo dello shampoo di Filippo, applicato a quei capelli mediamente
lunghi, e riusciva ad intuire il suo stato emozionale dal movimento del suo
petto, così irregolare. “Cribbio, ma perché ci devono provare tutti con me? Ma
che cos’ho addosso, una specie di calamita per i ragazzi?” imbarazzato, Alberto
provò a fare un sorriso, ma ebbe un tuffo al cuore quando Filippo gli prese la
mano nella sua e lo guardò negli occhi. Il sorriso sulle sue labbra scomparve
lentamente, come sabbia soffiata via dal vento del deserto –Ti voglio dire una
cosa- esordì Filippo –Io so chi sei. Sei quello che ha perso il fidanzato in
circostanze misteriose.- non avrebbe potuto cominciare peggio. Alberto sospirò
dentro di sé, mantenendo però lo sguardo concentrato sul suo interlocutore
-..So anche che sei stato invitato da quell’impiegato che lavorava con te
all’università. Ho visto i servizi al telegiornale.- lasciò in sospeso
quest’ultima frase, guardando intensamente Alberto per un po’ di tempo,
cercando di studiare una possibile reazione che non ci fu. Poi continuò -…Io
credo che il centro di tutto sei tu.- disse, e la sua mano diede una stretta a
quella di Alberto, che digrignò i denti e fece un altro sospirone, leggermente
sconvolto. –Lo sai… sei un bel ragazzo, molto più bello di tutti quelli che io
vedo di solito.- continuò, con uno strano tono mellifluo che però piacque
abbastanza ad Alberto. Chissà, forse era per il fatto che ad Alberto piaceva
essere corteggiato in quel modo, usando le parole anziché i fatti. Nathan
l’aveva conquistato così, usando le parole prima ed i fatti dopo. –Mi piacerebbe
tanto poterti conoscere meglio. Capisco cosa vuol dire ritrovarsi senza un
fidanzato da un giorno all’altro…- disse, e abbassò gradualmente lo sguardo,
gesto che suscitò in Alberto un senso di tenerezza. Tuttavia non era ancora
molto convinto, ed era ansioso di sapere dove sarebbe voluto arrivare. –Quindi,
io volevo chiederti… se potevamo essere amici, ecco.- rialzò lo sguardo, e
Alberto era ancora lì che lo guardava.
-Oh beh- disse Alberto,
portandosi una mano dietro la nuca e massaggiandosela leggermente –non so cosa
dire. Non mi è mai capitato di incominciare un’amicizia in questo modo. Capisco
cosa voglio dire?-
Filippo annuì.
Effettivamente era piuttosto insolito andare da una persona e chiedere se
voleva essere amica. Nonostante i due frequentassero l’università, Alberto per
lavoro e Filippo per studio, non potevano vedersi troppo spesso. Però, l’idea
di avere un altro amico non dispiaceva affatto ad Alberto, e Filippo sembrava
abbastanza intelligente nonostante la parvenza frivola.
-Senti, non te l’ho mai
chiesto…-
-Cosa?-
-Tu cosa studi alla nostra
università?-
-Studio scienze della
comunicazione.- rispose Filippo, sorridendo. Alberto annuì, sorridendo a sua
volta. –E tu cosa fai sempre chiuso lì negli uffici amministrativi?-
-Distribuisco i soldi
delle vostre tasse ai miei colleghi- rise Alberto –lavoro all’ufficio
personale.-
-Oh, ed è difficile?-
-Abbastanza. Ma per
fortuna so quello che faccio.-
E andarono avanti così a
parlare, proprio come due vecchi amici. Tuttavia, c’era qualcosa che la mente
di Alberto aveva registrato, e che stava per venire a galla. Fu quando Filippo
si alzò e lo invitò a ballare. La musica di sottofondo quando loro si
lanciarono nel ballo era la colonna sonora de “Il tempo delle mele”, per cui un
lento. In mezzo a loro, c’erano tante coppie etero, ma anche altrettante gay.
-Beh, me lo concedi questo
ballo, allora?-
-D’accordo.- rispose
Alberto, e Filippo sorrise.
Si unirono in ballo, con
Filippo che teneva la testa sulla spalla di Alberto, mentre questi pensava a
qualcosa che il ragazzo gli aveva detto prima.
-Scusa, Filippo?-
-Sì?-
-Tu prima hai detto che il
centro ero io. Ma cosa volevi dire?-
Filippo ridacchiò, ma
Alberto non ci trovò niente da ridere –Una fesseria. Io sono un grande
appassionato di romanzi noir.-
-E con questo?- incalzò
Alberto, interessatissimo a quello che il ragazzo voleva dire con
quell’espressione.
-Stavo pensando che magari
il colpevole potrebbe essere una persona che ha un debole per te. E non potendo
sopportare che altre persone gli ronzino attorno, le fa sparire o le fa fuori.-
quest’ultima ipotesi fece ricordare ad Alberto l’episodio di Nevio, che quella
sera aveva cercato di abbordarlo e poi il giorno dopo era stato trovato morto
nel suo letto. Chiunque avesse fatto una cosa del genere di sicuro non nutriva
simpatia nei suoi confronti, e quale miglior movente di quello passionale?
Intorno a loro, le coppie
danzavano tranquille, come se loro non avessero mai avuto problemi di omicidi o
sparizioni nelle loro serene vite, e Alberto augurò loro di non avervi mai a
che fare.
-Secondo me, era questa la
connotazione che volevo dare alla mia frase. Hai un ammiratore segreto che
piuttosto che cercare un approccio amichevole, fa queste cose, per motivi che
non saprei dirti.-
Si guardarono negli occhi.
Alberto che dentro di sé sentiva un mare in agitazione, mentre Filippo che
dichiarava le sue tesi con una naturalezza quasi spaventosa. Perché non poteva
essere? Un assassino che si fa avanti soltanto quando c’è il caso che il suo
amore venga minacciato, che elimina i possibili rivali perché è affetto da
turbe psichiche. “Oh mio dio, ma allora…”
La musica si interruppe,
per lasciare posto ad una nuova sfilza di canzoni da discoteca spacca timpani.
In quel preciso momento Alberto ebbe un capogiro.
-Filippo, devi scusarmi.
Io devo andare in bagno.-
-Oh… va bene. Ti aspetterò
qui.-
-Cerca di non allontanarti
troppo, e non dare confidenza agli sconosciuti, va bene?-
Senza annuire, Filippo lo
guardò sollevando un sopracciglio, perplesso. Intanto Alberto si allontanò
verso il bagno, facendo a gomitate tra la folla di gente presente nel locale.
Giunto in bagno, aprì il
rubinetto e si sciacquò il viso una, due, tre, cinque volte. L’acqua colò in
goccioline dal suo viso nel lavabo, e improvvisamente avvertì una sensazione di
paura. Una paura simile ad un babau che balza fuori dall’armadio quando meno te
lo aspetti. Sai che c’è, ma non sai mai in quale notte verrà fuori a mangiarti
il cuore. Si girò di scatto, e aprì tutte le porte dei bagni. Nessuno. Si
guardò ancora intorno, con il cuore in gola.
“Cristo… d’ora in poi
dovrò stare attento a chi mi si avvicina. Forse Filippo è già in pericolo. Sarà
meglio che lo accompagni a casa e che vada nel suo appartamento.” Si passò una
mano fra i capelli, respirando affannosamente. Possibile che un’ipotesi così
innocente come poteva essere stata quella di Filippo l’avesse messo in un tale
stato d’agitazione?
“Spero soltanto che la mia
sia una paura ingiustificata. Ma se anche Filippo dovesse morire, adesso mi
sentirei colpevole.”
*****
Ultimamente i prezzi della
benzina erano livellati un bel po’. Ragion per cui, Thomas utilizzava l’auto
soltanto quando strettamente necessario, ma anche perché temeva che la sua
vecchia carretta acquistata per mille euro da un rivenditore di auto usate lo
avrebbe lasciato a piedi uno di quei giorni. Averla fatta marciare da Bologna a
Torino era stato un azzardo, ma nel complesso la macchinina aveva tenuto il
ritmo, e così era giunto sano e salvo nella sua città d’origine. Ora stava
guidando nella zona periferica, ovvero ai limiti della città. In realtà stava
girando senza una meta prestabilita, cercando di dare un senso logico ai suoi
pensieri. Uno soltanto attanagliava la sua mente.
“Alberto… perché non si è
fatto vivo stasera? Sono preoccupato. Forse dovrei andare da lui e vedere se va
tutto bene…?”
Era un pensiero niente
male, però forse avrebbe dovuto telefonare prima. Sì, e magari avere anche
qualcosa di più su cui parlare. Non poteva certo andare lì a mani vuote, senza
aver proseguito nell’indagine. La pura verità era che il ragazzo non aveva
idee.
“Sì, e cosa gli dico, che
sto indagando perfettamente, che ho una pista ma che non riesco a decifrare le
lettere e non riesco a trovare quel posto che hai sognato? Pazzesco. Mi sono
spacciato per un buon segugio, ed invece…”
…ed invece era soltanto un
azzeccagarbugli, o presunto tale. Già, perché non aveva mai esercitato la
professione e l’unico straccio di celebrità era un libro intonso nel cassetto
della scrivania di un editore. “Ma è troppo presto per arrendersi. Io sono
sicuro che quel muro esiste!!!” alzò gli occhi al cielo, mentre era fermo al
semaforo. –Ehi, se sei lassù, dammi un segno!- pregò, ad alta voce, sperando
che la sua richiesta avrebbe sortito qualche effetto.
Scattò il verde. Thomas
rilasciò la frizione e partì, però anziché tirare dritto sterzò a destra,
ovvero uscendo quasi dalla città.
E fu lì che lo vide.
Inchiodò, e l’auto si
fermò con uno stridore di pneumatici sull’asfalto.
Un muro di cinta
abbastanza alto, circondato da un giro di filo spinato. Dall’alto sarebbe
sembrato un grosso parallelepipedo grigio, tipo quei mattatoi giganteschi dei
film americani, dove di solito si acquattano i malviventi per mettere a punto i
loro piani oppure dove si nascondono le più spaventose creature di questo
mondo, e gli adolescenti che vanno a passare qualche ora di solitudine vengono
squartati… questo parallelepipedo era circondato da un alto muro di cinta,
sormontato da un filo spinato, probabilmente per non fare entrare nessuno. Antistante
al muro, un parcheggio, completamente vuoto. Thomas si morse il labbro
inferiore, nervoso come non mai. “L’ho trovato” pensò, sicuro che quello fosse
il posto giusto. Alla luce fioca della luna il posto appariva molto sinistro.
Un incubo che Alberto aveva già vissuto nei suoi sogni, e adesso una realtà per
Thomas. Con l’auto si avvicinò al complesso, puntando i fari del veicolo verso
il grosso cancello a lance verticali che svettavano verso l’alto. Nonostante
l’età, gli arrugginiti spunzoni delle lance sembravano parecchio affilati e
pericolosi, per cui sarebbe stato saggio non provare ad entrare da lì. Diede un
colpo di abbaglianti e questi illuminarono anche una parte dell’edificio. Le
finestre, così buie e dai vetri infranti, sembravano degli occhi dalle orbite
vuote. Lo stesso edificio sembrava un bestione dormiente, che osservava quel
piccolo mostriciattolo meccanico che gli puntava le luci addosso, in attesa di
svegliarsi e mangiarselo in un sol boccone. Thomas deglutì, sentendo un groppo
in gola per la paura, poi cercò la sua torcia nel portaoggetti dell’auto,
pensando “Voglio vederci chiaro”.
Scese dal veicolo con un
po’ di titubanza, avvicinandosi al cancello con molta cautela. Si guardò
intorno, e accese la torcia. Il fascio di luce colpì la facciata dell’edificio,
ma non era abbastanza potente da penetrare all’interno delle nere finestre. In
ogni caso, era un edificio abbandonato, ma non avrebbe saputo dire che tipo di
edificio fosse.
“Non sembra una scuola… ma
nemmeno una fabbrica…” mugugnò, cercando di sporgersi un po’ di più attraverso
le sbarre del cancello. “Che sia una prigione…?” indirizzò il fascio di luce
della torcia a destra e a sinistra, constatando che non c’era nessuno. Il
cancello era tenuto insieme da una catena ed un grosso lucchetto. Thomas prese
in mano il lucchetto, tirandolo un po’ “Sarebbe stato troppo bello per essere
vero.” Avrebbe tanto voluto entrare e controllare, ma non c’era proprio modo
di…
“Ehi, ma…” toccando la
catena, si accorse che dietro di essa c’era un anello aperto. Girò l’anello in
modo che l’apertura girasse e ….
“Bingo!”
La catena si aprì,
rilasciando il cancello. Lo aprì veramente molto poco, e sgattaiolò dentro. Non
si preoccupò della sua auto, contando di dare soltanto una rapida occhiata per
poi andarsene a casa di filato.
Inspiegabilmente, la porta
d’entrata non era chiusa, e Thomas si sentì un po’ come entrare nella bocca del
mostro. La torcia era stata fornita di pile nuove, per cui proiettava un fascio
di luce molto potente, che illuminò quello che sembrava un atrio. Una grande
hall, con al centro un punto di reception. Però non era un albergo. Somigliava
di più ad un ospedale. Si avvicinò al banco della reception, dove sedie vuote e
polvere testimoniavano che quel posto era abbandonato da un bel po’ di tempo.
Raccattò un foglio che era lì, e lesse l’intestazione.
“Clinica Psichiatrica
Villa del Monte. Questa è bella. Perché Alberto avrebbe dovuto sognare una
clinica?” si domandò. Apparentemente di spiegazioni razionali ve n’erano ben
poche, ma se si andava a guardare l’irrazionale, forse ce ne sarebbero state di
più. Cercò di non pensare a quel dettaglio, continuando con la sua
esplorazione.
Non c’era molto da vedere.
Soltanto corridoi abbandonati e parecchie stanze vuote. Il tutto si componeva
di tre piani, che Thomas visitò tutti, esplorandoli da cima a fondo. Niente di
interessante, soltanto polvere, ruderi, cartacce e robaccia. Stava
attraversando un corridoio, deciso ad andarsene, quando una porta catturò la
sua attenzione.
“Numero
La decima stanza del terzo
piano. Era l’unica che aveva la porta chiusa. Mise la mano sulla maniglia, che
tra l’altro era anche pulita. Non presentava la minima traccia di polvere. Come
se qualcuno l’avesse spolverata di recente.
“Chiusa. Accidenti…”
Guardò a destra ed a
sinistra, controllando se per caso non ci fosse nessuno a spiarlo “Ma è ovvio
che non c’è nessuno, idiota. Sei qui da solo, questo posto è abbandonato… cosa
potrebbero mai farti? Una multa per sfondamento di una porta?”
Facendosi anima e coraggio,
si allontanò un po’ dalla porta e assestò un poderoso calcio alla maniglia, che
si aprì come per magia. Sorrise, ed entrò. Lo spettacolo che si trovò quando fu
dentro, fu analogo a quello che si era trovato due giorni prima. Una cella
piena di lettere dell’alfabeto, anche dietro la porta, ma soprattutto… alcuni
fogli scritti a mano. Thomas si chinò e li prese, leggendo ciò che c’era
scritto.
“PERCHE’ NON MI AMI – CHE
COSA TI HO FATTO”
Poi la scrittura non
continuava perché il foglio era stato strappato di netto. Inoltre, sotto ai
fogli c’era un ciondolo. Una specie di laccetto con attaccata una “N”.
“N come Nathan…” pensò
Thomas, sorridendo trionfante. Si rialzò, fece un paio di fotografie alla
stanza e fece per uscire, quando all’improvviso…
Gli venne il cuore in gola
quando sentì dei passi dietro di lui. Si girò, e puntò il fascio di luce. Un
individuo con un giubbotto nero ed una maschera bianca sul volto avanzava,
munito di un coltello abbastanza grosso.
-Oh… No!-
Senza dare il tempo al
pazzo di assalirlo, Thomas scattò in un balzo all’indietro, correndo via verso
le scale. Il cuore gli pulsava nel petto dallo spavento, ma cercò di non
perdersi d’animo. Sentiva i passi di quell’individuo che gli correvano dietro.
Fece le scale velocemente, ritrovandosi in men che non si dica nell’atrio
principale. Qui per poco non inciampò e cadde sui suoi stessi piedi, mentre
l’assassino era lì dietro di lui. Riusciva a vedere chiaramente la maschera
bianca che risaltava nel buio, e questo gli diede un incentivo nel correre più
veloce. Attraversò il cortile, aprì il cancello e corse nella sua auto. Accese
il motore e partì, ma l’auto non procedeva in modo regolare.
-Cazzo!!! Mi ha squarciato
i pneumatici!!!- urlò, con orrore sempre più crescente. Abbandonò la sua macchina
e scappò. Intanto il suo inseguitore si era velocizzato e l’aveva quasi
raggiunto. Thomas urlò quando sentì una mano ghermirlo per il braccio.
-Lasciami!! Lasciami!!!-
Alle sue invocazioni,
l’aggressore rispose con una serie di mugolii inarticolati, che fecero
spaventare ancora di più il povero Thomas. Senza perdersi d’animo, Thomas mise
a frutto le sue conoscenze delle arti marziali, e mentre quello lo teneva per
un braccio e si preparava a vibrare una coltellata, alzò un piede e gli assestò
un calcio potentissimo nello stomaco. –Yaaaaa!!!- urlò, e quello mugolò ancora,
senza però cadere a terra. Perse soltanto il coltello, che andò a finire a
pochi passi da lui. Per un attimo Thomas pensò di aver vinto, ma ebbe di che
ricredersi quando il bastardo spiccò un balzo e gli fu addosso, facendolo
cadere. Gli strappò i capelli rossi e gli mise le mani al collo cercando di
strozzarlo, ma Thomas fu più lesto di lui ed iniziò a tempestarlo di pugni
sulla schiena ed ai fianchi. Una scarica di pugni di quel genere avrebbe
mandato all’ospedale chiunque, ma stranamente quel tizio, chiunque egli fosse,
resisteva bene. Era come … posseduto da una forza extraterrena, che lo faceva
continuare a combattere ignorando le elementari leggi della fisica. Le sue
braccia e le sue mani erano incredibilmente forti, tanto che per un attimo
Thomas credette di morire sotto quella stretta al collo. Gli occhi gli uscirono
quasi fuori dalle orbite, e pensò che forse quelli erano gli ultimi atti della
sua povera vita. Poi, in un attimo di lucidità, quando già stava iniziando a
vedere rosso, sollevò il ginocchio e assestò una poderosa ginocchiata nei
genitali dello strangolatore.
-Uuuuuuuuuuhhhnnnn!!!-
mugolò il tizio, lasciando immediatamente la presa e accasciandosi a terra.
Thomas sgattaiolò via da lui, tenendosi il collo e tossendo come un forsennato.
Si rintanò nella sua auto, dandosi dell’imbecille per essere sceso poco prima,
chiuse immediatamente tutte le sicure e prese il telefono cellulare.
Seduto al posto
passeggero, guardò fuori.
Il tizio era sparito.
Compose un numero, e pregò
tutti i santi che fosse acceso.