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Autore: StephEnKing1985    10/11/2010    2 recensioni
Alberto aveva un ragazzo, Nathan. La loro relazione durava da cinque anni, fino a che un giorno Nathan non uscì di casa e non scomparve. A distanza di due anni, Alberto è ancora solo e non sa cosa fare della sua vita. Mentre cerca di rialzarsi, misteriosi omicidi sconvolgono la tranquilla città di Torino. Conoscendo le vittime, Alberto si sentirà in dovere di indagare. Aiutato da uno scrittore, Alberto seguirà la via dell'assassino, fino a scoprire un'agghiacciante verità che mai avrebbe potuto immaginare.
Genere: Dark, Mistero, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Diciotto

Diciotto

All’iniziale carica d’entusiasmo dettata dalla voglia di provare a svagarsi un po’, si era sostituita in Alberto una strana malinconia. Appena era entrato nella discoteca (che era peraltro mista, non come si aspettava), con tutte quelle luci e quella musica sparata al massimo, si era sentito subito un pesce fuor d’acqua. E pensare che durante il tragitto si era riempito di buoni propositi di divertirsi almeno un po’, dato che gli ultimi sviluppi non erano poi così promettenti, posto che Thomas non avesse trovato qualcosa di interessante su cui poter lavorare. Seduto su un divanetto, ripensava ai giorni scorsi. L’appuntamento con Daniele, poi la sua sparizione, la comparsa di quel mezzo punk di nome Thomas con quei suoi capelli rossi e quella personalità così lunatica, poi il casolare, il suo sogno… se ci fosse stato Dario Argento lì vicino a lui su quel divano, sarebbe stato ben lieto di raccontargli questa storia, affinché ne potesse trarre un nuovo film horror. Ma Dario Argento non c’era, e quella era la realtà. Nonostante ciò, non sapeva ancora dove si collocasse Nathan in questa realtà. Thomas aveva detto che lo stesso individuo che aveva rapito Daniele poteva essere lo stesso di Nathan, anzi ne era quasi certo, però le indagini proseguivano piuttosto a rilento. Strinse i pugni, pensando che forse Thomas se la stava prendendo troppo comoda con le indagini, ma si calmò immediatamente pensando che comunque era l’unico jolly che gli era capitato fino ad ora.

Alzò gli occhi. La discoteca era piena di “ragazzi del sabato sera”,  tutti tirati a lucido e bellissimi a vedersi, ma che, Alberto ne era sicuro, non avrebbero saputo reggere una conversazione sui grandi cineasti della storia italiana. E di nuovo ritornò alla mente Nathan, con la sua passione per il cinema ed il teatro, che il sabato sera anziché portarlo in discoteca, lo portava a teatro a vedere molte opere liriche, tra cui “Il Lago dei Cigni” di Tchaikovsky, oppure la “Madama Butterfly” di Puccini. Cosa ci si poteva aspettare da un ragazzo come Nathan, ballerino professionista e laureato al DAMS? Tante cose. Per esempio, non era vero che passavano le serate sempre da soli. Tempo fa avevano anche una compagnia di amici (ovviamente Nathan ne aveva di più, mentre Alberto poteva contare solo e sporadicamente sull’Ingegner Fabrizio Foschi, che il più delle volte non partecipava alle uscite per non venire infastidito dagli amici gay di Nathan), i quali adoravano andare in discoteca a scatenarsi prima e a fare sesso dopo. “Certo che deve essere proprio stancante avere un fidanzato fisso, non credi, Nathan?” ricordava di aver sentito una volta, mentre era in bagno. Si ricordava anche il volto di chi aveva fatto quella domanda, era un idiota di quarant’anni amico di Nathan che si dava a tutti e che non era mai stanco di prenderlo nel didietro. Forse si chiamava Giacomo?

“Parli così solo perché sei invidioso” aveva ribattuto Nathan con quel suo solito sorriso dolce. Poi aveva chiuso la bocca, sbattuto le palpebre ed aveva aggiunto “…E poi, in tutta confidenza… Non credo che facendo queste domande insidiose a me, guadagnerai un po’ di felicità nella tua vita. Incomincia con l’essere meno aperto e più riflessivo.” Concludendo, ricordava che Nathan gli avesse toccato la spalla e si era allontanato, mentre quello era rimasto da solo a digrignare i denti, perché avrebbe tanto voluto farsi Nathan, ma c’era Alberto di mezzo. In quell’occasione gli era anche scappata una risatina, e si era persino commosso per la consapevolezza di avere un ragazzo così.

Se non altro, quella serata in discoteca era servita da viatico per farlo ritornare in sé dopo gli sconvolgimenti degli ultimi giorni. Thomas era un bel ragazzo, però sicuramente non era Nathan. E Alberto voleva lui, e non Thomas, ancora una volta. Si pentì persino di avergli offerto la possibilità di baciarlo…

“Certo che sono stato proprio un pirla. Ma che mi è saltato in mente di dargli tutta quella confidenza.” Pensò, salvo poi pentirsi del suo stesso pensiero, proprio mentre ripensava a Thomas. Si guardò intorno, sperando magari di vederlo comparire. Se non altro, avrebbe parlato con qualcuno, anziché aspettare Filippo che se ne stava lì a ballare con altra gente. Lo osservò. Certo che anche lui era un bel ragazzo, però non sapeva proprio niente di lui. Di nuovo, quella domanda: perché aveva accettato?

“Oh cazzo, quanti problemi che mi faccio. Ma perché non mi lascio andare, una buona volta nella mia vita???”

Strinse i denti e chiuse gli occhi. Quando li riaprì, Filippo era lì seduto accanto a lui.

-Ciao!- gli disse, con un sorriso –Ti stai annoiando?-

-No, stavo soltanto riposandomi un po’.- rispose Alberto, accavallando le gambe e mettendosi le mani in grembo. Filippo gli andò vicino.

-Sai, sono contento che tu abbia accettato il mio invito.- altro sorriso. Altro avvicinamento tattico, questa volta la mano di Filippo era appoggiata allo schienale del divanetto, ma Alberto non poteva andare oltre perché bloccato dal bracciolo. Poteva sentire il profumo dello shampoo di Filippo, applicato a quei capelli mediamente lunghi, e riusciva ad intuire il suo stato emozionale dal movimento del suo petto, così irregolare. “Cribbio, ma perché ci devono provare tutti con me? Ma che cos’ho addosso, una specie di calamita per i ragazzi?” imbarazzato, Alberto provò a fare un sorriso, ma ebbe un tuffo al cuore quando Filippo gli prese la mano nella sua e lo guardò negli occhi. Il sorriso sulle sue labbra scomparve lentamente, come sabbia soffiata via dal vento del deserto –Ti voglio dire una cosa- esordì Filippo –Io so chi sei. Sei quello che ha perso il fidanzato in circostanze misteriose.- non avrebbe potuto cominciare peggio. Alberto sospirò dentro di sé, mantenendo però lo sguardo concentrato sul suo interlocutore -..So anche che sei stato invitato da quell’impiegato che lavorava con te all’università. Ho visto i servizi al telegiornale.- lasciò in sospeso quest’ultima frase, guardando intensamente Alberto per un po’ di tempo, cercando di studiare una possibile reazione che non ci fu. Poi continuò -…Io credo che il centro di tutto sei tu.- disse, e la sua mano diede una stretta a quella di Alberto, che digrignò i denti e fece un altro sospirone, leggermente sconvolto. –Lo sai… sei un bel ragazzo, molto più bello di tutti quelli che io vedo di solito.- continuò, con uno strano tono mellifluo che però piacque abbastanza ad Alberto. Chissà, forse era per il fatto che ad Alberto piaceva essere corteggiato in quel modo, usando le parole anziché i fatti. Nathan l’aveva conquistato così, usando le parole prima ed i fatti dopo. –Mi piacerebbe tanto poterti conoscere meglio. Capisco cosa vuol dire ritrovarsi senza un fidanzato da un giorno all’altro…- disse, e abbassò gradualmente lo sguardo, gesto che suscitò in Alberto un senso di tenerezza. Tuttavia non era ancora molto convinto, ed era ansioso di sapere dove sarebbe voluto arrivare. –Quindi, io volevo chiederti… se potevamo essere amici, ecco.- rialzò lo sguardo, e Alberto era ancora lì che lo guardava.

-Oh beh- disse Alberto, portandosi una mano dietro la nuca e massaggiandosela leggermente –non so cosa dire. Non mi è mai capitato di incominciare un’amicizia in questo modo. Capisco cosa voglio dire?-

Filippo annuì. Effettivamente era piuttosto insolito andare da una persona e chiedere se voleva essere amica. Nonostante i due frequentassero l’università, Alberto per lavoro e Filippo per studio, non potevano vedersi troppo spesso. Però, l’idea di avere un altro amico non dispiaceva affatto ad Alberto, e Filippo sembrava abbastanza intelligente nonostante la parvenza frivola.

-Senti, non te l’ho mai chiesto…-

-Cosa?-

-Tu cosa studi alla nostra università?-

-Studio scienze della comunicazione.- rispose Filippo, sorridendo. Alberto annuì, sorridendo a sua volta. –E tu cosa fai sempre chiuso lì negli uffici amministrativi?-

-Distribuisco i soldi delle vostre tasse ai miei colleghi- rise Alberto –lavoro all’ufficio personale.-

-Oh, ed è difficile?-

-Abbastanza. Ma per fortuna so quello che faccio.-

E andarono avanti così a parlare, proprio come due vecchi amici. Tuttavia, c’era qualcosa che la mente di Alberto aveva registrato, e che stava per venire a galla. Fu quando Filippo si alzò e lo invitò a ballare. La musica di sottofondo quando loro si lanciarono nel ballo era la colonna sonora de “Il tempo delle mele”, per cui un lento. In mezzo a loro, c’erano tante coppie etero, ma anche altrettante gay.

-Beh, me lo concedi questo ballo, allora?-

-D’accordo.- rispose Alberto, e Filippo sorrise.

Si unirono in ballo, con Filippo che teneva la testa sulla spalla di Alberto, mentre questi pensava a qualcosa che il ragazzo gli aveva detto prima.

-Scusa, Filippo?-

-Sì?-

-Tu prima hai detto che il centro ero io. Ma cosa volevi dire?-

Filippo ridacchiò, ma Alberto non ci trovò niente da ridere –Una fesseria. Io sono un grande appassionato di romanzi noir.-

-E con questo?- incalzò Alberto, interessatissimo a quello che il ragazzo voleva dire con quell’espressione.

-Stavo pensando che magari il colpevole potrebbe essere una persona che ha un debole per te. E non potendo sopportare che altre persone gli ronzino attorno, le fa sparire o le fa fuori.- quest’ultima ipotesi fece ricordare ad Alberto l’episodio di Nevio, che quella sera aveva cercato di abbordarlo e poi il giorno dopo era stato trovato morto nel suo letto. Chiunque avesse fatto una cosa del genere di sicuro non nutriva simpatia nei suoi confronti, e quale miglior movente di quello passionale?

Intorno a loro, le coppie danzavano tranquille, come se loro non avessero mai avuto problemi di omicidi o sparizioni nelle loro serene vite, e Alberto augurò loro di non avervi mai a che fare.

-Secondo me, era questa la connotazione che volevo dare alla mia frase. Hai un ammiratore segreto che piuttosto che cercare un approccio amichevole, fa queste cose, per motivi che non saprei dirti.-

Si guardarono negli occhi. Alberto che dentro di sé sentiva un mare in agitazione, mentre Filippo che dichiarava le sue tesi con una naturalezza quasi spaventosa. Perché non poteva essere? Un assassino che si fa avanti soltanto quando c’è il caso che il suo amore venga minacciato, che elimina i possibili rivali perché è affetto da turbe psichiche. “Oh mio dio, ma allora…”

La musica si interruppe, per lasciare posto ad una nuova sfilza di canzoni da discoteca spacca timpani. In quel preciso momento Alberto ebbe un capogiro.

-Filippo, devi scusarmi. Io devo andare in bagno.-

-Oh… va bene. Ti aspetterò qui.-

-Cerca di non allontanarti troppo, e non dare confidenza agli sconosciuti, va bene?-

Senza annuire, Filippo lo guardò sollevando un sopracciglio, perplesso. Intanto Alberto si allontanò verso il bagno, facendo a gomitate tra la folla di gente presente nel locale.

Giunto in bagno, aprì il rubinetto e si sciacquò il viso una, due, tre, cinque volte. L’acqua colò in goccioline dal suo viso nel lavabo, e improvvisamente avvertì una sensazione di paura. Una paura simile ad un babau che balza fuori dall’armadio quando meno te lo aspetti. Sai che c’è, ma non sai mai in quale notte verrà fuori a mangiarti il cuore. Si girò di scatto, e aprì tutte le porte dei bagni. Nessuno. Si guardò ancora intorno, con il cuore in gola.

“Cristo… d’ora in poi dovrò stare attento a chi mi si avvicina. Forse Filippo è già in pericolo. Sarà meglio che lo accompagni a casa e che vada nel suo appartamento.” Si passò una mano fra i capelli, respirando affannosamente. Possibile che un’ipotesi così innocente come poteva essere stata quella di Filippo l’avesse messo in un tale stato d’agitazione?

“Spero soltanto che la mia sia una paura ingiustificata. Ma se anche Filippo dovesse morire, adesso mi sentirei colpevole.”

 

*****

 

Ultimamente i prezzi della benzina erano livellati un bel po’. Ragion per cui, Thomas utilizzava l’auto soltanto quando strettamente necessario, ma anche perché temeva che la sua vecchia carretta acquistata per mille euro da un rivenditore di auto usate lo avrebbe lasciato a piedi uno di quei giorni. Averla fatta marciare da Bologna a Torino era stato un azzardo, ma nel complesso la macchinina aveva tenuto il ritmo, e così era giunto sano e salvo nella sua città d’origine. Ora stava guidando nella zona periferica, ovvero ai limiti della città. In realtà stava girando senza una meta prestabilita, cercando di dare un senso logico ai suoi pensieri. Uno soltanto attanagliava la sua mente.

“Alberto… perché non si è fatto vivo stasera? Sono preoccupato. Forse dovrei andare da lui e vedere se va tutto bene…?”

Era un pensiero niente male, però forse avrebbe dovuto telefonare prima. Sì, e magari avere anche qualcosa di più su cui parlare. Non poteva certo andare lì a mani vuote, senza aver proseguito nell’indagine. La pura verità era che il ragazzo non aveva idee.

“Sì, e cosa gli dico, che sto indagando perfettamente, che ho una pista ma che non riesco a decifrare le lettere e non riesco a trovare quel posto che hai sognato? Pazzesco. Mi sono spacciato per un buon segugio, ed invece…”

…ed invece era soltanto un azzeccagarbugli, o presunto tale. Già, perché non aveva mai esercitato la professione e l’unico straccio di celebrità era un libro intonso nel cassetto della scrivania di un editore. “Ma è troppo presto per arrendersi. Io sono sicuro che quel muro esiste!!!” alzò gli occhi al cielo, mentre era fermo al semaforo. –Ehi, se sei lassù, dammi un segno!- pregò, ad alta voce, sperando che la sua richiesta avrebbe sortito qualche effetto.

Scattò il verde. Thomas rilasciò la frizione e partì, però anziché tirare dritto sterzò a destra, ovvero uscendo quasi dalla città.

E fu lì che lo vide.

Inchiodò, e l’auto si fermò con uno stridore di pneumatici sull’asfalto.

Un muro di cinta abbastanza alto, circondato da un giro di filo spinato. Dall’alto sarebbe sembrato un grosso parallelepipedo grigio, tipo quei mattatoi giganteschi dei film americani, dove di solito si acquattano i malviventi per mettere a punto i loro piani oppure dove si nascondono le più spaventose creature di questo mondo, e gli adolescenti che vanno a passare qualche ora di solitudine vengono squartati… questo parallelepipedo era circondato da un alto muro di cinta, sormontato da un filo spinato, probabilmente per non fare entrare nessuno. Antistante al muro, un parcheggio, completamente vuoto. Thomas si morse il labbro inferiore, nervoso come non mai. “L’ho trovato” pensò, sicuro che quello fosse il posto giusto. Alla luce fioca della luna il posto appariva molto sinistro. Un incubo che Alberto aveva già vissuto nei suoi sogni, e adesso una realtà per Thomas. Con l’auto si avvicinò al complesso, puntando i fari del veicolo verso il grosso cancello a lance verticali che svettavano verso l’alto. Nonostante l’età, gli arrugginiti spunzoni delle lance sembravano parecchio affilati e pericolosi, per cui sarebbe stato saggio non provare ad entrare da lì. Diede un colpo di abbaglianti e questi illuminarono anche una parte dell’edificio. Le finestre, così buie e dai vetri infranti, sembravano degli occhi dalle orbite vuote. Lo stesso edificio sembrava un bestione dormiente, che osservava quel piccolo mostriciattolo meccanico che gli puntava le luci addosso, in attesa di svegliarsi e mangiarselo in un sol boccone. Thomas deglutì, sentendo un groppo in gola per la paura, poi cercò la sua torcia nel portaoggetti dell’auto, pensando “Voglio vederci chiaro”.

Scese dal veicolo con un po’ di titubanza, avvicinandosi al cancello con molta cautela. Si guardò intorno, e accese la torcia. Il fascio di luce colpì la facciata dell’edificio, ma non era abbastanza potente da penetrare all’interno delle nere finestre. In ogni caso, era un edificio abbandonato, ma non avrebbe saputo dire che tipo di edificio fosse.

“Non sembra una scuola… ma nemmeno una fabbrica…” mugugnò, cercando di sporgersi un po’ di più attraverso le sbarre del cancello. “Che sia una prigione…?” indirizzò il fascio di luce della torcia a destra e a sinistra, constatando che non c’era nessuno. Il cancello era tenuto insieme da una catena ed un grosso lucchetto. Thomas prese in mano il lucchetto, tirandolo un po’ “Sarebbe stato troppo bello per essere vero.” Avrebbe tanto voluto entrare e controllare, ma non c’era proprio modo di…

“Ehi, ma…” toccando la catena, si accorse che dietro di essa c’era un anello aperto. Girò l’anello in modo che l’apertura girasse e ….

“Bingo!”

La catena si aprì, rilasciando il cancello. Lo aprì veramente molto poco, e sgattaiolò dentro. Non si preoccupò della sua auto, contando di dare soltanto una rapida occhiata per poi andarsene a casa di filato.

Inspiegabilmente, la porta d’entrata non era chiusa, e Thomas si sentì un po’ come entrare nella bocca del mostro. La torcia era stata fornita di pile nuove, per cui proiettava un fascio di luce molto potente, che illuminò quello che sembrava un atrio. Una grande hall, con al centro un punto di reception. Però non era un albergo. Somigliava di più ad un ospedale. Si avvicinò al banco della reception, dove sedie vuote e polvere testimoniavano che quel posto era abbandonato da un bel po’ di tempo. Raccattò un foglio che era lì, e lesse l’intestazione.

“Clinica Psichiatrica Villa del Monte. Questa è bella. Perché Alberto avrebbe dovuto sognare una clinica?” si domandò. Apparentemente di spiegazioni razionali ve n’erano ben poche, ma se si andava a guardare l’irrazionale, forse ce ne sarebbero state di più. Cercò di non pensare a quel dettaglio, continuando con la sua esplorazione.

Non c’era molto da vedere. Soltanto corridoi abbandonati e parecchie stanze vuote. Il tutto si componeva di tre piani, che Thomas visitò tutti, esplorandoli da cima a fondo. Niente di interessante, soltanto polvere, ruderi, cartacce e robaccia. Stava attraversando un corridoio, deciso ad andarsene, quando una porta catturò la sua attenzione.

“Numero 310.”

La decima stanza del terzo piano. Era l’unica che aveva la porta chiusa. Mise la mano sulla maniglia, che tra l’altro era anche pulita. Non presentava la minima traccia di polvere. Come se qualcuno l’avesse spolverata di recente.

“Chiusa. Accidenti…”

Guardò a destra ed a sinistra, controllando se per caso non ci fosse nessuno a spiarlo “Ma è ovvio che non c’è nessuno, idiota. Sei qui da solo, questo posto è abbandonato… cosa potrebbero mai farti? Una multa per sfondamento di una porta?”

Facendosi anima e coraggio, si allontanò un po’ dalla porta e assestò un poderoso calcio alla maniglia, che si aprì come per magia. Sorrise, ed entrò. Lo spettacolo che si trovò quando fu dentro, fu analogo a quello che si era trovato due giorni prima. Una cella piena di lettere dell’alfabeto, anche dietro la porta, ma soprattutto… alcuni fogli scritti a mano. Thomas si chinò e li prese, leggendo ciò che c’era scritto.

“PERCHE’ NON MI AMI – CHE COSA TI HO FATTO”

Poi la scrittura non continuava perché il foglio era stato strappato di netto. Inoltre, sotto ai fogli c’era un ciondolo. Una specie di laccetto con attaccata una “N”.

“N come Nathan…” pensò Thomas, sorridendo trionfante. Si rialzò, fece un paio di fotografie alla stanza e fece per uscire, quando all’improvviso…

Gli venne il cuore in gola quando sentì dei passi dietro di lui. Si girò, e puntò il fascio di luce. Un individuo con un giubbotto nero ed una maschera bianca sul volto avanzava, munito di un coltello abbastanza grosso.

-Oh… No!-

Senza dare il tempo al pazzo di assalirlo, Thomas scattò in un balzo all’indietro, correndo via verso le scale. Il cuore gli pulsava nel petto dallo spavento, ma cercò di non perdersi d’animo. Sentiva i passi di quell’individuo che gli correvano dietro. Fece le scale velocemente, ritrovandosi in men che non si dica nell’atrio principale. Qui per poco non inciampò e cadde sui suoi stessi piedi, mentre l’assassino era lì dietro di lui. Riusciva a vedere chiaramente la maschera bianca che risaltava nel buio, e questo gli diede un incentivo nel correre più veloce. Attraversò il cortile, aprì il cancello e corse nella sua auto. Accese il motore e partì, ma l’auto non procedeva in modo regolare.

-Cazzo!!! Mi ha squarciato i pneumatici!!!- urlò, con orrore sempre più crescente. Abbandonò la sua macchina e scappò. Intanto il suo inseguitore si era velocizzato e l’aveva quasi raggiunto. Thomas urlò quando sentì una mano ghermirlo per il braccio.

-Lasciami!! Lasciami!!!-

Alle sue invocazioni, l’aggressore rispose con una serie di mugolii inarticolati, che fecero spaventare ancora di più il povero Thomas. Senza perdersi d’animo, Thomas mise a frutto le sue conoscenze delle arti marziali, e mentre quello lo teneva per un braccio e si preparava a vibrare una coltellata, alzò un piede e gli assestò un calcio potentissimo nello stomaco. –Yaaaaa!!!- urlò, e quello mugolò ancora, senza però cadere a terra. Perse soltanto il coltello, che andò a finire a pochi passi da lui. Per un attimo Thomas pensò di aver vinto, ma ebbe di che ricredersi quando il bastardo spiccò un balzo e gli fu addosso, facendolo cadere. Gli strappò i capelli rossi e gli mise le mani al collo cercando di strozzarlo, ma Thomas fu più lesto di lui ed iniziò a tempestarlo di pugni sulla schiena ed ai fianchi. Una scarica di pugni di quel genere avrebbe mandato all’ospedale chiunque, ma stranamente quel tizio, chiunque egli fosse, resisteva bene. Era come … posseduto da una forza extraterrena, che lo faceva continuare a combattere ignorando le elementari leggi della fisica. Le sue braccia e le sue mani erano incredibilmente forti, tanto che per un attimo Thomas credette di morire sotto quella stretta al collo. Gli occhi gli uscirono quasi fuori dalle orbite, e pensò che forse quelli erano gli ultimi atti della sua povera vita. Poi, in un attimo di lucidità, quando già stava iniziando a vedere rosso, sollevò il ginocchio e assestò una poderosa ginocchiata nei genitali dello strangolatore.

-Uuuuuuuuuuhhhnnnn!!!- mugolò il tizio, lasciando immediatamente la presa e accasciandosi a terra. Thomas sgattaiolò via da lui, tenendosi il collo e tossendo come un forsennato. Si rintanò nella sua auto, dandosi dell’imbecille per essere sceso poco prima, chiuse immediatamente tutte le sicure e prese il telefono cellulare.

Seduto al posto passeggero, guardò fuori.

Il tizio era sparito.

Compose un numero, e pregò tutti i santi che fosse acceso.

 

   
 
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