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Autore: robrua     12/11/2010    6 recensioni
Questa storia, che viene pubblicata con questo account e che è scritta da me, che ne sono proprietaria e da sasita, che qui già conoscete benissimo, è un crossover tra The Mentalist e Twilight... vi prego di non partire prevenuti e di leggere e di recensire, perché ne varrà la pena! spero di vedere tante recensioni, R&S
Genere: Fantasy, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo Personaggio, Patrick Jane, Teresa Lisbon
Note: AU, Cross-over, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Sbattei le palpebre infastidita da un irritante lampeggiare, aprii gli occhi e vidi la lucina della cintura di sicurezza che mi illuminava a intervalli, insistente. Ma che ore erano?
Iniziai a rendermi conto di quanta strada avessimo fatto, quando la voce ovattata del pilota mi riempì le orecchie dando un numero ai miei pensieri
-Vi preghiamo di allacciare le cinture di sicurezza. Stiamo per atterrare all’aeroporto di Seattle. Grazie per aver scelto “Air One”.-
Tossì sommessamente tentando di riavviare le corde vocali.
-Buongiorno.-
Sobbalzai leggermente al suono della voce melodiosa e calda di Jane, solo in quel momento mi resi  conto di avere la testa appoggiata alle sua spalla.
Sorrisi alzandomi e mi stiracchiai, guardandolo negli occhi. Increspai le sopracciglia, ricordando l’ipotesi sul come e il perché mi fossi addormentata.
-Quanto ho dormito?- chiesi.
Lo vidi sogghignare e mi accigliai, indispettita.
-Sei ore e mezzo.- rispose beffardo mantenendo il suo sguardo nel mio.
-E tu?-
-Io non ho dormito.- ammise con un sorrisino mesto, spostando lo sguardo verso una hostes –forse dovresti indossare la cintura!- disse poi
Mi ricordai del pressante lampeggiare e diedi ascolto a Patrick.
-Oh, sì, giusto!- dissi tornando a fissarlo –Sei stato tu, vero?-
Mi guardò con quella sua aria da falso innocente.
-A fare cosa?- sgranò gli occhi e aprii la bocca. Fui presa da un risolino.
-A farmi dormire! Mi hai ipnotizzata, vero?-
-Non lo farei mai.- disse, fintamente permaloso.
Fui lì lì per tirargli una sberla sonora, ma mi colpì il fatto di essergli profondamente grata per avermi risparmiato 7 ore d’angoscia.
-Grazie!- dissi sinceramente, abbassando lo sguardo e mordendomi leggermente il labbro inferiore –Ma non entrare mai più nella mia testa!-
-Vedrò che posso fare, Teresa.-
E poi mi sorrise, di quel sorriso che mi abbagliava sempre: beffardo, sghembo, sincero e totalmente, inevitabilmente abbagliante.
Il mio preferito.
Le sue labbra rosse  e carnose erano un richiamo quasi primordiale per il mio corpo.
Mi accorsi che l’aereo stava scendendo in picchiata quando un vuoto d’aria mi fece sentire uno sfarfallio fastidioso nello stomaco. Strinsi le dita attorno al bracciolo del seggiolino fino a sbiancare le nocche, mi irrigidii e chi chiusi gli occhi, contraendo le labbra per reprimere il desiderio di rigetto. Le strinsi talmente tanto da farle sanguinare.
Sentii un lamento soffocato, altre al mio, che mi distrasse. Aprii gli occhi e cominciai a guardarmi intorno succhiando via il sangue dalla ferita.
Una ragazza, seduta qualche posto più avanti dalla parte opposta del mio, mi fissava con sguardo vacuo e profondo...
Aveva gli occhi di un marrone chiarissimo che sembrava molto a un miscuglio tra un topazio e l’ambra, lunghi capelli castani scurissimi e pelle totalmente diafana. Era bellissima, come il ragazzo dai capelli bronzei che le era seduto vicino; le sussurrò qualcosa che non arrivò al mio orecchio e quella mi sorrise, amichevole, io, istintivamente le sorrisi di risposta, poi lei si girò, ancora sorridente, verso di lui.
Interessante coppia, pensai, non avrei dato più di 20 anni a nessuno dei due.
In quel momento l’aereo si fermò e capii che eravamo arrivati, trassi un profondo respiro, rendendomi conto solo in quel momento di averlo trattenuto piuttosto a lungo, tanto che l’aria sibilò entrando nei polmoni.
Infilai il maglione e il giubbotto, la sciarpa e il cappello.
-Tieni i guanti, sei un po’ pallida.- mi disse suadente all’orecchio Patrick.
Ora io mi chiedo come possa essere legale che una persona possa farti venire i languori con la semplice voce e con una frase tanto innocente in una aereo stracolmo di persone. Impossibile.
Scossi la testa. –No, grazie. Guardavo la coppietta di ragazzi seduta... – alzai lo sguardo verso i posti dove prima stavano i due -... non importa.- loro non c’erano già più.
Mi guardò allarmato e mi sorrise, prendendo i nostri bagagli a mano e accompagnandomi verso le scalette per scendere da quello che consideravo un trabiccolo mortale: l’aeroplano.
-So camminare da sola, sai?- sputai con finto astio
-Mi riservo il beneficio del dubbio su questa affermazione... – disse, sorridendo.
Mi guardò il labbro, serio. E corrugò la fronte. –Sai, mi piace moltissimo quando ti mordicchi le labbra, però... non mi piace affatto vederle così martoriate!- affermò come se fosse la cosa più innocua e normale del mondo.
Ma forse ero io che vedevo cose che non esistevano.
Il mio cuore perse parecchi battiti,  e continuai a guardarlo sbalordita e immobile, mentre si avvicinava a me.
Cosa stava facendo? Perché si avvicinava tanto?
Sì, ero io che vedevo cose che non esistevano, ormai ne ero certa.
Si allontanò da me e grattando la gola ricominciò a camminare verso l’aeroporto, cercando qualcosa nello zainetto che portava su una spalla.
-Tieni, spalma questo.- mi disse, porgendomi un tubetto bianco e marroncino che puzzava di Das.
-Grazie.- dissi –Non ne avevo bisogno.- che bugiarda –Sto benissimo.-
Lui non rispose che con una leggera mossa della testa, in segno di diniego e schiocco le dita in mia direzione.
Mi passai la pomata sul labbro, già pronta a dover pazientare per poter prendere un taxi.
Mi parve, infatti, molto strano trovarne uno immediatamente, appena Jane si sporse con un braccio sulla strada, mentre con l’altra mano fischiava.
Fu altrettanto strano non dover avere a che fare con il traffico insistente di Sacramento e percorrere la strada senza difficoltà alcuna.
Poche macchine andavano verso Forks, una Volvo grigio-metallizzato, una bellissima BMW M3 rosso fuoco, guidata da una ragazza bionda bellissima con accanto un ragazzo altrettanto bello, ma molto più piazzato di corporatura. Sui sedili dietro stavano una ragazzina dai capelli neri e arruffati dal vento che rideva mano nella mano con un giovane biondo cenere e l’aria di uno in agonia. Erano tutti felici.
Dietro stava una volante della polizia con le sirene spente e una bella macchina nera dai finestrini oscurati, ma tirati giù, che mostravano un uomo davvero di una bellezza strabiliante che parlava con una donna sorridente con i capelli di bronzo.
Il resto delle macchine non attirava l’attenzione, se non per la loro  strabiliante normalità in confronto a quelle altre.
Dopo aver fatto queste constatazioni per “ammazzare il tempo”, senza curarmene troppo, guardai affascinata il verdeggiante stato che stavamo attraversando, verso nord, per arrivare alla cittadina.
Le nuvole erano sempre più dense e scure, finché non iniziò a cadere una insistente e cullante pioggerella, che riposò i miei sensi.
Non è che mi piacesse più del sole, la pioggia, solo che ogni tanto la gradivo, per il suo potere calmante.
Il solo mi piaceva, ma in California era come un chiodo fisso e i raggi solari mi davano fastidio se duravano più di sei mesi filati.
-Sai, mi sorprende che ti piaccia la pioggia... – ovviamente Jane non poteva fare a meno di “entrarmi nella testa” era più forte di lui -... cosa ti ha spinto a venire a Sacramento, quando potevi restare a San Francisco? Che è decisamente più piovosa.-
-uhm… credo di averlo fatto per sfuggire ai ricordi brutti di mio padre e della mia adolescenza. Odiavo Frisco, anche se è una città meravigliosa. E poi Sacramento mi piace molto.-
-Me lo aspettavo. Sì, Sacramento ti piace, ma c’è troppo sole, giusto?-
-Non è che c’è troppo sole, è che c’è sole troppo a lungo.- dissi con un sorriso
-E qui ti piace.-
Non era una domanda, ma risposi ugualmente.
-Sì, per ora. Anche se scommetto che tra un po’ mi annoierò anche qui. Non mi piacciono le “monostagioni”.-
Sorrise, beffardo.
-Io dico che qui ti piacerà parecchio.- rise, di un qualcosa che non potevo sapere.
-Credo anche io...- mi sistemai meglio sul sedile –A te?-
-A me cosa?- mi chiese, puntandomi negli occhi
-A te piace qui?- dissi scocciata. Che lo chiedeva a fare se lo sapeva benissimo?
-Bé, io ho sempre amato il caldo, il sole, il mare... anche se devo ammettere che al momento è questo clima qui che mi rispecchia maggiormente.- picchiettò le dita sul finestrino, chiaro segno che il discorso si era concluso.
Sospirai e annuii, pensierosa.
Sapevo che lui non avrebbe mai dimenticato la sua famiglia, le sue radici, tutte le sue sofferenze. Ma avevo una qualche speranza che la situazione potesse migliorare.
Non con il tempo, perché di tempo ne era passato molto, ma in qualche modo di sicuro.
Magari mi illudevo che lui un giorno potesse svegliarsi e rendersi conto di essere innamorato di me e potesse magicamente archiviare tutte le sue pene in un angolino remoto del suo cuore.
Innamorato...
Poi parlavo io, io che non sapevo esattamente cosa provavo, non sapevo niente. Ero confusa, affascinata...
Chissà se era amore. Non lo capivo. Io sentivo il cuore battere e il respiro andare sottosopra, sentivo le farfalle nello stomaco, mi sentivo viva, completamente viva.
Ma a volte mi veniva voglia di sparagli, e altre volte non lo sopportavo proprio.
Certo era che i momenti di odio incondizionato nei suoi confronti duravano poco, sostituiti da altri momenti di compassione e pietà.
Ok, sì, ero innamorata, ma quanto? Abbastanza da sopportare tutti i suoi cambi d’umore e le sue incertezze? Abbastanza da sopportare di vederlo logorare nel desiderio di vendetta? Abbastanza da fermarlo se mai avesse avuto la possibilità di uccidere la causa delle sue pene? Abbastanza da avere la forza di sopravvivere se, una volta ucciso John, fosse stato condannato a morte per omicidio volontario e premeditato? Forse sì, forse no.
Comunque ero sicura che fossero domande infondate, io e Jane non saremmo mai arrivati a un punto di non ritorno, come coppia. Non avrebbe permesso a se stesso di fare del male ad un'altra persona, se anche mi avesse amato.
Lui si credeva egoista, e lo era stato, ma adesso non lo era più.    
-Cosa porta una bella coppia come voi in questa città piovosissima?- chiese il tassista, che, molto probabilmente non ce la faceva più a trattenere la curiosità.
Si era sfilato le cuffiette dalle orecchie e l’aveva chiesto.
Risi, possibile che tutti ci vedessero come una coppia?
Non stavamo insieme, cavolo!
Evitai di rispondere, sapendo che tanto Jane mi avrebbe interrotto e avrebbe detto il contrario di ciò che avevo da dire, cioè: “Perché non si fa i cazzi suoi? Io e lui non stiamo insieme.”
Infatti.
-Io e mia moglie siamo molto curiosi di visitare il nostro intero paese e a lei piace molto la pioggia.-
Mi misi una mano sul volto. Questo era uno dei momenti in cui lo odiavo.
-Sì, ma perché Forks...-
-Siamo poliziotti. Non siamo in luna di miele. Non siamo sposati. Guardi la strada!- dissi acida e fulminando con lo sguardo il biondo uomo accanto a me che sorrideva con fare sardonico.
-Mi scusi.-
-Non importa.- dissi, rendendomi conto di essere stata un po’ troppo dura –Quanto manca?-
-Siamo arrivati, vede?- con una mano mi indicò un cartello con su scritto “benvenuti a Forks”
Sotto c’era il numero di abitanti: 3223.
Il nostro hotel era in città e in poco più di cinque minuti scendemmo dal taxi ed entrammo nell’Hall.
Mi sedetti su un divanetto aspettando che Jane finisse di prendere le camere, quando tornò da me gli chiesi la mia chiave.
-Non ho preso due camere, troppo dispendioso e inutile.-
-Tu. Hai. Preso. Una. Camera. Sola?!- chiesi tentando di mantenere la calma –Tu sei pazzo! Come speri che io non abbia un raptus omicida? Potrei tagliarti la gola nel sonno per tutte le cose che mi combini!- gli dissi
-Non lo faresti mai!- affermò, sicuro di se
-È un mio sogno ricorrente!- sputai
Parve avere un momento di esitazione.
-Non è una semplice camera! È una suite con due camere attigue, solo che hanno una porta sola.
Ho scelto quella perché c’è il cucinino, il salottino e due TV al plasma.-
-Hai preso la Suite Presidenziale?- chiesi, stupita
-Più o meno. Ho presto la suite più vicina a quel grado.-
-Avrai speso una sassata! Ripeto, hai qualche serio problema mentale!-
-Può darsi, non mi interessano i soldi, sono solo un mezzo, non una meta.- disse, rabbuiandosi.
-E va bene, vediamo questa superstanza!-
Prendemmo l’ascensore fino al sesto piano, il massimo che potessimo permetterci di trovare nel paese e arrivammo alla camera 601. L’unica del piano.
Mi sentii morire, era ancora peggio di come l’avevo designato!
Entrammo e rimasi deliziata dall’arredamento con colori tenui e chiari che predominavano, e che davano un giusto e piacevole stacco con il verde sgargiante e i colori vivaci dell’esterno. Come aveva detto Patrick c’erano due camere separate da un salotto grande con il cucinino. E, dalla parte opposta alla cucina, sorgeva una grande terrazza coperta. Con dei fiori che penzolavano.
Ara davvero bellissima la vista. Si vedevano le montagne Canadesi e il canale di Olympia, tutti gli alberi altissimi e sgargianti e le case basse e chiare.
Forse non sarebbe stato poi così  male come mi ero aspettata, poteva essere presa come una piacevole vacanza.
Sorrisi e inspirai l’aria fresca e pulita di quel posto magico. Poco importava se John aveva toccato anche le sponde di quel mondo a parte, alieno, per quel che potevo aspettarmi da quel mostro, era già dalla parte opposta degli stati uniti. Sarebbe stato tutto inutile, ma decisamente rilassante.
Inspirai di nuovo e tornai nella mia parte di camera. Avrei fatto una doccia e mi sarei cambiata, prima di andare a visitare il luogo del delitto.







*In Rubra Aura: Latino. "In un aria rossa". Ma il latino è più sintetico e da un, appunto, "aura" di mistero. Non credete?
Speriamo che vi sia piaciuto questo capitolo, non è che ci sia voluto molto a scriverlo, solo che non c'era mai tempo di metterlo!!!
La scuola prende! XD
ciao a tutte
Sasi e Rob. 

   
 
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