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Autore: JoJo    14/11/2010    5 recensioni
Non c'è niente di peggio che vedere la propria vita rubata, pezzo dopo pezzo. Sapere che qualcuno osserva tutto ciò che fai, che punta costantemente i suoi occhi malati osservando ogni minimo particolare. La sua ossessione si trasmette anche alla sua vittima, e gli agenti del BAU questo non possono permetterlo.
Genere: Generale, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Spencer Reid, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie '49 ways to live'
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Gli uomini sono più disposti a ripagare un torto che un favore, perché la gratitudine è pesante mentre la vendetta è un piacere.

- Tacito


Obici Psychiatric Care Center. Suffolk, Virgina.


Alla signora Johnson piaceva lavorare in quel centro, anche se non erano molte le infermiere che potevano dire lo stesso. Aveva lavorato in ospedale fino a una decina di anni prima, al reparto maternità e poi a quello di oncologia. Alla signora Johnson piacevano le sfide, perciò quando le avevano proposto di lavorare in quel centro di igiene mentale e che grazie allo stipendio annuale lei e suo marito sarebbero finalmente riusciti a mandare al college tutti e tre i loro figli non aveva dovuto pensarci due volte prima di accettare. I matti non le facevano paura. Non tutti, perlomeno. Sapeva che alcuni dei pazienti ricoverati avevano un passato burrascoso e che, probabilmente, erano riusciti a fare del male ad altri, oltre che a se stessi, prima che gli venisse diagnosticata una malattia mentale. Era per questo, quindi, che non si era stupita più di tanto quando dalla reception le avevano annunciato che c'erano due agenti dell'FBI.

Li riconobbe immediatamente, e non solo perchè la hall era vuota. L'uomo dall'aria troppo seria e quello con il pizzetto non sarebbero potuti sembrare più formali nemmeno si fossero tatuati in fronte “agenti federali”.

“Gli agenti Hotchner e Rossi, immagino.” disse a mo' di saluto quando fu abbastanza vicina.

Hotch allungò una mano verso la corpulenta donna di colore, subito dopo imitato da David.

La signora Johnson si presentò e fece loro cenno di seguirla, avviandosi veloce in uno di quegli asettici corridoi in cui il ticchettio ripetuto dei suoi zoccoli bianchi risuonava al ritmo dei suoi passi.

“Vi accompagno alla stanza di Gabriel.- spiegò spicciola- Abbiamo posticipato la sua terapia di gruppo di un'ora per lasciarvi un po' di tempo per parlare.”

“Non dovrebbe essere una cosa troppo lunga.” le assicurò Aaron scambiandosi uno sguardo con il collega che lo affiancava.

Si fermarono di fronte a una stanza numerata, fuori dalla quale li aspettava già un inserviente mastodontico con una casacca blu, probabilmente colui che sarebbe dovuto intervenire qualora nel caso i fattori di stress a cui veniva sottoposto il paziente avessero reso necessario l'uso di un calmante.

“Gabriel è molto migliorato negli ultimi mesi- spiegò la signora Johnson gesticolando pur tenendo le braccia attaccate al busto- meno chiuso in se stesso e più consapevole delle proprie azioni e delle conseguenze di esse. So che fate parte dell'Unità di Analisi Comportamentale, quindi presumo di non dovervi ricordare di procedere con una certa calma con lui.”

“Non si preoccupi, sappiamo trattare con soggetti del genere.” disse Rossi.

La donna annuì “Era la risposta che mi aspettavo. Potete chiamare il signor Mead, che aspetterà qua fuori, in caso di problemi. Se vi serve altro non esitate a chiamarmi.”

Hotch le allungò un foglio che aveva estratto prontamente dalla cartelletta che reggeva fra le mani “In effetti volevamo chiederle se ha mai visto quest'uomo. È per caso venuto qualche volta a trovare il signor Sanchez?” domandò.

La donna aggrottò le sopracciglia folte ma ben depilate “Sì, l'ho già visto.”

Si prese ancora qualche secondo per riflettere prima di continuare a parlare “Chuck Zann. Era questo il suo nome.”

“Che cosa sa dirci su di lui?” incalzò David.

“Ha iniziato a frequentare il centro due anni fa, ma ormai sono parecchi mesi che non si presenta alle sedute.” rispose la donna con una scrollata di spalle.

Hotch annuì “E' mai entrato in contatto con Gabriel Sanchez?”

“Sì, partecipavano alla stessa terapia di gruppo.” confermò la signora Johnson annuendo piano.

“Possiamo vedere le sue cartelle cliniche?” continuò quindi l'agente federale.

“Certo, ve le prendo subito.- disse la donna, prima di spiegare ciò che si ricordava di quel paziente- Chuck è un ragazzo estremamente intelligente, i test dicevano che il suo QI si aggira attorno ai 130 punti. Aveva dei forti disturbi ossessivi e persecutori quando è arrivato da noi, ma il dottor Langdon lo ha sottoposto ad un'ottima terapia. Quando si è abituato ai farmaci che gli venivano sottoposti è diventato completamente autonomo e in grado di essere reinserito nella società, tuttavia è sempre stato perfettamente innocuo.”

Rossi si ritrovò a far roteare gli occhi: se gli psichiatri che consideravano i propri pazienti perfettamente innocui avessero imparato a riflettere di più prima di concedere loro totale libertà d'azione forse ci sarebbero stati meno omicidi.

La donna bussò alla porta e fece brevemente capolino nella stanza “Gabriel, ci sono le persone che ti avevo detto sarebbero passate a parlarti.” annunciò, prima di far cenno ai due uomini di entrare.

“Signor Sanchez siamo gli agenti Hotchner e Rossi dell'FBI.” si presentò Aaron per entrambi.

Gabriel Sanchez stava per compiere trentacinque anni, ma ne dimostrava molti meno. Era gracile, per molti aspetti, con un viso ossuto e gli occhi castani infossati ed indossava un maglione a costine marrone che gli ricadeva abbondantemente sui jeans consumati.

“FBI?” domandò, e se anche la sua espressione facciale diceva che era piuttosto stupito, la sua voce era piatta, quasi atona.

David spostò l'unica sedia della stanza per posizionarla davanti al letto dove si trovava Sanchez “Siamo qui per parlarti di Jason Foller” spiegò.

Un guizzò di vitalità sembrò saettare negli occhi del giovane “Jason è morto anni fa.”

Aveva pronunciato quel nome con una tale reverenza che bastò per confermare la loro teoria: Gabriel Sanchez aveva trovato in Foller un sostituto della figura paterna e aveva fatto tutto ciò che gli veniva detto senza porsi domande pur di ottenere il suo apprezzamento che riteneva inconsciamente un surrogato di quello del padre che l'aveva abbandonato da piccolo.

“Vogliamo sapere quello che ricordi di Alaska Ross.” rivelò quindi Hotch.

“Alaska Ross?- ripetè Sanchez confuso- E chi sarebbe questa Alaska Ross?”

“Alaska Ross è la bambina che tu e Foller avete rapito e torturato e che è rimasta intrappolata in quella gabbia senza acqua né cibo per due giorni prima che la trovassimo!” sbottò Rossi in un ringhio. Hotch gli posò una mano sulla spalla, come per contenere quell'eccesso d'ira.

“A me non importava niente di quella ragazzina.- continuò a parlare il giovane- Io lo facevo per Jason. Era fiero di me.”

“Lei è Alaska Ross.- disse David allungandogli una foto dell'antropologa- Te la ricordi, ora?”

“Alaska Ross.- ripetè Gabriel, facendosi scivolare il nome fra le labbra come se fosse stupito che quella ragazzina potesse avere un nome- Jason la chiamava Jill.”

“Come sua sorella.” aggiunse Aaron, ricordando l'ossessione che l'uomo provava per la sorellina minore prematuramente scomparsa.

Sanchez strinse convulsamente le dita intorno alla foto “Io ho cercato di aiutarla.- spiegò, storcendo le labbra come se fosse disgustato- E lei stava imparando ad essere brava, non come le altre. E poi? L'avete preso e per colpa sua si è ucciso!Non voleva vedere sprecati i progressi che aveva fatto!”

Il suo tono era accusatorio “E' colpa sua se si è ucciso!” ripetè, accartocciando l'immagine che stringeva fra le mani.

Rossi ricacciò indietro tutte le accuse che voleva snocciolargli in faccia sull'uomo e gli strappò di mano la fotografia, per fargli vedere lo stesso identikit che avevano fatto vedere all'infermiera.

“Conosci quest'uomo?”

Sanchez lo guardò per pochi secondi prima di rispondere “E' Chuck.”

“Hai raccontato a Chuck del rapimento?” incalzò Hotch.

Il giovane annuì distrattamente, voltando la testa verso le finestre di vetro rinforzato “Sì. Chuck era l'unico che sembrava credermi. Gli piaceva ascoltarmi.”

I due agenti si scambiarono un'occhiata “Gli hai raccontato anche i particolari?” domandò David.

Gabriel si strinse nelle spalle “Mi piace raccontare a chi sa ascoltare.”

Si voltò di nuovo verso di loro “Ha detto che avrebbe vendicato Jason.”


Sede centrale dell'FBI, Hoover Building. Washington, DC.


Avevano un nome. Chuck Zann.

Garcia aveva fatto partire una ricerca su di lui, ma non avevano trovato niente di utile.

Di terribilmente inquietante, quello sì. Da quello che avevano scoperto Zann aveva disturbi ossessivi e inoltre non prendeva le medicine che gli erano prescritte da tempo.

“Ancora niente?” domandò Emily voltandosi verso Spencer che aveva chiuso con uno scatto il cellulare per poi sospirare rassegnato. Aveva sentito l'urgenza di chiamare Alaska non appena aveva ricevuto le ultime notizie ma la ragazza non aveva risposto al cellulare, e al telefono di casa era scattata la segreteria che con un messaggio preregistrato l'aveva invitato a richiamare.

“No.-rispose, alzando lo sguardo dal cellulare- Forse dovrei chiedere a qualcuno della pattuglia di scorta di salire da lei a controllare.”

“Sono stati giorni stressanti questi, per Alaska.- gli fece notare JJ, memore delle parole che si erano scambiate prima quel giorno- Magari si è addormentata e non ha sentito il telefono.”

“Già.- acconsentì quindi Reid- Probabilmente è così.”

Il giovane profiler si appoggiò stancamente alla scrivania di Crowford, mentre ripensava a quanto era stato scoperto nelle ultime ore. Garcia era riuscita a scoprire una traccia dei movimenti di Zann che da quando aveva finito la terapia aveva girato praticamente metà Stati Uniti. Aveva rintracciato dei movimenti nel nord della California e da lì alla zona desertica del Nevada, dove poteva aver ritrovato il cadavere che aveva usato come trappola per Ross, il passo era breve. Aveva smesso di usare la carta di credito non appena arrivato a Washington, segno che non era uno sprovveduto e che sapeva che sarebbero stati in grado di individuarlo attraverso l'analisi dei pagamenti, ma il furto di un teschio al National Museum of the American Indian, risalente a qualche giorno prima dell'irruzione nell'appartamento di Alaska lo collocava in città, così come la testimonianza di Goofy.

Quando ritornò a prestare attenzione a ciò che stava accadendo intorno a sé, Crowford stava borbottando qualcosa, infastidito.

“Insomma, siete voi gli strizzacervelli criminali!- sbottò, additando Prentiss, Morgan e Reid- Non potete estrapolare il suo schema d'azione e cercare di capire quale sarà la sua prossima mossa?”

Morgan fece roteare gli occhi, mentre Emily si prendeva la briga di rispondergli “In effetti non è così semplice come potrebbe sembrare.- disse- Zann ha dimostrato di essere dotato di una mente complessa e di una gerarchia cognitiva elaborata.”

“Scusate, una cosa?” domandò il burbero agente, alzando un sopracciglio.

“Gerarchia cognitiva.- ripetè Reid prima di spiegare a cosa si stesse riferendo la donna- Nella prima fase l'SI opta per un'azione banale ma comunque difficilmente attribuibile. Nella seconda usa qualcosa di plateale e riconducibile a lui. Nella terza potrebbe optare per una qualsiasi delle due.”

“In pratica mi state dicendo che a questo punto non sappiamo ne dove si trovi Zann ne come potrebbe agire?” riepilogò Nate, con una sorta di accusa nella voce. Tuttavia, non continuò oltre il proprio discorso, dato che il suo cellulare iniziò a squillare insistentemente.

“Credevo che Rossi ed Hotch ottenessero di più con l'incontro con Sanchez.- mormorò JJ, passandosi una mano fra i capelli- Il collegamento fra il vecchio caso e questo sembrava fin troppo ovvio.”

“Ma certo!” Spencer spalancò improvvisamente gli occhi, mentre un'idea lo colpì come un fulmine a ciel sereno.

Gli altri tre membri del BAU si voltarono verso di lui, incuriositi dal suo tono.

“Lo scheletro avvelenato è stato trovato impiccato, giusto?- domandò retoricamente il giovane genio, agitando le mani- Può...Può darsi che Zann abbia rielaborato la fantasia di Sanchez su Foller.”

Morgan colse al volo a cosa il collega potesse riferirsi “Crede che sia suo padre?”

“E quindi che Alaska sia la causa del suo suicidio.” aggiunse immediatamente Emily.

“E' plausibile.- confermò Reid alzando i palmi- Zann ha finito di prendere i suoi farmaci e ciò ha riportato a galla le sue ossessioni ed ha passato così tanto tempo con Sanchez che ha assimilato tutto quello che gli è stato detto: sta rivivendo in prima persona tutto il suo risentimento, solo che ha trovato un modo per dargli sfogo.”

“Cazzo!” imprecò Crowford, chiudendo il cellulare con uno scatto secco e stringendolo fra le mani talmente forte da essere sul punto di frantumarlo.

Si voltarono tutti verso di lui di scatto, sorpresi da quella reazione inaspettata.

“Che c'è?” gli domandò JJ.

Nate puntò sul gruppetto lo sguardo, che aveva abbandonato la solita espressione insofferente per sostituirla con una preoccupata.

“Ho mandato Gordon a controllare Ross.- spiegò con voce cupa- Non è più in casa.”


Potomac Avenue. Washington, DC.


Aveva paura, una paura ingovernabile. Sentiva le gambe tremarle distintamente, quasi come se non fossero affatto appoggiate a una superficie stabile e sapeva di non essere più in grado di muoversi. Probabilmente era per via degli occhi dell'uomo che si era trovata davanti.

L'uomo che la stava seguendo da settimane, mesi probabilmente, aveva due occhi grandi e neri che caratterizzavano un viso altrimenti anonimo, ma non era questo che la spaventava, piuttosto la luce folle che vi era nascosta. Folle, nell'accezione più negativa del termine. E, inoltre, quei tic incontrollati che gli facevano contrarre le labbra in modo asimmetrico e scattare le mani e le spalle riuscivano a farla sobbalzare sul posto ogni volta, in preda ad una paura quasi infantile.

Zann mosse una mano, rivelando ciò che stava impugnando “Forza, muoviti!” ordinò in un ringhio, indicando con la canna della pistola quello che un tempo doveva essere l'ufficio di quel vecchio deposito industriale.

Incredibilmente, Alaska scoprì di riuscire ancora a muoversi.

Il capannone in cui si trovavano era abbandonato ormai da anni. Era rimasto poco di quello che un tempo vi era contenuto e le pareti metalliche erano decorate con numerosi graffiti malfatti, i più riportanti slogan politici o qualche volgarità.

Inciampò più volte nei propri passi, ogni volta che l'uomo alle sue spalle le assestava una pacca al centro della schiena per costringerla a muoversi più in fretta e, dopo un tempo che le sembrò infinito, entrarono in quella stanza.

Zann la obbligò a inoltrarsi ancora di più in quell'ufficio abbandonato con una forte spinta e poi rimase a fissarla con quello che sembrava odio puro per diversi istanti.

Alaska si scoprì totalmente inerme. Non riusciva a parlare. Non riusciva a muoversi.

A malapena spiegava a se stessa per quale assurdo motivo fosse ancora in grado di respirare.

“Adesso scrivi.” disse di nuovo l'uomo, spingendola a sedere su una sedia addossata ad un tavolo che aveva vissuto di certo tempi migliori, uno dei pochi elementi d'arredo dell'intero stabile.

Ross lo fissò impaurita mentre le allungava quella che sembrava carta “Che cosa?” fu l'unica cosa che gli uscì dalle labbra, la voce strozzata e debole.

“Il tuo addio alla persona cui tieni di più al mondo.”

Alaska spalancò gli occhi, improvvisamente terrorizzata. Non aveva mai considerato fino a quel momento le reali ripercussioni di quello che stava facendo quando si era sottratta alla sorveglianza della propria scorta. Sapeva che assecondare quell'uomo non avrebbe portato a niente di buono, ma aveva dovuto farlo e di certo non se ne pentiva. Eppure, quando Zann aveva pronunciato la parola “addio”, si era conto che quella poteva davvero essere la fine.

Prese un grosso respiro e chiuse gli occhi per un attimo, cercando di riacquistare una calma che sapeva già di non riuscire a ritrovare, e infine allungò una mano tremante verso la penna dall'inchiostro blu e il semplice foglio strappato da un quaderno a righe larghe.

Ignorò gli occhi folli che ispezionavano ogni suo piccolo gesto e cominciò a scrivere.


Stabile in cui si trova l'appartamento di Spencer Reid. Washington, DC.


Non c'era una sola parola per poter descrivere come si sentissero mortificati i due agenti di scorta, tuttavia non gli si poteva dare completamente la colpa per quanto era successo. Alaska aveva pianificato tutto nei minimi dettagli e, nonostante non fosse una persona particolarmente macchiavellica, riusciva a elaborare soluzioni a problemi complessi, soprattutto quando veniva messa alle strette ed era in una situazione di pericolo.

“L'unica persona che è uscita da quel palazzo è stata la signora Shawn, del quinto piano, ma non c'è stato niente di inusuale.” assicurò di nuovo un agente a Crowford, cercando di non balbettare troppo.

“Ogni giorno esce a fare jogging, quindi non c'è stata nessuna interruzione delle abitudini del palazzo.” continuò a spiegare il collega, sotto lo sguardo al vetriolo del massiccio agente FBI.

“Oh, certo!- sbottò, facendo roteare gli occhi, mentre si dirigeva verso la propria auto- Quindi Ross si è semplicemente volatilizzata?”

l'uomo deglutì rumorosamente “Ecco, veramente...”

“Sta zitto almeno, ok?- ringhiò di nuovo Nate, prima di salire in auto- Sta. Zitto.”

Partì sgommando, lasciando di stucco i due membri della pattuglia.

Dall'altra parte della strada, nell'atrio del palazzo, Reid camminava avanti e indietro agitato come non mai.

“Come è potuto succedere?” domandò per l'ennesima volta.

JJ gli rivolse un'occhiata costernata: poteva solo immaginare il panico che poteva provare in quel momento. Gli appoggiò una mano sul braccio, cercando di calmarlo un po' “Non ne ho idea, Spence. Ma dall'appartamento non ci sono segni di lotta e nemmeno tracce di sangue. In qualsiasi posto si trovi ora Alaska possiamo solo sperare che stia bene.”

Spencer si morse nervoso il labbro inferiore “Non voglio sperare.- ribattè sommessamente- Io voglio sapere che sta bene.”


Nello stesso edificio, al quinto piano, Emily si rimise il cellulare in tasca dopo aver scambiato un'accesa conversazione con Hotch.

“Stanno arrivando.” disse semplicemente a Morgan, che aveva già messo mano al campanello.

La signora Shawn era sottile e minuta, con una cascata di capelli corvini ad incorniciarle il viso.

“Sì?” domandò incerta, alzando un sopracciglio, mentre fissava interrogativa i due sconosciuti che le avevano bussato alla porta.

“Salve signora, siamo gli agenti Morgan e Prentiss- spiegò Derek mostrando il proprio documento- Stiamo indagando sulla scomparsa di una ragazza.”

Emily le allungò la foto di Ross e la donna impiegò pochi secondi per riconoscerla.

“Sì, certo che mi ricordo di lei.- disse- Mi ha raccontato che c'è stata un'invasione di termiti a casa sua e che ha dovuto trasferirsi momentaneamente all'appartamento del suo fidanzato. Mi ha chiesto se potevo prestarle una tuta dato che doveva andare a fare il bucato e non aveva vestiti puliti da mettersi. È stata molto cortese, ma si vedeva che era piuttosto agitata. In fondo, credo sia normale, le disinfestazioni sono molto stressanti...”

“Quanto tempo fa è successo?” domandò Prentiss, concentrata.

La signora Shawn si strinse nelle spalle “Un'ora fa, forse di più...Non ricordo con esattezza.”

Morgan annuì “Per caso oggi è uscita per fare jogging?”

La donna parve confusa da quella domanda “Non ne ho ancora avuto il tempo...Che cosa c'entra con la vostra indagine?”

I due non persero tempo per fornirle una spiegazione, si congedarono in fretta e corsero velocemente lungo al tromba delle scale.


“Come sarebbe a dire che si è allontanata volontariamente?” chiese JJ. Reid era troppo scioccato da quelle ultime notizie per poter anche solo pensare di articolare una frase.

“Non ho idea del motivo per cui possa aver fatto una cosa del genere- continuò a dire Derek scuotendo la testa- ma è l'unica spiegazione possibile. La signora Shawn ha detto di averle prestato una tuta da jogging.”

“E lei ed Alaska hanno più o meno la stessa corporatura e i capelli lunghi e neri. Vestite nello stesso modo e con un cappellino o un paio di occhiali da sole sarebbe stato difficile per chiunque distinguerle.” concluse Emily al suo posto.

Spencer scosse la testa. Per quale assurdo motivo Alaska avrebbe dovuto sottrarsi alla propria scorta? Certo, non era una bella situazione, ma non gli aveva dato nessun motivo di pensare che avesse potuto orchestrare una cosa del genere. Per andare dove, poi?

Le domande si susseguivano rapide all'interno della sua testa e sentiva che di lì a poco gli sarebbe venuta l'emicrania, eppure non riusciva a fare a meno di pensare.

Si riscosse quando sentì Penelope parlare in viva voce dal cellulare di Derek “Ho fatto un controllo su tutte le telecamere di sorveglianza della zona.- spiegò- Alaska si è allontanata per un paio di isolati e alla fine è salita su un taxi della Yourway Taxicab. Sto cercando di entrare in contatto con l'autista per cercare di capire dove è scesa ma si sta rivelando una cosa più lunga del previsto e quel tipo di auto non è provvista di gps quindi non posso far nulla per il momento.”

La voce di Garcia era densa di preoccupazione mentre continuava a parlare “Da una delle registrazioni si vede Alaska buttare una cartelletta per documenti in un cestino della spazzatura. Ho già mandato qualcuno a controllare.”

“Una cartella portadocumenti?” ripetè Prentiss, alzando un sopracciglio.

I profiler si scambiarono un'occhiata “Forse era un messaggio dell'SI. Una minaccia o una negoziazione. Può essere che gli abbia fatto credere di poter arrivare a qualcuno a cui tiene se non riuscisse ad avere la sua vendetta con lei.” ipotizzò Morgan.

JJ sgranò gli occhi chiari “Quindi potrebbe essere da lui adesso?”

“Dobbiamo trovare i posti più probabili in cui potrebbe trovarsi Zann e mandare degli agenti!” disse Emily, esprimendo il pensiero di tutti.

Evitò di dire che, agire alla cieca in quel modo, poteva portare a innumerevoli buchi nell'acqua cosa che avrebbe aumentato le possibilità di fallire dal loro intento.

A quelle parole Reid iniziò a parlare velocemente, in preda all'agitazione più totale “Deve trovare un posto dove possa agire indisturbato per tutto il tempo che ritiene possa servirgli. Magari vicino a qualcosa di particolarmente rumoroso, per coprire eventuali...uhm...eventuali...E probabilmente un posto abbandonato o incustodito, dove possa entrare e uscire a suo piacimento senza aver bisogno di dover fornire chiarimenti o dover rivelare la propria identità e...”

Stava rievocando nella propria mente ogni singolo fattore legato a quel caso. Visualizzò la mappa della città e la posizione di ciascuno degli elementi incriminati. Il parco dove Alaska è stata fotografata più volte. L'appartamento che Zann ha usato per depistarli. Il museo di storia indio-americana in cui ha rubato il teschio. L'appartamento di Alaska. Lo Smithsonian. Il laboratorio di scienze forensi dell'FBI.

Spalancò gli occhi, all'improvviso attraversato da un'intuizione “Garcia come hai detto che si chiama il taxi che ha preso Alaska?”

“Yourway Taxicab” rispose velocemente la rossa.

Reid spalancò la bocca, prima di rendere partecipi gli altri membri del team del perchè del suo atteggiamento “Ho capito dove si trova.”


Potomac Avenue. Washington, DC.


La zona portuale di Washington era immensa. Comprendeva le sponde del fiume Potomac e il suo delta con cui si congiungeva con l'oceano. Alaska era scesa dal taxi al deposito della Yourway Taxicab vicino a National Park quindi con ogni probabilità lei, e l'SI ovviamente, si dovevano trovare in quella zona. A parte l'eliporto e un centro per il riciclo, quell'area era piena di capannoni industriali destinati agli usi più svariati. Molti erano abbandonati, altri incustoditi. Se l'intuizione di Reid si fosse rivelata esatta, ci sarebbe voluto un bel po' di tempo, forse troppo perfino per una squadra intera di agenti, per trovare Ross.

Ma Nathaniel Crowford credeva fermamente nel detto “chi fa da sé, fa per tre” e aveva una determinazione tale da credere di riuscire a ritrovare la propria partner da solo, inoltre doveva esserci una motivazione superiore per spiegare il fatto che era stato il primo a giungere sul posto e non era solo perchè si trovava in zona a causa del fatto che si era messo in testa di girare tutta DC pur di trovare la sua partner.

Strinse ancora di più le dita intorno ai bordi di quel cappotto sdrucito e sbattè con violenza il suo proprietario contro la parete di mattoni, curandosi di usare tutta la propria forza.

“Allora, Mr.Eleganza, hai notato niente di anomalo in questa zona?- ripetè per l'ennesima volta quella domanda, questa volta ad un barbone alcolizzato, a giudicare dall'odore di alcool che emanava- Una ragazza per bene per esempio?”

“Ahi!- si lamentò l'uomo, prima di di riuscire ad articolare una frase di senso compiuto- Io...Ne passano un sacco di ragazze di qua!Quelle per bene non sono poi così per bene e ci sono uomini a cui piacciono quelle acqua e sapone e quindi...”

Nate lo spinse di nuovo, con più forza “Andiamo, amico, secondo me ti ricordi qualcosa, vero?Hai per caso visto una ragazza mora, alta circa uno e settanta, in tenuta sportiva?”

Il senza tetto strinse le palpebre “Io...io non ricordo!!”

“Io dico che ti conviene se vuoi che la tua faccia rimanga com'è ora.” ringhiò l'agente, riservandogli una delle sue occhiate peggiori

“Non puoi farlo.- biascicò l'uomo- Sei uno sbirro!”

“E qui non ci sono testimoni. Crederanno a un ubriacone o a un agente federale nonché sopravvissuto ad un attacco terroristico in Afghanistan?” disse prima di caricare un pugno.

“No!Io...forse, forse ho capito di chi parli!- si affrettò a dire per fermarlo, mentre incassava la testa fra le spalle- Ho visto qualcuno entrare nel capannone 613. Mi sembrava strano perchè quel posto è abbandonato.”

“Una ragazza?” incalzò Crowford.

Il barbone annuì con convinzione “Sì!Con cappellino con visiera e occhiali!”

“Bene.” ribattè semplicemente l'agente, prima di lasciarlo andare come se niente fosse accaduto. Si Mentre alle sue spalle l'uomo si accasciava a terra sospirando sollevato, Crowford impugnò il cellulare.

“Agente Crowford?” domandò la voce incerta di Garcia, dall'altra parte del filo, che non si aspettava affatto una chiamata da lui.

“Sì. So dove si trova Alaska. Potomac Avenue, capannone 613.- spiegò labidario- Riferisci ai tuoi che intendo agire immediatamente, non credo ci sia il tempo di aspettare i rinforzi.”


La ragazza era nella stessa posizione in cui l'aveva lasciata prima di uscire per compiere un'ultima piccola missione prima di impartirle la lezione che riteneva si meritasse. Come quando se ne era andato, Alaska si stava rigirando fra le dita la placchetta di metallo che penzolava dalla catenina che portava al collo.

“Smettila.- sibilò- Smettila immediatamente.”

La vide sobbalzare vistosamente al suono della sua voce.

Ecco un'altra cosa che faceva paura ad Alaska. La sua voce. Zann parlava a scatti, interrompendo frasi e parole al di là del loro significato. Aggiungendo questo al fatto che era armato, psichicamente instabile e che ce l'aveva a morte con lei, la ragazza si ritrovò a pensare che era di certo la persona più terrificante che avesse mai incontrato. Deglutì a vuoto e strinse ancora di più le dita intorno alla targhetta militare di Nate.

“Sai, ti ho osservato molto, in questi mesi, ma non ti ho mai visto spaventata come lo sei adesso.-spiegò l'uomo, stringendo gli occhi mentre la fissava- Credevo che fossi una di quelle persone fuori di testa che si credono invincibili.”

“Credo...- il primo tentativo di rispondere fallì miseramente, così Alaska si schiarì la voce prima di riprovare- Credo sia normale provare paura quando si sta per morire. Perchè sto per morire, vero?”

“Direi che è il minimo, dopo quello che mi hai fatto passare.” rispose Zann, come se ciò che stava per fare fosse la risposta più logica.

“Io non ti ho fatto niente.” ribattè immediatamente Ross con voce acuta.

“E' tutta colpa tua.- disse l'uomo, nonostante una nota di incertezza fosse udibile nel suo tono- È tutta colpa tua!”

“Io...io non ti ho fatto niente.- ripetè in un singhiozzo la giovane antropologa- Io non ti conosco.”

Zann sembrò riacquistare la propria sicurezza “Sì, invece!- ringhiò-Tu hai ucciso mio padre!E' tutta colpa tua!”

“Non ho mai ucciso nessuno.- gli assicurò di nuovo Alaska, in un ultimo tentativo disperato, mentre lo vedeva maneggiare una spessa corda- Non ho mai conosciuto tuo padre!”

Il sentire questa frase sembrò far infuriare ancora di più Zann, che la fissò con odio mentre faceva passare la corda su due travi del soffitto, creando una leva, e infine le si avvicinò e, tenendola ferma con una stretta forte e dolorosa, le avvolse il cappio intorno al collo sottile.

“Ti prego...” lo supplicò per l'ennesima volta, cercando di divincolarsi in qualsiasi modo.

Zann ignorò le sue parole “Avrai lo stesso trattamento che ha subito lui. Te lo meriti.” disse, prima di tirare con forza la corda spessa, sollevando la ragazza con facilità. Fece un nodo intorno a un tubo poco distante e si mise ad aspettare: era intenzionato a non perdersi un solo attimo della sua morte.

Alaska sentì salirle agli occhi delle lacrime di dolore quando il collo le lanciò delle fitte lancinanti per il trattamento ricevuto. Portò le mani alla fune, cercando di allentarla in ogni modo e iniziò a scalciare violentemente: i polmoni già le bruciavano infinitamente per via della mancanza d'aria. Sentì la testa diventare leggera come un palloncino e per poco nemmeno si accorse dell'urlo che seguì al crollo della porta.


“FBI!” gridò Crowford, buttando giù la porta dell'ufficio dismesso con un calcio ben assestato.

La prima cosa che notò erano le gambe di Ross che penzolavano a pochi passi di distanza da lui. Alzò lo sguardo e vide che i suoi occhi erano vacui e socchiusi e dai leggeri scatti che la ragazza faceva con gli arti inferiori sembrava ancora semi-cosciente- viva!- perciò Zann doveva averla impiccata da poco.

Le sue cellule cerebrali iniziarono a lavorare ad un ritmo frenetico, spinte dall'adrenalina “Alaska!” urlò di nuovo Corwford, facendo voltare l'uomo che ancora stava sorridendo soddisfatto della propria opera.

Forse fu anche per via di quel sorriso che, senza pensarci due volte, l'agente FBI fece partire un colpo in direzione dell'uomo che cadde immediatamente a terra. Non si curò di vedere dove e come l'aveva colpito. Corse verso Alaska e le afferrò le gambe, sollevandola. Allungò un braccio verso l'alto e riuscì ad allentare il nodo che le stringeva la corda intorno al collo, dopodiché le fece scivolare in fretta il cappio sopra la testa.

La distese a terra con delicatezza, come se stesse maneggiando un oggetto di un vetro pregiato.

“Respira piano, Al, piano!” le consigliò con fare concitato, mentre la sentiva tossire violentemente, i suoi polmoni non ancora riabituati allo scorrere dell'ossigeno.

Alaska, confusa e intontita, provava a fare quanto le era stato detto mentre cercava di mettere a fuoco il volto di Nate, preoccupato come non l'aveva mai visto. Il petto le bruciava terribilmente e nonostante sentisse l'estremo bisogno di respirare, quasi per compensare la mancanza d'aria degli ultimi momenti, quell'operazione di solito così semplice le causava un forte dolore.

“Nate...” gracchiò, la voce arrochita, mentre fissava gli occhi grigi dell'uomo, ancora incapace di capire chiaramente quanto era successo.

Nel sentire la sua voce Crowford si rilassò “Stai bene, Ross.” esalò, come semplice constatazione.

Lei stava bene, si sarebbe ripresa, stava bene, non le sarebbe più capitato niente di male, stava bene.

Sembrava un finale perfetto, ma qualcosa ancora non quadrava.

Agli occhi di Alaska tutto accadde troppo velocemente.

“No, no!!- fu il grido che arrivò dalle loro spalle- Hai rovinato tutto, tutto!”

Lei e Crowford si voltarono simultaneamente e la giovane antropologa riuscì a vedere solo con la coda dell'occhio, dalla propria posizione sfavorevole, Zann che perdeva sangue da una gamba, ma che nella mano stringeva ancora saldamente la propria arma.

Subito dopo lo sparò le rimbombò nelle orecchie e la lasciò di stucco.

Crowford, invece, afferrò con prontezza la seconda pistola che portava alla caviglia e la puntò contro l'uomo colpendolo alla gola.

Alaska non avrebbe poi saputo dire quando era stato il momento in cui aveva capito che qualcosa non andava. Forse era stato quando Nate aveva fatto cadere la propria arma. Oppure quando si era alzata di scatto, vincendo i dolori che ancora sentiva trapassarle il petto e il collo. O, ancora, quando aveva visto il suo partner accasciarsi al suolo, invertendo così i ruoli di pochi attimi prima.

Se qualche istante prima avrebbe giurato che il tempo avesse iniziato a scorrere al doppio della velocità, nel momento in cui aveva notato il foro d'entrata sull'addome di Nate e quella macchia vermiglia allargarsi troppo velocemente doveva essersi congelato.

“O santo cielo, Nate!” si ritrovò a dire, mentre si chinava su di lui e premeva le mani sulla ferita pulsante.

“L'avevo detto che non avrei permesso a nessuno di farti del male.” borbottò Crowford, cercando di focalizzare il volto dell'antropologa, che invece era fisso sul suo busto nel tentativo di capire quali danni avesse provocato lo sparo.

“Resta con me, Nate.- disse Alsaka con voce accorata, alzando lo sguardo dalle ferite con cui premeva convulsamente le mani- Resta con me!”

Lui fece una smorfia sofferente prima di rispondere con un filo di voce “N-non sono in grado...di alzarmi. Dove credi che potrei andare?”

Ross abbozzò a un sorriso, mentre faceva perno sulle proprie ginocchia per sollevare leggermente l'uomo. Non vi erano fori d'uscita ma, una volta che ebbe scostato la maglietta, notò un ematoma sulla parte bassa della schiena. Ricacciò indietro il panico che sentiva crescere dentro di sé, e si sfilò velocemente la felpa con cui tentò di tamponare l'emorragia.

Il respiro di Nate si stava facendo più affannoso mentre gli estraeva dalla tasca il cellulare e componeva con dita tremanti e insanguinate il numero del pronto intervento.

“Ho bisogno di un'ambulanza a Potomac Avenue, nel capannone numero 613. C'è...C'è un agente federale a terra, ferita da arma da fuoco all'addome.- spiegò velocemente al centralinista dall'altra parte del filo- Non c'è foro d'uscita. Sto tamponando la ferita ma credo che la pallottola abbia colpito la milza, forse anche un rene...Fate presto, vi prego!”

Quando chiuse la telefonata sentì la mano di Crowford spostarsi sul suo polso, cercando di stringerlo debolmente “Alaska” riuscì ad sillabare a fatica.

“Andrà tutto bene, Nate, i soccorsi stanno arrivando.- gli assicurò, fissandolo intensamente- Mi hai sentito, Nate?Andrà tutto bene, te la caverai, te lo prometto.”

Crowford, però, non rispose. Chiuse gli occhi e cercò di concentrarsi sul suono della voce ancora un po' roca di Alaska. Gli sembrava rassicurante e piena di speranza, nonostante tutto. Ma lui si sentiva troppo stanco anche solo per pensare di rispondere...


Il SUV frenò, fermandosi proprio davanti ad un'ambulanza, le cui luci lampeggianti rosse illuminavano quella strada laterale poco frequentata. Avevano cercato di fare il più in fretta possibile per arrivare nel luogo trovato da Crowford, e avevano attraversato la città a velocità folle e sirene spiegate ma quel furgoncino bianco e rosso comunicava implicitamente che avevano fatto troppo tardi.

Reid si fiondò fuori dall'auto ancora prima che questa fosse completamente ferma e bloccò due portantini che uscivano in quel momento dall'edificio con una barella. Il corpo che portavano era coperto completamente da un telo bianco. Un cadavere, quindi.

Il cuore gli si fermò nel petto mentre scostava il lenzuolo e riprese a battere al doppio della velocità normale quando riconobbe il volto di Chuck Zann.

“Ci sono ancora un uomo e una ragazza nell'edificio.” spiegò uno dei due uomini.

Spencer annuì e corse all'interno dello stabile. Gli sembrava di essere in uno di quegli incubi in cui, nonostante corresse all'impazzata, la distanza che lo separava dalla propria meta non diminuiva mai.

Entrò nell'ufficio dismesso e la barella con Crowford gli sfrecciò accanto, mentre i paramedici si urlavano a vicenda ordini e aggiornamenti sulle condizioni dell'uomo.

Tuttavia, non una sola di quelle parole lo raggiunse. Il suo sguardo era fisso su Alaska, che se ne stava immobile in chiaro stato di shock, gli occhi talmente sgranati sul viso pallido di terrore da sembrare ancora più grandi del solito. Il sangue di Crowford le sporcava le mani e le braccia fino all'altezza dei gomiti ma non c'era segno apparente che fosse ferita fisicamente.

Come attratto da una calamita, lo sguardo di Alaska si mosse piano verso di lui e in quel momento lei sembrò tornare in sé. L'espressione del suo viso si sciolse, le lacrime iniziarono a sgorgare copiose dai suoi occhi e sembrò che il peso di tutto quello che era successo in quegli ultimi giorni la stesse travolgendo, quasi come se gli argini che tenevano sotto controllo tutte quelle emozioni fossero crollati in quell'istante.

Reid non seppe dire in che modo se la ritrovò fra le braccia, aggrappata con una forza incredibile alle cinghie del suo giubbotto antiproiettile. Sapeva solo che era lì, stretta convulsamente a lui, e che piangeva a dirotto, come non le aveva mai visto fare. E tutto quello che fu in grado di fare per consolarla era stringerla ancora di più, facendole passare una mano sulla nuca in una carezza rassicurante, mentre le continuava a sussurrare all'orecchio, come un mantra “Va tutto bene, Al. Ci sono io ora. Va tutto bene. Ti ho presa.”


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[Inserire qui scuse patetiche e poco convincenti dell'autrice per spiegare l'incredibile ritardo nella pubblicazione del nuovo capitolo della storia.]

Ultimamente sono imperdonabile, lo so. Ma anche molto impegnata e, a mia discolpa, posso solo aggiungere che questo capitolo è abbastanza lungo da farmi perdonare (spero?) e da giustificare un maggiore tempo di stesura (forse...). In ogni caso devo dire che è stato un po' strano da scrivere...Insomma, nel finale volevo esprimere un accavallamento di eventi che si susseguono molto velocemente e non sono certa di essere riuscita ad esprimere completamente quanto volevo (colpa imputabile solo a me stessa, dato che mentre scrivevo ascoltavo Elvis che non è decisamente adeguato alla situazione, eheheh). Spero di non aver buttato alle ortiche il capitolo clou, semi-conclusivo della storia, però.

Uhm...Che altro dire?Ah, già: gente, siamo a -2 capitoli alla fine di “Do not follow me” ma non sperate di liberarvi di me così facilmente perchè ho già in cantiere un'altra storia (commedia!) che avrà come protagonisti sempre Alaska e Spencer e si intitolerà “Just for a week, right?”.

Un'altra cosina prima di salutarvi che se continuo a ciarlare perdo la bussola,eheheh....Dunque, volevo ringraziare le dolci fanciulle che mi hanno contattato fuori dalle mura di EFP: Antu_ , lillina913 e Viola è stato un vero piacere fare quattro chiacchiere con voi! :)

Ah, avrete notato che la formattazione della storia è un pò diversa dai capitoli precedenti. Il motivo è che NVU ha tirato davvero le cuoia e non ho ancora trovato un editor html degno di questo nome perciò ne sto usando uno on line. Spero che questo non causi troppi problemi di lettura o altro, fatemi sapere se avete qualche consiglio...
Orbene, vi saluto, promettendo di essere più celere nella pubblicazione degli ultimi due capitoli (croce sul cuore!). Fatemi sapere che pensate del capitolo, bacioni JoJo


Luna Viola : Heylà!A Lourdes mi hanno ricacciato indietro a pedate!eheheh!Comunque, dopo averti tenuto sulle spine per un bel po' ecco finalmente il capitolo in cui l'SI ha quel che si merita!Poco Spencer/Alaska quindi, ma mancano ancora due capitoli, quindi...Un bacione


Antu_ : Permesso di usare la frase sui sacrifici accordato!:) Sono contenta che il capitolo ti sia piaciuto!Alla fine ti ho tenuto sulle spine un po' di più rispetto a quello che ti avevo detto,eheheh la solita ritardataria cybernetica! Visto, a disprezzare Nate che gli succede poi, povero cucciolo?Spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto e prometto di aggiornare al più presto (anche perchè ormai mi fai da sveglia anche su faccialibro, eheheh!) Kisses


Maggie_Lullaby : Ok, prima cosa: ti devo assumere come agente?Perchè mi fai una pubblicità pazzesca!eheheh, davvero, grazie mille, son proprio contenta che la storia ti piaccia così tanto da consigliarla in giro!Quindi ti giuro, non ti voglio morta, sono semplicemente sadica di natura, probabilmente con una piccola vena di sociopatia, eheheh!Spero che questo capitolo non ti lasci di nuovo in sospeso, anche se giuro di aggiornare più velocemente. Dunque, rispondendo alla domanda sulla nuova storia: di questa ci saranno ancora due capitoli e poi ne pubblicherò un'altra su Alaska/Reid e dopo di quella credo che pubblicherò ancora qualcosa su Criminal Minds con protagonista Derek Morgan, però!Ah, son contenta che la scelta che ho fatto per il volto di Nate ti piaccia (ora vado alla ricerca di un volto adatto agli altri personaggi, dato che mi hai fatto venire questa fissa...)Al prossimo capitolo, besos


TrueLife : Lo ben so, sono un disastro negli aggiornamenti, ma sono contenta che mi capisci lo stesso!Ma...ma dai!!Voi siete folli, povero il papi di Alaska!Gliene ho già combinate troppo a quella ragazza, almeno il padre glielo lascio sano e senza alcuna forma evidente di psicopatia!eheheh!Spero che ti piaccia anche questo capitolo, anche se ammetto che è stato un po' più complicato degli altri da scrivere per via del fatto che è, in certo senso, quello risolutivo...Ci ho faticato parecchio fra una cosa e l'altra e spero ne sia valsa la pena. Promettendo di aggiornare più in fretta, ti saluto!:) Baci


Dreamer_girl : Hey!Wow, davvero, son proprio contenta che ti sia piaciuta la storia (sto pensando di prendere Maggie come manager vista la pubblicità che mi fa!eheheh) tanto da leggerle tutte e tre di fila!Mi ha fatto molto piacere leggere la tua recensione, sono felice che ti piaccia tanto Alaska e il mio stile di scrittura. Ormai la foto di Nate ha vinto la battaglia, quindi rinuncio direttamente a pubblicarla, in ogni caso ti lascio il nome dell'attore se vuoi andare a dargli un'occhiata “Wentworth Miller”. Spero che continuerai a seguire la storia. Un bacione

   
 
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