Capitolo
diciannove
Il crepuscolo
segnava la fine di quel giorno, Edward aveva passato il
tempo immobile disteso, la ferita aveva bisogno di guarire, e gli
avevano fatto
capire senza tante cerimonie che non doveva muoversi per nessuna
ragione. A
confermare la tesi era stato il suo tentativo di cambiare posizione, e
la
successiva fitta che fu la conseguenza del movimento gli fece cambiare
idea all’istante.
A sorvegliarlo come se rappresentasse un pericolo c’era un
giovanotto, dall’aria
sveglia. Edward aveva potuto constatare da s’è che
sebbene il padre gli avesse
sempre detto che la tribù dei lupi fosse solo un gruppo di
cannibali senza sale
in zucca, dovette ricredersi scorgendo in loro una certa compostezza
nei modi.
Un certo fascino oscuro, che non riusciva ad afferrare. Cercava in
tutti i modi
di distrarsi con discorsi filosofici parlando con se stesso,
sì perché quel
ragazzo aveva tutta l’aria di non comprendere realmente
quello che diceva, in
effetti più di qualche tentativo l’aveva pur
fatto, ma senza grossi risultati.
Solo mimando un segno di avere sete allora il giovanotto si era
prodigato all’istante
a fornirgli dell’acqua fresca. Cercava di distrarsi, tutto
pur di non pensare
al fatto che non aveva più visto Isabella da quella mattina.
Era fuggita via. E
non riusciva a capirne il motivo. Era forse spaventata da lui? Lui che
era
arrivato fin lì per trovarla e riportarla a palazzo sana e
salva? Ecco ci era
ricascato nuovamente, per la ventesima volta quel giorno aveva
riportato i
propri pensieri a Lei. Non può una semplice dama catturare
le mie attenzioni in
questo modo. Qualcosa non quadra. Pensò, mentre un rumore di
foglie calpestate
si udì nettamente all’entrata della tenda,
trattenne il fiato in attesa, nella
speranza che potesse essere Lei. Doveva parlarle. Doveva spiegarle.
Doveva
fidarsi di lui. Rientrare a palazzo. Andare dal Re.
Un ragazzone
robusto e corpulento alzò l’entrata della tenda ed
entrò, in
mano aveva una ciotola di legno, intarsiata sui bordi con un motivo
ricorrente.
Un intreccio di foglie. Le distinse nettamente quando il ragazzo si
inginocchio
davanti a lui e porse il contenitore per terra. All’interno
uno strano
miscuglio verdastro, foglie pestate insieme. Erbe medicinali suppose.
Con una
mano Jacob prese un pugno dell’unguento e lo
depositò sopra alla ferita di
Edward. Un urlo sfuggì dalla bocca dell’uomo
ferito. Isabella tremò, dall’esterno
della tenda, tremò e si fece abbracciare da Leah. La
reazione era automatica,
se lui soffriva, lei soffriva. C’era un collegamento tra loro
ne era
consapevole ma non riusciva a ricordare chi lui fosse. Un legame
esisteva.
Doveva aggrapparsi a questo e cercare di ricordare.
Edward svenne
poco dopo a causa del dolore, a quel punto Jacob fece cenno
a Seth di lasciare la tenda, a sua volta uscì e si
ritrovò di fronte Isabella,
visibilmente scossa, trattenuta dalle braccia di Leah. Fece cenno con
la mano
per indicarle che poteva entrare, Isabella si riscosse e corse
all’interno delle
tenda, per sincerarsi della salute dell’uomo. Non capiva
più se stessa. Quella
mattina era fuggita via, in preda ad un senso di sgomento, si sentiva
estremamente confusa. E a confonderla era la sensazione che lui avesse
il
potere di calamitarla, di attrarla a se. Lei non riusciva a
controllarsi. Il
suo cuore sembrava impazzito.
Osservò
l’interno della tenda, si auto-impose di non guardare subito
il
corpo dell’uomo. Vide il fuoco ardere, al centro della
dimora, osservò le braci
scoppiettare di vita, e le scintille sprigionare calore, si perse a
guardare il
fumo uscire dal foro centrale. “Isabella”
sentì sussurrare. “Sei tornata”.
Si
voltò di scatto verso l’uomo disteso, non per
reale risposta al fatto
che egli l’avesse chiamata, lei non sapeva il suo nome, ma
perché sentiva per
la prima volta la sua voce, se pur sussurrata. Un brivido lungo la
schiena l’aveva
percorsa, lentamente si avvicinò all’uomo. Si
sedette con grazia ed eleganza
sopra ad un tappeto intrecciato, e chiese all’uomo
“Chi è Isabella?”.
Vi prego, non tiratemi i pomodori, so che li merito, ma la mia vena artistica va e viene a seconda dei momenti che vivo. Non sono una scrittrice, mi diletto in questo che considero un passatempo, ne più ne meno. Adoro leggere le storie pubblicate su EFP, mi aiutano spesso, mi rendono la vita leggera. Grazie a chi mi segue anche a distanza di mesi. Lo apprezzo. A presto. B.