Ventidue
Sotto il ponte della
Tangenziale era il luogo del piacere. Vi si accedeva passando da una strada
periferica abbastanza larga da consentire un adeguato traffico di autoveicoli.
Le auto andavano lì sotto il ponte, magari parcheggiavano, i passeggeri
scendevano già con la lussuria negli occhi, scegliendo accuratamente il loro
“pasto” per la serata. I ragazzi erano tutti là, c’era chi fumava, chi si
concedeva il lusso di bere una birra per poi smaltirla l’indomani in palestra,
e chi stava a guardare le auto che si fermavano sperando di venire scelto. O di
non venire scelto, almeno per quella sera. Camminando lentamente, Thomas
attraversava il battuto, senza sapere bene dove fosse diretto. Intorno a lui
soltanto mormorii, risate, in un brusio così assordante eppur maledettamente
fievole. L’effetto era inconfondibile: droga. Si era appena fatto una dose, di
quella dolce polvere che lo scollegava dalla realtà per un po’ di tempo,
consentendogli di andare avanti a fare il suo lavoro al meglio possibile.
Gli occhi socchiusi, la
testa leggera come un palloncino gonfiato di elio, un sorriso sulle labbra che
gli conferiva un aspetto molto stralunato. “Avanti, chi si fa avanti per farmi
mangiare, questa sera?” pensò, e tutti si girarono “coraggio… paparini, nonnetti…
sono un bel cucciolotto, fatevi avanti. Sono qui tutto per voi.”
Allungò le mani, mentre i
suoi colleghi si riunivano in circolo come in una strana sorta di rito magico,
quasi come in quel film di Stanley Kubrick, “Eyes wide shut”. Lo presero e lo
issarono, portandolo su una specie di altare improvvisato lì vicino. Nei
lunghissimi momenti in cui era sotto l’effetto della droga, non capiva più
nulla, e gli uomini potevano fare di lui ciò che volevano. Una volta, uno
riuscì ad usarlo per più di tre ore, senza che lui si ribellasse, ma soltanto
avendo la sensazione di essere spinto e provando una sorta di piacere, dato
soprattutto dal fatto che la droga gli faceva vedere ciò che lui voleva vedere:
un personaggio vestito solo di una maschera, perché il viso che c’era sotto
sarebbe stato un boccone troppo duro da digerire. Sì che lo faceva per soldi e
quindi non doveva lamentarsi troppo. I soldi sono sempre soldi, chiunque li
largisca.
Si lasciò adagiare su una
specie di altare, ed i suoi colleghi lo accarezzarono. Mille mani che lo
toccavano dappertutto, via via togliendogli un indumento. Prima le scarpe e la
giacca, poi i calzini, il maglione ed i pantaloni… nonostante il freddo, restò
lì in mutande, nel brusio generale, con la sola illuminazione dei fuochi nei
barili che davano all’ambiente un’atmosfera da seduta spiritica che in
condizioni normali lo avrebbe terrorizzato. Tirò su le mani, sentendosi
sorridere, con la sensazione che la bocca fosse scollegata dal viso e che si
fosse piegata in base ad un suo capriccio. Sorrideva. Le dita erano le sue,
c’erano ancora gli anelli all’indice, all’anulare ed al pollice, ed incominciò
a fendere l’aria con le dita, mimando la scrittura di un testo su una tastiera.
-Guarda, che bello… le
lettere compaiono nell’aria…- si udì dire, ma in un tono troppo incerto perché
potesse capirlo appieno. Comparirono alcune lettere davanti ai suoi occhi.
A … I … D… R….
Le lettere comparse
rimasero ferme per un po’ di tempo, poi come per magia iniziarono a svolazzare
tutt’intorno, come delle stranissime farfalle. Thomas continuò a sorridere,
mentre i suoi colleghi si dileguavano lentamente, scomparendo nell’ombra.
Rimase solo, in mutande, in un posto che non era più il mercato del sesso dove
esercitava la sua professione di ragazzo in affitto, ma bensì una cella umida e
spoglia provvista soltanto di una finestra, dalla quale filtrava la luce
diafana di una luna troppo timida. L’ospedale psichiatrico dov’era stato il
giorno prima. Soltanto che ora sembrava molto più grande. Le lettere intanto si
erano trasformate in scritte sul pavimento e sui muri. A … I … D … R.
La stanza ne era piena,
persino la porta. Allungò una mano verso di essa. Chiusa, ovviamente.
-Fatemi uscire da qui-
mormorò, facendo capolino con la testa verso la finestrella sulla porta, non
vedendo però nessuno.
-Nessuno ti aprirà-
rispose una voce nell’ombra –la chiave ce l’hai soltanto tu.-
Thomas si girò di scatto,
spaventato più che mai. Vide un paio di piedi fare capolino dal buio, ed una
figura appoggiata al muro che giocava con una cordicella, forse una specie di
ciondolo.
-Chi sei?- domandò Thomas,
sentendo la sua voce lontanissima e rimbombante. La figura gli rispose poco
dopo, restandosene sempre acquattata nel buio.
-Sono il tuo compagno di
cella. Ci hanno messi insieme perché sapevamo contare bene- rispose questi,
continuando a giocherellare con quella specie di cordicella, che Thomas
riconobbe forse essere la cordicella che aveva sbattuto in mano ad Alberto
prima di abbandonarlo. –sappiamo contare bene e ci hanno messi insieme. Spesso
la vita è buffa. Un giorno sei vivo, un altro giorno sei qui.- si fermò, mentre
Thomas si accasciava a terra, appoggiandosi alla porta. Si rannicchiò su sé
stesso, come un bimbo impaurito, con la sensazione viscerale che sapesse ciò
che la figura ombrosa stesse per dirgli. Infatti questa continuò, lanciando per
aria il ciondolo che stranamente si librava per aria come un palloncino, per
poi ricadergli dolcemente nella mano, e poi ricominciare la sua corsa verso
l’alto e verso il basso –Un giorno sei un grande giurista, incrollabile, pieno
di certezze, duro come la roccia… e il giorno dopo perdi la testa per un
ragazzo che ti sembra un dio solo perché riesce ad amare una persona che è
scomparsa da anni...- una risatina. –Patetico…- le parole continuavano a vagare
nella mente di Thomas, che poteva sentirle molto deformate, come d’altronde
vedeva l’ambiente stesso. Deformato dalla droga, che lentamente stava prendendo
il sopravvento.
-Ti dirò una cosa,
tesoruccio. Hai trovato la soluzione del caso.-
-Cosa…? Non …-
-Non prendermi per il
culo? È questo quello che vuoi dirmi?- una risata fragorosa ruppe il silenzio
della cella, facendo trasalire Thomas. Il misterioso compagno di detenzione di
Thomas si scoprì lentamente, avvicinando la faccia al cono di luce della
finestrella. La luce della luna illuminò la parte destra del suo viso, che era
tutto bianco e lucido. I suoi occhi erano due orbite nere tagliate a mandorla.
-Sei tu…-
-Sì. Sono io. E tu non mi
fermerai.- sembrò concludere, ma poi aggiunse –Mai.-
*****
Con gli occhi sgranati,
Alberto guardava il televisore di Filippo, sintonizzato su un altro
telegiornale. Adesso anche lui sapeva che Renato e Yari, due della compagnia
che frequentava insieme con Nathan, erano morti. L’uno sgozzato come un suino,
l’altro squartato brutalmente e con una mano amputata. Chiuse gli occhi,
portandosi le mani alle tempie.
-Oh, cristo… oh no. No…
No…-
Si
raccolse in un minuto di silenzio, mentre il televisore continuava a parlare a
basso volume; sarebbe voluto scappare, andare a casa, e poi fare le valigie ed
andarsene da sua madre. “Prima prendete questo bastardo, prima torno” pensò,
deciso in tutto e per tutto ad andarsene da Torino, fino a che non si fossero
calmate le acque.
-Qualcosa non va?-
Si girò. Filippo era lì in
piedi accanto a lui, vicino al divano. Indossava una specie di vestaglia bianca
con sopra disegnato un dragone nero, in stile giapponese. Si sedette su un
bracciolo, e Alberto ritornò alla sua posizione di mestizia.
-Due… due persone che io
conoscevo, sono state assassinate. Io non…- balbettò -..non ce la faccio più.-
scosse la testa, evitando di dire ciò che non avrebbe voluto dire, ovvero la
sua paura che le probabilità di ritrovare Nathan vivo si erano
considerevolmente abbassate negli ultimi giorni. Filippo gli posò una mano
sulla spalla, amichevolmente. Alberto sospirò e lo ringraziò sottovoce.
-Non ringraziarmi. Lo
faccio con piacere.- sorrise, ma Alberto non lo vide. Andò ad accoccolarsi
accanto a lui, e lo strinse dolcemente a sé, sapendo quanto Alberto avesse
bisogno di un po’ di calore umano. Troppo stanco per ribellarsi, Alberto si
arrese a quella dolcezza, stringendo a sua volta Filippo.
-A volte abbiamo bisogno
di sapere che c’è qualcuno lì per noi.- sussurrò Filippo in un orecchio di
Alberto, accarezzandogli i morbidi capelli castani.
Con un braccio avvolto
attorno alla vita del ragazzo, Alberto rispose che lui era solo, da quando
Nathan se n’era andato. Si guardò bene dal menzionare Thomas, almeno non dopo
quel che era successo la sera prima. Thomas aveva cercato di fare tutto il
possibile, ma il pensiero che rallentasse le indagini per approfittare di
Alberto era troppo invasivo. Nel silenzio di entrambi, e sotto le carezze di
Filippo, Alberto si rilassò un po’, chiedendosi da quanto non provava quella
sensazione. Si distese, ma la sua testa non era poggiata sul bracciolo del
divano o su un cuscino come a casa. Adesso era ospite delle cosce di Filippo,
il quale aveva iniziato a massaggiargli la testa con le dita, provocandogli una
strana sensazione di rilassamento generale.
-Che stai facendo…?-
domandò Alberto sottovoce.
-Ti faccio un massaggio
rilassante.- precisò Filippo, continuando a far lavorare quelle dita lunghe e
sottili sul suo cuoio capelluto. –Oppure vuoi che mi fermi?- Alberto scosse la
testa.
Con un sorriso, Filippo
continuò a massaggiargli la testa, e Alberto si sentì come nel bel mezzo di un
lavaggio del cervello, ma non in senso spregiativo. In senso buono. Quelle mani
che non erano di Nathan erano comunque molto abili nel consolarlo dal suo
dolore, uccidendo tutti i pensieri negativi che si formavano nella sua mente.
Forse avrebbe dovuto guardare Filippo sotto ben altri occhi che quelli
dell’antipatico impiegato universitario, che cercava sempre di sfuggirgli…
Dopotutto era un bel ragazzo, e indiscutibilmente molto affascinante. Per molti
versi somigliava a Nathan, e quella frase “i ragazzi che fanno arti marziali
sono molto bravi a letto” continuava a ronzargli in testa, nonostante il
massaggio. Chiuse le gambe, e avvertì un leggero calore avvampargli le guance.
Come se avesse parlato ad alta voce, Filippo gli sussurrò di aprire le gambe,
di rilassarsi completamente se voleva che il trattamento facesse effetto. Alberto
obbedì, però si augurò che Filippo non vedesse la collinetta in prossimità del
suo inguine. Auspicio mancato, in quanto Filippo se n’era già accorto e stava
già sorridendo soddisfatto.
I respiri di entrambi si
fecero più lievi ogni secondo che passava, mentre Alberto era sempre più sotto
il potere di Filippo. Il divano era abbastanza largo, e parecchio comodo. Con
gli occhi chiusi, sentì che Filippo si girava, tenendogli la testa, per
incrociare le gambe sotto di essa e poi rilasciagliela. Mentalmente mormorò un
“ahia” quando sentì l’osso del piede di Filippo dietro la schiena, ma si
rilassò subito dopo quando la sua testa fu in una posizione più comoda.
-Stai bene…?- sussurrò
Filippo.
-Sì. Sto bene…-
-Va tutto bene, Alby…
Adesso ci sono qua io. Fai finta che io sia chi vuoi tu.-
Il vecchio gioco del “fai
finta…” a cui aveva giocato insieme a Thomas quel giorno in auto. Ultimamente
la sua vita era diventata talmente intricata e stressante che l’unica cosa che
avrebbe voluto fare finta di provare era un po’ di tranquillità. L’avrebbe
provata volentieri, anche se per finta. Beh, e adesso lo stava facendo. Un
piccolo spiraglio di tranquillità dopo tutti quei giorni di sconforto, iniziati
inesorabilmente quando aveva accettato quell’invito di Daniele. A proposito,
chissà se Thomas era riuscito a trovarlo? Se lo augurò, ma poi decise di
staccare la spina su suoi pensieri per concentrarsi unicamente su quel
preziosissimo momento di relax regalatogli da Filippo.
-Posso chiederti una
cosa?-
-Dimmi, Filippo.-
-Spogliati.-
Un unico verbo,
imperativo, bastò a minargli la tranquillità, salvo riacquistarla
immediatamente dopo.
-Voglio farti solo un
massaggio. Se ti secca puoi anche restare solo in mutande, non ti violenterò.-
disse Filippo, ridacchiando.
-Ma io… Voglio dire, sei
sicuro?-
Filippo si abbassò verso
di Alberto e lo guardò negli occhi castani con i suoi occhi dorati. –Hai paura
di me, Alberto? Grande e grosso come sei, ti spaventi di un ventiquattrenne?-
ridacchiò. –è forse perché ti ho detto che faccio arti marziali?-
Arrossendo, Alberto sentì
che il suo fallo s’induriva nuovamente, ma per dissimularlo si alzò leggermente
ed andò a togliersi le scarpe, posandole sul tappeto. Filippo sorrise.
Lentamente Alberto si tolse i calzini, poi rimosse jeans e poi il dolcevita
grigio che portava di solito. Restò con i boxer, e Filippo lo guardò dalla
testa ai piedi, mentre Alberto si vergognava del suo stomaco non proprio
atletico.
-Sai che sei proprio un
bel ragazzo? Anche sotto i vestiti, dico.- disse Filippo sorridendo. Alberto
tornò a stendersi, ma questa volta Filippo non gli offrì le sue gambe come
cuscino. Al contrario, si alzò e disse –Chiudi gli occhi- poi aggiunse –E non
riaprili per nessun motivo, d’accordo?-
Alberto obbedì, chiudendo
gli occhi ed evitando assolutamente di aprirli. Pochi istanti dopo, sentì
Filippo che si sedeva sulle sue cosce, con un solo particolare: non aveva più
la vestaglia ed era nudo. Le mani del ragazzo andarono ad accarezzare Alberto,
leggermente, come il tocco di una farfalla. Filippo fece scendere quelle mani
leggere verso il ventre di Alberto, che (a parte il suo sesso leggermente
indurito) era completamente rilassato. Non fece una piega nemmeno quando
Filippo, con il suo sedere nudo, si sedette sul suo inguine, continuando ad
imporre le mani su di lui in quella strana disciplina.
Finalmente era suo. Per
anni aveva atteso quel momento, Filippo, che aveva sempre bramato Alberto, fin
dal primo momento che l’aveva visto. “Non mi importa se finirò ammazzato.
Voglio solo godermi questo momento insieme a te” pensò, chinandosi verso il suo
ospite e andando a baciargli la fronte. Da lì scese a baciargli il naso… e poi
le labbra. Fu un bacio lungo, lunghissimo, a cui Alberto partecipò
passivamente, senza mai aprire gli occhi. Nella sua mente, per una volta, non
c’era più Nathan, ma soltanto il ragazzo che era lì con lui. Filippo.
Filippo, con quel suo
ciuffo di capelli castani e le sue mani perfette.
Filippo, lo studente di
sociologia che vedeva ogni tanto ma a cui non pensava mai perché troppo
occupato a preoccuparsi. Adesso era lì con lui, e forse era giusto che fosse
così. Era lì, in mutande, con un ragazzo nudo, che peraltro stava armeggiando
con il suo sesso mentre lo baciava. Avvertì il membro di Filippo battergli un
po’ sul ventre, e anche senza vedere capì che il ragazzo era eccitatissimo. Ma
la cosa più incredibile era che la mente di Alberto era libera. Almeno per quel
momento.
I baci di Filippo erano
molto sensuali. Talmente tanto che Alberto si chiese se per caso il suo amico
non fosse un professionista delle arti amatorie, mentre con le mani gli
carezzava il sedere ben formato, liscio come il marmo. Continuò a baciarlo,
lasciando che la sua lingua combattesse con quella del ragazzo, e
abbandonandosi ad un piacere che negli ultimi due anni gli era stato precluso.
Poi, Filippo si staccò dal bacio. Si guardarono negli occhi per un lungo
istante, fino a che Filippo sussurrò –Hai ancora paura di me, allora?-
Alberto scosse la testa.
Sorridendo, Filippo sussurrò lentamente –Bene. Allora togliti i boxer. Voglio
farti vedere quanto sono bravo.-
Una volta che Alberto ebbe
obbedito, cominciò la notte più bella che entrambi avessero mai provato. Fu un
rapporto molto calmo, ma al tempo stesso selvaggio e dolce. Il corpo di Filippo
era per la prima volta a disposizione di quel qualcuno che voleva veramente, e
non del solito idiota che lo abbordava in discoteca. Invece per Alberto fu come
volare. Volare da un periodaccio, scaricarsi da tanti pensieri che negli ultimi
giorni gli avevano provocato degli incubi… fare qualcosa per sé stesso, questa
volta sul serio. Mentre faceva l’amore con Alberto, anche Filippo si sentiva
bene. Sentire quella parte così privata di Alberto nel suo corpo gli riscaldò
il cuore, non fosse stato altro perché Alberto somigliava in modo incredibile
ad un ragazzo che lui aveva sempre amato ma che non era mai riuscito a
conquistare. Sopra di lui, Alberto lo penetrò ad occhi chiusi, lasciando che
Filippo rispondesse con il suo corpo, fremendo di piacere ad ogni movimento che
faceva, e sentendosi appagato quando le gambe di Filippo si avvolgevano al suo
bacino e lo tiravano a sé, come se non volessero lasciarlo andare. Continuarono
per un bel po’ di tempo, nel quale Filippo provò piacere più di una volta,
mentre Alberto continuava a trattenersi. Accortosi di ciò, Filippo sorrise
malizioso e toccò il sesso ancora turgido di Alberto… -Non ti piaccio…?-
domandò. Alberto scosse la testa, arrossendo –Tu… mi piaci… è solo che…- non
concluse la frase, che Filippo si era già chinato e fece per aprire la bocca
sul pene di Alberto. Questi lo fermò. –Che c’è? Non vuoi...?- chiese Filippo,
guardandolo con un’espressione piuttosto seria che fece venire i brividi ad
Alberto. Ad entrare nel suo corpo c’era anche arrivato, ma quello che voleva
fargli Filippo era ancora una cosa molto personale, nonostante ciò che avevano
fatto prima. Si fece lo scrupolo di non lasciarlo continuare con i suoi
propositi, ma evitò quando le labbra di Filippo avvolsero il suo membro ed
incominciarono a baciarlo, per poi continuare nel modo che Alberto conosceva
fin troppo bene… per finire in uno spruzzo di piacere direttamente nella bocca
di Filippo, che si lasciò andare sul divano, addosso ad Alberto, che ansimava
per lo sforzo. Si asciugò le labbra con il dorso della mano, poi arrossì.
Alberto gli sorrise.
-Non è stato poi così
terribile, cosa ne dici?- sussurrò Filippo con un sorriso, mentre Alberto gli
carezzava la schiena.
-No… Assolutamente. È
stato magnifico.-
Filippo sorrise raggiante
dentro di sé, felice che qualcuno gli avesse fatto un complimento del genere,
per la prima volta. Chiuse gli occhi, senza però sapere che Alberto aveva detto
che era stato magnifico soltanto per non dire che adesso aveva anche più paura.
E non era una paura
infondata.