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Autore: StephEnKing1985    16/11/2010    2 recensioni
Alberto aveva un ragazzo, Nathan. La loro relazione durava da cinque anni, fino a che un giorno Nathan non uscì di casa e non scomparve. A distanza di due anni, Alberto è ancora solo e non sa cosa fare della sua vita. Mentre cerca di rialzarsi, misteriosi omicidi sconvolgono la tranquilla città di Torino. Conoscendo le vittime, Alberto si sentirà in dovere di indagare. Aiutato da uno scrittore, Alberto seguirà la via dell'assassino, fino a scoprire un'agghiacciante verità che mai avrebbe potuto immaginare.
Genere: Dark, Mistero, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ventidue

Ventidue

Sotto il ponte della Tangenziale era il luogo del piacere. Vi si accedeva passando da una strada periferica abbastanza larga da consentire un adeguato traffico di autoveicoli. Le auto andavano lì sotto il ponte, magari parcheggiavano, i passeggeri scendevano già con la lussuria negli occhi, scegliendo accuratamente il loro “pasto” per la serata. I ragazzi erano tutti là, c’era chi fumava, chi si concedeva il lusso di bere una birra per poi smaltirla l’indomani in palestra, e chi stava a guardare le auto che si fermavano sperando di venire scelto. O di non venire scelto, almeno per quella sera. Camminando lentamente, Thomas attraversava il battuto, senza sapere bene dove fosse diretto. Intorno a lui soltanto mormorii, risate, in un brusio così assordante eppur maledettamente fievole. L’effetto era inconfondibile: droga. Si era appena fatto una dose, di quella dolce polvere che lo scollegava dalla realtà per un po’ di tempo, consentendogli di andare avanti a fare il suo lavoro al meglio possibile.

Gli occhi socchiusi, la testa leggera come un palloncino gonfiato di elio, un sorriso sulle labbra che gli conferiva un aspetto molto stralunato. “Avanti, chi si fa avanti per farmi mangiare, questa sera?” pensò, e tutti si girarono “coraggio… paparini, nonnetti… sono un bel cucciolotto, fatevi avanti. Sono qui tutto per voi.”

Allungò le mani, mentre i suoi colleghi si riunivano in circolo come in una strana sorta di rito magico, quasi come in quel film di Stanley Kubrick, “Eyes wide shut”. Lo presero e lo issarono, portandolo su una specie di altare improvvisato lì vicino. Nei lunghissimi momenti in cui era sotto l’effetto della droga, non capiva più nulla, e gli uomini potevano fare di lui ciò che volevano. Una volta, uno riuscì ad usarlo per più di tre ore, senza che lui si ribellasse, ma soltanto avendo la sensazione di essere spinto e provando una sorta di piacere, dato soprattutto dal fatto che la droga gli faceva vedere ciò che lui voleva vedere: un personaggio vestito solo di una maschera, perché il viso che c’era sotto sarebbe stato un boccone troppo duro da digerire. Sì che lo faceva per soldi e quindi non doveva lamentarsi troppo. I soldi sono sempre soldi, chiunque li largisca.

Si lasciò adagiare su una specie di altare, ed i suoi colleghi lo accarezzarono. Mille mani che lo toccavano dappertutto, via via togliendogli un indumento. Prima le scarpe e la giacca, poi i calzini, il maglione ed i pantaloni… nonostante il freddo, restò lì in mutande, nel brusio generale, con la sola illuminazione dei fuochi nei barili che davano all’ambiente un’atmosfera da seduta spiritica che in condizioni normali lo avrebbe terrorizzato. Tirò su le mani, sentendosi sorridere, con la sensazione che la bocca fosse scollegata dal viso e che si fosse piegata in base ad un suo capriccio. Sorrideva. Le dita erano le sue, c’erano ancora gli anelli all’indice, all’anulare ed al pollice, ed incominciò a fendere l’aria con le dita, mimando la scrittura di un testo su una tastiera.

-Guarda, che bello… le lettere compaiono nell’aria…- si udì dire, ma in un tono troppo incerto perché potesse capirlo appieno. Comparirono alcune lettere davanti ai suoi occhi.

A … I … D… R….

Le lettere comparse rimasero ferme per un po’ di tempo, poi come per magia iniziarono a svolazzare tutt’intorno, come delle stranissime farfalle. Thomas continuò a sorridere, mentre i suoi colleghi si dileguavano lentamente, scomparendo nell’ombra. Rimase solo, in mutande, in un posto che non era più il mercato del sesso dove esercitava la sua professione di ragazzo in affitto, ma bensì una cella umida e spoglia provvista soltanto di una finestra, dalla quale filtrava la luce diafana di una luna troppo timida. L’ospedale psichiatrico dov’era stato il giorno prima. Soltanto che ora sembrava molto più grande. Le lettere intanto si erano trasformate in scritte sul pavimento e sui muri. A … I … D … R.

La stanza ne era piena, persino la porta. Allungò una mano verso di essa. Chiusa, ovviamente.

-Fatemi uscire da qui- mormorò, facendo capolino con la testa verso la finestrella sulla porta, non vedendo però nessuno.

-Nessuno ti aprirà- rispose una voce nell’ombra –la chiave ce l’hai soltanto tu.-

Thomas si girò di scatto, spaventato più che mai. Vide un paio di piedi fare capolino dal buio, ed una figura appoggiata al muro che giocava con una cordicella, forse una specie di ciondolo.

-Chi sei?- domandò Thomas, sentendo la sua voce lontanissima e rimbombante. La figura gli rispose poco dopo, restandosene sempre acquattata nel buio.

-Sono il tuo compagno di cella. Ci hanno messi insieme perché sapevamo contare bene- rispose questi, continuando a giocherellare con quella specie di cordicella, che Thomas riconobbe forse essere la cordicella che aveva sbattuto in mano ad Alberto prima di abbandonarlo. –sappiamo contare bene e ci hanno messi insieme. Spesso la vita è buffa. Un giorno sei vivo, un altro giorno sei qui.- si fermò, mentre Thomas si accasciava a terra, appoggiandosi alla porta. Si rannicchiò su sé stesso, come un bimbo impaurito, con la sensazione viscerale che sapesse ciò che la figura ombrosa stesse per dirgli. Infatti questa continuò, lanciando per aria il ciondolo che stranamente si librava per aria come un palloncino, per poi ricadergli dolcemente nella mano, e poi ricominciare la sua corsa verso l’alto e verso il basso –Un giorno sei un grande giurista, incrollabile, pieno di certezze, duro come la roccia… e il giorno dopo perdi la testa per un ragazzo che ti sembra un dio solo perché riesce ad amare una persona che è scomparsa da anni...- una risatina. –Patetico…- le parole continuavano a vagare nella mente di Thomas, che poteva sentirle molto deformate, come d’altronde vedeva l’ambiente stesso. Deformato dalla droga, che lentamente stava prendendo il sopravvento.

-Ti dirò una cosa, tesoruccio. Hai trovato la soluzione del caso.-

-Cosa…? Non …-

-Non prendermi per il culo? È questo quello che vuoi dirmi?- una risata fragorosa ruppe il silenzio della cella, facendo trasalire Thomas. Il misterioso compagno di detenzione di Thomas si scoprì lentamente, avvicinando la faccia al cono di luce della finestrella. La luce della luna illuminò la parte destra del suo viso, che era tutto bianco e lucido. I suoi occhi erano due orbite nere tagliate a mandorla.

-Sei tu…-

-Sì. Sono io. E tu non mi fermerai.- sembrò concludere, ma poi aggiunse –Mai.-

 

*****

 

Con gli occhi sgranati, Alberto guardava il televisore di Filippo, sintonizzato su un altro telegiornale. Adesso anche lui sapeva che Renato e Yari, due della compagnia che frequentava insieme con Nathan, erano morti. L’uno sgozzato come un suino, l’altro squartato brutalmente e con una mano amputata. Chiuse gli occhi, portandosi le mani alle tempie.

-Oh, cristo… oh no. No… No…-

            Si raccolse in un minuto di silenzio, mentre il televisore continuava a parlare a basso volume; sarebbe voluto scappare, andare a casa, e poi fare le valigie ed andarsene da sua madre. “Prima prendete questo bastardo, prima torno” pensò, deciso in tutto e per tutto ad andarsene da Torino, fino a che non si fossero calmate le acque.

-Qualcosa non va?-

Si girò. Filippo era lì in piedi accanto a lui, vicino al divano. Indossava una specie di vestaglia bianca con sopra disegnato un dragone nero, in stile giapponese. Si sedette su un bracciolo, e Alberto ritornò alla sua posizione di mestizia.

-Due… due persone che io conoscevo, sono state assassinate. Io non…- balbettò -..non ce la faccio più.- scosse la testa, evitando di dire ciò che non avrebbe voluto dire, ovvero la sua paura che le probabilità di ritrovare Nathan vivo si erano considerevolmente abbassate negli ultimi giorni. Filippo gli posò una mano sulla spalla, amichevolmente. Alberto sospirò e lo ringraziò sottovoce.

-Non ringraziarmi. Lo faccio con piacere.- sorrise, ma Alberto non lo vide. Andò ad accoccolarsi accanto a lui, e lo strinse dolcemente a sé, sapendo quanto Alberto avesse bisogno di un po’ di calore umano. Troppo stanco per ribellarsi, Alberto si arrese a quella dolcezza, stringendo a sua volta Filippo.

-A volte abbiamo bisogno di sapere che c’è qualcuno lì per noi.- sussurrò Filippo in un orecchio di Alberto, accarezzandogli i morbidi capelli castani.

Con un braccio avvolto attorno alla vita del ragazzo, Alberto rispose che lui era solo, da quando Nathan se n’era andato. Si guardò bene dal menzionare Thomas, almeno non dopo quel che era successo la sera prima. Thomas aveva cercato di fare tutto il possibile, ma il pensiero che rallentasse le indagini per approfittare di Alberto era troppo invasivo. Nel silenzio di entrambi, e sotto le carezze di Filippo, Alberto si rilassò un po’, chiedendosi da quanto non provava quella sensazione. Si distese, ma la sua testa non era poggiata sul bracciolo del divano o su un cuscino come a casa. Adesso era ospite delle cosce di Filippo, il quale aveva iniziato a massaggiargli la testa con le dita, provocandogli una strana sensazione di rilassamento generale.

-Che stai facendo…?- domandò Alberto sottovoce.

-Ti faccio un massaggio rilassante.- precisò Filippo, continuando a far lavorare quelle dita lunghe e sottili sul suo cuoio capelluto. –Oppure vuoi che mi fermi?- Alberto scosse la testa.

Con un sorriso, Filippo continuò a massaggiargli la testa, e Alberto si sentì come nel bel mezzo di un lavaggio del cervello, ma non in senso spregiativo. In senso buono. Quelle mani che non erano di Nathan erano comunque molto abili nel consolarlo dal suo dolore, uccidendo tutti i pensieri negativi che si formavano nella sua mente. Forse avrebbe dovuto guardare Filippo sotto ben altri occhi che quelli dell’antipatico impiegato universitario, che cercava sempre di sfuggirgli… Dopotutto era un bel ragazzo, e indiscutibilmente molto affascinante. Per molti versi somigliava a Nathan, e quella frase “i ragazzi che fanno arti marziali sono molto bravi a letto” continuava a ronzargli in testa, nonostante il massaggio. Chiuse le gambe, e avvertì un leggero calore avvampargli le guance. Come se avesse parlato ad alta voce, Filippo gli sussurrò di aprire le gambe, di rilassarsi completamente se voleva che il trattamento facesse effetto. Alberto obbedì, però si augurò che Filippo non vedesse la collinetta in prossimità del suo inguine. Auspicio mancato, in quanto Filippo se n’era già accorto e stava già sorridendo soddisfatto.

I respiri di entrambi si fecero più lievi ogni secondo che passava, mentre Alberto era sempre più sotto il potere di Filippo. Il divano era abbastanza largo, e parecchio comodo. Con gli occhi chiusi, sentì che Filippo si girava, tenendogli la testa, per incrociare le gambe sotto di essa e poi rilasciagliela. Mentalmente mormorò un “ahia” quando sentì l’osso del piede di Filippo dietro la schiena, ma si rilassò subito dopo quando la sua testa fu in una posizione più comoda.

-Stai bene…?- sussurrò Filippo.

-Sì. Sto bene…-

-Va tutto bene, Alby… Adesso ci sono qua io. Fai finta che io sia chi vuoi tu.-

Il vecchio gioco del “fai finta…” a cui aveva giocato insieme a Thomas quel giorno in auto. Ultimamente la sua vita era diventata talmente intricata e stressante che l’unica cosa che avrebbe voluto fare finta di provare era un po’ di tranquillità. L’avrebbe provata volentieri, anche se per finta. Beh, e adesso lo stava facendo. Un piccolo spiraglio di tranquillità dopo tutti quei giorni di sconforto, iniziati inesorabilmente quando aveva accettato quell’invito di Daniele. A proposito, chissà se Thomas era riuscito a trovarlo? Se lo augurò, ma poi decise di staccare la spina su suoi pensieri per concentrarsi unicamente su quel preziosissimo momento di relax regalatogli da Filippo.

-Posso chiederti una cosa?-

-Dimmi, Filippo.-

-Spogliati.-

Un unico verbo, imperativo, bastò a minargli la tranquillità, salvo riacquistarla immediatamente dopo.

-Voglio farti solo un massaggio. Se ti secca puoi anche restare solo in mutande, non ti violenterò.- disse Filippo, ridacchiando.

-Ma io… Voglio dire, sei sicuro?-

Filippo si abbassò verso di Alberto e lo guardò negli occhi castani con i suoi occhi dorati. –Hai paura di me, Alberto? Grande e grosso come sei, ti spaventi di un ventiquattrenne?- ridacchiò. –è forse perché ti ho detto che faccio arti marziali?-

Arrossendo, Alberto sentì che il suo fallo s’induriva nuovamente, ma per dissimularlo si alzò leggermente ed andò a togliersi le scarpe, posandole sul tappeto. Filippo sorrise. Lentamente Alberto si tolse i calzini, poi rimosse jeans e poi il dolcevita grigio che portava di solito. Restò con i boxer, e Filippo lo guardò dalla testa ai piedi, mentre Alberto si vergognava del suo stomaco non proprio atletico.

-Sai che sei proprio un bel ragazzo? Anche sotto i vestiti, dico.- disse Filippo sorridendo. Alberto tornò a stendersi, ma questa volta Filippo non gli offrì le sue gambe come cuscino. Al contrario, si alzò e disse –Chiudi gli occhi- poi aggiunse –E non riaprili per nessun motivo, d’accordo?-

Alberto obbedì, chiudendo gli occhi ed evitando assolutamente di aprirli. Pochi istanti dopo, sentì Filippo che si sedeva sulle sue cosce, con un solo particolare: non aveva più la vestaglia ed era nudo. Le mani del ragazzo andarono ad accarezzare Alberto, leggermente, come il tocco di una farfalla. Filippo fece scendere quelle mani leggere verso il ventre di Alberto, che (a parte il suo sesso leggermente indurito) era completamente rilassato. Non fece una piega nemmeno quando Filippo, con il suo sedere nudo, si sedette sul suo inguine, continuando ad imporre le mani su di lui in quella strana disciplina.

Finalmente era suo. Per anni aveva atteso quel momento, Filippo, che aveva sempre bramato Alberto, fin dal primo momento che l’aveva visto. “Non mi importa se finirò ammazzato. Voglio solo godermi questo momento insieme a te” pensò, chinandosi verso il suo ospite e andando a baciargli la fronte. Da lì scese a baciargli il naso… e poi le labbra. Fu un bacio lungo, lunghissimo, a cui Alberto partecipò passivamente, senza mai aprire gli occhi. Nella sua mente, per una volta, non c’era più Nathan, ma soltanto il ragazzo che era lì con lui. Filippo.

Filippo, con quel suo ciuffo di capelli castani e le sue mani perfette.

Filippo, lo studente di sociologia che vedeva ogni tanto ma a cui non pensava mai perché troppo occupato a preoccuparsi. Adesso era lì con lui, e forse era giusto che fosse così. Era lì, in mutande, con un ragazzo nudo, che peraltro stava armeggiando con il suo sesso mentre lo baciava. Avvertì il membro di Filippo battergli un po’ sul ventre, e anche senza vedere capì che il ragazzo era eccitatissimo. Ma la cosa più incredibile era che la mente di Alberto era libera. Almeno per quel momento.

I baci di Filippo erano molto sensuali. Talmente tanto che Alberto si chiese se per caso il suo amico non fosse un professionista delle arti amatorie, mentre con le mani gli carezzava il sedere ben formato, liscio come il marmo. Continuò a baciarlo, lasciando che la sua lingua combattesse con quella del ragazzo, e abbandonandosi ad un piacere che negli ultimi due anni gli era stato precluso. Poi, Filippo si staccò dal bacio. Si guardarono negli occhi per un lungo istante, fino a che Filippo sussurrò –Hai ancora paura di me, allora?-

Alberto scosse la testa. Sorridendo, Filippo sussurrò lentamente –Bene. Allora togliti i boxer. Voglio farti vedere quanto sono bravo.-

Una volta che Alberto ebbe obbedito, cominciò la notte più bella che entrambi avessero mai provato. Fu un rapporto molto calmo, ma al tempo stesso selvaggio e dolce. Il corpo di Filippo era per la prima volta a disposizione di quel qualcuno che voleva veramente, e non del solito idiota che lo abbordava in discoteca. Invece per Alberto fu come volare. Volare da un periodaccio, scaricarsi da tanti pensieri che negli ultimi giorni gli avevano provocato degli incubi… fare qualcosa per sé stesso, questa volta sul serio. Mentre faceva l’amore con Alberto, anche Filippo si sentiva bene. Sentire quella parte così privata di Alberto nel suo corpo gli riscaldò il cuore, non fosse stato altro perché Alberto somigliava in modo incredibile ad un ragazzo che lui aveva sempre amato ma che non era mai riuscito a conquistare. Sopra di lui, Alberto lo penetrò ad occhi chiusi, lasciando che Filippo rispondesse con il suo corpo, fremendo di piacere ad ogni movimento che faceva, e sentendosi appagato quando le gambe di Filippo si avvolgevano al suo bacino e lo tiravano a sé, come se non volessero lasciarlo andare. Continuarono per un bel po’ di tempo, nel quale Filippo provò piacere più di una volta, mentre Alberto continuava a trattenersi. Accortosi di ciò, Filippo sorrise malizioso e toccò il sesso ancora turgido di Alberto… -Non ti piaccio…?- domandò. Alberto scosse la testa, arrossendo –Tu… mi piaci… è solo che…- non concluse la frase, che Filippo si era già chinato e fece per aprire la bocca sul pene di Alberto. Questi lo fermò. –Che c’è? Non vuoi...?- chiese Filippo, guardandolo con un’espressione piuttosto seria che fece venire i brividi ad Alberto. Ad entrare nel suo corpo c’era anche arrivato, ma quello che voleva fargli Filippo era ancora una cosa molto personale, nonostante ciò che avevano fatto prima. Si fece lo scrupolo di non lasciarlo continuare con i suoi propositi, ma evitò quando le labbra di Filippo avvolsero il suo membro ed incominciarono a baciarlo, per poi continuare nel modo che Alberto conosceva fin troppo bene… per finire in uno spruzzo di piacere direttamente nella bocca di Filippo, che si lasciò andare sul divano, addosso ad Alberto, che ansimava per lo sforzo. Si asciugò le labbra con il dorso della mano, poi arrossì. Alberto gli sorrise.

-Non è stato poi così terribile, cosa ne dici?- sussurrò Filippo con un sorriso, mentre Alberto gli carezzava la schiena.

-No… Assolutamente. È stato magnifico.-

Filippo sorrise raggiante dentro di sé, felice che qualcuno gli avesse fatto un complimento del genere, per la prima volta. Chiuse gli occhi, senza però sapere che Alberto aveva detto che era stato magnifico soltanto per non dire che adesso aveva anche più paura.

E non era una paura infondata.

 

   
 
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