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Autore: Pleasance Carroll    19/11/2010    1 recensioni
ciao a tutti!questa è la 2 storia che scrivo su Twilight abbiate pietà di me non sono molto brava...comunque mi è venuta in mente rileggendo BD...Didyme,la moglie di Marcus,mentre è a caccia trova una bambina che decide di chiamare Erice,in onore del luogo dove si è cibata dei suoi genitori,ed in effetti,portata agli anziani è questo il destino che decidono anche per lei una volta cresciuta ma... possibile che un'umana possa diventare "discendente"dei Volturi?leggete e fatemi sapere!a proposito mi dispiace per il rating,non sono molto pratica ma spero di avrci azzeccato...
Genere: Romantico, Drammatico, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Sorpresa, Volturi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo XV

Parte 2

 

Il treno avanzava alla massima velocità e, agile come una freccia si faceva largo tra ciò che rimaneva delle verdi colline toscane; c’era però, chi, in quel rassicurante fattore, non riusciva a trarre vantaggio: ad Erice, infatti, sembrava che tutto scorresse troppo lentamente.

Lo scompartimento nel quale viaggiava, era molto affollato(particolare al quale aveva dato molto rilievo, a seguito del consiglio ricevuto poco prima) e, se avesse iniziato a camminare freneticamente avanti e indietro, ad urlare o a dondolarsi ossessivamente, con le gambe raccolte al petto- come sentiva di dover fare, dal momento che il cuore le pulsava follemente, il sangue le fluiva alle orecchie con un gran fracasso ed aveva la sensazione di essere terribilmente impotente- avrebbe senza dubbio attirato l’attenzione di tutti i presenti…

Decise quindi di rannicchiarsi sul sedile e fingersi addormentata agli occhi di quegli ignari umani, nella speranza che, con l’avvento del buio, avrebbe potuto, almeno un minimo, riordinare le idee e riacquistare quella fredda lucidità che da sempre le era stato insegnato a mantenere e che, adesso tuttavia, a poche ore dalla sua fuga da Volterra, sembrava perduta per sempre.

Il buio giunse immediato non appena le palpebre si toccarono e, subito, l’etereo viso di Evangeline fece capolino dinnanzi ai suoi occhi. Quello stesso pomeriggio la vampira l’aveva fatta scendere dalla propria schiena e, con le fredde mani posate sulle sue spalle, si era raccomandata:

-         piccola mia, non so cosa stia succedendo…Caius mi ha informata poco, ed è meglio così perché, se Aro dovesse toccarmi, non ti esporrei; posso però, immaginare in cosa tu sia rimasta coinvolta e voglio avvisarti, poiché presto sarai in pericolo: i morti cavalcano in furia, e non si fermeranno finchè non ti avranno trovata e riportata a Volterra per giustiziarti, secondo gli ordini di Aro. Anche se questo vantaggio potrà sembrarti nullo, dinnanzi ad una schiera di vampiri infuriati e sguinzagliati solo contro di te, sappi che la Guardia ha un grande limite: può viaggiare solo di notte. Nessun vampiro, infatti, si esporrebbe mai alla luce del sole, specie se in presenza di molti umani. Sfrutta, quindi, questo particolare e qualche mio consiglio: spostati spesso, non rimanere in una città per più di una settimana; viaggia prevalentemente di notte, così che il tuo odore possa confondere i segugi che ti si scaglieranno addosso, ma di giorno, impara a diventare invisibile ed a confonderti nella massa, lascia che essa ti protegga; cambia anche spesso abito, modo di fare, atteggiamento…così, la tua essenza non si depositerà su un unico capo; fa che nessuno ti riconosca. Mi dispiace, dolce Erice, ma sono costretta a lasciarti qui(sempre a causa del potere di Aro e del rischio che correresti se sapesse dove sei). D’ora in avanti dovrai cavartela da sola. Ti voglio bene, piccola. Buona fortuna!- nonostante avesse cercato di apparire tranquilla, la nutrice vampira della ragazza, non l’aveva mai guardata negli occhi mentre parlava e, dal suo modo di fare appariva chiaro che era turbata, addolorata; che era consapevole di un unico “problema” che avrebbe sempre impedito all’umana di salvarsi la vita: l’abilità di Demetri. E la ragazza era stata toccata da lui poco prima di diventare un membro dei Volturi…come sarebbe potuta sfuggirgli? Evangeline allora, accecata da quella paura, si dileguò all’orizzonte, rapida come una gazzella, portando con sé il mantello cremisi di Erice, al fine di spargere il suo odore su più piste, per creare più tracciati che avrebbero confuso i Volturi.

Terrorizzata da ciò che quel ricordo aveva suscitato in lei, Erice versò qualche invisibile lacrima. Come avrebbe potuto superare, da sola, un’impresa tanto titanica? Si sentì già sconfitta, dal momento che iniziava quell’epica fuga senza speranza, già svantaggiata: lei era solo una fragile umana, i suoi inseguitori, invece, agili, velocissimi, spietati vampiri…

Dinnanzi a lei si prospettava, infinito, l’ignoto. Una morsa implacabile le congelò lo stomaco: per la prima volta nella sua vita, aveva veramente paura. Non sapeva se sarebbe riuscita a vincere quella forza soffocante e terrificante che minacciava d’inghiottirla, di farle dimenticare il proprio essere in quella battaglia per una verità che era stata negata e seppellita come non contasse nulla. Sentì improvvisamente la mancanza di ciò che le era stato caro, per quanto ora, per lei, rappresentasse un non trascurabile pericolo; e si rammaricò di aver abbandonato tutto ciò che conosceva nella speranza che i Volturi si sarebbero presto dimenticati della falsa colpa con la quale l’avevano tacciata, e magari in futuro, sarebbe stata riconosciuta innocente.

Il suo pensiero corse a Santiago, il suo protettivo amato, la sua ancora di salvezza, che molte volte aveva giurato di proteggerla da chiunque rappresentasse una minaccia…chissà quanto soffriva in quel momento, dilaniato tra l’amore che provava per lei, e l’imposizione- da parte del sistema tirannico che sicuramente si era affermato a Volterra- di accettare che la sua amata umana, altro non fosse che un’assassina…

Le venne da piangere mentre rievocava con la mente tutti gli attimi che avevano trascorso insieme e si augurò, pregò un’entità in cui non credeva, che il suo dolce compagno non cedesse alla menzogna che Aro stava tentando di inculcargli. Poi, all’improvviso, come un lampo che- seppur breve- rischiara a giorno anche la tempesta più nera; un altro ricordo piombò nella mente di Erice, imponente come una montagna: la prima ed unica volta in cui era stata toccata da Demetri non stava forse pensando a Santiago? E, subito dopo, non si era forse augurata che potesse rintracciarla solo se lei avesse rivolto i propri pensieri al suo amato? Quindi…se i suoi ragionamenti erano esatti, pensare a Santiago equivaleva lanciare una fune diretta a quel temibile segugio, per far sì che la trovasse; perciò, se non avesse pensato al suo amato- per quanto impensabile fosse quel proposito- si sarebbe mutata, agli occhi di Demetri, in un’anonima ombra, confusa nel mare di altre ombre che altro non erano che la costante moltitudine che l’avrebbe sempre protetta.

Aggrappata a quel flebile barlume di speranza, che tenne vicinissimo al cuore, Erice si concesse di lasciarsi invadere dal ricordo del padre che, come un’ingrata, aveva abbandonato in un covo di serpi bugiarde: ritrovata un po’ della propria determinazione, giurò, quindi, a se stessa, che gli avrebbe mostrato la verità, che avrebbe fatto sì che Didyme ottenesse giustizia.

Forte di quei propositi che le circolavano tutt’a un tratto nel corpo come linfa vitale, vivificandola; la ragazza si sentì abbastanza pronta per aprire gli occhi, per esaminare discretamente ogni singolo volto che popolava quel vagone e, accantonata l’idea che, a causa della sua presenza lì, quegli umani potevano trovarsi in pericolo, iniziò a studiarli, per capire se costituissero un pericolo per lei.

In quel divertente modo- dal momento che riuscì a distrarla dalle sue opprimenti preoccupazioni, le lunghe ore di viaggio trascorsero come fossero state una manciata di minuti.

 

Erice non aveva idea di come si chiamasse la città in cui si trovava così, per alleviare la sua ignoranza decise che era ora di seguire il consiglio della sua nutrice e, ringraziando l’ingente somma di denaro che Evangeline le aveva lasciato, si diresse in quello che le fu indicato come il più grande centro commerciale di quel luogo. Una volta lì, due gentili commesse col sorriso da barbie, la seguirono in ogni suo acquisto; tuttavia, dopo averle messo tra le mani una gran quantità di vestiti, scarpe, borse- oltre a diverse varietà come un set da manicure e delle parrucche- la cortesia delle due donne sfumò in sospetto. Perciò, affinchè non le chiedessero documenti- dal momento che non ne aveva e mai ne aveva avuti- la ragazza fu costretta ad uscire dal centro commerciale, mentre stentava a mantenere la calma.

Riuscì a tranquillizzarsi solo quando trovò rifugio in un’anonima toilette  di una stazione di treni. Lì, con la porta chiusa a chiave, indossò un paio di jeans larghissimi, ed una felpa più grande di una taglia- perché nessuno potesse distinguere chi fosse- poi, si coprì bene con uno spesso piumino ed infine, dopo essersi legata i ricci castani in un’unica treccia, a seguito di un attimo di esitazione, senza guardarsi nello lurido specchio dinnanzi a lei, si tagliò i capelli, all’altezza dell’orecchio.

Evitò anche di guardarsi attorno, quasi avesse avuto paura del gesto che aveva appena compiuto, poi si coprì la testa con un berretto scuro e, singhiozzando commossa, raccolse da terra la sua treccia e tutti quelli che erano stati i suoi vestiti; per nasconderli in una delle borse appena acquistate, con la sola intenzione di bruciare tutto ciò che le era appartenuto, per non lasciare prove, o tracce di qualsiasi tipo.

 

Era notte inoltrata, ormai. Erice camminava lenta in quella che sembrava la buia, degradata ma tranquilla periferia della sconosciuta città che aveva accettato di nasconderla; mentre cercava di apparire disinvolta sebbene, sotto il suo piumino blu, tremasse di paura ed i muscoli fossero tesi, all’erta, quasi aspettandosi che da un momento all’altro di veder comparire da qualche angolo una figura dalla pelle di gesso ed un manto con cappuccio grigio.

Respirò piano, profondamente e si ripeteva sottovoce che non era altro che un’ombra invisibile che avanzava nell’oscurità, rischiarata di tanto in tanto da caldi fuochi.

Cosa? Fuochi? Erice sobbalzò, leggermente sorpresa quando, con la coda dell’occhio, riconobbe il guizzo di una fiamma. Si avvicinò al centro di una delle tante strade che stava attraversando, silenziosa, e comprese che in un’infinità di grigi bidoni, posti esattamente al centro di quelle strane vie ghiaiose, ardevano invitanti fuocherelli attorno ai quali erano riunite più persone, ignote ma dignitose che, di tanto in tanto scambiavano tra loro battute che miravano ad alleviare la solitudine che sentivano dentro di sé.

A quella vista, la ragazza ebbe la sensazione che un masso imponente come una montagna le si gettasse addosso, togliendole tutta l’aria dai polmoni e facendole diventare le ginocchia molli, tanto che le sembrava non potessero più sostenere il peso del proprio corpo.

Era passato solo un giorno da quando si era allontanata da Volterra, eppure sentiva, acuta e soffocante come un rovo di spine che le si era incastrato in gola, la mancanza di ogni singolo vampiro che avesse significato qualcosa nella vita che aveva trascorso in quella splendida città-fortezza dalle spesse mura d’opale.

Si rese conto che allora, era la solitudine ciò che la spaventava di più. Quanto avrebbe voluto, anche lei, avere qualcuno con cui condividere tutto ciò che le passava per la mente, soprattutto in quel momento!

Quatta come un gatto- dal momento che aveva già deciso- fece quindi per avvicinarsi a quel gruppo scanzonato di uomini che ora avevano iniziato a cantare; sperava infatti che, magari, la vicinanza ad un altro essere umano, un qualsiasi semplice sorriso, anche se avvolto dal silenzio, avrebbe potuto farle dimenticare le paure che provava, la maschera di ghiaccio che aveva indossato nel periodo immediatamente successivo all’omicidio di Didyme e che ora, minacciava di tornare a soffocarla, all’improvviso però…

-         brutta troia! Mi hai chiesto quei dannati documenti ed io te li ho portati, ma tu, tu che fai? Te ne sbatti altamente di tutti i miei sforzi e fingi di dimenticarti della promessa di compenso che mi hai fatto? Chi pensi che sia, bella? La Fata Turchina? Devi pagarmi, e subito!- dalla buia quiete crepitante di fiammelle tuonò una voce dura ed astiosa a rompere quella sorta di religioso silenzio, e d’un tratto tutti si zittirono, voltando i visi barbuti in direzione di quell’urlo minaccioso.

-         Non ho soldi con me, te lo giuro! Il cliente di stanotte non mi ha voluta pagare…- sussurrò, implorante, una voce femminile.

Poi si udì lo schiocco secco di uno schiaffo e, immediatamente dopo, da uno degli stretti vicoli poco illuminati- non molto distante da dove si trovava Erice - comparve, o meglio cadde malamente a terra, una donna che sembrava pesantemente truccata ed i cui abiti ne coprivano appena le parti intime. Balzò quasi subito a sedere, singhiozzando e respirando a fatica mentre indietreggiava spaventata, facendo leva sulle mani. Erice, che non riusciva a staccarle gli occhi di dosso, capì subito che stava fuggendo da qualcuno; sentendo quindi, montare dentro di sé l’impellente necessità di accorrere in suo aiuto, poiché le era parso di vedere, nella scintilla di terrore dei suoi occhi, una parte di sé, fece per guardarsi attorno, nella speranza di poter fare affidamento su qualcuno di quei barboni che fino ad un secondo prima aveva cantato a squarciagola. Li squadrò in viso uno per uno. Nulla, tutti avevano i visi bassi e mangiavano ciò che erano riusciti a racimolare, muti come conigli.

“bel coraggio avete- pensò l’ex membro dei Volturi- a cantare e, un attimo dopo, appena le cose si mettono male, ad ammutolirvi”

Quindi, seccata ed adirata- anche se consapevole che forse non avrebbe dovuto immischiarsi- strinse forte al petto la borsa che ancora aveva con sé, piena dei suoi vecchi vestiti e, a passo di marcia si diresse verso il vicolo da dove era sbucata la donna.

Lo spettacolo che le si parò davanti agli occhi era inquietante: la prostituta era a terra, ansimante, e distoglieva, spaventata, lo sguardo dall’imponente figura che troneggiava su di lei; un uomo calvo completamente vestito di nero, che aveva iniziato a prenderla a calci nel ventre.

Non appena quello si rese conto che Erice era vicina ed osservava sconvolta la scena, si avventò su di lei, spingendola contro il muro e stringendo il suo piccolo collo tra le mani:

-         non lo sai che ti devi fare i cazzi tuoi, ragazzino?- la minacciò, mentre la osservava agonizzare.

Erice probabilmente avrebbe riso all’idea che il consiglio di Evangeline era stato tanto efficace da far sì che la si potesse scambiare per un ragazzo, ma quello non le sembrava il momento più adatto, poiché le si stava appannando la vista mentre fissava quell’ammasso di muscoli dagli abiti neri che stava per condannarla a morte…le mancava l’aria, e le forze stavano scivolarle via dal corpo…che senso aveva più, lottare?

All’improvviso però, una rabbia urticante ed indescrivibile prese a scorrerle come fuoco nelle vene, le labbra le bruciavano tanto che aveva voglia di urlare…non era certo arrivata fin lì- sfuggendo quasi per miracolo a dei vampiri folli- per lasciare che un fragile essere umano le facesse del male! Non lei, che era riuscita ad uccidere tre licantropi grazie all’addestramento ricevuto dalla sua famiglia!

Senza rifletterci troppo, quindi, animata da quei pensieri, da quei ricordi, serrò la mano a pugno ed assestò un colpo nella mascella del suo aggressore, -con tanta violenza da farlo cadere a terra- per poi lasciare che la soddisfazione mista a zaffate d’aria fresca, la invadessero mentre la donna che fino ad un attimo prima era stata aggredita, e l’uomo stesso, osservavano la sua figura che si stagliava nel buio.

-         quanti soldi ti deve, questa donna?- domandò allora Erice, con un atteggiamento di superiorità ed un’aria astiosa, forte del fatto che l’oscurità la proteggeva.

-         Mille…- mimò dopo un po’ l’uomo, con le labbra, visto che- poiché sulle prime non voleva rispondere, la sconosciuta che lo aveva colpito si era avvicinata e gli aveva posato un piede sulla gola, che gli impediva di parlare bene.

-         Ti faccio un’offerta: pago io i documenti di cui hai parlato, ma dovrai darli a me. Inoltre…- propose, siccome ormai aveva capito che quel losco figuro faceva documenti falsi e, anche se era consapevole che quello che lei stava facendo non poteva definirsi legale; almeno avrebbe soddisfatto la sua necessità di possedere dei documenti di cui fare uso se glieli avessero chiesti.

-         Ehi! Ma come ti permetti? Chi cazzo ti credi di essere?- la interruppe la prostituta, che si era rialzata da terra e la fissava con gli occhi ridotti a fessure, come se le stesse rubando qualcosa.

Erice, allora, si girò verso la donna, seccata di esser stata interrotta e la fulminò con lo sguardo, tanto che quella fece qualche passo indietro, intimorita.

-         sono quella che ti sta salvando la vita- replicò, acida, mentre le tirava la borsa che aveva sempre avuto con sé e dalla quale si era curata di togliere la sua treccia bruna, nascondendosela addosso. – perciò adesso sparisci e usa quello che c’è lì dentro per rifarti una vita.-

la prostituta non se lo fece ripetere due volte e, dopo essersi quasi inchinata al cospetto della sconosciuta, per prendere la sua sacca colorata, svanì nella notte dalla quale era apparsa.

-         dicevamo, caro sconosciuto? Ah, sì! Pagherò io quei documenti anche se, immagino, dovrai cambiarne la foto, dal momento che ora sono miei…inoltre, ho bisogno di un’altra carta d’identità a nome “Esther Prinne”. Credi di potermela procurare?- questa volta parlò con falsa gentilezza, aumentando volutamente la pressione del piede sulla gola dell’uomo.

D’un tratto, dopo aver ringraziato il fatto che da ragazzina era stata costretta a leggere “la lettera scarlatta”- poiché la protagonista di quel libro le aveva dato un grande aiuto per scegliere quello che sarebbe stato il suo nome falso, ora- avvertì che un’ondata di disprezzo verso se stessa, la invadeva: prima, infatti, quando si trovava tra i Volturi, nonostante qualche essere umano avesse potuto suscitarle odio a prima vista, non si sarebbe mai comportata in quel modo; non avrebbe mai procurato volutamente dolore ad un individuo!

Poteva quindi considerare vera la colpa di cui era stata tacciata da Aro? Era veramente un’assassina?

Impressionata, tolse immediatamente il piede dalla carotide dell’uomo vestito di nero ed indietreggiò di qualche passo, terrorizzata da se stessa.

-         non avrei mai immaginato di incontrare una cliente in questo modo!- ironizzò quello, mentre, rimessosi a sedere, si massaggiava la gola- comunque, sì: se li vuoi, i documenti di quella sgualdrina sono tuoi. E posso darteli anche ora, visto che le foto devi metterle da te. Per l’altra “commissione” che hai chiesto, dovrai aspettare due giorni; la sera del secondo giorno, vieni al locale “devil” e chiedi di Eric Prothero…- le disse l’uomo; e stava sicuramente per aggiungere quanto le sarebbe venuta a costare quella “commissione”, ma in quel momento Erice raggiunse il limite della sua sopportazione e, trattenendo a stento la nausea causata dallo squallore che le trasmetteva quell’uomo; lanciò verso di lui il denaro, quindi, si sentì autorizzata- siccome aveva ricevuto abbastanza informazioni- a svanire tra le braccia del buio, con il documento di quella prostituta ben stretto in mano.

 

Due giorni. Due giorni. Due giorni…

Da diverso tempo Erice si arrovellava il cervello per capire come sarebbe riuscita a far trascorrere ben due interminabili, strazianti giorni. Se da un lato, infatti, era di vitale importanza per lei, arrivare intera al temine di quella lunga attesa, per ottenere i documenti che tanto agognava dal momento che- credeva- l’avrebbero resa ancora più invisibile di quanto già non stesse cercando di essere; da un altro lato, tuttavia, le sembrava una prospettiva quasi impossibile- quella di arrivarci viva, ad un possibile terzo giorno- dal momento che, sicuramente, le migliori Guardie dei Volturi erano già sulle sue tracce…

Tremò di paura, a quell’idea, anche se sapeva benissimo che il suo nascondiglio era perfetto: quale vampiro dall’anima dannata, infatti, avrebbe mai osato entrare in una chiesa?

Solo la notte precedente Erice aveva fatto il suo accordo con Eric Prothero e, non riuscendo a darsi pace per via di quel comportamento che le appariva tanto estraneo, aveva deciso di trovare un posto tranquillo dove avrebbe potuto cercare di capire come poter mettere la propria foto sul documento della prostituta- la quale, aveva scelto come nome “Angela Deportago”. Aveva girato tutta la città, ma quella dormiva indisturbata e quindi, aveva dovuto rimboccarsi le maniche da sola…certo, era stato un problema che l’aveva privata di una notte di sonno, ma del quale alla fine era venuta a capo! L’adrenalina però, era presto scivolata via e, non appena aveva avvertito le palpebre farsi pesanti, aveva trovato un posto sicuro dove nascondersi. Una volta entrata nella chiesa principale della città, infatti, aveva atteso che tutti andassero via e che fosse chiusa, prima di iniziare a camminare avanti e indietro nella navata centrale per riordinare un po’ le idee.

Sorto il giorno successivo, un nuovo giorno, Erice s’era sentita abbastanza forte da uscire e, spronata dal fatto che la città era abbracciata da uno strato di nebbia perenne che avvolgeva cose e persone; si confuse facilmente tra la folla, sentendosi al sicuro mentre esplorava ogni angolo di quel luogo ignoto; la notte seguente poi, tornò a dormire nella chiesa ed il secondo giorno, di conseguenza trascorse sfumato di novità ma fondamentalmente intriso di tranquillità. Quella sera, tuttavia, le tensioni e le paure che parevano svanite, tornarono a farsi sentire, lente ed insidiose: era infatti giunto il momento designato, ed lei avrebbe dovuto affrontare una situazione strana, nuova ma, soprattutto, venata di pericolo perché sembrava appesa ad un filo…nei due giorni trascorsi l’ansia dovuta all’attesa era stata colpevole di averla fatta dormire poco ed averla tenuta costantemente con i nervi a fior di pelle, tesa come una corda di violino; le poche ore che la separavano dall’incontro con il falsario però, rischiarono davvero di farglieli saltare, i nervi.

Per ingannare il tempo Erice approfittò della presenza dello specchio a parete nella stanza dove aveva visto un prete vestirsi prima di dire la messa, e tentò di impiegare quanto più potesse ad indossare un attillato tubino di raso nero senza maniche che le arrivava a metà coscia; ed a pettinare il ribelle cespuglio in cui ormai si erano trasformati i suoi capelli, per poi nasconderli sotto una parrucca color pece.

 

La ragazza non ebbe difficoltà a trovare il “devil”- dal momento che, appena un giorno prima vi si era recata, con il solo fine di avere un’idea di come fosse strutturato e quali sarebbero potute essere le vie di fuga in caso di eventuale bisogno- perché le fosforescenti luci verdi e blu che lo illuminavano(dandogli un’aria psichedelica e futuristica), si notavano dall’inizio della strada. Tutta la tranquillità che derivava dalla familiarità di quel luogo svanì, e l’unico pensiero di Erice divenne quello di poter fare una figuraccia a causa dei vertiginosi tacchi a spillo sui quali stava camminando.

La fila per entrare nel locale era lunga ma, una volta lì si scoprì ben disposta ad attendere, poiché per ingannare il tempo ed allontanare la tensione, si divertiva a studiare le persone che le erano vicine. Non pochi ragazzi che si trovavano tra quelle, infatti, la lasciarono passare attirandosi le ire delle ragazze che erano con loro oppure accompagnando la sua camminata con fischi d’apprezzamento. Se si fosse trovata in una situazione più calma, Erice ne avrebbe riso di certo; ma ora era così concentrata sul suo obiettivo da essere cieca a tutto ciò che la circondava.

Dinnanzi al buttafuori dalla stazza ben piazzata, all’entrata del “devil”, la ragazza ebbe un attimo di esitazione ma poi, si fece coraggio e, sottovoce, domandò di poter vedere Eric Prothero.

E non appena quel nome fluttuò nell’aria, il calvo falsario comparve quasi dal nulla e, lanciata un’occhiata d’intesa al buttafuori, fece uno squallido e bavoso  baciamano ad Erice, dopo averla trascinata all’interno del locale.

La riempì di smielati complimenti, praticamente urlandoglieli a causa dell’alto volume della musica poi, conducendola verso il bancone color ghiaccio dove servivano cocktail facendo strane acrobazie, le chiese:

-         beve qualcosa, signorina…?-

-         può chiamarmi Angie, signor Prothero. E, grazie, ma no; non bevo. Preferirei parlare subito di affari.- tagliò corto Erice, risoluta; ringraziando l’aiuto che il nome di “Angela Deportago” le aveva dato, nell’inventare così in fretta un falso nome per sé.

-         Come desidera, Angie. Avrei voluto solo che si rilassasse di più…- l’uomo le toccò con una delle sue mani grasse, ed unte una spalla nuda, e lei si retrasse appena, per le occhiate ardenti che le lanciava, per i suoi gesti…trattenendo persino il respiro per via dell’intenso e disturbante profumo che Prothero emanava.

Dopo aver attraversato parte del locale, si ritrovarono in un salottino privato dalle luci soffuse e le vetrate scure: Erice aveva il mal di stomaco ma, seduta rigidamente su uno di quei divanetti rossi, riconosceva di buon grado che quello era un posto decisamente più riservato e che, inoltre, lì, le sue orecchie erano al sicuro dall’alto volume della musica, che si spandeva in ogni luogo e che, tuttavia, pareva esser rimasto fuori di lì.

-         ho notato che è una persona diretta, Angie; perciò, lo sarò anch’io con lei: ho i documenti che mi ha chiesto e, come sa, dovrà mettevi lei stessa una sua foto…- riprese Eric, ed Erice notò che le occhiate ardenti non avevano fine; perché manifestavano un suo chiaro desiderio…

-         quanto le devo, signor Prothero?- lo interruppe la ragazza, fissandosi le mani: la nausea era tale da farle girare la testa.

-         Vede…potrei farle un prezzo di favore se lei acconsentisse a….diciamo…lasciarsi andare.- Erice fu colpita da quelle parole come una cascata d’acqua fredda sulla pelle nuda e si paralizzò. Aveva capito benissimo a cosa mirava, quell’essere e, ne ebbe la conferma quando, spostati gli occhi sulla voce dell’uomo- che sembrava provenire dal pavimento- la ragazza trovò Eric Prothero inginocchiato sul pavimento, davanti a lei, che stava per baciarle le cosce nude…

Erice ebbe un moto di repulsione, allontanò quel verme viscido con un gesto ma, subito dopo, sentendo le labbra che le bruciavano, pensò che avrebbe potuto fare giustizia, liberando così il mondo da un serpente perverso come quello.

Inchiodò gli occhi ai suoi, e, ringraziando che lui non riuscisse a vedere il colore delle sue iridi, scoprì- come si aspettava- che Prothero non si era ridotto ad altro che un’aura nero fumo. Quindi, afferrò la sua cravatta viola scuro e, mentre la tirava lentamente verso di sé, sussurrò:

-         sa cosa credo che meriti, Prothero?-

-         cosa…?- chiese di rimando lui, fremendo in attesa di soddisfare la sua libido.

-         Di morire!- sentenziò Erice, disgustata. Prima che il falsario potesse capire cosa stava succedendo, lei premette le labbra sulle sue e lo bloccò mentre si dimenava come un’anguilla, nel vano tentativo di sfuggire al cianuro che gli stava entrando in corpo.

All’improvviso tutto finì, ed Erice avvertì solo il tonfo di quel corpo che cadeva a terra come un sacco inanimato. Costringendosi all’apatia- dal momento che le sembrava di sentirsi vuota- prese i documenti che voleva ed evitò di soffermarsi sullo sguardo perso nel vuoto, spento ma ancora orripilato di Prothero, mentre usciva di lì e, lasciandosi tutto alle spalle tentava di convincersi di aver fatto la cosa giusta.

 

“giustizia? Non ho fatto giustizia, sono solo una volgare assassina: Aro ha sempre avuto ragione su di me!” questo era l’unico pensiero che avesse tormentato Erice negli ultimi giorni,- poiché aveva deciso di seguire il consiglio di Evangeline e di trattenersi in quella città fino alla fine della settimana. Ma, alternato a quel pensiero c’erano i centinaia di chilometri che copriva, camminando avanti e indietro nella chiesa; c’era l’attesa, insostenibile, snervante, perché mille volte peggiore di quella alla quale si era già sottoposta; c’erano i fiumi di lacrime che aveva versato ed i graffi carichi di disprezzo per se stessa con i quali s’era rovinata il viso.

Chi era lei per decidere della morte di un altro essere umano? Ancora ricordava- non senza brividi di nausea- la sensazione provata quando aveva sentito le ultime scintille di vita abbandonare il corpo di Prothero!

Dopo qualche notte insonne, però, aveva deciso: sarebbe ritornata nella sua terra natale, presso i Volturi, ed avrebbe lasciato che la giustiziassero perché, dopotutto, Aro non aveva visto nulla di sbagliato nella sua anima portatrice di morte.

A nulla era servita la lettera che aveva scritto a Logan, subito dopo l’omicidio commesso, dove gli raccontava del perché era dovuta fuggire da Volterra; come avesse cercato rifugio in un’altra città e ciò che era successo lì; e del fatto che ora intendeva tornare presso i suoi signori, per trovare la morte, dal momento che non si riteneva degna di vivere.

Quella domenica notte in cui sarebbe tornata in Toscana, Erice lesse quel figlio- che era stato ripiegato fino a farlo diventare di pochi centimetri- più e più volte, mentre il treno viaggiava veloce, ed attese che tutti i passeggeri del suo vagone dormissero per versare qualche silenziosa lacrima di commozione: era incredibile quanto Logan credesse in lei e fosse disposto a difenderla- persino da se stessa- anche dopo tutto ciò che aveva saputo.

 

Cara Erice,

devo ammettere che leggere la tua ultima lettera mi ha molto colpito, ma lascia che ti dica per prima, la cosa più importante di tutte: tu non sei un’assassina! Non lasciare che ciò che dicono di te influenzi una tua visione di te stessa, errata. Ciò che hai fatto- fuggire dai Volturi- è stato molto coraggioso e l’”omicidio” che hai commesso nei confronti di quell’uomo, è avvenuto solo per fini di difesa dal momento che, come hai detto tu, la sua anima era nera e, se non avessi agito, non oso immaginare cosa avrebbe potuto farti quando avesse capito che non intendevi piegarti al suo volere…

Non tornare dai Volturi, te ne prego! Non capisci che sei un pericolo, per loro; che ti cercano solo per annientarti, dal momento che conosci una verità che potrebbe capovolgere le Leggi dei Volturi, così come le conosci? Se ti consegni, ogni sforzo di tua madre Didyme sarà stato vano. Ogni giorno in più che sopravvivi, invece, rappresenta un giorno in più in cui l’autorità di Aro viene messa in discussione.

In secondo luogo voglio complimentarmi con te per gli stratagemmi che hai escogitato per non farti trovare. Perché non ti fai anche battezzare, così che sarai per sempre al sicuro dai Volturi; anziché tornare da loro per ammettere che la loro menzogna su di te, è vera?

Potrai sempre trovarmi presso la Città delle Mille Chiese. Sarò sempre disposto ad aiutarti, se lo vorrai.                                        Logan

 

La ragazza fissò di nuovo quella scrittura gotica che tanto le era familiare…ipotizzò per un secondo che il suo amico vampiro avesse ragione e, anche se si sentiva impura fino al midollo per aver avvelenato quel falsario, decise di dare alle parole di Logan l’opportunità di accendere in lei una flebile speranza: avrebbe ritardato i suoi propositi di un po’, giusto il tempo di fare una passeggiata e vedere se il mondo le suggeriva che era giusto- nonostante la colpa di cui si era macchiata- andare avanti per sua madre, e per rivelare la scomoda verità di cui era custode, anche a costo della vita.

Era notte inoltrata quando il treno si fermò nei dintorni di Siena. Erice respirò a pieni polmoni la fredda ma profumata aria di fine stagione che soffiava in quella cittadella beatamente addormentata ed ignara del suo tranquillo passaggio.

Un passo dopo l’altro tra l’erba- resa umida dalla notte- di quelle verdi colline e la ragazza si riappropriò di se stessa con la stessa gioia con cui si accoglie di nuovo un amico rimasto a lungo lontano; non sapeva esattamente cosa stesse cercando ma non aveva paura, non aveva più paura perché ogni soffio di vento sembrava guidarla, richiamare dolcemente il suo nome e le fronde degli alberi parevano volerla abbracciare. Neppure quando aveva fatto ritorno dalla Transilvania aveva ricevuto un’accoglienza tanto soave e calda, o forse sì, visto che ad accoglierla quella volta, era stata proprio la sua amata Volterra; ed ora, dopo un esilio breve ma amaro come il fiele, a farne le veci era una sua sorella.

Poi, mentre camminava tra vigneti ed olivi, all’improvviso, la vide: una chiesa possente, di pianta semicircolare, dalle spesse mura candide e scintillanti come opali- che le ricordava una piccola Volterra - le si parò davanti agli occhi e, l’unico messaggio che quell’edificio in stile romanico pareva volerle inviare era che sarebbe stata pronta a difenderla da ogni pericolo.

Le ginocchia di Erice tremarono mentre il fantasma di una scintilla di felicità le fece battere il cuore. Si paralizzò: sarebbe voluta restare a godere di quel momento, di quella sicurezza che si insinuava nelle sue membra, per sempre…si costrinse però ad andare avanti, su quel viotttolo sinuoso finchè non avesse trovato riparo all’interno della chiesa. Da qualche parte lesse anche che veniva chiamata Abbazia di Sant’Antimo…

Lo spesso portone in legno era chiuso. Le venne quasi da piangere: possibile che venisse tradita tanto presto persino da un’abbazia la cui prima impressione che ne aveva avuto era stata di sicurezza?

Decisa più che mai ad entrare in quel luogo sacro- l’unico dove sarebbe stata al sicuro, in effetti, dal momento che era più vicina di quanto non lo fosse mai stata, ai vampiri che le davano la caccia- e, guardando verso i Garoyle di pietra che la fissavano dalle mura, fece per scusarsi ma entrò ugualmente, forzando la porta.

Stava per abbandonare le ginocchia e tutto il resto del suo corpo stanco, sul pavimento di pietra ma si accorse che, il gran fracasso che aveva provocato, aveva attirato qualcuno…

Con il cuore che le pulsava all’impazzata, percorse le due navate laterali alla ricerca di una qualsiasi nicchia sicura che avrebbe potuto lasciarla passare inosservata…in effetti, dopo qualche ricerca, si ritrovò a salire, fino all’alta stanza dove veniva tenuto l’organo e, la cui semplice finestra di pietra abbracciava tutta la navata principale: da lì Erice notò che delle figure incappucciate e vestite completamente di bianco erano accorse per constatare quanto era successo; si guardavano intorno come a chiedersi chi mai potesse aver aperto il portone dell’abbazia. Tuttavia, dopo alcune vane ricerche- Erice, nascosta in un angolino della stanza dell’organo, stava attenta persino a non respirare mentre teneva d’occhio ogni movimento di quei monaci- si inchinarono al grande crocifisso in legno posto dietro l’altare ed infine, se ne andarono, sigillando ancora una volta quel luogo sacro. Quello del portone che si chiudeva fu l’ultimo suono che la ragazza sentì perché, un secondo dopo, la tensione scemò velocissima, la stanchezza sopraggiunse e lei si lasciò transitare via, da quella che le sembrava un’onda marina; con un piccolo inevitabile sorriso sulle labbra: era al sicuro, e si sentiva serena, dopo tanto tempo.

 

Il delicato cinguettio degli uccelli destò Erice la mattina seguente da un sonno tranquillo e, mentre distendeva le membra rilassate, riprendeva pian piano contatto con il nuovo mondo che la circondava. Si rese conto che dalla navata centrale si levavano canti solenni che risuonavano magnificamente in ogni angolo di quell’abbazia dall’alto tetto. Gl’infidi brividi della paura di essere scoperta la paralizzarono solo per un secondo- quel secondo in cui attese, impietrita, che qualcuno la vedesse e le intimasse di andar via; anche se non avvenne- perché, quando si sporse per osservare tutto dall’alto, notò che molti fedeli erano riuniti per la messa e che gli stessi monaci vestiti completamente di bianco, che erano venuti la sera prima a cercarla, ora cantavano e pregavano in latino, muovendosi come alberi animati da un vento divino.

-         beati quelli che hanno fame e sete di giustizia, perché saranno saziati…-

Fu allora che Erice Volturi si concesse di ascoltare veramente cosa stesse dicendo uno di loro.

-         beati i puri di cuore, perché vedranno Dio…-

gli occhi verdi della ragazza scivolarono sulla folla ammutolita mentre contava uno, due, tre dei suoi lenti respiri.

-         beati i perseguitati per causa di giustizia, perché di essi è il Regno dei Cieli…-

i suoi sguardi sembrarono venir richiamati da una Forza esterna a lei fino alla parete che le stava di fronte, da dove, la scultura in pietra di un angelo che stringeva tra le sue mani sottili, un pugnale; pareva osservarla…subito, anche se non seppe spiegarsi il perchè, Erice sentì il bisogno di studiarne più da vicino i tratti gentili, quasi notasse in quella scultura una guida, o magari un “fratello”, dal momento che la sua arma somigliava moltissimo a quella che Anthenodora aveva donato tempo fa alla ragazza.

Da quel punto semibuio, lontano dalla folla cui Erice si era avvicinata di soppiatto, rimase ad ascoltare tutta la messa.

-         la carità non invidia, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, ma si compiace della verità…-

le parole del monaco- che sembrava vibrare di passione dal momento che era fermamente convinto di ciò che diceva- la colpirono profondamente perché erano intrise di Giustizia, Amore e Pace, ed inoltre, rispecchiavano alla perfezione ciò che stava cercando: quelle Forze lasciarono un’impronta a fuoco nella sua anima e avvertì anche che stavano andando lentamente a colmare il vuoto che sentiva dentro; quello stesso vuoto lasciato dalla morte di sua madre, dalle angherie, dalle accuse, che aveva dovuto subire fino ad allora da parte dei Volturi e dalla fuga cui era stata costretta, pur conoscendo la verità su colui che regolava il mondo dei vampiri.

Nel momento in cui ebbe necessità di prostrarsi al cospetto della statua dell’angelo, le ginocchia le cedettero e, incurante di tutte le persone che, uscendo le passavano accanto e la fissavano perplessi; la ragazza giunse le mani e pregò nella speranza che, un giorno- magari quando avrebbe rincontrato i Volturi- sarebbe potuta diventare come lui: una portatrice di giustizia.

-         figliola, ti prego, alzati…- le sussurrò, una voce gentile.

Erice sobbalzò, e si mise in piedi di scatto. Attorno a lei stavano la figura di sette anime purissime, completamente inondate di luce. Si rilassò immediatamente, capendo che poteva fidarsi di quegli uomini, che identificò come i monaci dell’abbazia, e tuttavia, non seppe mai quale fosse il loro aspetto fisico, abbagliata com’era dalla lucentezza delle loro anime, che il suo potere le permetteva di scorgere.

-         la messa è finita, figliola. Perché non torni a casa?- le venne domandato, con dolcezza.

-         Non ho più una casa a cui tornare…- si lasciò sfuggire, e quando le parole vennero fuori sentì che la maschera e le armature che aveva indossato fino a quel momento, stavano crollando, lasciandola così, nuda, forte solo della sua sincerità.

-         Vieni, allora. Resta pure qui, se lo desideri. Il Signore accoglie tutte le pecorelle smarrite.-

 

Nelle ore successive, i monaci le parlarono quasi sempre di Dio, della sua Misericordia; della sua Pazienza; del suo Amore; della sua Giustizia; della sua Onnipotenza; del fatto che lasciava agli uomini, suoi figli delle regole ma poi faceva loro dono della possibilità di scegliere se seguirle o meno; di fare da soli i propri errori…e ad Erice venne da piangere più di una volta: era di Libertà che si stava parlando e, in effetti, - anche se ne aveva guadagnata una briciola nella “seconda parte” della sua vita accanto ai Volturi; dovendo pur sempre lottare per farsi accettare e per poter stare accanto all’uomo che amava- era ciò che si era guadagnata lei, fuggendo da Volterra. Tuttavia, non l’aveva mai vista sotto quella luce perché, ora che poteva avvalersene, l’unico sentimento che provava era puro terrore; il suo unico, costante pensiero era l’affermazione di un’urgente verità, che avrebbe distrutto dalle fondamenta un sistema millenario.

Ma le lacrime che versava venivano prontamente asciugate da tutti i monaci dell’abbazia di Sant’Antimo, nei giorni in cui rimase lì, e le venne citato il libro dell’Apocalisse per spiegarle che era normale che reagisse in quel modo dinnanzi alla paura per la repentina fine del suo mondo,  tuttavia, doveva anche essere pronta ad abbracciare uno nuovo fatto di misericordia, pazienza e perdono. Ed oltre a questo le veniva insegnato sempre qualcosa di nuovo, tanto che Erice iniziò ad apprezzare il rendersi utile poiché la faceva sentire di nuovo parte di qualcosa.

Perse la cognizione del tempo, in quel luogo; sarebbe voltura restare lì per sempre. Solo quando si rese conto che era il giorno del suo diciottesimo compleanno, qualcosa dentro di lei si smosse: passando davanti alla statua dell’angelo- la mattina- provò grande gioia, e tuttavia, quando- quella sera- si ritrovò tra le mani il braccialetto che le era stato regalato da Didyme ed il cuore in alabastro di Santiago, si sentì anche molto triste. Proprio il giorno successivo, quindi, pur senza rammaricarsi di aver gettato via il ciondolo dei Volturi(poiché non si sentiva più parte della loro famiglia) capì che- dal momento che aveva reso quel posto, un luogo migliore- poteva anche osare portare a compimento la sua missione- che ormai non poteva più essere ignorata, poiché la verità doveva essere ristabilita e lei, per assicurarsene, doveva essere investita a garante di giustizia-così, chiese di essere battezzata.

Le era stato insegnato come segarsi il petto e come pregare, ma nulla era paragonabile alla sensazione dell’acqua benedetta che le scendeva sulla fronte: si sentì pura, libera e protetta, tanto che ebbe la certezza che Demetri non potesse più vederla, perché ora si era trasformata in una lucente stella di Dio, su cui la sua anima dannata non poteva posare gli occhi.

Dopo aver ringraziato i monaci per ciò che avevano fatto per lei, Erice tornò a far parte di quel grande fiume che scorreva costantemente imperterrito, chiamato mondo; ed aveva una sola speranza a guidarla: dal momento che, rileggendo le lettere di Logan era riuscita ad individuare Roma, dietro quella che veniva definita “la Città delle Mille Chiese”, era salita sul primo treno- che portava la notte sulle sue spalle- diretto in quella città ed ora sperava di potersi ricongiungere al suo amico vampiro, e chiedergli se era ancora disposto ad aiutarla a far sì che la verità sulla morte di Didyme fosse ascoltata e soprattutto, creduta.

 

Era notte fonda quando la ragazza giunse alla stazione dei treni di Roma. Era abituata a viaggiare di notte perciò non aveva paura; tuttavia, mentre se ne stava da sola sotto l’alone di luce di un lampione a rabbrividire, dovette ammettere a se stessa che quel luogo era molto più grande della città che l’aveva ospitata la prima volta.

Che strano…aveva inviato a Logan una lettera gettandola fuori dal finestrino del treno in corsa, - dove gli diceva solo che era arrivata alla soluzione dell’”indovinello” che lui più volte le aveva scritto, e che ora stava venendo a trovarlo- possibile che non l’avesse ricevuta?

-         Erice…Erice, sei tu?- in quel momento, dal buio giunse una voce incerta, una chiamata. La ragazza si voltò verso lo sprazzo di oscurità dal quale le sembrò che provenisse la voce, con un leggero sobbalzo; i muscoli lievemente tesi.

In una frazione di secondo si ritrovò con la faccia premuta contro un petto gelido, marmoreo e profumato; la stretta dolce di due braccia d’acciaio le cingeva affettuosamente le spalle…la sorpresa scaturita da quell’azione inaspettata, fu tale da spingere Erice ad opporre una leggera resistenza….quando però, il volto del vampiro fu rischiarato dal lampione e la ragazza ne riconobbe gli occhi d’oro fuso, fu certa di trovarsi davanti a Logan e fu lei stessa a gettarsi tra le sue braccia, con gioia pura mentre- carezzando il suo nome con la voce- si rendeva conto di quanto le fosse mancato.

-         sono così felice di vederti, amico mio!- confessò allora lei, versando qualche lacrima di commozione.

-         Lo dici a me? Credevo ti fossi consegnata ai Volturi…- replicò quello mentre le sfiorava i capelli  bruni che, da quando erano stati tagliati, avevano avuto solo l’ardire di spingersi timidi lungo il collo: era stato quello strano particolare- spiegò sottovoce Logan- ad averlo tratto in inganno.

-         È vero, all’inizio volevo tornare dai Volturi per consegnarmi, con tutta me stessa; ma poi, lungo il mio cammino mi sono imbattuta in un angelo, o meglio in più angeli- sorrise quando il suo pensiero tornò ai monaci di Sant’Antimo- e così, molte cose sono cambiate in me, anche il mio modo di vedere la vita…-

-         Raccontami tutto…- la invitò il vampiro, con gli occhi che scintillavano di felicità, mentre prendeva la ragazza tra le braccia ed insieme sparivano nella notte.

 

ANGOLO AUTRICE

Ciao a tutti!

Innanzitutto vi ringrazio per essere stati tanto pazienti e fiduciosi nei miei confronti( vi confesso che ad un certo punto, siccome l’ispirazione non tornava, ho davvero temuto di dover chiudere questa ff…)poi, oltre a ringraziarvi perché continuate a seguirmi, credo sia d’obbligo spendere due paroline su questo capitolo:

1)      la prima città in cui Erice scappa, non ha nome perché me la sono completamente inventata(anche se, ammetto che per il particolare della nebbia- pur non essendoci mai stata- mi sono ispirata alla città di Milano)

2)      la figura del falsario, potrebbe richiamare quella presente in BD ma vi assicuro che non c’entra nulla; era un personaggio la cui unica funzione è quella di raccordo, ossia mi serviva solo perché dovevo ricollegarmi un attimo al fatto che le labbra di Erice contengono cianuro( a proposito, il nome del personaggio è l’incrocio di due nomi presenti nel film “V per Vendetta- Lewis Prothero ed Eric Finch)

3)      la settimana scorsa sono stata davvero all’abbazia di Sant’Antimo e vi assicuro che è stupenda(anche se non ho visto la stanza dell’organo)solo che la scultura dell’angelo è un elemento gotico che ho visto in un’altra chiesa e che ho aggiunto solo ai fini della storia, perché le pareti dell’abbazia sono completamente spoglie.

4)      Tutti gli altri nomi(tipo quelli dei passaporti)sono di mia pura invenzione.

5)      L’espressione “i morti cavalcano in furia” (detta anche in altro modo “i morti viaggiano veloce”) è tratto dalla “Lenore” di Burger e tutte le frasi che Erice sente in chiesa sono tratte dalle Beatitudini e dall’ “inno alla Carità”

Detto questo, aggiungo:

Care commentatrici, scusate se non vi ringrazio a dovere, ma sono un po’ di fretta. Comunque sappiate che è anche grazie ai vostri bellissimi commenti che ho trovato lo spunto per andare avanti con la ff ;-) mi scuso con entrambe con il linguaggio un po’ poco “oxfordiano” che avete letto all’inizio del capitolo ma mi auguro che il pezzo vi sia piaciuto lo stesso.

Che succederà adesso? Logan accetterà di aiutare Erice? E se sì, come faranno loro due soli a contrapporsi ai Volturi, poiché hanno dalla loro parte solo la verità?

Un baciotto e grazie ancora a tutte/i

Marty23

  
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