Hermione di Rivombrosa
Capitolo 1
Piemonte, 1 settembre 1769
Dintorni di Rivombrosa
Nella quiete mattutina del
bosco riecheggiò d’un tratto, sempre più incalzante, il suono degli zoccoli di
due cavalli spinti al galoppo.
Lungo la strada ombreggiata,
un cavaliere era lanciato all’inseguimento. Giunto in prossimità di una svolta
del sentiero, scartò rapido di lato, spronò l’animale e deviò tra gli alberi,
ponendosi in testa al rivale.
Oltrepassò un ponticello di
pietra, ma dovette sterzare bruscamente non appena si trovò di fronte un campo
di mais.
Il secondo cavaliere, Ron,
arrivò al campo subito dopo; i capelli rossi erano tutti scompigliati. Esitò,
lanciò un’occhiata ai contadini che sistemavano il raccolto e infine si gettò
tra le piante, sollevando le foglie di mais e le proteste dei contadini.
Quando sbucò dal campo, Ron
si guardò alle spalle e vide arrivare l’altro cavaliere, il viso nascosto da un
cappello. Riprese il galoppo.
Arrestò la corsa solo
quando entrò nel cortile delle scuderie del castello di Rivombrosa, la
residenza dei conti Ristori dov’era cresciuto e lavorava come stalliere.
Qualche secondo il
cavaliere lo raggiunse.
-Mia cara Hermione, ho
vinto- esclamò Ron, mentre smontava da cavallo.
Anche l’altro scese
togliendosi il cappello. A quel punto i capelli castani ricaddero sulle spalle,
a incorniciare un viso dolce e attraente. Gli occhi cioccolato brillarono
divertiti.
-Hai barato- protestò
Hermione
-No bella mia, ho vinto-
ribattè Ron. I lineamenti marcati erano addolciti e nei suoi occhi si leggeva
che non era la vittoria a renderlo felice, ma la compagnia di Hermione.
Presero i cavalli per le
redini e s’incamminarono verso le stalle.
Castello di Rivombrosa
Dopo aver ricompensato il
suo cavallo, Fedro, Hermione andò in camera.
Non era lussuosa come le
altre stanze del castello, ma era accogliente. Davanti alla finestra c’era uno
scrittoio, dove spesso la ragazza si sedeva per scrivere sul suo diario.
Hermione era sul punto di
cambiarsi, quando la contessa Pansy Ristori entrò e le si parò dinnanzi,
stringendo nervosamente il ventaglio tra le dita. La bellezza pacata della
donna, messa in risalto dai capelli scuri ben raccolti sotto il cappellino
color crema, era irrigidita in una smorfia di scontento.
Hermione si affrettò a
posare il vestito che aveva in mano.
-Che non succeda mai più,
chiaro?- disse la contessa gelida e severa come sempre. –Tu sei la dama di
compagnia di mia madre e non una sgualdrina che va a cavallo con gli stallieri
per i boschi- La squadrò da capo a piedi e un’ombra di disapprovazione le
attraversò gli occhi scuri.
Hermione indossava ancora i
pantaloni usati per la cavalcata. –E per giunta vestita da uomo, Dio che
vergogna.-
Hermione avanzò di qualche
passo –Contessa, io e Ron….- cercò di spiegare-
-Silenzio!- la interruppe
Pansy Ristori. –Non ti ho chiesto di rispondere. Il fatto che mia madre si sia
intenerita e che ti abbia presa al castello non fa di te una nobildonna
Hermione. Se non sai come si comporta una dama di compagnia, forse è meglio che
torni da dove sei venuta. Non mi è molto difficile rispedirti in quella
locanda.-
La locanda a cui si
riferiva la nobildonna era il Gatto Nero, frequentato più per le grazie delle
fanciulle che per la qualità del vino che veniva servito. Hermione si era guadagnata
la vita a farci le pulizie, al servizio di quell’odiosa Checca, la
proprietaria, fino a quando la contessa Minerva Ristori non l’aveva presa con
sé.
-Si contessa, lo so-
mormorò, ma il tono umile era smentito dalla fierezza dello sguardo.
-E ricordati, tu sei qui
solo per la benevolenza di mia madre. Se fosse per me, saresti con tua sorella
e tua madre a patire la fame. Ci siamo intese?-
-Si- rispose Hermione con
un filo di voce. Quelle parole l’avevano ferita, ma non avrebbe mai concesso
alla nobildonna il piacere di darglielo a vedere.
-E rimettiti dei vestiti
decenti. Poi vai dalla contessa Minerva, mia madre.-
Hermione si cambiò in
fretta e raggiunse la contessa Minerva nella biblioteca. In quella stanza piena
di libri ben rilegati, si respiravano il fascino e gli onori della storia della
famiglia Ristori. Era una delle stanze preferite di Hermione e non solo perché
passava ore piacevoli con la contessa; stare fra tutti quei volumi, l’aiutava a
ricordare suo padre che era stato un rilegatore di libri.
In piedi accanto alla
finestra, le due donne guardarono la carrozza di Pansy e del marito
allontanarsi lungo il viale e lasciare la tenuta.
Minerva sospirò. Il viso
segnato dall’età manteneva intatto il marchio di una nobiltà, che prima di ogni
cosa, era nobiltà d’animo. Ma l’espressione dei suoi occhi era dispiaciuta.
-Pansy ha un carattere
troppo debole- disse la contessa mentre si scostava dalla finestra –Alza la
voce con i servi, ma con quel disgraziato del marito…-
Aiutata dalla sua dama di
compagnia, prese posto in una poltrona. La luce che proveniva dalla finestra
conferiva ai capelli bianchi una tonalità argentata. Minerva Ristori era il
cuore del castello e della famiglia Ristori, un cuore affaticato dalle
preoccupazioni e da una salute debole, ma che non smetteva di tenere alto il
nome della casata. Ora che suo figlio Blaise era via e Rivombrosa appassiva sotto le mani avide del marito di
Pansy, il marchese Alvise Radicati, Minerva era rimasta la sola a occuparsi
della tenuta, e non avrebbe potuto farlo ancora per molto.
-Contessa, siete troppo
severa con vostra figlia Pansy- Hermione si allontanò da lei per prendere
alcuni libri –Anche se è rigida vuole molto bene a sua figlia Hanna. E anche il
marchese in fondo….-
-Il marchese è un’incapace
che nessuno tiene a bada. Tanto per cominciare, odia Rivombrosa. Tanto per
Alvise basta che quando ne ha bisogno ci sia abbastanza da prendere…- le mancò
il respiro. -….nelle casse-
Hermione corse da lei e
s’inginocchio al suo fianco. –Contessa vi prego, lo sapete che non dovete
agitarvi-
-Ah, Hermione mia- rispose
Minerva ansimante –Qui va tutto a rotoli, e il mio unico figlio maschio si è
arruolato nell’esercito francese. Il solo che può occuparsi di tutto questo, e
non c’è-
-Tornerà ne sono certa- disse
Hermione, ma il suo ottimismo non bastò a rincuorare la contessa Ristori.
Francia, accademia militare, 1 settembre 1769
Le spade s’incrociarono rapide. Gli uomini impegnati nel duello
assestavano ogni colpo con precisione e il suono delle lame echeggiava nel
cortile.
Uno dei quattro ebbe la
meglio e costrinse gli altri ad arretrare.
Ai tre militari più giovani
ci volle qualche istante per riprendersi, ma il quarto, il conte Blaise Ristori
non era tipo da esitare.
-Disciplina- tuonò la voce
del conte. Gli occhi chiari erano socchiusi in uno sguardo fiero e il viso
ombroso e attraente era teso e concentrato.
Si fermò e fronteggiò i tre
giovani.
-E non dimenticate. Riprese
mentre le spade tornavano ad incrociarsi. –Lealtà!-
In quell’istante il conte
Vitius Conforti entrò nel cortile e si fermò ad osservare.
-En garde!- ordinò Blaise e
si lanciò contro uno dei tre. –Un ufficiale è fedele a se stesso e sopra ogni
altra cosa…- La spada sfuggì di mano al giovane allievo e cadde a qualche metro
di distanza. -….a Sua Maestà il re.-
Un sorriso di ammirazione
si dipinse sul volto del conte Conforti e gli fece cenno di avvicinarsi.
-Mi dicono che rientrate in
Piemonte- iniziò non appena si furono allontanati gli allievi.
-Si, manco da troppo tempo,
e poi ho ricevuto brutte notizie sulla salute di mia madre. Perché me lo
chiedete?-
Conforti esitò qualche
istante prima di rispondere.
-Ho una missione da
affidarvi, Ristori. No, non temete, niente che vi tenga lontano da casa-
precisò dopo aver visto l’espressione contrariata di Blaise. –Ma potrebbe
essere molto pericoloso. Volevo avvertirvi.-
-Se non lo foste stato,
avreste chiamato qualcun altro, no?-
CONTINUA……