Capitolo
29 – Sinners purify sin
Ricordo di aver letto una volta che il diamante
è la pietra dei matrimoni, perché è quella più dura e solida. Quella che, si
presuppone, non si dovrebbe scheggiare mai.
Non si dovrebbe incrinare, piegare, rompere in
alcuna ragionevole maniera.
La realtà, però, non è un reticolo cristallino
di atomi di carbonio. Non che questa sia una novità, anzi.
L’ho sempre saputo, non l’ho ignorato nemmeno
per un attimo della mia vita. O meglio, la vita stessa non mi ha permesso di
ignorare questa cosa.
È fatto di carne e sangue, un matrimonio.
Pertanto, è debole, friabile, attaccabile da qualsiasi morbo che attenti alla
sua funzionalità fisiologica.
Si insinuano presto le malattie, in un
matrimonio. All’inizio, sono deboli ed isteriche come un raffreddore, poi si
cronicizzano, accompagnate da un endemico silenzio.
E diventano incurabili.
Ci si convive, come con qualunque cosa. Si va
avanti, si assumono palliativi, ci si riempie delle cure del caso. Si urla al
miracolo e alla risoluzione di ogni problema, quando una nuova medicina,
corroborata da medici dell’ultima ora, viene immessa sul mercato.
Si spia lo stato di salute delle altre coppie,
ci si dice che non si è in quelle condizioni, ci si dà di gomito, guardando le metastasi
degli altri, mentre si dissolve un altro diamante, sigillo di un amore eterno
finché dura.
Ho sempre odiato tutto questo sfacelo, lo
vedevo nei miei, che pure si amavano. Mi ero progressivamente convinta che fosse
una cosa naturale, un decorso sistematico ed inevitabile, e, testarda, dicevo
che non ne avrei mai fatto parte. Non mi sarei mai sposata.
Che senso mai avrebbe avuto?
Pranzi di Natale ipocriti, coperti dalla
polvere di rapporti formali. Stessa cosa per decine di altre ricorrenze.
Il matrimonio mi ha sempre terrorizzato, anche
se, come qualsiasi altra donna sulla faccia della Terra, ci ho sempre
fantasticato sopra. Ma forse, più su quel giorno da vivere come una
principessa, piuttosto che su quello che sarebbe successo dopo. Perché, scrollati
di dosso i chicchi di riso e deposti i confetti, la sposa veniva deposta dalle
braccia del suo sposo e si trovava davanti la vista di una nuova casa, pregna
dell’odore di vernice fresca e foriera di promesse presto dissolte.
La fantasia del mio giorno ideale, includeva
me, il mio futuro marito, i miei testimoni, ed una spiaggia al tramonto, come
quella dove trascorro le mie attuali giornate.
Niente pranzi luculliani tra parenti serpenti e
falsi amici.
Quando è arrivato il mio momento, anche solo per
un attimo, io ho sognato quel giorno. Vorticava come all’interno di una sfera
di cristallo, tipica di una fattucchiera.
E vedevo chiaramente chi volevo che ci fosse. I
miei, Harry, Ginny, Seth e il personale del Petite Peste, Helder, ovviamente
Serenity.
Ma è stata una fantasia fugace, repentina, come
se temessi di guardare in quella sfera come quando andavo a Divinazione… ed è
stato il più grande errore della mia vita.
La vita ha sempre un senso dell’ironia sottile
e perverso. E mi ha concesso il matrimonio intimo che volevo.
Mi ha concesso Helder ed Harry… e ha escluso
gli altri invitati.
Mi ha concesso l’aria tranquilla che volevo… ma
ha escluso la spiaggia al tramonto. Mi ha dato una chiesa gotica in una notte piovosa
di febbraio.
E mi ha concesso anche di avere un figlio alla
cerimonia… ma un figlio non nato, ancora nel mio ventre per pochi giorni. Ed ha
escluso la figlia nata da un’altra madre.
Ma soprattutto ha escluso il solo che avrei
visto al mio fianco come marito, sebbene lo avessi negato fino alla morte.
Il mio matrimonio, oggi, è una macchina
perfetta. Oliata, rodata, ben funzionante.
Fa invidia, desta stupore, ha l’odore di
biscotti fatti in casa e di risate trattenute alla vista di estranei.
Scorre nelle mani unite mie e di mio marito che
fanno volteggiare Alex che ride contento.
Mi guardo l’anulare sinistro, dove sottile
luccica nel sole del primo mattino il cerchio d’oro giallo che mi candida come
moglie.
Sopra di esso, un altro cerchio dello stesso
colore regge una pietra piccola di colore rosso. Non un diamante.
Lo scelse mio marito, oramai cinque anni fa.
Disse che era perfetta per me e, forse, oggettivamente gli diedi anche ragione.
Ma sapevo che era il solito modo per legarmi a lui tramite un colore, un suono,
un odore. Un qualsiasi cosa che stabilisse il filo rosso spezzato.
Difatti, non fece cenno ai diamanti. Forse
disse che costavano troppo, o forse disse che erano antiquati. O forse non
disse davvero nulla.
E, forse, quel suo silenzio fu, come sempre,
manna dal cielo, perché meno parole cercava, più cose potevo ignorare. O
fingere di ignorare.
E lui lo stesso.
È il regalo più bello che ci siamo fatti, in
questi cinque anni. Parole luccicanti e sterili, silenzi pesanti e vitali.
Guardo il suo anello, luccica come una goccia
di sangue, resa di cristallo scarlatto. Lo sfilo, trattenendolo nella mia mano.
Cerco nelle mie tasche e trovo il compagno
della mia fede nuziale. O meglio quello che sarebbe dovuto essere il suo
compagno e che, chissà per quale astruso motivo, ho ancora io.
O meglio per chissà che ironia della mia vita,
ho ancora io.
Ci ho pensato spesso a questa cosa, specie quel
giorno, quando, dopo quasi un anno dal giorno che mi ha rovinato la vita, mi
decisi a fare il cambio di stagione, cercando indumenti più chiari e leggeri
per l’estate che iniziava, sperando che avessi ancora qualcosa che mi andasse
dopo essere diventata mamma di Alex.
E l’anello era esattamente dove l’avevo
lasciato. Dopo tutto quel tempo e dopo tutto quello che era successo… era ancora
nella tasca del mio cardigan azzurro.
Lo stesso che, nella fretta, avevo indossato
quel giorno.
Chissà se Draco l’ha mai cercato… e chissà se
avrebbe voluto trovarlo, perché aveva un’altra mano più docile della mia, a cui
farlo indossare.
Quel giorno, quando lo ritrovai… il dolore mi
ottenebrava ancora la mente, e ferivo mio marito di rancore inconscio, e mio
figlio di malinconica cura negletta.
Con rabbia, pensai che ce l’avevo ancora io,
semplicemente perché mi era destinato. Era il mio destino averlo.
Ora, dopo cinque anni, in cui il mio
fantomatico destino ha perso la strada di casa, penso solo che sia un caso.
È così labile la linea tra destino e caso, tra
fato e coincidenza, che ne sposto spesso l’argine a seconda della giornata e
del momento.
Protetta dal silenzio della spiaggia e dalla
mancanza di persone, infilo l’anello al dito delle promesse. Anulare sinistro.
Poco sopra la fede.
Scintilla il diamante, come se fosse una stella
nel primo sbocciare della sera. E, per un momento, penso quasi che c’entri
ancora il destino.
È un anello sfortunato, è un anello destinato
ad essere sempre nascosto… l’anello dei matrimoni che sarebbero perfetti, ma a
cui manca qualcosa.
L’anello dei matrimoni che non sono reali.
L’anello del matrimonio tra Narcissa e Lucius
Malfoy. Forse falso, e comunque finito prematuramente.
L’anello del matrimonio tra Danny Ryan e Rachel
Leigh. Falso, perché di due persone mai realmente esistite.
… ed infine l’anello del matrimonio tra
Hermione Jane Granger e Draco Lucius Malfoy.
E non ho nemmeno alcun aggettivo da poterci
aggiungere.
E questa, se possibile, è la cosa peggiore tra
tutte.
L’acqua
è nera, scura, vischiosa. Qualcosa mi tocca la caviglia, mentre affondo ancora
più in profondità. Anche se l’incantesimo mi consentisse di fare qualcosa, probabilmente
non potrei nemmeno… troppo densa l’acqua per essere tale, troppo gelida, troppo
scura.
Il
vestito zuppo che si apre come una medusa, il ghiaccio prima nelle vene e poi
nei polmoni, le mani inutilmente tese verso qualcosa. L’asfissia.
Morire.
Fluttuare
in quel pensiero, stanca di qualsiasi cosa. Inutile respirare… ed inutile ed
impossibile ogni altra cosa.
Dolce
naufragare in questo mare… chi era che lo diceva?
Non
importa. Chiudo gli occhi.
Il
sapore della torta alla fragola.
Il
colore del mare di gennaio.
L’odore
di un libro appena comprato.
Il
graffiare di una penna su una pergamena.
La
leggerezza cartacea delle ali di una farfalla.
Serenity. Seth. April. Harry. Ginny. Helder. Mia madre.
Mio padre.
…
ciò che amo…
Draco…
Draco… Draco…
Caldo
alla mano, strattone, dolore alle braccia attraversate da fitte. Acqua scorre
nelle orecchie, mentre scivolo in direzione opposta.
Qualcos’altro
che mi tocca velocemente, mentre è come se sfuggissi via.
Impatto
violento con l’aria. Ancora più gelo, dita ghiacciate tamburellano sulla mia
testa.
Scroscio
d’acqua. Strattoni.
Vento,
ancora più freddo, pelle d’oca e brividi.
Qualcosa
di compatto sotto la schiena. Gli occhi chiusi, riesco a tossire acqua.
Ossigeno cercato riprende a circolare nei polmoni.
La
gola raschia come se ci strofinassi sopra carta vetrata. Rischio di soffocare
adesso, più che prima. Forse sanguina.
Vengo
sollevata di peso. Calore, lieve, lontano, soffuso come quello prodotto da una
tremula candela.
Braccia
che mi cingono…. Il profumo di
Draco.
Altre
voci. Concitazione.
Cado
dolcemente nel velluto nero di un sonno profondo cento anni.
La prima cosa che
sento, appena sento di essere di nuovo cosciente, è il freddo.
Intenso, pungente, anche
se mi sembra di non sentire più i miei vestiti bagnati. È come se fosse… interno. Un gelo interno.
I miei capelli li
sento ancora umidi, si attaccano al collo, asciugandosi. Sicuramente, per
essere oramai quasi asciutti, deve essere passato un bel po’ di tempo… cerco di
ragionare, ma il freddo è così forte che a fatica mi trattengo dal battere i
denti.
Le labbra mi
bruciano, come se fossero scottate. Cerco disperatamente una fonte qualsiasi di
calore, ma le mie mani, mollemente abbandonate, non sono ancora in grado di
muoversi da sole. Primo, perché sembrano anche esse dei pezzi di ghiaccio,
secondo perché sono ancora sotto effetto del maledetto controllo di Astoria,
terzo, credo di essere così debole che se anche lo facessi, ci morirei sul
colpo. Sotto la schiena, non avverto più il pietrisco come prima… anche se non so
esattamente quanto tempo fa… ma la sensazione di una superficie liscia,
morbida, contro la schiena, probabilmente un letto, considerando che sono distesa
e che sento con una parte della mia pelle ancora in grado di sentire qualcosa,
il fresco di un lenzuolo poggiato sul mio corpo, che però comunque non riesce a
riscaldarmi.
Le mie riflessioni
riprendono, come un fiume in piena, mentre, inspirando profondamente, sento il
curioso ed inconsueto odore che mi circonda. Un profumo di donna, forte,
carico, impossibile da ignorare. Sembra il profumo alla violetta che metteva
sempre mia mamma.
Non sembra quello di
Astoria… ed è a quel nome che i miei sensi ritornano improvvisamente vigili,
anche se i miei occhi restano chiusi, come se fossero incollati e non riuscissi
a forzarli per aprirli.
Una scossa elettrica.
Nulla a che vedere
con lei, ma ugualmente forte.
Draco.
Con le mie forze
residue, faccio forza sui miei occhi per aprirli, ma riesco solamente a
socchiuderli, non riuscendo ad identificare praticamente nulla dalla minuscola
lama di luce che filtra alle mie pupille. Dietro le mie palpebre chiuse, non si
è affacciata alcuna luce aranciata quindi penso che sia ancora notte. Dalla mia
esigua prospettiva, non riesco a vedere nulla, il panico mi avvolge come un
manto pesante e soffocante. Il pensiero che non ce l’abbia fatta, mi serra la
gola, gemo silenziosamente, deglutendo. Posso fare solo questo, altrimenti
urlerei e mi alzerei per cercarlo, dovunque mi trovo. L’insofferenza alla mia
prigione silenziosa, mi fa tremare di frustrazione e dolore, il gelo che
penetra ancora più profondamente nelle mie ossa.
Mi sembra evidente di
essere al coperto, non sento rumori di qualunque tipo, solo qualche suono
attutito dalle pareti.
E, probabilmente,
sono anche al sicuro. Ma non posso ragionevolmente sentirmi al sicuro, se non
lo sento, se non lo vedo. Dov’è Draco?
Improvvisamente, un
bruciore inaudito sulla fronte, come se mi avessero messo del sale sulla ferita
che ho poco sopra l’occhio, tranne che sembra provenire da qualcosa di morbido
e contemporaneamente di bagnato che preme alternativamente sull’escoriazione. Sembra…
l’odore di un disinfettante… facendo
forza sugli occhi, cerco di aprirli del tutto, ma non c’è nulla da fare. A
parte l’oramai ben nota sensazione che il mio corpo non mi appartenga e che
galleggi in una collosa immensità, sento le membra così deboli e fiacche che
persino il respiro è diventato doloroso e faticoso. Ogni volta che il torace si
abbassa e rialza, fitte acute mi raggiungono al cuore.
Forse sono in un
ospedale… o al San Mungo… ma non sarebbe così silenzioso.
Non
mi interessa dove sono, perché continuo a chiedermelo?
Draco… dove è,
maledizione? Il ricordo di tutto ciò che ci è successo, non so esattamente
quanto tempo fa, mi sommerge ad ondate. I particolari sono chiari, netti,
vividi nei loro colori ed odori, ma sembra… tutto… così assurdo… forse ho sognato tutto…la scoperta del suo sentimento per
me, le bugie di Astoria, il suo piano per farci capitolare… rabbrividisco,
possibile che sia stato tutto reale?
Possibile
che mi sia stato mostrato che Draco Lucius Malfoy è innamorato di me, Hermione
Jane Granger?
Come
diamine può essere successo? È impossibile…
Il resto, stranamente,
mi sembra più reale, più possibile… il volo oltre la ringhiera, il lago,
l’acqua nei polmoni… il freddo ritorna prepotente attorno a me, come se ci
fossi ancora dentro quel lago. Tremo a quel ricordo… l’acqua… al solo pensiero,
mi assalgono le vertigini e il panico. E
poi… faccio fatica a ricordare… ma certo, l’angelo biondo… lui che si tuffa.
Sono certa di averlo
sentito… sono certa che è stato lui a salvarmi. Con un brivido, ricordo il
calore del suo corpo contro il mio.
Il suo profumo era
penetrante come non è mai stato prima… ero certa… di essere morta. E di essere
finita in Paradiso, anche se non potevo nemmeno muovermi o aprire gli occhi.
Ero certa che fosse lui… mi ha stretto e portato in salvo. E poi? Dov’è andato?
Possibile che mi
abbia abbandonato qui, dovunque sono, e se ne sia andato?
La paura che sia
andata davvero così, mi stringe il cuore in una morsa.
I gesti dell’ignota
persona che mi sta disinfettando la ferita, cessano all’improvviso, sento
gettare lontano la garza che mi stava medicando e sento anche distintamente
sbuffare la suddetta persona, mentre borbotta qualcosa a mezza bocca. Non
riesco ad intendere che cosa stia dicendo, ma non sembrano cose molto gentili e
carine. Che darei per aprire gli occhi, anche mezzo secondo, ma, nonostante non
smetta di sforzarmi, non c’è modo che si decidano ad aprirsi. È come sbattere
ripetutamente la testa contro un muro di cemento armato. Con il risultato che
sono frastornata esattamente come se lo avessi fatto sul serio.
Improvvisamente, sento
il rumore distinto di una porta che si apre cigolando, e la persona che è
accanto a me, seduta sul letto, si alza. Il materasso infatti va su e giù,
tornando al suo volume originario. La sento sbuffare ancora, ma la mia
attenzione non è già più rivolta nei suoi confronti.
Draco.
Sono diventata peggio
di un cane da tartufo, quando si tratta di lui.
La
pioggia nel mese di settembre, la terra che langue un’intera stagione per il
caldo e ritrova l’abbraccio umido dell’acqua, rifiorita vivifica dal cielo.
Non lo posso vedere,
non ha nemmeno parlato, eppure so che è lui. Ne sento l’incomparabile pienezza
che avvolge già la stanza, comprendendo anche me. Il nodo in gola che non mi
faceva respirare, si disfà, ispirandomi curiosamente a piangere per il sollievo
di sentire che è vivo, libero, accanto a me. E’ una sensazione così primordiale
ed appagante che adombra tutto il resto, ogni domanda ed ogni pensiero. Mi fa
sentire come sempre una ragazzina al primo batticuore, ma, come sempre, non ci
posso fare assolutamente nulla.
Oramai, non ci voglio
nemmeno fare nulla. Sia anche sconveniente, assurdo ed umiliante…
Come una botta in
testa, ricordo qualcosa. Un pensiero. Un mio
pensiero. Di tanto tempo fa… quando Dean mi lasciò.
Sin
da bambina, sognavo l’amore senza aggettivi, quello passionale, intenso e, per
una come me, assolutamente illogico. E non importa se mi dovesse mandare in
corto circuito il cervello, con mia grande ansia ed angoscia, ma basta che sia
così grande, bello e meraviglioso che io non possa rimpiangere nulla di quello
che ho fatto o che sto per fare.
Se potessi sorridere,
lo farei… a pieni polmoni.
L’amore per Draco è
sempre stato illogico al punto tale da farmi creare uno Zahir per liberarmi del
suo pensiero.
Ed ora, oggi, dopo
tanto tempo e dopo tante negazioni, non mi interessa di lui. Davvero.
Fosse stato anche un
meraviglioso sogno sentirlo dire che mi ama, non mi importerebbe.
Sono solo felice di
sentirmi viva, per questo sentimento che mi squarcia il petto. Felice, sul
serio. Di amarlo e che lui sia vivo.
Soffrire
è sempre meglio del niente.
E
forse c’è chi ha ragione a dire che è meglio amare e perdere, che non amare
affatto. Ora ne capisco appieno il senso.
Vale
davvero la pena essere innamorata di Draco Malfoy.
“Come sta?” come prevedevo,
è la sua voce a raggiungermi. È vistosamente stanca e vibrante. Mi chiedo
angosciosamente come stia.
Quando l’altra
persona, quella che mi stava disinfettando le ferite, parla, ne riconosco la
voce, ma non riesco di primo acchito a distinguere distintamente a chi
appartenga. È una voce pastosa, di donna, abbastanza isterica nel tono.
“Quando esattamente ho detto che mi interessa
del suo stato di salute?”. Ecco… è una che non mi sopporta. Chi diamine è? La
voce… la conosco… ma non mi viene in mente dove l’ho sentita.
I passi di Draco
risuonano cupamente nella stanza silenziosa, si siede sul letto accanto a me,
sospirando. Sento il peso del suo corpo sul materasso ed arrossisco nel
sentirlo così vicino, il calore del suo corpo è così percettibile che mi sembra
di non sentire più freddo, rovente il sangue che il cuore impazzito pompa nelle
vene.
“Credo, quando ti sei
ricordata che mi vuoi tanto bene…”
risponde a tono Draco, la stanchezza non cancella l’ironia della sua risposta.
“Anche questo l’ho fatto,
quando?!!”.
“Quella è una tua
amara consuetudine, Pansy…”.
Trasalgo nella mia
immobilità. Se fossi in grado di muovermi, lo picchierei a sangue con una
vanga… mi ha portato a casa di Pansy Parkinson??? Ecco chi diamine era… ed ecco
anche perché non mi sopporta… ampiamente ricambiata, ovviamente.
Faticosamente ricordo
che cosa Draco mi disse, quando mi raccontò della sua copertura come Danny
Ryan.
In
pochi sanno che sono ancora vivo… Blaise, Pansy…
Perché diamine se
aveva bisogno di nasconderci, non mi ha portato da Harry? Là, saremmo davvero
stati al sicuro… e in compenso avremmo anche potuto denunciare Astoria, Pucey e
Montague… perché, invece, è venuto qui?
L’odierna esperienza
con Astoria mi ha però insegnato che l’agire di Draco Malfoy, anche se
apparentemente criptico, ha sempre una sua intrinseca motivazione. Quindi,
probabilmente, anche questa volta ce l’ha.
O
realisticamente sono arrivata al punto di fidarmi completamente di lui.
In ogni caso, appena
torno in possesso delle mie capacità fisiche, questa me la spiega… eufemismo
per dire che se non ce l’ha una spiegazione, finisco il lavoro che ha iniziato
Astoria.
“Allora… come sta?”
chiede di nuovo Draco con un filo di voce, lo sento improvvisamente più vicino,
anche se non mi sembra che si sia mosso. Ringrazio, per la prima volta, la
maledizione che mi rende una statua di sale… è davvero imbarazzante stare qui,
mentre parla di me, e, se dovessi solo fingere di essere addormentata, mi sarei
sicuramente tradita. Ma, se il mio corpo non può reagire in alcun modo, nemmeno
alla sua vicinanza, allora posso chiaramente diventare un’attrice da Oscar.
“Credo… bene…”
replica controvoglia la Parkinson, schioccando la lingua “Le ferite sono
superficiali, niente di serio… e, per l’immobilità, chiaramente non so nulla,
sembra una cosa potente, oscura… qualsiasi cosa sia, sicuramente non sarà
facile da sciogliere… comunque, ha ragione… alla fine, è lei la persona più esperta a riguardo… o perlomeno la più esperta a riguardo, che non abbia avuto
rapporti tali con il Signore Oscuro da ammazzarti, appena ti dovesse vedere….”.
Draco annuisce, senza
partecipazione.
Chi,
esattamente, hanno chiamato? Una persona esperta, a riguardo… dello Zahir,
ovviamente, e forse di faccende oscure… ma non direttamente legata a Voldemort…
chi diamine è?
Che razza di nervoso…
“Si è solo lamentata
poco fa…” conclude atona Pansy, la sento stiracchiarsi come un gatto annoiato
“Forse per il freddo…”.
“Metterle una coperta
addosso, no, eh?”.
Pansy Parkinson
sospira noncurante, prima di replicare piccata: “Non penso che me l’avessi
detto… e il pensiero che le mie preziose lenzuola di damasco la stiano
toccando, è già qualcosa di aberrante per me…”.
Giuro che, se un
giorno dannato mi riprendo da sta storia, l’ammazzo con le mie mani.
“Non crederai ancora
alle sciocchezze dei Mezzosangue e simili?” chiede con un vistoso sospiro
Draco.
“No, ma credo ancora
al potere fortemente infettivo delle Grifondoro saccenti e che fanno di cognome
Granger…”.
Draco,
inaspettatamente, ride leggermente. La sua risata costringe anche Pansy ad
imitarlo e, sebbene lo stiano facendo di me, sento il cuore più leggero.
Sentirlo ridere… non mi accadeva da tanto.
Certamente
la Parkinson può farlo stare decine di volte meglio di quanto faccia io…
Tra me e lui, invece,
è sempre tutto così dannatamente difficile… forse è davvero così… che io e lui
non siamo destinati a starci accanto…con
una come la Parkinson, sembra facile come respirare… e forse magari lei lo
ama ancora, per questo lo sta aiutando.
Mentre,
per me e per lui… è come… se forzassimo il destino…
Quel pensiero, vero
come non c’è mai stato nulla e razionale come solo un sillogismo potrebbe
essere, mi fa annaspare, facendo salire le lacrime ai miei occhi morti, che non
le liberano, lasciandole incagliate lì. Le ricaccio indietro a fatica.
Quando Pansy riprende
a parlare, ha la voce più calma e serena, meno isterica.
“E la bambina?”.
“E’ di là…sta
dormendo… c’è Blaise con lei…”.
La
bambina? Serenity… ha portato qui anche lei…
Ma certo, sarebbe
stato abbastanza semplice per Astoria prenderla e ricattare Draco per farci uscire
allo scoperto, se effettivamente, come sembra, siamo riusciti a sfuggirle.
Dubito che si sia arresa all’idea di ucciderci entrambi, constato con un
fremito.
Spero che Draco abbia
pensato anche a Seth e agli altri.
Blaise… quindi anche Zabini è qui… di bene in meglio…
È la voce di Pansy a
rompere nuovamente il silenzio. La voce scende di tono, diventando bassa e
roca: “Sembra così assurdo…”.
“Cosa? Che Astoria
voglia uccidermi?”.
“Anche…” replica
Pansy, si siede anche lei sul letto, la sua voce mi arriva più vicina “Ma
soprattutto credo che sia assurdo che sia tu a non voler uccidere lei…”. Questa me la spiega… credo che
Draco se avesse Astoria tra le mani, altro che ucciderla. Non penso che la
perdonerebbe per pura bontà divina… ed, anche se lo facesse, mi trasformerei io
nella peggiore delle serial killer.
Se penso a come
diamine mi ha ridotta… anche se mi
consente di stare qui a sentirli parlare, senza problemi…
Capisco che non
stanno parlando di Astoria, solo quando Draco riapre bocca.
“Già… è assurdo…” la sua voce sembra sorridere
in modo quasi doloroso. Il suo eco è straziante come il canto di milioni di
dolori sconosciuti, mi allarga il cuore, vinto dalla tenerezza e da uno strano
calore dalle parti dello stomaco.
Sta
parlando di me… non ho sognato… è davvero… ancora, non riesco nemmeno a pensarlo. Ancora, la parola innamorato, anche se la ripetessi mille
e mille volte nel cervello, non renderebbe davvero quello che sento al pensiero
che lui provi anche solo la metà di quello che io provo per lui. E’ solo
gettare un sasso in un lago limaccioso e torbido.
Ringrazio Dio di aver
creato le orecchie in modo che funzionassero in modo completamente autonomo
dalla volontà, e continuo ad ascoltare, il cuore in gola, il respiro corto.
Cerco di calmarmi in modo che non capiscano che sono cosciente.
“Ma sai qual è la
cosa più assurda?” chiede Draco, quasi più che parlasse con sé stesso che con
Pansy. La voce è assente e persa nei suoi pensieri, distratta. Lei rimane in
silenzio, esortandolo a continuare.
Delicatamente come se fossi una bambola di
porcellana, sento una mano sul viso che mi accarezza piano gli zigomi, le
guance, fino alle labbra. Sotto le sue dita, la pelle del mio viso fiorisce di
brividi freddi e caldi, assieme. Lungo il collo, scivola ghiaccio e lava.
Mi chiedo come faccia a non accorgersene, come
faccia a non rendersi conto di come mi riduca ogni volta che mi sfiora.
La pelle delle sue dita è calda, sembra lasciare tracce
e solchi incandescenti sulla mia, come guide luminose per la prossima volta in
cui si approprierà di nuovo del mio viso. Sfiora le mie labbra, per poi
fermarsi all’improvviso come se si ricordasse solo allora di Pansy.
Riprendo a respirare, quando si stacca da me. Ma
non è un anelito di vita… no. È solo morte non sentire
più la sua pelle sulla mia.
“La cosa più assurda è che lei è insopportabile… te la ricordi no?”, una piccola
pausa quasi divertita, ostaggio di memorie lontane. Dovrei sentirmi offesa, ma
quel insopportabile, il tono con
cui l’ha detto… è come se mi avesse ricoperta di lodi e onori per secoli.
Basta davvero così poco, se lo fa lui… basta sempre
anche una briciola di pane, lasciata distrattamente per terra.
Mi sfama per mille e mille anni.
Il singhiozzo che mi
preme per uscire, diventa come sempre un solo minuscolo sospiro che, nel
silenzio, rimbomba come un tuono. Eppure non credo che l’abbiano sentito. Draco
riprende a parlare di nuovo, senza apparentemente accorgersene.
Un piccolo movimento
impercettibile.
E solo qualche
parola.
“… eppure, se non
tornasse più quella di prima, io sarei pronto a togliermi la vita…”.
Tum.
Un solo rombante,
cupo e potente battito del cuore. Un
colpo al cuore. Riecheggia nelle orecchie come l’eco in una valle deserta,
si ripete all’infinito ed anche oltre. Tum.
Perdere un battito… e questo per sempre. Sistole e diastole che si
susseguono, asimmetriche, disuguali, disarmoniche, perché hanno perso quel solo
ed unico battito. Milioni di secondi dopo, quando si fermerà del tutto il mio
cuore, ricordarne la melodia a partire da quel momento. Tum.
Il cuore accelera,
impazzisce, esplode nel petto, ma è quel battito che io continuo a sentire
nelle orecchie. Come uno schioppo che esplode sordo, come il grilletto che
cambia la vita di una persona, o forse di due. E che si preme in un secondo.
Le sue parole
scivolano lungo le mie spalle, come un vestito di seta che sfugge leggero,
scorrendo sulle braccia, fermandosi alle mani, che iniziano a tremare, senza che
me ne accorga. Sulla pelle, scaglie gelate che bruciano come l’inferno.
La dolcezza mi stringe un nodo in gola, pesante,
opprimente, soffocante, gli occhi sempre chiusi, a malapena riesco ancora a
distinguere la presenza di Draco accanto a me, persa nella dimensione
fantastica dove le sue parole mi hanno portato.
Quel contrasto tra il significato delle sue parole,
e il tono indiscutibilmente suo della voce, è ancora un miracolo per me.
Parole dolci, parole tenere, parole… innamorate… fatte di iperboliche
dichiarazioni di morte prematura, di promesse ridondanti eppure meravigliose… e
poi la sua voce, sempre roca, dura, graffiata, solo più triste, tremula e
sospesa. Il mio Draco. Sempre lui,
sempre odioso e saccente, sempre arrogante e indisponente… ma innamorato.
Di me.
È come se un paio di mani calde e leggere avessero
preso il mio cuore e lo tenessero assieme, raccogliendo e facendone combaciare
i pezzi, creatisi dopo anni di delusioni e fallimenti. Quel calore si irradia
per tutto il mio corpo, lo riscalda, infiamma il mio viso, brucia i miei occhi,
mi gonfia il petto di un dolore piacevole e struggente come una canzone colma
di nascosta nostalgia.
La mano si contrae nervosamente, stringendo un
lembo del lenzuolo.
“Me ne sono resa conto… se penso che vuoi… per la
Granger… assurdo…” inveisce
Pansy disgustata e quasi arrabbiata.
Lui continua a parlare, come se fosse un fiume in
piena a cui hanno tolto adesso un argine scomodo e fastidioso.
“E’ stata colpa mia, quello che le è successo… io
l’ho portata a questo… la volevo proteggere e…”, lo sento deglutire
pesantemente, fremere e colpire piano, forse con il pugno, la spalliera del
letto. Trema la mia schiena.
Trema tutto, come se crollasse su sé stesso.
“Lei aveva ragione, Astoria aveva ragione… la mia
condanna… sarà… questa… sapere di averla avuta, sempre, e aver permesso che mi
sfuggisse dalle dita, e solo per colpa mia… ma non importa…”, la sua voce si
spezza ancora, lasciando sfuggire un debole quanto silenzioso singhiozzo. Non
sono nemmeno certa di averlo sentito davvero.
Le mie dita tamburellano nervose, il cuore minaccia
di uscirmi dal petto.
“Se mi odia… se l’ho persa…va bene … finché sia al
sicuro… è il mio solo pensiero, vivo
solo perché lei e Serenity siano al sicuro…”, si lascia scappare una risata
nervosa, greve, pesante, finta: “… mi dispiace di averti dovuto coinvolgere, ma
come ben ricorderai, non avrei mai dimenticato che mi devi circa cinquanta
milioni di favori… e per lei li avrei anche sfruttati…”.
Gli occhi pizzicano ancora, la mano supera il lenzuolo
e gratta il materasso.
Odiarti… l’ottavo
peccato capitale… e pensare che l’ho fatto per una vita…
Dio… se un giorno
potessi parlarti ancora… anche solo una volta…
Poi accetterei anche
di essere un vegetale per tutta la vita… basta che sia accanto a te…
Si muove ancora, lo sento spostare il peso da una
gamba all’altra e riprendere ancora, la voce adesso di nuovo rauca e strozzata:
“Mi va bene che mi odi… va bene… in fondo, l’abbiamo fatto per una vita…”, e
qui ancora una pausa sofferta, prolungata, piena zeppa di ricordi che aleggiano
come pipistrelli nello spazio che ci separa.
Ricordi di insulti che le parole odierne riescono a
dissipare a fatica, come raggi di sole in un cielo plumbeo.
“… e non
sarebbe così inconsueto che continuasse così per lei… anzi, come mi dimostri
pienamente tu, sarebbe anormale il contrario… probabilmente Potter la
rinchiuderebbe in manicomio, se… scegliesse me…”.
Stringo la mano a pugno, le unghie feriscono il
palmo ghiacciato. Fremono le narici ed accelera il respiro.
“Non gliene farei una colpa… mai… mi basta solo una
cosa…”.
Un’altra pausa, più lunga stavolta. La mia mano
rilascia la sua tensione, rimane appoggiata sulla gonna del vestito.
“Deve tornare da me,
Pansy…” aggiunge con un filo di voce “Hermione deve tornare com’era… insopportabile, odiosa,
saccente, presuntuosa, acida, arrogante… ma lei, come è sempre
stata… rivoglio la donna che amo detestare… poi,
lei sarà libera di fare quello che vuole…”, quasi come tentasse disperatamente
di convincere sé stesso, prosegue con tono deciso e caparbio: “… ho perso
Helena e tu sai quanto l’amassi… e ho perso anche i miei… ma sono sempre
sopravvissuto… se perdessi anche lei, se lei restasse per sempre così, so che
potrei sopravvivere ancora. Ci sarebbe sempre Serenity, Seth… te e Blaise…
potrei vivere per la vendetta, per uccidere Pucey e Montague… ed Astoria, a
questo punto… potrei vivere per milioni di motivi, persino per non infastidire
Potter con la mia morte…”, le sue parole sono fredde e aride, eppure mi
spingono ancora più inspiegabilmente ad avvertirne il vuoto lacerante dentro “Ma
il problema è che non so se lo vorrei ancora… non so se davvero sarei ancora
così codardo da vivere in un mondo dove lei non c’è più, anche se fosse
presente fisicamente, ma non più con l’anima… ci vorrebbe troppa energia…e,
ora, dopo tanti anni… sono troppo stanco per farlo
ancora…”. Trema ancora tutto il mio corpo, sotto il peso di quelle parole,
sotto il tono rassegnato con cui le sta pronunciando, sotto il silenzio della Parkinson.
Come se guardassi dal buco della serratura, come se leggessi una pagina di
diario… la cosa più intima di lui che potessi mai udire… e il cuore mi sembra
esplodere dall’emozione di sentirlo.
Specie, per come sta parlando di me… specie, per
come, al di là di quel ricordo che gli è stato strappato e mi è stato mostrato,
percepisco la dimensione del suo sentimento per me… puro, disinteressato, come è sempre stato… come non avrei
mai pensato sarebbe stato…
Respira a pieni polmoni, lo sento sistemarsi meglio
sul letto accanto a me, un suo fianco sfiora distrattamente il mio.
La mia mano sussulta, aprendosi piano.
“Ho quasi ventiquattro anni… ma è come se ne avessi
trecento…” sussurra fiaccamente, così debole e stanco da sembrare assolutamente
incurante di me o di Pansy “… e se lei morisse, sarebbe facilissimo per me
morire a mia volta… finalmente…”.
Il tono assolutamente serio delle sue parole, mi fa
rabbrividire di paura ed angoscia, improvvisamente presa in modo spasmodico dal
ritmo del mio respiro cadenzato e doloroso come sola garanzia del suo permanere
in vita.
Si muove ancora, nervoso, riprende a parlare con
più energia: “… ma a questo non voglio pensare… oggi non ci voglio pensare… sai
quando è capito di essere innamorato di lei?”. Pansy, che è rimasta in muto
silenzio da quando ha iniziato a parlare, erompe con tono di voce caustico: “Se
ti dicessi di sì, mi risparmieresti il resto? Sono già abbastanza nauseata…”.
“Probabilmente no…” commenta lui, una lieve
increspatura ilare della voce.
“E allora prosegui, caro amico…” scimmiotta lei, fingendo
partecipazione. Muto il cuore, aspetto che prosegua.
“Quando l’ho vista con un altro…” sussurra lui con
malinconia, mi si spezza ancora il cuore al ricordo del suo sguardo, il giorno
in cui baciai Hayden. La gola mi sembra che voglia andare a fuoco, per le
lacrime trattenute a stento dalla magia che mi imprigiona.
“E sembrerebbe la trama di uno schifoso romanzetto…
ma non è stato perché ero geloso… ok, d’accordo, lo volevo ammazzare solo
perché si azzardava a respirarle vicino… ma alla fine non era solo questo…”, si
ferma a disagio, schiarendosi la voce prima di continuare: “… ero invidioso di quel patetico babbano… era un
idiota, ma intanto poteva starle vicino. Ripensavo a lei, a lui e mi sembrava
di impazzire, non riuscivo a sopportarlo… perché lui viveva e lei anche. Il babbano non era un cadavere che cammina… come me… la portava in giro e
lei stava bene… e io non avrei mai potuto farlo. E non solo perché era
rischioso, perché stando con me rischiava la vita… o perché magari nemmeno
l’avrebbe voluto… no. Perché non sapevo farlo… perché non so da anni che cosa
significa vivere… esisto… non vivo… peggio di una fottuta
pianta ornamentale…”. Lo sento contrarre il pugno nervosamente, poggiandolo sul
materasso, il suo dolore satura l’aria come un miasma tossico e velenoso.
“Per la prima volta, da quando ebbi a che fare con
il Signore Oscuro… ho desiderato vivere… prima che per
lei, per me stesso… e per Serenity…” lo sento esitare, cercare le parole “… e
so che non sarà facile… ma lo farò… sono convinto che cercherò sempre la morte…
ormai è per me come un’amica, come una consolazione, sapere che esiste la
possibilità di fuggire, quasi come un’uscita di sicurezza, ma voglio cercare di
non farlo più, voglio chiudere questa storia una volta per tutte. Prima di
tutto, con Pucey, Montague e la Greengrass… e poi con me stesso. Lo devo prima
di tutto ad Helena… lei che voleva disperatamente vivere, è morta, e io ho
sprecato tutto questo tempo. Lo devo a Serenity, perché si merita la vita
colorata che non ha avuto sua madre… e non gliela devo negare io, perché sono
mortalmente ferito dalla vita stessa. E, poi, lo devo ad Hermione… per esserne
stata l’artefice… ed, se andrà via, cercherò solo di esserle grato per aver messo
piede al Petite Peste quel giorno… anche se chissà se saprò essere sempre così
razionale…”.
Bisogno. Uno scomodo, urgente e
sconveniente bisogno.
Un nodo
di ansiosa apprensione mi serra la gola, cerco quasi un anelito di respiro,
come se stessi ancora annegando, la sua disperazione che si confonde con la
mia, diventando una sola. Grande, immensa, sconfinata, rappresa sulle sue
parole come sangue aggrumato su una ferita. Mi manca il respiro, forse sto
soffocando davvero…
Ma il
bisogno di respirare… e il bisogno di lui…
non sono minimamente comparabili.
Spilli
sotto il palmo della mia mano, come se mi stessero conficcando milioni di
piccoli aghi invisibili…vorrei accarezzarlo, vorrei che la mia mano lo
attirasse vicino a me, vorrei che le mie labbra si schiudessero, vorrei parlare
e dirgli che lo amo…vorrei…
Ogni
cosa, pur di sentirlo vicino. Come un bisogno, come mangiare, bere, respirare,
dormire, avere amici, provare gioia, essere lodati.
Un
bisogno, più grande di tutto il resto.
Il mio
corpo brucia nella sua inerzia, gli arti sono come rami secchi arsi vivi dalle
fiamme, ogni articolazione mi duole come se avessi la febbre. Persino le ossa
le sento consumarsi, diventare cenere. Le corde invisibili
che tengono ferme le mie braccia lungo il corpo, si tendono impercettibilmente,
trattenendomi, mentre cerco di forzarle con tutta l’energia possibile. Si
tendono come elastici allungabili, arrivando quasi al punto di rottura e
costringendomi a perdere il fiato nello sforzo di tirare ancora. Il sudore mi
inzuppa la schiena.
“Non potrò esserci quando Raissa arriverà… glielo ho detto…”
riprende Draco, dopo aver respirato profondamente, la voce che torna asettica,
Raissa deve essere la persona che hanno chiamato per guarirmi “Devono restare
qui, il Ministero non è sicuro, anche Potter lo sa… e mi ha detto che, qualora
fosse successo qualcosa, perlomeno nei primi giorni, non sarei dovuto andare da
lui…Pucey e Montague forse hanno dei contatti lì… anche se allora parlava solo
di me e di Serenity, non di Hermione… comunque qui sono più al sicuro…”,
registro le sue parole con una parte cosciente della mia mente, piccola,
minuscola.
Tutto il resto va a fuoco come il mio corpo. Rogo di silenzio fermo.
“… non sapevo dove portarle… per questo sono qui, so che vi
sto mettendo in pericolo… ma ho fatto il patetico Grifondoro fino ad ora, poi
posso tornare anche il solito Serpeverde e ricattarti in qualche modo…”, una
risata fatta solo per abitudine.
Pansy sbuffa per abitudine.
“Per favore, prenditi cura di loro…” aggiunge alla fine con
un sospiro “So che sarà difficile per te…”.
“Difficile non è minimamente comparabile a quello che
davvero sarà avere la Granger per casa…” sbuffa ancora Pansy, poi sospira
preoccupata: “E pensi di tornare?”. Sussulto impercettibilmente, statica
nell’incendio che mi mette a soqquadro.
Dove sta andando?
Lui annuisce sovrappensiero, biascicando: “Non dipende da
me, ma ho la volontà di tornare… e
questa, al momento, è la sola cosa che posso sinceramente promettere…”. Pansy
non replica nulla.
Dove diamine sta andando,
dannazione?
Le corde cedono di qualche millimetro, nervosamente mi rendo
conto di poter muovere le dita del piede. Cerco di fare forza per quanto mi sia
possibile, ma sembra non avere effetto. Dietro le palpebre chiuse, le lacrime premono
per uscire.
“Non mi dire che la vuoi salutare!
Guarda che vomito sul serio!!” urla arrabbiata Pansy, alzandosi dal letto.
Draco sussurra con un sospiro, spaccandomi dentro: “Dopo averla avuta una volta, non ne
potrei più fare a meno…fin quando sono forte a sufficienza da tenerla lontana,
devo continuare a farlo…”.
“Sei
diventato troppo melodrammatico, lasciatelo dire… un tempo avresti persino
approfittato che era incosciente per toglierti lo sfizio…” dice convinta Pansy,
ma la sua voce trema in modo impercettibile.
“Hai
ragione… non sarebbe una cattiva idea…”.
“Basta
che lo fai lontano da me… quindi possibilmente quando non è in casa mia...”, un
debole ed inespressivo bisbiglio: “Stai facendo una cosa davvero idiota…e
meriteresti di morire per questo…ma vedi di tornare… Blaise non me lo devo
sorbire io, se crepi…”.
Gli occhi, forzati fino ad essere rossi, riescono
faticosamente ad aprirsi. Ma Draco mi dà le spalle e non se ne accorge. Lo
osservo con disperazione, non riuscendo a capire che cosa stia accadendo, temendo che
stia andando incontro alla morte, solo per colpa mia. Le spalle larghe sono
tese e contratte, mi perdo nel fissarlo. È persino più bello di quanto me lo
ricordassi, i ricordi non gli rendono giustizia, nemmeno con uno sforzo incredibile
di concentrazione e precisione. Ed, anche se ha ancora i capelli bagnati,
arruffati come quelli di un pulcino, e il viso sporco di terra, mi si mozza il
respiro, come se soffocassi. Arrossisco, guardando la camicia nera aderire
perfettamente alla sua pelle, rivelando ciò che soltanto la mia fervida e
lussuriosa fantasia può aver immaginato. Ha delle bende che gli coprono un
braccio, e qualche altra sulla fronte, ma sembra stare bene. Cerco
disperatamente i suoi occhi, è un controsenso cercare calore da quelle due lame
ghiacciate, eppure oramai per me sono diventati questo. Calore. Come quando tocchi il ghiaccio ed il tuo cervello recepisce
dapprima la sensazione di freddo, ma dopo il bruciore per quel contatto,
diventa quasi infuocato, non sapresti più dire se hai caldo oppure freddo, come
sarebbe logico. Ecco, Draco, per me è questo. Un controsenso. Mi ha sempre
gelato con i suoi occhi, ma dopo sentivo che andavo a fuoco.
I suoi occhi, però, restano ostinatamente rivolti
davanti a sé, non si accorge di me. Al rallentatore quasi, lo vedo aprire le labbra e pronunciare piano la
formula di smaterializzazione, la bacchetta in pugno. La cupa disperazione e la
paura per dove si stia recando, da solo, senza di me a potergli fare da scudo,
si traduce in un’ultima sferzata di energia che spezza definitivamente i
legacci invisibili.
Come un
elastico teso che viene finalmente rilasciato, mi sollevo seduta sul letto,
allungando la mano verso di lui.
Afferrando solo l’aria… quel tragicomico pop ancora nelle orecchie. Un solo secondo dopo… che è andato via.
Le lacrime che
non piango da ore, forse da giorni, o da mesi, rovinano dai miei occhi,
scoppiando in singhiozzi acuti. Mi piego in due, poggiando il viso sulle mie
ginocchia raccolte al petto. Sento la Parkinson parlare, e mi ricordo della sua
presenza… lei può richiamarlo indietro, lei può… fare qualcosa… può riportarlo
da me… lo deve riportare da me… adesso, non mi importa che cosa ne pensa…
Apro le labbra,
imponendomi di urlare, ma dalla gola non esce alcun suono. Nulla.
Cerco di farmi
forza, ma, se il controllo di Astoria sembra avermi liberato il corpo, la voce
comunque non esce. Sotto lo sguardo inorridito della Parkinson, mi porto una
mano sul collo. Nulla. La voce non esce. Ogni altro movimento, adesso, mi
riesce, constato lucidamente.
Ma la voce, no…
la voce era la cosa che le dava più fastidio… forse me l’ha tolta per sempre…
“Granger, ma tu
non eri tipo immobilizzata?” commenta malignamente la Parkinson, guardandomi storto “I patti
erano che mi dovevo prendere cura di una specie di bambola di pezza, non della
Granger in tutta la sua ingombrante presenza… sei ingrassata in questi anni, lo sai?”.
Sorride con finta comprensione, la guardo stringendo gli occhi. Concentro la
mia attenzione sulla stanza, scarsamente illuminata adesso da una lama di luce,
proveniente dal sole che sorge. Le pareti avorio si colorano di riflessi rosa
ed arancio, rendendomi visibile tutta la magnificenza del letto a baldacchino
sul quale sono ancora semisdraiata, decorato da drappi preziosi cobalto ed oro.
In un lato della stanza, una specchiera è parzialmente coperta da una serie di
boccette di vetro colorato e vari cosmetici, tra cui un rossetto rosso carico
lasciato distrattamente aperto.
Con un balzo,
mi alzo furiosamente dal letto, mentre la Parkinson continua ad inveirmi
contro. La testa mi gira e il passo è molle e fiacco, ma riesco a camminare,
anche se devo subito appoggiarmi alla specchiera per non cadere, in preda alle
vertigini. Chiudendo gli occhi e respirando a fatica per vincere la sensazione
di venire meno, afferro il rossetto e mi affretto a scrivere sullo specchio, a
caratteri cubitali: Dov’è andato Draco?
“Perché diamine
non parli, razza di idiota?” biascica nervosamente la Parkinson, scuotendo la
testa piena di riccioli ardesia. Roteo gli occhi con espressione ovvia,
indicando la mia gola e poi negando con il capo. Lei si illumina e sorride
malignamente: “Che bello, almeno sei senza voce! Posso dire quello che voglio e
non puoi rispondere! Dio, che bel regalo di Natale in anticipo!”.
Sospirando
rumorosamente, indico con un dito il messaggio sullo specchio, picchiettando un
paio di volte per attirare la sua attenzione.
“Santo cielo,
anche Draco lo chiami?” vomita lei con disgusto “Lui, Hermione, tu, Draco… il mondo è decisamente andato a scatafascio…”.
Picchietto ancora sullo specchio, ignorandola, ma lei non si dà ovviamente pena
di rispondermi prima che mi scoppino le coronarie dall’angoscia, ma continua a
tergiversare e ad esporre le sue teorie sul presunto capovolgimento dell’ordine
costituito, che prelude sicuramente ad un cataclisma di proporzioni bibliche. Mentre
conta i giorni che ci separano dal 21 dicembre del 2012, penso irritata e
sconvolta: “A mali estremi, estremi rimedi…”.
Inizio come un
ossessa a far cadere tutte le boccette di vetro per terra, una dopo l’altra. I
flaconi si rompono, cadendo al suolo, una serie di frammenti di diamante che
luccicano nella luce del primo mattino con un fragore assordante, parzialmente
coperto dalle urla della Parkinson che tenta inutilmente di fermarmi. L’aria si
satura di odori e profumi preziosi, mescolati in un olezzo poco gradito.
Alla facciaccia sua…
Agli strepiti e
alle urla della Parkinson che continuano a proferire epiteti irripetibili
contro la mia persona e tutti i miei antenati, la porta della stanza si apre di
scatto, sbattendo contro la parete. Mi giro di scatto, il cuore in gola,
sperando che sia Draco, ma ovviamente non si tratta di lui, ma di Blaise
Zabini, accorso alle urla. “Mione!”, Serenity che è in braccio a lui, si
divincola cercando di venirmi in braccio.
Le corro
incontro, strappandola non molto gentilmente dalle braccia dell’impietrito
Zabini, stringendola forte a me.
“Si può sapere
che diamine sta succedendo?” sussurra lui con voce esile e modulata,
osservandomi con la testa inclinata di lato. I capelli neri gli coprono
parzialmente i sottili ed allungati occhi verdi da felino. Distolgo lo sguardo
da lui, indicando lo specchio con un dito e sperando che perlomeno lui si degni
di rispondere. Cosa che, ovviamente, non avviene. Zabini si affretta ad
avvicinarsi alla Parkinson, sentendo la sua versione dei fatti che riporta più
o meno il mio stato mentale fortemente disturbato e reso peggiore dal mutismo.
“Quindi almeno
adesso si può muovere…” constata lui freddamente, guardandomi dall’alto in
basso. Sollevo il mento con espressione di superiorità, stringendo meglio
Serenity. Zabini rotea gli occhi nervosamente, dopo aver guardato Pansy ed
averle detto con voce potente e stentorea: “Lo sai meglio di me che glielo abbiamo
promesso…”. La sua
attenzione torna a me, non prima di essersi riempito gli occhi di freddezza:
“Stiamo aspettando una persona che potrebbe aiutarti a riacquistare il
controllo di te stessa… ma vedo che già siamo ad un ottimo punto…”, mi scocca
un’occhiata accondiscendente, proseguendo: “… se Draco ti avesse visto prima di
partire, sicuramente si sarebbe tranquillizzato…”.
Al mio
ulteriore cenno verso lo specchio, proferisce rapido: “Sono affari suoi…”.
Come diamine farò a resistere qui per più di un’ora, con
questi due che non vogliono dirmi nulla?
Abbasso il
viso, le lacrime che mi appesantiscono lo sguardo, rendendo tremulo tutto ciò
che vedo. Serenity mi poggia una mano sul viso, dandomi un piccolo colpetto e
pronunciando il mio nome con l’accenno di pianto. Respiro profondamente e le
sorrido.
“Cosa mi tocca
fare…” borbotta Zabini con voce incolore, prima di dire: “Ascolta, Granger…
Draco non è un idiota… o meglio non lo era prima di innamorarsi di te, ma perlomeno in queste
cose è ancora il migliore… ricorda che è sempre il traditore di
Voldemort… e se non l’ha
fatto fuori l’Oscuro Signore, dubito che ci riesca qualcun altro…”. Sollevo gli
occhi, guardandolo; apparentemente sembra sincero. La mascella gli si
indurisce, mentre continua: “E se ci tieni a lui, invece di spaccare cose e
preoccuparti della sua sorte, dovresti pensare alla tua… riposarti e riprenderti, soprattutto se non sei
nemmeno in grado di fare magie…”, e qui un’odiosa risata gli curva le labbra,
sicuramente, dato che lavora al Ministero, ricorda perfettamente la mia
condanna “… sei totalmente inutile… ma se almeno fossi capace di parlare e di dirgli
che sei…”, un moto di disgusto gli deforma il viso in una smorfia “… insomma,
che… sei innamorata di lui… come credo che sia evidente a tutti, tranne che a lui… ne acquisterebbe forza… ed è questo che gli serve adesso, forza… non la
tua isteria…”.
Le sue parole
hanno un che di indiscutibilmente vero che mi fa abbassare lo sguardo di
vergogna, arrossandomi le guance.
Effettivamente
mi sto comportando decisamente da isterica. Che cosa penso di fare? Al momento,
io non servo assolutamente a nulla. Io sono la magia.
Sono ritornata,
anche se parzialmente, nel mio mondo, quello a cui davvero appartengo.
Ma da cui sono
ancora mortalmente divisa, e non solo perché ho ancora la condanna che grava
sulla mia testa.
Al momento, non
ho nemmeno la voce… sarei solamente un peso, per lui. Dovrebbe pensare solo a
difendermi.
E io, invece,
non posso difendere lui, né tantomeno Serenity.
Per questo… devo tornare me stessa, quanto prima possibile…
Inoltre, se non mi libero del tutto del controllo di
Astoria… probabilmente lei troverà il modo di controllarmi ancora.
Annuisco con il
capo, sedendomi sul letto e poggiando Serenity sul copriletto.
“Ecco… meno
male…” sospira Zabini, estraendo la bacchetta e facendo sparire i frammenti di
vetro dal pavimento. La Parkinson si siede nervosamente su una sedia, agitando
la gamba elegantemente accavallata avanti ed indietro.
“Al momento,
siamo uniti da Draco… nostro malgrado…” ribatte Zabini con decisione “Quindi al
momento è meglio deporre le armi… non siamo amici, né mai lo saremo… ma lui ti
ha affidato a noi, quindi è meglio che ti dai una calmata…”.
Sbuffando,
annuisco ancora, distogliendo lo sguardo da lui per guardare Serenity.
“Stessa cosa
vale per te, Pansy…” aggiunge, guardando in tralice la ragazza mora che
immediatamente sgrana gli occhi neri, arrabbiata.
“Stai per caso
parlando con me? O mi stai rimproverando?!” inveisce lei, alzandosi e
stringendo rabbiosamente i pugni.
“Mi sembrava di
sì…”.
“Tu e Malfoy
avete dei seri problemi! Io non ho alcun dovere nei confronti suoi o della Mezzosangue…”
urla a squarciagola, il volto livido “Se ne è andato per anni, si è innamorato
della Granger, e ora lo dovremmo aiutare! L’ha portata anche a casa mia! Non se
ne parla proprio!”. Attraversa la stanza a grandi passi, i tacchi che battono
sul pavimento di legno, per poi aprire la porta e chiuderla bruscamente alle
sue spalle. Mi chiudo nelle spalle, imbarazzata, mentre Zabini sospira ancora.
Entrare nelle
dinamiche degli ex Serpeverde, non era una mia priorità nella vita. Decisamente.
Sono persone
che ho sempre ignorato, abbondantemente ricambiata.
Invece, adesso,
per il solo fatto di essere così legata a Draco, ci sono in mezzo. Queste sono,
in fondo, le persone di cui lui si fida di più nella sua vita, tanto da sapere
anche il suo segreto, cioè che è ancora in vita. Inoltre, da come ha parlato
prima Draco, sembrava chiaramente che Pansy sapesse tutto anche di Helena e di
Serenity… ed ora anche di me.
Mentre il viso
mi va a fuoco, ricordando ciò che ha detto poco fa, di cui ogni parola mi si è
incisa dentro come un comandamento scavato nella roccia, tra me e Zabini cala
un pesante silenzio. Lui guarda distrattamente fuori dalla finestra con sguardo
assente, lucciole nella giada. L’unico rumore è prodotto dal lenzuolo che va
giù e su, strattonato da Serenity che ha inventato un nuovo gioco.
Sorrido,
guardandola. Sono contenta che ci sia almeno lei…
Sul comodino di
legno intarsiato, intravedo una penna lunga e flessuosa, di colore nero,
accanto ad un calamaio di inchiostro rosso ed un foglio di pergamena. Mi sporgo
per afferrarli, sicuramente mi saranno utili visto che non posso parlare.
Poi, spinta da
quel silenzio imbarazzante che prosegue, mi faccio coraggio e scrivo poche
righe sulla carta, porgendole poi a Zabini.
Mi dispiace… fosse stato per me, non saremmo nemmeno venuti
qui… ma saremmo andati dal Ministro…
So quello che
ha detto Draco, che il Ministero non sarebbe sicuro e che anche Harry gli
avrebbe consigliato di non andare da lui, in caso di difficoltà con Pucey e
Montague che potrebbero avere delle spie, all’interno. Ma… insomma… se avessimo
parlato direttamente con Harry… forse avremmo arginato i rischi…
Zabini afferra
il foglio di carta e le legge, appallottolandolo subito dopo con stizza.
Ma chi diamine me l’ha fatto fare? Figurati che mi frega
delle paturnie di Blaise Zabini… come se non avessi abbastanza problemi…
Lo osservo con
la coda dell’occhio, cercando di non farmene accorgere. Era da parecchio tempo
che non lo vedevo, almeno da due anni, esattamente da quando ebbi la
celeberrima condanna. Lui era nell’ufficio di fronte al mio, ma comunque non
abbiamo mai avuto alcun genere di conversazione. È sempre stato la tipica
persona che, nonostante la scuola fosse finita e nonostante la mia posizione si
fosse fatta decisamente importante nel Mondo Magico, continuava a trattarmi come
faceva a Hogwarts.
Quando mi
incrociava nei corridoi, oppure se per qualche motivo ero costretta a
rivolgermi a lui per lavoro, mi guardava con la stessa espressione che mi
riservava sempre alle riunioni che Lumacorno allestiva al sesto anno tra gli
studenti che riteneva migliori.
Lo sguardo, per
la serie, che diamine ci fa lei qui?!
Uno sguardo che
mi ha sempre profondamente irritato, anche quando andavamo a scuola e, a
lezione, rispondevo correttamente alle domande dei professori o collezionavo E
una dopo l’altra… i Serpeverde continuavano a guardarmi come un enorme errore
di valutazione del sistema scolastico, come la pecca, la macchia, la magagna
che guastava il metro di giudizio di tutti gli altri.
Draco mi ha sempre guardato così, ora fa quasi male ricordarlo. E, dietro di lui,
venivano immediatamente la Parkinson e Zabini.
Ma, giunta ad
un certo punto della mia crescita, quando oramai tutte le chiacchiere dei
Purosangue e dei Mezzosangue, mi erano state spiegate e ne avevo compreso i
meccanismi malati e contorti, perlomeno per me, quegli sguardi mi lasciavano
indifferente.
Sapevo chi ero
e non avevo bisogno di dimostrarlo a loro.
Questo, però,
ovviamente, mi ha sempre impedito di osservarli bene, come invece mi è tipico per mia stessa
natura con tutte le altre persone. Potevo anche restare indifferente a quello
sguardo o sbuffarci sopra con insofferenza, come una pioggia imprevista in una
splendida giornata di sole, ma intanto, non essendo masochista, cercavo di
evitarli per quanto mi fosse possibile, specie se incrociarli implicava
automaticamente la possibilità che Ron ed Harry finissero in punizione fino
alla prossima era geologica. Di conseguenza, se per i Grifondoro, i Tassorosso
e i Corvonero, ero in grado di rendermi conto di tutto, dalle relazioni più
segrete ad improvvisi cambiamenti di umore e carattere, con i beniamini di
Piton non poteva ovviamente andare così.
Blaise Zabini,
quindi, è al pari di tante altre persone, un illustre sconosciuto.
In fondo, lo era anche Draco. Lui, potevo conoscerlo meglio per via della sua
collaborazione con l’Ordine o perché era l’oggetto di ogni indagine di Harry a
partire dal secondo anno, ma mai avrei potuto dire che cosa lo legava a Blaise
oppure a Pansy, e come si fosse evoluto il loro rapporto nel corso degli anni.
Ora, chiaramente, il mio sentimento verso Draco, mi rende sensibile anche a
questo.
Nella smania di
conoscere ogni cosa di lui, rientra anche Blaise Zabini.
E mi chiedo
automaticamente come mai Draco abbia scelto, quando ha deciso di fingere la
propria morte e di sparire dal mondo magico, di preservare comunque un rapporto
con loro due, tra l’altro un rapporto tale da spingerlo a venire qui a
nascondere me e Serenity.
Tralasciando
Serenity, che è una Purosangue, è sempre di me che si parla. La Mezzosangue
Granger, Grifondoro fino al midollo e cocca dei professori, nonché amica
stretta di Harry Potter. Insomma, come parlare dell’aglio per un vampiro.
Eppure,
nonostante le rimostranze e gli sbuffi, sono rimasta qui. Draco ha chiesto e
loro hanno obbedito. Anzi, non hanno obbedito.
Hanno accettato.
Hanno persino accettato che lui sia innamorato di me e io di
lui… anche se continuano a
pensare che Draco si sia impazzito. E questo sicuramente è il minimo… eppure lo
stanno aiutando.
Cosa è così
forte da legare tre persone in modo così assoluto?
Osservo
attentamente Blaise Zabini, quasi cercandone risposta. Non è molto cambiato in
questi anni: è sempre molto alto, molto più di me ed anche di Draco, sembra
sfiorare il metro e novanta. Il viso è sempre spigoloso, duro, la mascella
volitiva, le labbra carnose atteggiate in una smorfia continua di fastidio
aristocratico, probabilmente immatricolata in Serpeverde. I capelli sono
lunghi, legati in una coda non molto lunga, sembrano la criniera di un cavallo
nero dal manto estremamente lucido e nobile; gli occhi verdi completano
l’aspetto da pirata del settecento, ulteriormente suggerito dal fatto che
indossa una camicia bianca con degli sbuffi sul davanti e un paio di pantaloni
neri. Apparentemente perso nei suoi pensieri, apre un cassetto della specchiera
di Pansy, estraendone un pacchetto di sigarette lunghe e sottili. Ne esce una,
le dita sottili l’accendono con un gesto risoluto, diffondendo nell’aria un
odore voluttuoso di liquirizia e gelsomino. Storco il naso, voltando il viso
dall’altra parte, non sono nelle condizioni di parlare o meglio di gettargli
pile di messaggi minatori, dato che dipendo dalla sua volontà di tenere ferma
la Parkinson, quindi me ne rimango zitta e ferma al mio posto.
Ma come faceva a sapere che c’erano lì le sigarette?
Quella domanda
passa decisamente in secondo ordine, quando la porta di acero bianco si apre di
nuovo, immediatamente seguita da un passo flessuoso e leggero che sembra solo
sfiorare il pavimento. Comprendo immediatamente che non può trattarsi della
Parkinson che, nonostante i vestiti lussuosi e i tacchi da gazzella, non ha mai
avuto quel portamento, come me del resto.
Anzi, forse, io
sono persino peggio della Parkinson. Io, con i tacchi, ho la decisa tendenza a
schiantarmi dopo cinque passi e mezzo.
Ad entrare,
avvolta da una nube di costoso profumo francese, è forse una delle donne più
belle che abbia mai visto.
Alta, dagli
zigomi pronunciati e dal volto affilato, il corpo snello e sinuoso come quello
di una modella, non ha però assolutamente nulla in comune con la sola modella
che, al momento, mi viene in mente, e cioè ovviamente Helena.
Helena aveva
una bellezza solare e radiosa, che ispirava un senso di tenerezza e dolcezza
soffusa. Ti faceva venire voglia di prenderti cura di lei, come se la vedessi
troppo piccola e fragile per affrontare il mondo da sola. Non sono ovviamente i
miei di pensieri o sensazioni alla vista di Helena… sono quelli che provava
Draco quando la vedeva, ricordo con una piccola fitta al cuore.
Me le ha fatte
vivere sulla mia stessa pelle.
Questa donna,
invece, incute solo timore e deferenza.
Ha i capelli
corvini, tagliati in un caschetto particolare, come quelle ballerine di
charleston degli anni Trenta, appena sotto le orecchie.
Gli occhi sono
quasi coperti da una frangia dritta che ne copre un po’ il sinistro bagliore
grigio verde con cui mi osserva con apparente curiosità. Infreddolita quasi,
prendo in braccio Serenity come scusa per poterne rifuggire senza vergogna.
A completare il
tutto, indossa un pesante mantello di velluto nero, bordato d’argento, sopra un
vestito che riprende la trama del mantello stesso. Tintinnano alle orecchie dei
pesanti pendenti di perle e diamanti.
Sembro la
piccola fiammiferaia a confronto. L’abito viola di Astoria è strappato in più
punti, sono ferita sul viso ed anche sporca di terreno, per non parlare dei
miei capelli che sembrano un vespaio impazzito. Li osservo con vergogna nello
specchio nell’angolo, le forcine hanno ceduto in più punti, liberando ciocche
ribelli di colore ancora nero che vanno arricciandosi.
Fantastico… la conoscesse una racchia per una volta quel
dannato di un Malfoy…
Ora capisco
perché si è innamorato di me: quando uno ha tutte queste bellissime donne
davanti agli occhi per tutta la vita, ovviamente ne diventa insensibile e si va
ad invaghire di quelle senza niente di speciale.
Se non si fosse
capito, sono fortemente sarcastica.
E fortemente innervosita.
Ed anche
fortemente desiderosa di cavargli gli occhi una volta che l’avrò rivisto. Così smette di
chiamare sedicenti Miss Inghilterra per curarmi… perfetto, sono
diventata anche gelosa marcia di lui… l’aggettivo patetica ormai mi calza decisamente a pennello.
Che poi… voglio
proprio vedere che diamine potrà fare una tipa simile per guarirmi… rientrasse
almeno la Parkinson e il suo grugno da carlino inferocito, e potrei sentirmi
meno imbarazzata. Ed invece no… deve essere emigrata in Lapponia…
Zabini,
cavallerescamente, si alza prontamente dalla sedia, avvicinandosi a lei e
baciandole la mano guantata di raso sempre nero. Non fa per niente freddo…
anzi… è piena estate… da dove diamine viene vestita così? Anche se… Raissa… mi sa che prima Draco l’ha chiamata così, se
effettivamente si tratta di lei e non della sua gemella bellissima ma inutile…
sono proprio acida, accidenti a lui… Raissa… nome decisamente russo.
È come legare
due concetti troppo simili per non poter essere accostati, pensare alla parola Russia e Durmstrang. Certo, lo so che quella scuola non è in Russia, ma
in Europa orientale… eppure quel collegamento non so perché mi appare
improvvisamente ovvio e normale. Il suo abbigliamento… mi ha ricordato
immediatamente come erano bardati gli studenti di quella scuola, quando
arrivarono per il torneo Tremaghi. Le ulteriori considerazioni che dovrei avere
di fronte un’esperta di arti oscure, ma non direttamente legata a Voldemort, e
il ricordo che Lucius Malfoy voleva mandare Draco a Durmstrang ma che poi
Narcissa Malfoy vi si era fieramente opposta per avere il figlio vicino, mi
persuadono ancora più di quell’idea. Potrebbe tranquillamente avere dei
contatti, con qualcuno di lì.
Cosa che,
beninteso, non mi lascia decisamente tranquilla. Non mi fido granché di questa
donna.
Ha uno sguardo
strano, troppo… curioso. Mi squadra dalla testa ai piedi, rispondendo a monosillabi alle domande
cordiali e gentili di Zabini. Sembra cercare qualcosa nel mio aspetto che
evidentemente non la persuade del tutto.
Se avessi la
mia voce, ovviamente le avrei già risposto a tono. Ma, non potendolo fare,
inarco un sopracciglio, fissandola interrogativa.
“E’ lei, dunque?” la sua voce ha un accento duro e marcato
sulle consonanti, mi ricorda vagamente il timbro vocale di Viktor. Al contempo,
è ugualmente monocorde e fintamente disinteressata. Gli occhi continuano a
scrutarmi come se fossi uno strano pezzo da museo, mettendomi a disagio e
facendomi salire il nervosismo.
Zabini
annuisce, con un’alzata di spalle: “Sì, sì, è lei… Hermione Granger…”.
“Credevo che
fosse immobilizzata…” osserva in modo volutamente assorto, gettando il mantello
su una sedia e guardandomi ancora dall’alto in basso “Draco aveva detto così…”.
Stringo un
pugno con crescente nervosismo. Draco… l’ha chiamato per nome… anche lei sa
che è vivo e forse tutto il resto.
Si fida anche
di questa donna. Perché, maledizione?
Il suo sguardo
si impunta sulla mia mano serrata, mi affretto a distenderla, accorgendomene,
girando il capo verso sinistra. Sto diventando, oltre che patetica, ridicola. Ci manca essere gelosa a questo punto? Chi
diamine me ne dà il diritto? E soprattutto è il momento? Draco non c’è, per
quanto ne so potrebbe essersi incamminato a grandi passi verso una fine
prematura e cruenta, e ho al momento la capacità comunicativa di un delizioso
pesce rosso. Devo aggiungere anche la gelosia, cosa che peraltro non ho mai
provato in vita mia per nessuno? Non sono mai stata gelosa di Ron, di Dean… non
sapevo nemmeno che cosa volesse dire. Sentivo le sfuriate di Ginny di fronte
alle innumerevoli fan di Harry, e mi scoppiava da ridere con superiorità. Le
chiedevo persino di descrivermi che cosa provasse, per darle dei consigli,
perché non sapevo proprio che cosa significasse essere gelosi di qualcuno.
Ed invece nel
meraviglioso pacchetto Innamoramento per Draco Malfoy rientra anche questo.
Avere la voglia
di sottoporre questa tipa ad un terzo grado di due ore e mezzo… e non tollerare
nessuno che condivida anche un solo respiro di quell’insopportabile ragazzo
biondo, come se fossero tutti miei per il solo fatto di amarlo. Assurdo. Non sono
davvero più io.
Un brivido freddo mi raggiunge il polso, quando la
donna, oggetto delle mie fantasie tormentate, fa scorrere l’indice sulla
cicatrice dello Zahir. Mi volto, trovandola seduta sul letto accanto a me,
completamente concentrata sulla ferita che deturpa la mia pelle.
Ritraggo il braccio, infastidita, stringendolo al
petto con l’altra mano. Zabini mi squadra, vistosamente irritato dalla mia
reazione
“La cicatrice c’è ancora… ed anche i capelli sono
ancora neri…” si rivolge a Blaise, risollevandosi in piedi “Dunque, non è
assolutamente libera del controllo dello Zahir…”. Come se non lo sapessi… non
ho nemmeno la voce. Che grande luminare…
“Infatti non ha nemmeno recuperato la voce…”
aggiunge Zabini al posto mio, appoggiandosi al davanzale della finestra, il
sole lo illumina da dietro come su un palcoscenico. Il fatto che debbano
parlare come se io non ci fossi, mi infastidisce ulteriormente.
“Ho bisogno di sapere tutto di questa cosa…”
soggiunge lei piatta, per poi guardarmi con sguardo insofferente: “… ma
immagino che solamente lei, potrebbe dirmi tutto quello che c’è da sapere…”.
Incrocio le braccia al petto, annoiata.
Estrae la bacchetta dal vestito e me la punta
contro, mi ritraggo quasi spaventata.
“Devo usare la Legilimanzia su di te… altrimenti
non potrei sapere tutto ciò che voglio… o comunque ci metterei troppo tempo…”
ingiunge perentoria, gli orecchini che tintinnano per un attimo, illuminando
gli occhi verdi di riflessi di ghiaccio.
Sospiro, socchiudendo gli occhi. Ovviamente, in
modo razionale, so che non c’è altra via se non posso parlare. Irrazionalmente
sono fortemente tentata di alzarmi, darle un calcio e scappare da questa stanza
a gambe levate, pur di non sottopormi a questo stillicidio della mia privacy e
dei miei sentimenti. Tentando di essere anche ragionevole, mi lascio convincere
dal pensiero che non è colpa di questa donna se, come una cretina, sono caduta
nella trappola di Astoria e ho creato uno Zahir. E dovrò pur liberarmene prima
o poi.
Il pensiero che, se Astoria riuscisse a riaprire il
contatto con la mia mente, potrebbe indurmi a fare del male persino a Serenity
che ora gioca serena accanto a me, rompe definitivamente i miei indugi. Faccio
un breve ed affrettato cenno con il capo, mentre lei, senza troppe cerimonie,
preme la bacchetta contro la mia fronte, pronunciando la formula per la
Legilimanzia. Serro gli occhi, non sono mai stata una bravissima Occlumante,
non mi è mai servito esercitarmi molto e quindi è un qualcosa che non ho mai
potenziato appieno. Compio perciò ogni sforzo possibile per indirizzare i miei
pensieri solo sullo Zahir, sul sogno che mi ha indotto Astoria e sulla
preparazione della pozione, cercando di escludere il ricordo di Helder in modo
da non metterla nei pasticci. Mi concentro anche sui diretti effetti dello
Zahir, sul senso di onnipotenza e di indifferenza, diventato velocemente odio
letale, e ripenso in modo automatico sia ad Hayden che a Draco stesso.
Censurando quello che ho fatto a loro due, cerco di indirizzare la sua ricerca
ed indagine sul controllo del mio corpo e sullo scontro con Astoria, oltre che
poi sul modo in cui prima avevo rotto lo Zahir e poi mi ero parzialmente
liberata della magia, eccetto per la voce, solo pochi minuti prima. La
sensazione di intrusione non cessa, però, lì. Sento che sta cercando qualcos’altro,
quasi con scetticismo e meraviglia, convinta intimamente che non sia tutto lì.
La respingo indietro con l’ultimo accenno di forza che mi rimane, una fitta
improvvisa e lancinante allo stomaco che mi ferma il respiro. Parte dei suoi
pensieri travalicano la barriera della sua mente, giungendo a me estremamente
confusi ed incerti. Ma, tra essi, una cosa appare netta e chiara. Il suo nome.
Raissa Karkaroff.
Riapro gli occhi meravigliata, seguita
immediatamente da lei stessa che mi guarda allo stesso identico modo.
Ovviamente per motivi diversi dai miei. La squadro senza pudore, ecco perché mi
era venuto automatico collegarla a Durmstrang. È la figlia di Igor Karkaroff.
Propendo per questa tesi, visto che mi è sembrato
di intravedere un frammento di lei con suo padre, Igor, dove si rivolgeva a
lui, chiamandolo appunto padre.
Come faccia Draco a fidarsi di una donna simile, figlia di un
Mangiamorte, è ancora un autentico mistero. Certo, se lui fosse qui,
probabilmente replicherebbe con stizza che anche lui è il figlio di un
Mangiamorte e che quindi questo non qualifica automaticamente Raissa come una
seguace delle Arti Oscure. Già me lo vedo inarcare un sopracciglio
perfettamente cesellato come l’oro ed incrociare le braccia, sbuffando… e già
mi vedo, a mia volta, lanciargli contro qualcosa di estremamente pesante e
possibilmente anche acuminato.
So perfettamente che Lucius Malfoy era anche peggio
di Karkaroff: quest’ultimo scappò al ritorno di Voldemort, finendo barbaramente
ucciso per il suo tradimento di tanti anni prima, quando, con le sue
testimonianze, aveva riempito le celle di Azkaban di seguaci del Signore
Oscuro… mentre Lucius restò al servizio di Voldemort praticamente sempre, fino
ad essere ucciso dagli Auror stessi.
Ma Draco tradì i suoi molto prima della loro morte…
mentre, per questa donna, Raissa… chissà com’è andata… Draco, a quanto pare si
è potuto rivolgere a lei perché conosce abbastanza le arti oscure, ma non era
legata a Voldemort, quindi non bramerebbe la testa di Draco su un piatto. Eppure…
non mi fido… mi guarda in modo troppo curioso… e cercava qualcosa nella mia
mente…
Come se, al pari di
ogni Serpeverde, non credesse che io sia stata davvero capace di creare uno
Zahir…
Socchiudo gli occhi, fissandola, sporgendomi
automaticamente a prendere Serenity in braccio, come se la volessi difendere.
Lei osserva incuriosita la mia manovra, sorridendo quasi divertita. La fulmino
con gli occhi, esortandola con il mio silenzio a darmi un responso.
Lei comprende l’antifona ed inizia a parlare, ovviamente
non guardando me, ma Zabini, che ha osservato tutta la scena senza fiatare,
sbuffando solo ogni tanto e gettando occhiate in tralice alla porta chiusa,
quasi come se volesse scappare.
“Non credevo che avesse effettivamente creato uno
Zahir…” sibila in modo malevolo, sedendosi a gambe accavallate su una sedia,
alzo gli occhi al cielo, incurante che mi possa vedere, e te pareva “Pensavo
che Draco avesse esagerato… e che lei fosse
semplicemente sotto qualche tipo di Imperius potenziato… ma
invece si tratta effettivamente di uno Zahir… incredibile…”.
La fiducia che hanno nelle mie capacità, è sempre
commovente.
Si riavvia i capelli con gesto distratto,
portandoli dietro le orecchie e continuando: “Se non è facile crearlo, immagina
che cosa sia distruggerlo… è semplicemente impossibile… eppure è
riuscita in entrambe le cose... anche perché, come ti è stato spiegato,
Granger, lo Zahir d’amore è quello più instabile e pericoloso… si basa su un
sentimento troppo potente ma al contempo troppo variabile nella sua stessa
natura… di conseguenza lo Zahir deve essere molto forte per gestirlo… e ancora
non capisco come diamine abbia fatto…”.
“Hai una spiegazione per questo?” chiede senza
reale interesse Zabini, mordicchiandosi un pollice.
“Certo…” risponde Raissa ovvia, come se le avesse
chiesto se sapesse come mai l’acqua dell’oceano evapora sotto la luce del sole
“Credo che sia stato, perché il sentimento che prova per Draco è effettivamente
molto forte… ed essendo in contraddizione con tutto quello che lei pensa e
prova, ci ha messo molto per accettarlo… e questo l’ha fatto radicare
profondamente in lei… mettiamola così, è come quando ha di fronte un teorema
che neghi e non accetti, ma che poi ti viene dimostrato come assolutamente
reale e logico… bene, quando comprendi la sua veridicità, qualsiasi obiezione o
negazione dello stesso sarebbe per te inconcepibile, proprio perché sai quanto
ci hai messo ad accettarne la natura e ne conosci ogni possibile riflesso, ogni
possibile obiezione che potrebbe essergli mossa contro, perché a suo tempo sei
stato tu il primo ad opporti ad esso… a qualsiasi negazione, insomma, avresti
l’argomento per controbattere… capisci che cosa voglio dire? Lo Zahir doveva
lottare con la sua stessa natura che, dopo incredibili tentativi di diniego,
aveva accettato di amare Draco Malfoy…”.
Imbarazzata, mi schiarisco la voce, cercando di
riportare la loro attenzione sul fatto che, oltre ad essere presente, non è di
vitale importanza discutere di come si sia evoluto il mio sentimento per Draco.
Zabini annuisce, stranamente crucciato.
“Nonostante questo, però… resta comunque assurdo che, oltre a crearlo e a non
esserne uccisa, sia anche riuscito a romperlo… ma la spiegazione credo che sia
come sopra… quando lo Zahir le imponeva di fare del male a Draco, la sua stessa
natura si è opposta… ed è stata più forte dello Zahir stesso… che alla fine si
è rotto… Astoria contava sullo Zahir per uccidere Draco ed effettivamente, come
accadde alla regina Artemisia, l’esito sarebbe stato scontato… ma lei lo ha
rotto… e quindi Astoria ha dovuto collegare la sua mente con quella della
Granger per riuscire a controllarla e farle fare quello che voleva… ha
sfruttato l’odio ancora presente in lei per entrare in contatto con la sua
mente, e questo le ha permesso di renderla sua schiava… l’odio è difficile da
eliminare in tempi veloci, quando ti avvelena può abbandonare il tuo corpo solo
con grandi sforzi… ma questo penso che fosse già chiaro sia alla Granger che a
Draco, no? Ve l’ha spiegato Astoria stessa…”. Annuisco senza partecipazione.
Fino ad ora non mi ha detto nulla che non sapessi già.
“Veniamo ora alla rottura del controllo…” continua,
enumerando con le dita “In altri casi, vi direi di non preoccuparvi… quando si
ha a che fare con faccende oscure come queste, si deve sempre ringraziare di
essere ancora in vita per poterlo raccontare… lo Zahir fa a pezzi le anime,
isolandone pezzi che distrugge e controlla… in questo, è quanto di più simile
esista all’Horcrux… se questo concede una relativa immortalità, lo Zahir
consente di controllare sé stessi da qualsiasi pericolo esterno legato a
sentimenti, sensazioni, emozioni… crea statue di sale, prive di qualsiasi forma
emozionale, pronte a tutto, insensibili al dolore, al piacere, al sentimento…
crea insomma un essere intangibile ed invulnerabile…”. Rabbrividisco, sentendo
le sue parole.
Sono così simili lo
Zahir e l’Horcrux… ha ragione lei… ho
mutilato la mia anima… in questo, sono diventata come Voldemort…
“Era usato più per questo che per altro… grandi
condottieri, spaventati dalla possibilità di essere distratti nelle loro
spedizioni e guerre, usavano lo Zahir per essere liberi da ogni pastoia dello
spirito… per avere quella che potrebbe essere chiamata pace… ma che assomiglia solo alla morte…”.
La ricordo
perfettamente quella sensazione… ero intoccabile… ma ero anche… morta dentro…
“Per questo, ripeto, rompere uno Zahir dovrebbe già
essere considerato un miracolo… e l’odio che la avvelena ancora probabilmente,
con il tempo, abbandonerà il suo corpo, specie se è stata così forte da non
farlo mai vincere del tutto, infatti, contrariamente a quanto pensava Draco e a
quanto mi ha riferito, il suo cuore non ne è toccato, infatti è evidente che ne
sia ancora innamorata… ma il problema è il collegamento con Astoria… basta solo
una goccia di quell’odio, rimasto dentro di lei, per permettere ad Astoria,
qualora fisicamente si avvicinasse al luogo dove la Granger si trova, di
riprendere il suo controllo… dovrebbe esserne completamente purificata per poterla dire al sicuro… e il
segnale evidente sarebbe il colore dei suoi occhi e dei suoi capelli che
ritornerebbero normali… cosa che, come è evidente, non è ancora successo…”. Fa
una pausa ad effetto, guardandosi le unghie laccate di nero, mentre arrossisco
di sdegno a causa del suo silenzio prolungato ed assolutamente ingiustificato.
“Da un esame sommario, però, ho capito che la
soluzione è più semplice di quello che credessi… Astoria le ha imposto due tipi
di controllo, uno sul corpo e uno sulla voce… il secondo è più potente e
recente, e, da come è andata la battaglia, me lo spiego in virtù del fatto che
è la Granger è riuscita a ricontrollare la voce, come prima cosa… quindi Astoria
ne ha dovuto intensificare la potenza, distinguendola dal resto del corpo… ma
la chiave per farle ritornare la voce, come per purificarla, è Draco stesso…”. Sgrano gli occhi, non
riuscendo a seguire il ragionamento di Raissa che si affanna a spiegare.
“Quando Draco ha parlato con Pansy… lei era
cosciente… e ha sentito tutto…” spiega
Raissa con un filo di voce, Zabini si volta a guardarmi con un espressione
irritata e scandalizzata, sollevo il mento, sebbene il viso mi vada a fuoco per
la vergogna “Le parole di Draco… quello che ha detto… e la disperazione provata
al pensiero che lui andasse via… le hanno consentito di rompere il controllo
del corpo… deduco quindi automaticamente che, per rompere il controllo sulla
voce, è necessario ancora che la Granger si concentri sull’amore che Draco
nutre per lei…”.
“Tutto qui?” erompe Zabini quasi deluso.
“Tutto qui…” conferma Raissa smortamente, alzandosi
in piedi “Il problema è il tempo,
deve accadere molto velocemente… perché l’odio è ancora presente nel
suo corpo… è come una malattia messa parzialmente a tacere, localizzata nella
sua gola e che ora colpisce solo la voce… ma se non viene debellata del tutto,
esploderà come un cancro, riprendendo la sua antica potenza, perché comunque
sarà sempre indotta da Astoria, anche a distanza, a riacutizzarsi… e lei
tornerebbe esattamente come era prima… una morta… e se
arrivasse al cuore, probabilmente ucciderebbe nuovamente il suo amore… e lei
riprenderebbe ad odiarlo… oppure perderebbe completamente il controllo di sé
stessa, anche la coscienza… sarebbe come un vegetale… ed allora, anche se Draco
le decantasse un poemetto stile amor cortese, lei non lo ascolterebbe nemmeno
più…”.
Le parole di Raissa mi gelano il respiro, sebbene
sotto lo sguardo dell’algida donna, cerco di mostrarmi calma e serena. Ma sento
la pelle del viso diventare fredda e cinerea, le mani sudare
incontrollabilmente e l’animale, mai placato ma sempre rannicchiato dentro di
me, torcermi le viscere come se mordesse. Mai come ora, sento il bisogno
inesauribile di avere Draco vicino… e mai come ora ne avverto la mancanza come
se soffocassi. Non solo perché da lui, ora, dipende la mia vita in senso
stretto, ma perché ricevere una notizia simile, senza la consolazione di averlo
vicino… mi uccide.
“Quindi, se lui ora non c’è…” commenta scialbamente
Zabini, guardando intensamente Raissa che completa a suo posto: “…è molto
probabile che, quando ritornerà, non la troverà più…”. Stringo Serenity tra le
braccia, come se fosse una bambola e io mi fossi fatta piccola piccola, incapace della benché minima forma di coraggio. O
perlomeno di finto coraggio, specie davanti a Zabini e a Raissa.
“Glielo ho promesso, Raissa… fino a quando lui
torna, deve restare in vita…” dice tonante Zabini, guardandola, ancora non si
danno minimamente pena e pensiero che io sia lì ad ascoltarli. Raissa annuisce
riflessiva: “Draco non tornerà tanto presto… lo sai… e quel che è peggio, è che
non c’è alcun modo per rintracciarlo…”. Un barlume di ragione mi raggiunge in
quella disperazione.
Persino lei… sa
dov’è… e che cosa sta facendo… perché io, no?
Che sta facendo da
non poter essere raggiunto? E soprattutto che sta facendo che, evidentemente,
non vogliono dirmi?
Cala un pesante silenzio, rotto solo dai gorgheggi
di Serenity che gioca contenta e beata, ignara di ciò che sta accadendo. Zabini
si muove nervosamente avanti ed indietro, quasi preda di un profondo conflitto
che lo fa a pezzi. Raissa, invece, resta immobile e fredda come una statua di granito,
bellissima e spenta, gli occhi accesi da scintille di pensieri e riflessioni
tutte sue.
Mi rannicchio su me stessa, spaventata. Ormai le possibilità
rimaste sono: ritornare un demone che lo vuole morto; diventare un burattino
nelle mani di Astoria che uccida sia lui che Serenity; oppure congelarmi per
sempre come la bella addormentata. Solo che io non sono così bella da suscitare
il bacio del principe…specie se, poi, quel bacio, non lo sentirei nemmeno.
Nella mia fiaba, nessun incantesimo si romperà con
un bacio.
Asciugo velocemente le lacrime cadute dai miei
occhi, quando Zabini riprende a parlare, incerto e titubante: “Se ci fosse un
modo… per mostrarle i pensieri di Draco… credi che funzionerebbe?”. Tremo di
sorpresa, guardandolo con gli occhi sbarrati.
I pensieri di Draco…
Raissa, stupita a sua volta, sgrana gli infiniti
occhi verdi, dicendo sgomenta: “Parli dei suoi ricordi? Hai i ricordi di Draco?”.
Diecimila anni tra la domanda di Raissa e la sua
risposta incerta e flebile: “Sì… Draco, da quando è diventato babbano per sua
scelta, mi ha sempre dato a scadenze i suoi ricordi… l’ha fatto perché temeva
che gli accadesse qualcosa, mentre cercava Pucey e Montague, e, se questo fosse
avvenuto, io e Pansy avevamo il compito di cercare qualcuno di babbano che si
prendesse cura di Serenity… e, a tempo debito, quando lei fosse stata in grado
di capire, probabilmente quando avesse sviluppato già le prime doti magiche, le
avrei mostrato i suoi ricordi per farle conoscere la sua vera storia… di
Helena, di Draco… ed anche della Granger… non li ho mai guardati… e non dovrei
nemmeno parlarne… ma gli ultimi me li ha affidati stamattina… quindi penso che
ci sia tutto di lui… e della Granger…”. La gola mi si secca, guardandolo,
pensando alla possibilità.
Prima… ho parlato di spiare una pagina di diario…
qui, si parla della cosa più intima possibile.
I suoi ricordi su di me, i suoi pensieri… le sue
più intime sensazioni… come quando mi mostrò i ricordi di Helena… io… vidi tutto.
Anzi… non vidi tutto…
sentii tutto… come se fossi nella sua carne e nel suo sangue…
Mentre attendo la risposta accigliata di Raissa,
che immagino già essere positiva, sospiro senza accorgermene.
E si tratta anche di
rispondere alla domanda da un milione di sterline…
Come diamine ha fatto
Draco Malfoy ad innamorarsi di Hermione Granger?
Un capitolo di una
difficoltà estrema e che nemmeno mi piace del tutto!! Ho avuto una specie di
crisi mistica quando l’ho scritto, perché mi sono convinta di scrivere in
maniera pessima e HALFT è stato molto vicino ad essere seppellito nei meandri
delle cose mai finite!! Ma poi ho ripreso coraggio e, cambiando qualcosa qua e
là dal piano originario, mi sono riuscita a sbloccare… grande merito di ciò va
a Raissa Karkaroff che mi ha salvato decisamente la vita con la sua presenza…J diciamo che è un
capitolo di transizione, nel senso che prelude al vero e grande capitolo!! I ricordi
di Draco su Hermione!! E qui necessito di un consiglio!! Quando si tratta di Draco
divento disgustosamente logorroica… quindi potrei ricanalizzare tutta la storia
dal suo punto di vista, ovviamente andando anche a ritroso nel tempo, quindi
ricordi di scuola o della guerra, ma non voglio essere troppo prolissa… che
cosa mi consigliate? L
Ora, diciamo che in questo capitolo la cosa più importante è il discorso di Draco…
l’ho immaginato come la fine di un percorso, quello che beninteso vedrete nel
prossimo chappy… e forse questo capitolo è effettivamente questo. La fine del
percorso di entrambi… se Hermione ha compreso il valore di un sentimento anche
qualora sia non corrisposto o doloroso, Draco ha compreso l’importanza di
riprendere a vivere anche senza Hermione, dato che è convinto che lei lo odi…
volevo insomma che, da questa esperienza, entrambi crescessero prima come
persone e poi come coppia che credo che sia la cosa più normale ed ovvia per
due che sono rimasti mortalmente delusi dall’amore stesso, nonché dalla vita,
nel caso di Draco. Spero di aver reso tutto questo nel capitolo, lo spero
davvero…:D
EFP e la nostra
carissima Erika ha introdotto una nuova funzione, RISPONDI ALLE RECENSIONI! Quindi
stavolta non vi risponderò nel mio spazio al termine del capitolo, ma in tale
forma… credo che ci sia un link per la risposta al termine della vostra
recensione… risponderò a tutti!! J
purtroppo ho sempre il pc abbastanza fregato quindi
non so se riuscirò a farlo per tutti con gli stessi tempi, ma prometto di
rispondere!! Un enorme bacio a tutti coloro che leggono questa fic, che la commentano, seguono o inseriscono tra i
preferiti… e a chi mi segue su FB! J
Al prossimo capitolo!
Cassie!