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Autore: fri rapace    23/11/2010    14 recensioni
Severus cerca di insegnare a Remus come preparare la Pozione Antilupo (con scarso successo), e Remus vorrebbe ricambiare il favore offrendosi di insegnare qualcosa a lui.
Questa storia ha partecipato al quinto turno del concorso "Lotta all'ultimo inchiostro" del Magie Sinister Forum.
Genere: Generale, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Remus Lupin, Severus Piton
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
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Insegnamenti paterni Severus si massaggiò con vigore le tempie, mentre controllava Lupin mescolare quello che sarebbe dovuto essere un calderone di Pozione Antilupo. Dall’aspetto che aveva assunto quella brodaglia, capì che non sarebbe stata buona neppure come antipulci.
“Cosa è questa… roba?” domandò, a quello che faticava a concepire come un collega. Era solo un… un…
“Sono un incapace, hai ragione, Severus,” lo anticipò il lupo mannaro.
La mente di Severus era inespugnabile, neppure il Signore Oscuro era mai riuscito a violarla, ma Lupin… lui riusciva a capire, e senza apparentemente dover usare la magia.
Stare in sua compagnia era come essere costantemente appeso a testa in giù nel mezzo di una folla di mocciosi urlanti, tutti pronti a ridere di quello che nascondeva nelle mutande.
Lo faceva sentire nudo, i suoi pensieri violati e derisi da quel suo stupido sorriso che nessuna scortesia era in grado di spegnere.
“Sarei tentato di somministrarti per sbaglio questa roba, al prossimo Plenilunio, Lupin. Il tuo vecchio amico recentemente evaso da Azkaban, avrebbe di sicuro trovato un’idea come questa divertente.”
Lo vide stringere i denti in un’espressioni di profondo disagio.
Severus non era stupito del suo fastidio, sapeva benissimo che stava complottando per fare accedere Black al castello, senza successo.
“Ma io ho una coscienza, Lupin,” lo mortificò con una lezione di moralità che dubitava fosse in grado di recepire.
Lupin si allentò la cravatta. “Non so che altro dirti, se non grazie. Per te non varrà nulla, ma non ho altro,” si guardò il petto, aggrottando la fronte. “A meno che… posso ricambiare insegnandoti io, qualcosa. Sicuramente ti riveleresti un allievo migliore di me.”
Severus si concesse un verso di scherno. “E cosa potresti mai insegnarmi, tu?”
“La cravatta,” indicò il suo collo. “Vedo che tu non la porti.”
“Non dovresti portarla neanche tu. È ridicola sui tuoi stracci,” lo attaccò, prima che potesse proseguire. Sapeva dove voleva arrivare: gli uomini portavano le cravatte, Mocciosus i vestiti muffiti della nonna di Paciock.
Vestiti da donna, come quelli che era stato costretto ad indossare durante la sua deplorevole infanzia.
Suo padre godeva nello scegliere i più ambigui che trovava tra quelli che gli venivano offerti dalla parrocchia del loro quartiere, si riempiva gli occhi del suo imbarazzo.
L’umiliazione di Severus lo ripagava della vergogna che un figlio sbagliato come lui gli faceva provare.
“Io la porto sempre,” lo ignorò Lupin. “È un ricordo. Come annodarla è l’ultima cosa che mi ha insegnato mio padre, facendomi indossare una della sue. Mi arrivava alle ginocchia.”
Lupin sorrise del ricordo, ma Severus non lo notò, troppo turbato nel sentirlo pronunciare la parola “padre”. Quanto era riuscito a indovinare dei suoi pensieri?
“È morto per la fatica di insegnare qualcosa a un incapace come te?” sibilò, per difendersi dal suo intuito da mostro.
“No,” Lupin abbassò appena lo sguardo. “Non è morto. Sono diventato un lupo mannaro. Da quel momento non…” si strinse nelle spalle. “Le cose sono cambiate.”
Severus si concesse di rilassarsi un poco, era evidente che malgrado la sua messa in scena, anche Lupin temeva uno scambio di confidenze.
“Tuo padre non ti ha insegnato come annodare le cravatte?” tentò nuovamente.
Non l’aveva mai fatto, ovviamente, ma avrebbe volentieri venduto lui a un circo come fenomeno da baraccone per comprarsene una per sé, pensò con odio. Un odio che riversò su chi insisteva nel provocarlo: “Mio padre mi ha insegnato che i fenomeni da baraccone dovrebbero stare in gabbie da circo, non dietro a una cattedra.”
Remus lo guardò con tristezza. “Tu non pensi davvero questo di me. Lo so,” gli voltò la schiena, dirigendosi verso l’uscita, e concluse, poco prima di imboccare il corridoio. “Dovresti smetterla di pensarlo anche di te.”





   
 
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