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Autore: Mizar19    23/11/2010    9 recensioni
Sesta classificata al contest "Hogwarts e dintorni"
La II Guerra magica si è appena conclusa e nella Sala Grande si festeggia la vittoria. Una persona, però, ha bisogno di un ultimo tuffo nei ricordi prima di chiudere il più imporante capitolo della sua vita.
Dalla storia: "Strinse i denti, appoggiandosi alla parete. Avrebbe dovuto darle una possibilità, avrebbe dovuto... Si lasciò scivolare lentamente al suolo, la schiena che strofinava vigorosamente contro il muro. Seduta sulla fredda pietra, i suoi occhi raggiunsero la teca dei trofei di Quidditch. Là, proprio là davanti, avrebbe dovuto concederle quell’occasione. Un singhiozzo la fece sussultare, mentre il rimorso la corrodeva ancora dall’interno. Si augurava solamente che Phyllis, ovunque si trovasse, fosse felice."
Genere: Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Minerva McGranitt, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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CONTEST HOGWARTS E DINTORNI – SESTA CLASSIFICATA

 

Autore: Mizar19

Titolo: Phyllis

Genere: Sentimentale,  Triste

Avvertimenti: shoujo-ai, OC, Missing moments

Rating: giallo

Note:  Tutti i personaggi qua citati appartengono a J.K. Rowling, tranne Jacinth McKinnon che appartiene a me.

 

***

PHYLLIS

 

Era finita.

Nella Sala Grande, schiamazzi e cori festosi si sovrapponevano creando cacofonici rimbombi grazie all’alta e ampia volta gotica. Ragazzi, insegnanti, genitori, fantasmi: seduti alla rinfusa, mescolati, incuranti delle diverse Case di appartenenza. Per troppo erano stati divisi, accecati dalle differenze e dai pregiudizi.

Il Male era stato sconfitto definitivamente. Nessuno, in quel momento, osava credere il contrario: persino il sole pareva più luminoso, donando ai presenti il calore dei suoi raggi attraverso le grandi finestre.

Minerva McGranitt stava in piedi, un po’ in disparte, lo sguardo vigile che si spostava rapido in quel connubio di gioia e risate. Osservò gli studenti della sua Casa fiera, orgogliosa, proprio come una madre. Un bonario sorriso  deformò i suoi lineamenti solitamente austeri quando i suoi occhi si posarono sul giovane Neville. Era cresciuto, era cambiato. Aveva finalmente dimostrato a sua nonna, la severa signora Augusta Paciock, che ora sedeva accanto a lui, di essere degno dei suoi genitori.

Già, Alice e Frank.

Molly aveva messo fine alla vita di quella cagna. Strinse le labbra.

Bellatrix Lestrange. Non poteva essere davvero morta: la sua ombra l’aveva perseguitata per tutta la vita, uccidendo le persone a lei care, amici e compagni. Era un sollievo talmente grande da apparire inverosimile. Facendo scivolare lo sguardo sulle lisce pareti di pietra, alzò gli occhi verso il soffitto della Sala Grande, dove in quel momento splendeva il sole.

Le sfuggì un singhiozzo.

Stupida, Minerva! Dovresti essere felice, Riddle è stato sconfitto una volta per tutte!

Si ricompose rapidamente, aggiustandosi il mantello verde smeraldo, per poi ritrovarsi a pensare al vecchio Ordine della Fenice.

Ad Edgard Bones, zio di Susan, ucciso poco prima che, quella fatidica notte di Halloween, Voldemort perdesse i suoi poteri. A Dearborn Caradoc, scomparso molto tempo prima, senz’altro morto. Ai fratelli Prewett, gli zii di Ronald e Ginevra, uccisi da quel mostro di Dolohov, che ora, grazie al professor Vitious, era in mano alla giustizia. A Benji Fenwick, mutilato, fatto a pezzi senza alcuna pietà dai Mangiamorte. A Jacinth McKinnon.

Sussultò e un nuovo bruciore le scottò le palpebre. Erano passati trent’anni, forse di più.

- Professoressa, si sente bene? –

Era la calda voce di Neville, avvicinatolesi senza che nemmeno se n’accorgesse.

- Assolutamente. Sono solo un po’ scossa... – si ricompose rapidamente, assumendo il suo solito piglio severo, nonostante non potesse negare il malessere.

- E’ comprensibile. Come mai non viene a sedersi con noi? –

- Sei molto gentile, Neville, ma devo... devo fare una cosa –

Senza ulteriori spiegazioni, uscì dalla Sala Grande.

Rapida, salì le scale fino al terzo piano. Avrebbe potuto percorrere quella strada ad occhi chiusi: viveva in quel castello da troppo tempo.

Spalancò il pesante portone appoggiando sul legno antico i palmi aperti, lasciando che la sua pelle venisse accarezzata dalle venature del legno.

Le teche di cristallo scintillavano, traboccanti di trofei, prova tangibile e incorruttibile delle gesta dei loro vincitori. Minerva rimase immobile sulla soglia, esitando. Sapeva che, se fosse entrata, i ricordi l’avrebbero travolta come le onde di un mare in tempesta, impregnandole l’animo di dolore. Ma doveva farlo. Minerva McGranitt non era una donna debole, non lo era mai stata: aveva dimostrato più volte forza e determinazione, combinate ad un’eccellente proprietà della magia. Ciò l’aveva resa una delle streghe più potenti dell’età moderna. Non avrebbe ceduto in quella sala, non di fronte al successo altrui.

Rinchiuse silenziosamente la porta alle sue spalle.

Nemmeno la Sala dei Trofei era stata risparmiata dalla furia distruttrice dei Mangiamorte: intere teche erano riverse sul pavimento di pietra, schegge di vetro sparse ovunque. Le coppe, le medaglie per terra, confuse ai frammenti legno e alle targhe commemorative. La luce rimbalzava sulle loro superfici metalliche, creando un affascinante gioco di scintillii. Alcuni piatti e scudi si era staccati dalle pareti ed ora giacevano ammaccati in quel disordine.

Osò muovere un passo avanti, prestando attenzione a dove poggiava i piedi.

Conosceva alla perfezione ogni pietra di quel luogo, ogni crepa, ogni iscrizione. Aveva trascorso con Jacinth più tempo in quella stanza di quanto desiderasse ammettere.

Non era mai stata troppo interessata ad apparire una studentessa modello, nonostante fosse fra le streghe migliori della scuola, piuttosto, preferiva reagire secondo i propri principi, assecondando i suoi ideali, in cui credeva ciecamente. Jacinth possedeva una forza d’animo fuori dal comune.

La professoressa McGranitt s’inciampò in una coppa dorata. Si aggrappò ad un’armatura per evitare di franare al suolo fra vetri taglienti e metallo appuntito. Il cuore le batteva forte per lo spavento, non osava mollare la presa sul braccio di metallo che le si era improvvisamente offerto.

Rimase immobile per alcuni eterni istanti, poi decise che non valeva la pena affaticarsi le braccia per uno stupido cedimento, fosse esso fisico o spirituale. Si sollevò con un certo sforzo, sistemandosi alcune ciocche che erano sfuggite già in precedenza dalla severa crocchia.

Abbassò gli occhi verso quel marasma di metallo e vetro. Ciò che attirò senza indugi la sua attenzione fu una targhetta all’apparenza insignificante: era un riconoscimento per il primo classificato al torneo di scacchi scolastico del 1929, in questo caso la prima classificata, tale Edelfa Marshall. Ma dietro quell’anonima incisione si celavano ricordi al contempo piacevoli ed amari, marchiati a fuoco nel freddo metallo.

 

- Andiamo, Minerva! Un po’ di olio di gomito! – esclamò Jacinth dandole una spinta leggera sulla spalla, come unico fine quello di divertire l’amica imbronciata. Invece quella finì gambe all’aria.

Essere accucciate per terra non aiutava l’equilibrio.

- Quanto sei goffa! Lasciami stare! – borbottò seccata Minerva, rassettandosi la veste.

- Sei sempre così seriosa, Minerva. Lasciati andare – mormorò la piccola ragazza avvicinandosi con una strana luce negli occhi, una luce che lasciava Minerva senza fiato e con le gambe tremanti.

- È colpa tua se sto nettando le coppe altrui, ricordalo –

- In realtà ti sei offerta spontaneamente di accompagnarmi in questa punizione – la rimbeccò Jacinth. Nella sua voce non c’era traccia di amarezza o rancore, né di rabbia, solamente la giocosità che la rendeva così affabile e attraente.

- Solo perché sei mia amica – sbuffò Minerva, riponendo per un attimo lo straccio umido. Non era permesso usare la magia durante le punizioni.

- Ehi, Minerva, guarda qua! Edelfa Marshall! Sarà parente di August Marshall? – domandò improvvisamente Jacinth, afferrando una polverosa targa di piccole dimensioni.

- Perché dovrei avere la risposta? –

- Tu hai sempre la risposta –

- Jacinth... -, Minerva osservò la minuta ragazzina avvicinarsi a lei lentamente.

- Minerva, sei l’unica persona che si ostina a chiamarmi così – la rimproverò bonariamente. Minerva deglutì, nervosa.

Ultimamente trovava piuttosto strani diversi comportamenti della sua amica, ad iniziare dal modo sensuale in cui le sorrideva.

- Hai ragione, Phyllis, ma per me tu sarai sempre la piccola Jacinth –

- Sai che lo detesto... – finalmente Jacinth fu così vicina da afferrarle le mani, intrecciando le sue dita con quelle dell’amica.

Minerva scrutò attentamente i suoi grandi e tondi occhi azzurri, intensi come il cielo terso d’estate e dolci come una cucchiaiata di miele. Era esile, di bassa statura, per questo Minerva la sovrastava di almeno venti centimetri e Jacinth era costretta a sollevare il capo.

- Non sono un esempio di brillante condotta, ma penso di essere una persona leale, pronta a battersi per i suoi principi. Resterai al mio fianco anche se mi metterò nei pasticci, vero? –

Lo sguardo di Jaicnth era così carico di speranza e aspettativa che il gelido cuore di Minerva si sciolse per un istante.

- Certo, Phyllis. Sei la mia migliore amica... –

Non era incline alle manifestazioni d’affetto, né alle smancerie. Preferiva approcci seri e distaccati, professionali e asettici. Non si lasciava andare a slanci passionali, ogni passo era impregnato di razionalità. Questa volta, però, si abbandonò a quel piacere irrazionale e confuso che le causava la vicinanza umana. Erano gli anni della Grande guerra babbana: ancora non era iniziata, ma la si poteva fiutare nell’aria. Anni nei quali ai ragazzi si impartiva un’educazione severa e la disciplina si inculcava piuttosto rigidamente.

 

La professoressa McGranitt non potè evitare di sorridere tristemente rievocando quel grande sorriso sbilenco che caratterizzava il pallido viso della piccola Jacinth, sempre rivolto verso l’alto, curioso, insaziabile.

Proseguendo oltre con lo sguardo fu come accelerare i ricordi nella sua mente: i modi sempre accorti e talvolta ambigui di Jacinth nei suoi confronti, alcuni scatti d’immotivata ira e quell’ardore che si alimentava ogni volta che Minerva la appoggiava in qualsiasi genere di iniziativa. Era arrivata a comprendere ogni cosa all’inizio del sesto anno.

Non aveva mai compreso l’origine di quel soprannome, fatto sta che era notte e lei si era svegliata dopo un sogno tremendo, piangendo. Jacinth non c’era.

La professoressa McGranitt scavalcò uno scudo bronzeo, ammaccatosi nella caduta. Riluceva di danzanti riflessi ramati, proprio come i suoi capelli quel giorno.

Ricordava perfettamente l’ansia che aveva percepito attraverso quel letto vuoto. Si era alzata di scatto, indossando solo la lunga e candida veste da notte. Le era venuta voglia di un bagno caldo: l’avrebbe senz’altro tranquillizzata.

Sapeva che era severamente proibito camminare per i corridoi durante la notte: se l’avessero scoperta avrebbe passato guai seri. Quella notte, però, Minerva si era sentita intoccabile, pronta a sfidare chiunque le si fosse parato davanti. O qualunque cosa.

La professoressa McGranitt non riuscì a non sorridere rievocando momenti della sua carriera da insegnante che avevano comportato punizioni nei confronti di alunni indisciplinati, sorpresi al di fuori dei loro letti nel cuore della notte.

Lei, ormai molti anni addietro, aveva sfidato quella stessa autorità per il desiderio irresistibile di un bagno caldo. Avrebbe infranto due regole in un colpo solo: voleva, infatti, accedere al meraviglioso bagno dei prefetti, ricoperto di mosaici, profumato, sempre colmo di fluttuante vapore acque. Conosceva la parola d’ordine, lei era una studentessa modello: senz’altro sarebbe diventata prefetto l’anno successivo. Guidata da quei pensieri aveva attraversato corridoi neri, fino al portone del bagno dei prefetti.

Aveva sussurrato la parola d’ordine e il legno si era aperto per lei, senza uno scricchiolio. Fu allora che lo udì distintamente: qualcuno aveva pronunciato con tono piuttosto enfatico Phyllis.

Si era richiusa la porta alle spalle senza far rumore, per poi avvicinarsi alla sorgente della voce.

Aveva intravisto la scena attraverso una cortina di vapore acqueo: due corpi avvinghiati, sudati, che lottavano su quel pavimento mosaicato, vicini al bordo di una delle vasche.

Non aveva osato pronunciar parola o produrre rumore alcuno, tant’è che nessuna delle due si accorse di lei.

- Phyllis... sì! – ansimava la ragazza distesa supina sulle tessere cerulee, la schiena che si inarcava sinuosamente, mentre le punte dei capelli ramati di Jacinth le sfioravano il seno. Minerva la riconobbe grazie ai lunghissimi capelli neri: era Abigail Stanford, prefetto dei Corvonero.

Non osava guardare il corpo di Jacinth, né udire i suoi sussurri. Ciò che stavano facendo era proibito, inammissibile!

Minerva era rimasta a lungo a rimuginare su quella nuova visione, la pelle che le si imperlava di argentee goccioline a causa del calore.

Ad un certo punto, al culmine del rapporto, Jacinth si era accorta della sua presenza. Era scattata in piedi e si era messa a cercare furiosamente la sua divisa, scaraventata da qualche parte. L’altra si era profusa in scuse e l’aveva scongiurata di non fare la spia, altrimenti sarebbero finite in guai seri. Minerva aveva acconsentito stancamente: il suo corpo e la sua mente non reagivano, inerme di fronte alla realtà che si parava dinnanzi ai suoi occhi.

Avevano accompagnato Abigail Stanford fino alla statua di Priscilla Corvonero, poi si erano dirette verso il dormitorio dei Grifondoro, in silenzio.

- Dobbiamo parlare – aveva stabilito repentinamente Jacinth, immobilizzandosi.

- Di cosa? –

- Minerva, riesci ancora a sorprendermi – aveva sussurrato, la voce aspra e carica di rimprovero.

- Andiamo nel dormitorio –

- No, vieni con me –

Prima di quella notte le avrebbe preso la mano per condurla, ora si limitava a precederla di alcuni passi, voltandosi saltuariamente per controllare che Minerva, data la sua camminata silenziosa, continuasse a seguirla. Quel muto inseguimento s’interruppe di fronte alla Sala dei Trofei. Jacinth si era guardata rapidamente attorno, poi aveva spalancato con fatica il pesante portone. Nessun cigolio aveva squarciato il silenzio delle tenebre.

- Il legno è abbastanza spesso da evitare di essere sentite – aveva detto, portandosi verso la parete opposta all’ingresso come ulteriore precauzione.

- Io non ho nulla da dirti – aveva mormorato Minerva.

La professoressa McGranitt raggiunse quella stessa parete, accarezzando per un istante il fantasma di quei ricordi giovanili, facendo scivolare le dita anziane sulla ruvida pietra. I suoi occhi fissarono il punto esatto dal quale Jacinth l’aveva guardata con così tanta rabbia.

- Perché sei venuta?! – aveva domandato con un ringhio.

- Non è stata un’azione premeditata –

- Con tutto il castello sei finita per sbaglio nel bagno dei prefetti? -, Jacinth non demordeva, gli occhi cerulei ridotti a fessure.

- Un incubo... tu non c’eri... avevo voglia di un bagno caldo... – sussurrò Minerva, improvvisamente imbarazzata per quei bisogni così terribilmente irrazionali: avrebbe potuto tranquillamente attendere il giorno seguente, avrebbe potuto non domandarsi dove fosse finita l’amica.

- È la tua scusa migliore?! – aveva esclamato, gesticolando furiosamente.

- Non... non è una scusa, Jacinth -, dopo un profondo respiro, Minerva aveva ritrovato la sua solita compostezza e razionalità.

- Cosa pensi di me, ora?! Non riflettere, rispondimi istintivamente: cosa pensi di me? – domandò Jacinth, la voce che tremava.

- Ami Abigail Stanford? – aveva domandato Minerva pacatamente.

- No – aveva ringhiato l’altra in tutta risposta.

- Io non penso che tu sia una persona peggiore. Tu sarai sempre mia amica, la mia più cara amica... Phyllis –

Dopo tanto tempo, l’aveva finalmente chiamata come lei desiderava. Nessuno a scuola la chiamava Jacinth: per gli insegnanti era la signorina McKinnon, per gli studenti semplicemente Phyllis. Minerva era l’unica a perseverare nella sua testardaggine.

- Minerva... – aveva mormorato, andandole incontro lentamente.

- Perché facevi quelle cose con Abigail Stanford se non la ami? – le aveva domandato impulsivamente, spinta dal suo stomaco. Le bastarono pochi secondi per pentirsene.

- Perché la persona che amo è troppo stupida per accorgersene – aveva mormorato con tono amaro.

- Posso sapere chi è? – aveva osato domandare, interrogandosi se non stesse esagerando con la curiosità: era sbagliato intromettersi così nella vita privata degli altri.

- Minerva, siamo nella Sala dei Trofei: non ti dirò mai il nome del mio più grande fallimento sentimentale mentre siamo attorniate dalle vittorie altrui. Sarebbe umiliante –

- Come preferisci, Phyllis, ora però torniamo a dormire –                

La professoressa McGranitt seguì con lo sguardo le due ombre allontanarsi, mano nella mano, indifferenti al vetro rotto e tagliente, al metallo incrinato e alla fine della guerra che, nella Sala Grande, si stava ancora festeggiando.

Strinse i denti, appoggiandosi alla parete. Avrebbe dovuto darle una possibilità, avrebbe dovuto...

Si lasciò scivolare lentamente al suolo, la schiena che strofinava vigorosamente contro il muro. Seduta sulla fredda pietra, i suoi occhi raggiunsero la teca dei trofei di Quidditch. Là, proprio là davanti, avrebbe dovuto concederle quell’occasione.

Un singhiozzo la fece sussultare, mentre il rimorso la corrodeva ancora dall’interno. Si augurava solamente che Phyllis, ovunque si trovasse, fosse felice.

 

- Perché non riesci mai a contenerti, Jacinth? – ringhiò seccata Minerva, sbattendo lo straccio bagnato contro il vetro della teca. Dietro ad esso le attendevano coppe impolverate e opache da ripulire. Sarebbero state impegnate in quell’ingrato lavoro per almeno due ore.

- Non posso scendere a compromessi se si tratta dei miei ideali – sentenziò la piccola rossa, strizzando nel secchio il suo straccio. I suoi occhi cerulei fiammeggiavano, conferendo un ossimorico fascino al suo sguardo.

- Perché ci casco tutte le volte?Non riesco a farmene una ragione... – sbuffò Minerva, parlando con se stessa, ma Jacinth s’intromise in quel monologo ad alta voce.

- Perché sei mia amica –

Minerva arrossì. Non avevano più parlato dell’incidente di due mesi prima nel bagno dei prefetti. Non avevano nemmeno discusso della vita privata di Jacinth, che si chiudeva a riccio ogni volta che l’amica toccava l’argomento.

- Jacinth... –

Minerva sospirò, lasciando cadere lo strofinaccio bagnato, che produsse un umido suono atterrando sulla pietra del pavimento. L’altra ragazza le si avvicinò, muovendosi a gattoni, sinuosamente. Sentì le caviglie tremarle, nonostante fosse inginocchiata.

- Jacinth... cosa... –

Phyllis allungò una mano e le sciolse la crocchia severa con cui usava raccogliere i lunghi capelli corvini fin da giovane. Minerva rimase immobile, mentre l’amica le passava lentamente le dita fra i capelli, scombinandoglieli lentamente. La ragazza chiuse gli occhi, il volto circondato dalle lunghe ciocche scure.

- Perché non li lasci sciolti? – mormorò Jacinth, posandole una mano sulla guancia.

- Non si può, bisogna legarli – rispose seria Minerva.

- Sono solo restrizioni stupide, io li tengo sciolti... –

- E ti cacci sempre nei guai – la rimbeccò senza muoversi, lasciando che Jacinth continuasse a scompigliarle i capelli, la mano sinistra sempre appoggiata con delicatezza alla sua gota arrossata.

- Può darsi che ci sia un nesso... – sussurrò Jacinth, restringendo drasticamente lo spazio che separava le punte dei loro nasi.

- Fra capelli sciolti e azioni sconsiderate? – domandò Minerva, sogghignando.

Aveva perso il controllo, completamente: non si era mai sentita così. Quel malizioso gioco di sguardi la tormentava tanto piacevolmente che desiderava dolorosamente quel bacio che ancora aleggiava nell’aria circostante, vicino però al concretizzarsi.

Il suo sorriso fu catturato dalle labbra rosee di Jacinth. Minerva trasalì, gemendo.

Muovendosi con esasperante pacatezza, le labbra dell’amica sfioravano le sue, in una danza sensuale, mentre un piccolo fuoco si accendeva dentro di lei.

- Minerva... – sussurrò Jacinth, chiudendo gli occhi e separando per una frazione di secondo le loro labbra.

Il cuore di Minerva rombava con forza, assordandola, pulsando il sangue con vigore. Le guance le si arrossarono e un calore sconosciuto le attraversò il basso ventre, lasciandola frastornata. Non si era mai sentita così, specialmente perché non aveva mai avuto nessuno con cui sperimentare quel genere di cose.

Jacinth si spinse contro Minerva, una mano sempre fra i capelli, l’altra sulla sua schiena, seduta sul suo bacino. Minerva le cinse i fianchi in un tenero abbraccio e le loro morbide curve si scontrarono piacevolmente. Attorno a loro, la Sala dei Trofei sbiadì lentamente.

- Phyllis! – ansimò Minerva, quando l’amica (amica? Poteva davvero continuare a definirla così ingenuamente?) rinvigorì il bacio, penetrando la sua bocca con passione.

Si vergognò immediatamente per quel suono, emesso senza che lei avesse potuto impedirlo. Era stato così spontaneo che ne era terrorizzata.

Fino a che punto si sarebbe spinta? Ma, soprattutto, fino a che punto voleva spingersi?

La lingua di Jacinth si muoveva sinuosamente, calda, piacevole fra le sue labbra. Minerva chiuse nuovamente gli occhi, abbandonandosi all’altra ragazza, anche se non totalmente. Una parte del suo cervello rimaneva vigile, pronta ad intervenire.

La gonna della divisa di Phyllis si sollevò del tutto a causa dei movimenti ritmici che coinvolgevano le due, assorte da quella danza sensuale, e Minerva percepì il calore che emanava.

- Era da tanto che ti desideravo – le confidò Jacinth, spostando le sue attenzioni sul collo dell’altra, che reagì rovesciando il capo all’indietro.

- Ero... ero io la persona... stupida... che non se ne era resa... conto – boccheggiò Minerva, tremante, mentre i polpastrelli di Jacinth le sfioravano il piccolo seno sodo, trovando facilmente il piccolo rigonfiamento in corrispondenza dei capezzoli.

Jacinth annuì, la bocca ancora premuta contro la pelle del suo collo, dove aveva affondato i denti. Subito dopo fece una cosa che spiazzò Minerva, spingendola a ritrarsi: le mormorò quelle due gravose parole che esprimo il sentimento più impegnativo di tutti, le mormorò a fior di pelle ti amo.

- Mi... Minerva, mi dispiace – mormorò Phyllis, agitata per la repentina reazione dell’altra, tutt’altro che quella sperata.

- Jacinth... –

In quel momento tutto ritornò a fuoco: era stato stupido da parte sua cedere in quel modo ad un istinto irrazionale, per di più fare certe cose con la sua migliore amica! Quando Jacinth l’aveva sfiorata così intimamente, confidandole quel sentimento e aprendosi a lei,rendendosi dunque vulnerabile!, non aveva potuto far altro che prendere atto della realtà delle cose: lei non era innamorata di Jacinth, nonostante l’amica risvegliasse istinti che erano rimasti a lungo assopiti in lei. Come poteva ferire in quel modo la sua unica amica, ricambiando il suo vero amore con qualcosa di inferiore e indegno?

- Avrei dovuto immaginarlo che sarebbe finita così, Minerva – constatò, rassettandosi la gonna e i capelli, voltando il viso.

- No, ascoltami: io non ti amo come tu ami me, però ti voglio bene, molto... Non voglio prenderti in giro... –

- Però ti piaccio, non puoi negarlo! –

- Sì, mi piaci – dovette ammettere Minerva, scostandosi i lunghi capelli dagli occhi.

- E allora perché non posso provare ad essere la tua compagna? Perché mi respingi? – sussurrò ferita, le lacrime agli occhi.

- Perché è meglio così. Io non sono... io... vorrei un uomo al mio fianco – pronunciò a bassa voce quelle parole, che parvero false persino a se stessa. Lei desiderava Phyllis, ma non era sicura che il suo sentimento fosse all’altezza. Anzi, senz’altro non lo era.

- Ti prego, Minerva, dammi una possibilità! Posso... posso essere il tuo uomo – le afferrò con impeto una mano, baciandola ancora. Per alcuni secondo Minerva rimase inerte, incapace di reagire, poi la scansò gentilmente.

- No, Phyllis, è meglio così –

La rossa non rispose: iniziò a pettinarsi i capelli con le dita, percorrendo faticosamente le ciocche ramate, le falangi tremanti.

- Phyllis... – Minerva tentò di abbracciarla, ma la ragazza la respinse. Minerva notò che i suoi bellissimi occhi cerulei erano umidi e gonfi di lacrime.

- Ti prego, Phyllis! – Minerva allungò una mano verso l’amica, che la osservò timorosa, cauta.

- Resterai mia amica? – domandò un attimo prima di afferrarle la mano. Minerva annuì con forza, attirandola a sé e stringendola dolcemente. Chiuse gli occhi, inebriandosi del suo profumo.

Non era forte tanto quanto Jacinth, lei non sarebbe mai potuta venire allo scoperto con una simile storia, ecco perché soffocava i suoi sentimenti. Le sarebbe rimasta accanto come amica per il resto dell’anno e per quello successivo. Jacinth non frequentò nessuna e nemmeno Minerva si concesse ad altri. Erano bastevoli l’una all’altra, nonostante la loro amicizia fosse sempre così ambigua, costantemente appesa ad un filo teso su un abisso. Non era solamente amicizia, non era una relazione.

 

Jacinth MicKinnon, detta Phyllis, sorella di Marlene McKinnon, la cui famiglia era una delle più illustri e potenti del mondo magico, era morta circa trent’anni dopo, massacrata assieme a tutta la sua famiglia, ancora innamorata di Minerva (e lei di Jacinth).

   
 
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