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Autore: SummerRestlessness    25/11/2010    5 recensioni
È la sera del Ballo del Ceppo ed Hermione si sta preparando al suo ingresso trionfale, sperando di non ruzzolare giù dalle scale...
Dai film aveva imparato anche che, alla fine del suddetto ballo, finivi sempre con la persona giusta per te, che poteva anche non essere (anzi, che spesso non era) il tuo accompagnatore iniziale.
La storia è all'incirca quella che conosciamo (quella del film, però), il finale invece si discosta un po'... un po' tanto!
Riuscirà Hermione a dire a Ron quello che prova?
[Ogni capitolo è di circa 600 parole e ha come titolo un verso della canzone Dear John di Taylor Swift, che per l'occasione (!) nel titolo della fic è diventata Dear Ron.]
Genere: Malinconico, Romantico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Harry Potter, Viktor Krum | Coppie: Ron/Hermione
Note: Missing Moments, Movieverse, Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
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VI. You are an expert at sorry and keeping lines blurry

 

Hermione e Ron erano amici. Non si poteva dire che non lo fossero, nonostante le loro continue scaramucce. Erano amici da talmente tanto tempo ed in un modo così profondo, che tuttavia, pensandoci bene, la stessa definizione “amici” era riduttiva per parlare di loro.

Erano più che amici, ma meno di qualsiasi altra cosa.

Anche per Harry però valeva la stessa cosa. Erano amici da molto tempo e si dicevano tutto. O quasi. Soprattutto nel caso di Ron, quasi.

Eppure, con Harry era diverso: Hermione lo sentiva, persino lui lo percepiva e l’aveva fatto presente più volte alla ragazza, anche se più con i fatti che con le parole.

A scuola, poi, molti pensavano che Ron ed Hermione avessero da tempo oltrepassato la linea dell’amicizia e che fossero diventati qualcosa di più. Anche per questo, molti erano rimasti sconcertati quando avevano visto i due presentarsi al ballo separati, con altri due accompagnatori. Perché tutti, a Hogwarts, erano convinti che Ron ed Hermione fossero fatti l’uno per l’altra.

Hermione, be’, sarebbe stata sollevata se avesse potuto pensarlo, sperarlo, per più di cinque minuti: all’incirca, il tempo medio che passava tra i continui e disperati tentativi di Ron di allontanarla da sé. Come se sapesse esattamente cosa dire e come dirlo per farla imbestialire. Come se la conoscesse così bene, da essere in grado di provocarla in ogni circostanza, con poche parole.

Anche in quel momento, mentre si stavano avviando insieme verso l’uscita della sala del ballo, lui non riuscì proprio ad evitare di aprire la bocca per darle aria.

- Ti sta usando – buttò lì con studiata nonchalance, come se fosse una verità inoppugnabile che lui le avesse magnanimamente fatto cadere addosso dall’alto.

Era particolarmente esperto a quel gioco: mantenere i confini indefiniti, confusi, sfocati; lanciare un indizio e poi nascondersi dietro una cieca ostinazione; far capire qualcosa e poi negare.

Essere geloso e poi inventare scuse idiote come se fossero le più valide del mondo.

Per nascondersi, sempre e comunque.

Per arrivare alla lite, per farle male.

- Come ti permetti?! E poi so badare a me stessa. – rispose lei stizzita. Perché era troppo orgogliosa per non rispondergli, ma in fondo anche troppo insicura di se stessa, per cedere. Per dirgli che sapeva a che gioco stava giocando, da cosa stava scappando. Forse.

Ma era anche molto più diretta di lui e non riusciva a fingere di non essere arrabbiata, come invece stava facendo lui, che si nascondeva ancora una volta dietro un velo di menefreghismo. Le mani in tasca, continuava a propinarle quelle perle di saggezza come avrebbe fatto un conoscente disinteressato. Un conoscente che non la conoscesse.

- Ne dubito – le rispose ancora, pacato, per poi sentenziare - E lui è molto più vecchio di te.

Hermione pensò di essere davvero stufa di tutte quelle bugie che lui si inventava così su due piedi, evidentemente solo per farla innervosire. Sapeva benissimo che la cosa migliore, quando faceva così, sarebbe stata ignorarlo, ma proprio non ci riusciva. La sua amata logica ferrea le impediva di stare zitta davanti ad un affronto come quello, che prima di tutto era un affronto alla ragione, alla sua ragione. Dubitava che lei fosse in grado di badare a se stessa? E poi, cosa pensava, che fosse così stupida da bersi qualunque cosa lui le dicesse?

- Cos… cosa?!? È questo quello che pensi… - gli chiese retorica alzando la voce. Poi si rese conto che in fondo quella domanda non era tanto retorica e ripeté la domanda, sperando in una sua resa, in una sua risposta sincera: - Quello che pensi veramente?

Spossata com’era da lui e dalla loro situazione, avrebbe dato il mondo, il suo intero mondo magico e, sì, persino quello babbano, perché lui in quel momento le dicesse cosa pensava realmente. Per conoscere i suoi veri sentimenti.

La risposta di lui, però, le lasciò una sola certezza: nel suo cervello potevano esserci solo noccioline marce, e niente più.

- Sì, è quello che penso – replicò lui deciso, fermandosi e mettendosi di fronte a lei.

Lei che voleva sperare che non fosse tutto lì, quello che pensava. Lei che sperava che ci fosse molto di più, dietro quelle parole, dietro quel muro di pietra contro cui sbatteva ogni volta, ogni volta sempre più acciaccata e malridotta. Ogni volta sempre più stanca di sperare.

 

   
 
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