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Autore: GurenSuzuki    26/11/2010    5 recensioni
Fanfic a 4 mani. GurenSuzuki&Tora.
“Il mio nome è Kyo. La vostra insegnante di matematica, la Signora Fuwa, ha avuto un incidente domestico e attualmente è ricoverata in ospedale con un braccio rotto e l’anca lussata. Ne avrà per qualche mese, ma a parte questo sta bene. Fino ad allora la sostituirò io. Per andare d’accordo con me ci sono solo tre regole da rispettare: Prestatemi attenzione quando spiego; Impegnatevi; e soprattutto, in tutto ciò che fate dalla mattina quando aprite gli occhi fino alla sera quando li chiudete, pensate sempre e solo con la vostra testa.”
Un insegnante fuori dalle righe, acuto e tenebroso e uno studente dalla mente brillante e ribelle. I loro mondi collideranno e, inevitabilmente, l'impatto li unirà.
KyoRuki.
Genere: Commedia, Erotico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Ruki
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CHAPTER 2

Il Lux è un edificio abbastanza diroccato, piccolo e malmesso, nella più sporca e malfamata periferia a sud di Chiba. Non è esattamente il posto migliore dove passare le proprie serate, ma fanno buona musica. E soprattutto non ti fanno storie se non hai un documento che attesti la tua maggiore età.
E' una serata scura, in cui le luci di Tokyo ingurgitano ogni più piccolo barlume argentato del cielo nero. Soltanto un flebile e solitario spicchio di luna veglia sulle strade, e sembra quasi intagliato in quell'immenso drappo buio.
Il locale è scarsamente illuminato. In fondo alla sala c'è un piccolo palco semicircolare, sopra cui l'asta lucida di un microfono svetta vistosamente, riluce come avesse vita propria. E' ipnotizzante.
Mi stò rigirando un bicchiere tra le dita inanellate, gli occhi socchiusi ad osservare senza realmente vedere le piccole increspature della birra.
"Guarda che non diventa una vodka solo fissandola!"
La voce di quel debosciato di Ryo mi ridesta dallo stato catatonico in cui ero placidamente scivolato. Atteggio le labbra in una smorfia infastidita, alzando un sopracciglio senza nemmeno distogliere gli occhi dall'alcolico "Bhe, tenerti le mani sul pacco non te lo farà crescere a livelli ottimali, ma tu continui."
Questo è il livello dei nostri discorsi, più o meno. Io e Ryo ci conosciamo da praticamente una vita. Se cerco di riportare alla mente tanti piccoli particolari della mia infanza, lui è presente. Nonostante sia un idiota, una bertuccia in calore, stupido e infantile, è il mio migliore amico. Gli sono affezionato come a un fratello, e checchè io ne dica non potrei davvero essere sereno senza il suo buongiorno assonnato sul treno delle sei, andando a scuola.
"Invidioso che io almeno lo uso, Taka-chan?" ribatte instantaneamente, procurandomi un intenso fastidio all'udire il mio nome.
"Taci, stronzo."
"Piantatela voi due..." ci ammonisce senza nemmeno guardarci Kouyou, occhieggiando distrattamente il locale e i suoi avventori, accavallando in una posa languida le gambe lisce, scoperte da una minigonna che lascia ben poco all'immaginazione. Ecco, nonostante il volto da bambola e gli occhi obliqui sciolti di malizia, Kouyou è uno dei peggiori zotici che io abbia mai incontrato. Riesce a toccare livelli di scurrilità a me tutt'ora ignoti se solo lo si tocca sulle corde giuste, come riesce a riacquistare un'espressione pacifica e inviolabile. E' bello, Kouyou. Bellissimo. Ha un volto perfetto, un corpo mozzafiato. E gambe che si aprono con una facilità encomiabile. Ma come ho sempre sostenuto non sono affari nostri.
"Nervoso Kou-chan?" domanda pacificamente Yuu, lasciando scivolare la montatura scura degli occhiali sul naso, fino a scoprire gli occhi torbidi come catrame, che si puntellano in quelli screziati di nocciola del biondino al suo fianco, che ciondola distrattamente un piedino curato nell'aria. Yuu è un tipo strano, insondabile direi. Ha modi affabili e sensuali, movenze maschili con un aspetto abbastanza aggraziato da risultare un poco femmineo, lunghi capelli nero pece, tanto lisci al tocco che sembra di immergere la mano nell'acqua. E' altamente snob, e lievemente arrogante dall'alto del suo secondo anno da universitario. E' il più grande tra noi, ma sa essere il più infantile. Però è un balsamo per il mio cattivo umore, sa tirare su le persone con poche parole.
"Non sono nervoso..." ribatte stancamente la bambola, tirandosi via una dispettosa ciocca di capelli camomilla dagli occhi. Poi soggiunge "Finalmente iniziano a suonare, guardate."
Mentre ero ancora immerso in farneticazioni prive di senso, il palco ha iniziato a muoversi nell'ombra: cinque diverse figure sono salite e hanno iniziato a portare gli strumenti.
Improvvisamente, mentre ancora il locale è avvolto dalle spire dell'oscurità, una voce si erge, scivola nell'austero silenzio in cui è piombata la sala e si avvita poi in una scarica di brividi lungo la mia spina dorsale. E' una voce piena, morbida ma graffiante. E' virile. E' sensuale ai limiti della libidine.
Subito la segue una chitarra in un arpeggio melanconico, nostalgico quasi. Come una ninnananna, pare lo sciabordìo rilassante delle onde.
Improvvisamente, mentre le luci spaccano il buio, un urlo agghiacciante rieccheggia, da quella stessa voce. Ora il palco è illuminato e riesco a scorgere l'artefice di ciò: è un ragazzo. Biondo, scarmigliato.
Indossa una camicia aderente e leggera, aperta sul petto glabro. Il ventre è piatto e si intuisce perfettamente la forma guizzante di ogni muscolo addominale. La linea dell'ombelico termina sotto ad una cintura che tiene chiusi un paio di semplici jeans aderenti, che fasciano un fisico maschile ma per nulla volgare o disarmonico.
Il volto è tagliato trasversalmente da occhi magnetici, limpidi. Le sopracciglia sono corrucciate: ha lo stesso sguardo di una belva, prima di sferrare un attacco. Crudo, insensibile eppure attento a ogni barlume di vita.
Quei tratti però... mi ricordano qualcosa. Così come la voce che strilla in quel microfono stretto tra pallide dita sopra cui sono tatuate delle lettere in cirillico---
Kyo?!

Eccoli.
Sono questi i momenti che amo di più nella mia vita.
I momenti in cui ogni luce si spegne, ogni futile chiacchiericcio svanisce nel nulla.
Il silenzio totale.
L’attesa del pubblico.
I riflettori solo su di me.
Solo su di NOI, cinque artefici del nostro destino, cinque titani in lotta contro il mondo intero.
Poi la musica, infine la mia voce.
Tutto ciò che voglio.
Tutto ciò che ho sempre voluto: essere ascoltato.
Essere ascoltato e dire che questo mondo va di merda e fa di tutto per trascinarti dove vuole lui.
E ci vogliono coraggio, palle, e forza per nuotare contro la corrente di melma che ci viene contro da quando lasciamo l’utero di nostra madre.
E’ questo che fanno i Dir en Grey.
E’ questo quello che facciamo.
Avanziamo a gomitate cercando di elevarci con i nostri sentimenti e il nostro talento al di sopra di questo schifo confidando, sperando, che un giorno le nostre grida vengano ascoltate dagli altri. Ascoltate, non sentite, e che spezzino le catene di uomini nati liberi sulla carta ma già in catene in un modo ingiusto e corrotto prima ancora di vedere la luce.
Ed i liberati trarranno in salvo altri prigionieri e questi ultimi privi di ceppi faranno altrettanto in un ciclo di meravigliosa catarsi  finchè  questa terra martoriata non sarà finalmente libera da falsità, perversioni, ingiustizie.
Utopia.
Un Utopia nella quale io credo con tutto me stesso.
Senza sogni un uomo non vive.
Si limita a sopravvivere e senza nulla per cui lottare finisce trasportato via dalla corrente, sottomesso e reso uguale a tutti gli altri.
Non mento se dico che preferirei la morte ad una vita così.
Per questo canto.
Canto con ogni singolo frammento della  mia anima, mettendo a nudo la mia rabbia, la mia speranza, il mio dolore.
Come in questo momento.
Questa sera come ogni altra sera mentre un’accecante fascio di luce ci investe con il suo calore lasciandoci quasi liquefatti sul  palco, le mie mani si stringono attorno all’asta di questo microfono come se fosse la mia unica ancora di salvezza. Il mio corpo trema mentre si muove sinuoso al ritmo della melodia creata dai miei compagni e la gola brucia per quanto sfrutto le mie corde vocali a piena potenza, come se volessi squassare terra e cielo facendo collassare tutto questo una volta per tutte e far rinascere un mondo nuovo e migliore dalle ceneri del precedente. Un mondo nuovo guidato da una generazione nuova.
Una generazione come quella dei ragazzi della V D.
Una generazione come quella di Ruki.
Con un grido d’agonia mi contraggo su me stesso e proseguo a cantare questi versi che narrano di amore e dolore, di due anime che non riusciranno mai a raggiungersi né a toccarsi attraverso il muro dell’incomprensione. *
Quei muri che spero un giorno verranno spezzati via da ragazzi come te, Ruki.
Come ti ho promesso questa è la mia canzone per te.
Ed ora fai del tuo meglio, come io faccio del mio.
Accartocciato nella mia posizione mi sporgo per leccare l’asta del microfono dal basso verso verso l’alto provocando delle grida entusiaste da parte di qualche spettatore.
Se non stessi cantando sorriderei con ironia ed amarezza.
In mezzo a questa gente che grida per un gesto puramente scenico ci sarà qualcuno che ci sta ascoltando sul serio?

Lo seguo con gli occhi, flettere la spina dorsale come uno spago, manovrare il proprio corpo adattandolo alla mimica facciale e agli urli che spaccano le orecchie. E' uno dei canti più emozionanti che io abbia mai sentito. E'... viscerale. E' una mano che scosta un velo di nebbia. E' la luce che parla del buio.
E' ipnotico, porca puttana. Nonostante non si muova per tutto il palco e resti fermo dietro l'asta del microfono, ha la stessa forza di una tempesta. E quegli occhi. Quegli occhi così dannatamente vivi da rasentare l'assurdo, così consapevoli di ciò che gli sta attorno. Lui guarda questo pubblico, il buio di cui è intinta la sala, e ci vede.
"Ehi, Rukun, durello serale?" sento un polpastrello premermi la cerniera dei jeans - che senza rendermene conto è iniziata ad essere leggermente soffocante. Lo scosto con malavoglia e la smorfia sulla mie labbra si indurisce.
"Carino eh?" mi sussurra Kouyou, occhieggiandomi, come volesse capire la mia reazione.
"Mah. Normale." distolgo gli occhi dal palco, decisamente a malincuore, e passo una falange sul sottile bordo della pinta.
"Ma... Ruki, quello che canta non è lo sfigato supplente di matematica?"
Dannato Ryo, dannata lingua lunga di Ryo e dannata memoria di Ryo.
"Boh, forse. E non è sfigato."
Gli altri alla parola 'supplente' hanno drizzato le orecchie e ci fissano interessati.
"No, certo. Solo un patetico idiota che crede davvero di poter cambiare le cose." il biondo fa una smorfia nel parlare e queste parole mi irritano.
"Almeno lui crede in qualcosa. La tua massima aspirazione è scopare, Ryo." ribatto apparentemente disinteressato, giocando con un accendino.
"Le persone hanno tragurdi differenti nella vita." agita una mano nell'aria.
"Piantala di cercare di sembrare intelligente. Ti riesce male." in risposta sporge la lingua.
Mi danno fastidio, alle volte, le persone come lui. Ogni tanto mi fermo a pensare alle priorità della vita, o almeno, a quelle che dovrebbero essere tali. Le persone sono vicine e irraggiungibili, ma nonostante questo riesco a capire dai loro occhi a cosa pensano, su quali basi hanno gettato la loro vita. Non è presunzione, è semplice osservazione.
La maggioranza non ha voglia di cambiare il mondo in cui vive, troppa fatica per gli impiegati dal colletto bianco e il posto assicurato fino ai sessant'anni. Siamo così ordinari, noi giapponesi. Non una virgola fuori posto, tutto corretto e funzionale ai limiti dell'eccesso, razionali fino all'inverosimile. Un popolo triste. Tanto triste da aver creato un variopinto mondo al di fuori dagli ambienti tradizionali, riempiendolo di tutte quelle chincaglierie che ci vietano giorno dopo giorno. Siamo nella società più dicotomica che io conosca: da un lato il ferreo capitalismo delle industrie e delle aziente, e dall'altro il mondo dei consumi e degli eccessi della sfavillante vita notturna.
A noi giapponesi piace così, purtroppo.
A me l'ordine, la staticità, le emozioni sterilizzate, fanno schifo. Preferisco un mondo governato dal caos, ma nel quale io sia libero di essere ciò che voglio, di provare ciò che sento. Un mondo dove possa prendere ciò che la vita mi lancia di petto e godermelo fino in fondo. Provare sensazioni grezze, ma vere. Gordemi il dolore così come la gioia, perché sono mie e mai torneranno indietro.
Io voglio provarci, a cambiare gli ingranaggi.
Mi rendo conto che probabilmente è perché non ho ancora abbandonato il lato infantile della speranza, dell'onnipotenza e che probabilmente possegga un ego inversamente proporzionale alla mia altezza. Ma finché avrò fiato in gola nessuno mi vieterà di esprimere il mio pensiero.
Rivolgo di nuovo gli occhi al palco. Nonostante non lo stessi più osservando le sue parole mi si sono incise nella mente, a fuoco. Marchiate. Sono lettere così armoniose e crudelmente vere.
Improvvisamente, carponi sul palco, si rialza fluido, e passa la lingua lungo l'asta del microfono.
E io me la sento addosso, la sensazione di quel muscolo umido, poroso che passa sopra la mia pelle, lento. E i brividi m'avvolgono al sentire l'ennesima strofa sussurrata.
Improvvisamente tutto intorno si annulla. Ci siamo solo io e lui. Io, lui e la sua voce, che riempie la cavità del mio petto di calore. E' come se stesse cantando per me, questa sera. Solo per me.
Che pensiero idiota...
Cannot reach my voice.
Kyo, voglio raggiungerla. La tua voce. Me lo permetterai?






* 24ko Cylinder – Dir en Grey

note (Guren)

Tengo a dare una piccola nota di servizio:
Guren: testo normale, TimesNewRoman, punto di vista di Ruki.
Tora: testo corsivo, TimesNewRoman, punto di vista di Kyo.

Risponderò stasera privatamente alle vostre recensioni, vi ringrazio con tutto il cuore. Che dire, ci stiamo prendendo gusto a pubblicare xD ma non abituatevi ne!

See you next chapter!
Guren&Tora.
   
 
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