Riveduta e corretta
Dedicata alle persone che mi sono
state vicine nei momenti difficili.
Non vorrei dilungarmi troppo.
Le cose da dire, in fondo, non
sono poi molte quindi cercherò di parlare dell’essenziale, senza troppi giri di
parole. Questa storia, contrariamente al mio modo di fare, non è una storia
breve, non è una one-shot, ma è una storia ha più capitoli. Non so ancora se
sarà una short-fic, o una long-fic, anche se propendo decisamente per la prima
ipotesi, e francamente non so dove mi porterà a finire.
Semplicemente l’ho scritta, così…
in un attimo di tempo. Più come sfogo che come idea ponderata e infine creata.
Non so se può avere più o meno un senso.
Io ci ho provato, credo, a
costruire una rappresentazione credibile senza strafare, ma in fondo non sono
poi così convinto.
Il genere ovviamente è triste,
drammatico, e sicuramente sfocerà anche nel romantico, ma non in questo
capitolo. Giusto per il fatto che questo non è un capitolo, ma bensì un
prologo, una base.
Spero possa incuriosirvi e nel
caso appassionarvi.
Le cose da dire sono terminate.
L’unica cosa che posso fare è augurarvi una buona lettura, sperando di tenervi
piacevolmente compagnia per questo breve periodo.
E adesso… Orgoglio, orgoglio e
verità.
*** ***
***
I personaggi di questa one-shot appartengono tutti a J. K. Rowling. Io li ho utilizzati solo per divertirmi e dilettare
tutti quelli che leggeranno questo breve racconto. I fatti narrati di seguito
non sono mai accaduti nella saga di Harry Potter. Questa storia è stata scritta senza nessuna intenzione
di lucro, si ritiene, quindi, che nessun diritto di copyright sia stato
violato.
*** *** ***
Giustizia
e verità non sempre coincidono
Sentimental days
In a misty, clouded haze
Of a memory that now feels untrue
I used to feel disguised
Now I leave the mask behind
Painting pictures that aren't so blue
The pages I've turned
Are the lessons I learned
Somebody bring up the lights
I want you to see
(Don't you feel sorry for me)
My life turned around
But I'm still living my dreams
(Yes it's true that I've been)
And through it all
I hit about a million walls
Welcome to my truth
I still love, love
Welcome to my truth
I still love
Giorni sentimentali
in una misteriosa foschia nuvolosa
di memorie che ora sembrano false
sono abituata a sentirmi disgustata
ora abbandono la maschera dietro
quadri dipinti che non sono così tristi
le pagine che ho girato sono le lezioni che ho imparato
qualcuno ha acceso le luci, voglio vedere
(non sentirti dispiaciuto per me)
la mia vita prendere una svolta positiva
ma sto ancora vivendo nei miei sogni
(si è vero lo sto facendo)
sono passata attraverso tutto
colpito circa un milione di muri
benvenuto nella mia verità
Io amo
ancora
benvenuto nella mia verità
Io amo
ancora
(Welcome to my truth – Anastacia)
Orgoglio
e verità
Prologo
Giustizia e verità non sempre coincidono.
Ci sono casi – o ovviamente modi di vedere – che comprovano
spesso questo fatto.
A volte non serve fare giustizia se poi, in fondo – dentro a
noi stessi – non conosciamo quello che è successo realmente. La verità è una
cosa strana, ambigua… che presenta svariati aspetti e che a volte confonde,
irretendo.
Molti, nel tempo, hanno prodigato il loro sapere come
veritiero, lasciando erroneamente al caso il compito di supportarli nelle loro
mancanze, ma spesso la loro condizione rappresentava solo una schermata
apatica, inerme, bramosa di potere e di comando…
Molti si sono visti condannare da volti sconosciuti e da
voci ignote, non sapendo per quale smodata ragione del destino tutto quanto
stesse accadendo così in fretta. Inutili le proteste e le grida. Inutile sapere
di essere innocente per poi essere condannato. In qualche modo, questo, fa
ancora più male…
Molti sconteranno pene non loro, in un posto che non li
appartiene e che comunque sembra ricaricarsi man mano che i corpi vivi entrano,
e che i morti – perché in fondo, esiste anche la morte – vengono sdegnosamente
buttati oltre.
L’uomo che adesso si trova incatenato nella cella adiacente
alla mia, dibatte i piedi in maniera furiosa. Il suo volto è intriso da gelida
furia e i capelli rossi che gli cadono flosci sul viso, sembrano fiamme ardenti
e assopite, pronte a colpire il primo venuto. Sa di essere innocente, come
tutti qui… ma non può opporsi alla regola gelida della vita che scorre contro
volontà.
Non può urlare perché verrà picchiato.
Non può fuggire perché verrebbe ucciso.
Non può comunicare perché, in definitiva, sarebbe chiedere
troppo.
Ognuno cerca di occupare il tempo – quel languido e viscido
tempo che scivola via – come meglio crede e come è più giusto che sia. Alcuni
si quietano, in sonni agitati, cercando di evadere dal mondo, quando sanno per
certo di essere prigionieri del mondo stesso.
Altri pensano e si perdono nei ricordi di tempi belli e
ormai svaniti. Lacrime che cadono senza consistenza, invisibile traccia di un
cuore che a poco a poco si sta spegnendo.
E poi ci sono altri ancora, come quel tizio che da poco è
entrato nel mio campo visivo, che non si danno pace. Fremono, si agitano,
digrignano i denti come cani incattiviti dalla fame e dal gelo. Presto – e lui
lo sa – si spegneranno anche loro….
Come tutti qui, del resto.
Con il tempo le energie finiranno. Le violente torture e le
scariche, per nulla misericordiose, di percosse li fiaccheranno fino allo
sfinimento completo. Fino a farli cadere nella depressione più cupa, da dove
non si risale più, senza la luce.
Ne ho visti molti passare davanti alla mia cella. E forse
molti ancora le mie stanche membra riusciranno a vedere. Gente comune,
innocente… banalmente normale.
Anime macchiate dalla sola colpa di trovarsi nel posto
sbagliato al momento meno opportuno, complici di un ticchettio lento di morte
che si propaga come cianuro e che schiaccia ogni coscienza. Sempre.
In fondo, per gli uomini che li controllano, non esiste
giustizia. Esiste solo la loro eterna e sacrosanta vocazione, a seguire il
martirio e l’oscurità, annebbiati da effluvi di benessere mai concretizzati ma
che comunque fanno sempre discretamente interesse.
Per i Mangiamorte non importa se sei vivo o morto. La loro
verità non coincide con la giustizia. Mai. In nessun caso…
E rinchiuderti lì, come carne da macello, non può che
rendere l’agonia dell’attesa ancora maggiore della morte stessa.
Per loro non conta se sei vivo o morto.
Ma per quel tipo strano, con i capelli rossi e l’aria
possente, credo proprio di sì.
*** *** ***
Nebbia. Tanta nebbia…
Che si propaga come gas straziante, circolando per vie e
luoghi che forse non ha mai visto, ma che comunque in quel momento gli
appartengono completamente.
Offusca. Dilania la memoria.
Pensi di essere in un posto e ti ritrovi in un altro. Non
sai dove sei.
Non sai chi sei…
Percorri vie scure, ancor più scure del tuo cuore
tormentato, e ti affliggi con domande non tue, non sapendoti dare risposta
senza cadere in imbarazzo.
Le strade sono deserte come potrebbero esserlo di giorno,
senza fretta apparente, senza scopi per vivere. L’offuscamento dei sensi
continuo, invita i pochi abitanti di quella sperduta cittadina a restare nei
propri anfratti, scongiurando pericoli che non esistono ma che l’immaginazione
non manca di creare.
Una figura esile e leggera si aggira nella notte.
Entra quasi in contrasto con il grigiore del tempo, un corpo
estraneo ai vizi delle cose, di un candore stupendo… unico. Si aggira, con
calma pressoché flemmatica, negli sporchi avanzi di una strada solitaria e
sudicia, come un ombra lucente di un chiarore discontinuo.
Il vento è freddo.
Picchia sulla pelle come un lama, squarciando, ferendo,
rompendo… tratti di un anima ormai spezzata, incolume al dolore per averne
subito troppo. Insensibile al freddo perché è lei stessa parte del gelo.
Un portone. Una palazzina scura, contaminata dalla sporcizia
come tutto il resto.
Mille finestre tristi e grigie dove gli uomini si
acquietano.
Mille finestre sul mondo, che non accoglie, ma respinge
soltanto.
La figura in ombra – più con se stessa che con l’ambiente –
spalanca con un gesto deciso l’ingresso, passando da un’oscurità all’altra, con
interessante noncuranza.
Nebbia. Fuori.
Buio. Dentro.
I suoi passi risuonano sugli scalini consunti di quel luogo
marchiato dal disprezzo, come pugni allo stomaco. Una danza di morte.
Davanti… ancora un’altra porta. Ancora un altro ostacolo.
La vita è piena di porte che si aprono e di porte che si
chiudono. Spesso non facciamo in tempo ad entrare, la lucida facciata di legno
sul viso, e aneliamo con tutti noi stessi di riuscire a varcare quella soglia,
un giorno. A volte, è un errore…
Sarebbe meglio restare lì, nel dubbio di una cosa che non
conosciamo, non rischiando… non temendo. Nell’umida tranquillità che l’essere
codardi riesce a donarci.
Alcune volte, invece, ci proviamo.
E quello che è dentro, non si rivela mai come quello che si
è desiderato. L’attesa sembra vana. I pensieri futili. E scocciati ce ne
andiamo, cercando un’altra occasione. Un’altra porta da aprire… per essere di
nuovo delusi. Ancora.
L’uomo è strano. Perverso. Brama, guarda alle cose con
sguardo concupiscente e poi, quando finalmente le ha raggiunte, le butta via.
Con sdegno. Con disprezzo.
Il desiderio di qualcosa alimenta la voglia stessa. Quando
finisce il desiderio, tutto sembra non avere senso.
Lei, quello strano assembramento di muscoli e fibre, ormai
un senso sembra non trovarlo più.
La figura scura, un patetico mazzo di chiavi disordinate in
mano, entra con forza nella serratura difettosa e preme. La chiave per entrare.
Il segreto per uscire.
La porta si spalanca.
Il deserto che è dentro si muove davanti a lei.
Cianfrusaglie di oggetti inutili circondano quel lugubre spazio. Per terra,
cicche di sigarette appassite, senza forza come il suo possessore e padrone,
riempiono l’aria di odori cattivi.
La figura si accascia al suolo. Sfinita.
Nella breve luce lunare, risparmiata dalla nebbia, riusciamo
a scorgerla appena.
È una donna. Una donna distrutta.
Gli occhi pesanti e infossati di chi dorme poco, un vestito
bianco, stropicciato dal tempo e da mani profane che non conosce. Che odia.
Lei non è più una donna.
È una schiava. Una serva. Costretta contro volontà a servire
uomini ripugnanti. Forzata a percorrere carponi, inchini sdegnosi e privi di
vita, da volontà non sue, ma che la comandano. La opprimono.
Ogni giorno.
Non c’è la faccio più! sembra urlare quel viso non più
così angelico, spento. Non più disposto a lottare.
Per lei ci sono solo state bugie. Bugie e bugiardi. In
successione inversa, ma comunque casuale.
Lei non conosce pace. Non conosce verità.
E forse neanche per lei, quest’ultima corrisponde con la
giustizia.
*** *** ***
A volte credi semplicemente che la vita andrà avanti.
Che nonostante le avversità, nonostante i mille e più
pericoli disseminati sul tuo cammino, tutto quanto – prima o poi – in qualche
maniera si debba aggiustare. Confidi in una speranza che di solito non ti
appartiene, conflitto astruso e ingarbugliato che ti inquieta ma che ti serve
come punto di appoggio, quando tutti i pilastri della tua vita sembrano
crollare.
Preghi. Quando in un esistenza intera non lo hai mai fatto.
E non ti importa se la cosa sia più o meno sacrilega. Non ti
importa se tutti i santi del mondo – parlando per assurdo – inveiscano contro
di te, tacciandoti come eretico, infedele… blasfemo. Non ti importa.
Ti aggrappi a quell’unico filo di speranza che lega ai
ricordi. Ai pensieri positivi.
Ti domandi di cosa ne è stato di quel passato e ti chiede se
quello che ti sta accadendo, possa precludere per sempre i tuoi sogni, le tue
aspirazioni per il futuro.
Io ho sempre desiderato avere una mia famiglia, per esempio.
Un gruppo unito, che si vuole bene, che si aiuta, che si
sostiene. Ho sempre pensato alla famiglia come un posto dove poter tornare
sempre, come un luogo di rifugio quando fuori c’è tempesta. Un posto dove
potersi dire sempre a casa.
Ho sempre sperato, sin dalla prima vera adolescenza – e
sembrerà strano – di poter diventare nonno un giorno, con mille nipotini
scalmanati che si agitano tra le mie grosse manone mentre gli canto la ninna
nanna, con figli di figli agitati, che non trovano pace ma che ti regalano un
sorriso.
I pensieri degli altri erano altri. E a volte, perché in
fondo è andata così, mi univo anche io a quel gruppo di pecore belanti, pronto
a sbavare come tutti sul nuovo modello di scopa nuovo, o sulla più bella
ragazza del corso. Ma queste erano cose futili. Insignificanti.
Gratificanti, fino a un certo punto. Ma considerevolmente
prossime all’oscuramento completo, una volta passata l’infatuazione collettiva.
Ci sono arrivato piano piano, a poco a poco… ho capito che
non aveva senso rifugiarsi dietro comportamenti preconfezionati, regole comuni,
e modi di vita standardizzati. Ho scelto un’altra strada, più difficile forse,
ma comunque un’altra strada. Mi sono allontanato dal gregge, metaforicamente ma
neanche troppo, e ho lasciato le cose al caso, al mio istinto.
Ho deciso di essere libero. Completamente.
Esserlo, ma per davvero – con tutti noi stessi – può voler
dire molte cose.
È libero chi si alza al mattino e non ha preoccupazioni per
la testa. Guarda il futuro senza costrizione alcuna, e quando la sera si mette
sotto le coperte, può sorridere… sorridere come una persona in volo, ignota in
un oceano di tutto e niente, dove non conta cosa fai ma chi sei. Sempre.
Io ho creduto di essere così. Ci ho creduto davvero.
Ho pensato che così facendo, vagando come un ramingo da una
porta all’altra, avrei potuto essere felice. La mia strana equazione di vita
dove la libertà e la felicità erano in stretto rapporto, si è rivelata
sbagliata. Stordendomi.
Semplicemente ho solo creduto di essere libero. Come un
airone dorato che vaga solcando i cieli e accarezza le acque, confortandomi
nell’immagine di pozzi meravigliosi e fantastici, che con forza e facilità
avrei potuto esplorare, solo per il gusto di farlo.
È invece non è stato così. No.
Mi ha fatto male. Mi ha distrutto.
La consapevolezza di quello che facciamo riguarda solo noi
stessi, e se vediamo le nostre sicurezze crollare, se vediamo che le nostre
convinzioni si sgretolano, tutto ci cade addosso…
Ci schiaccia. Ci lacera. Ci annienta.
Il peso della verità che cala su di noi è qualcosa che a
stento riusciamo a sopportare, se la parte in torto, se chi ha sbagliato per
prima, siamo noi stessi e la nostra coscienza.
Io ci ho creduto. Ho sbagliato. Ho sofferto.
E altri lo hanno fatto prima di me, forse prima ancora che
io nascessi.
Una massa indistinta di ciechi che vagano nell’oscurità
convinti che lei stessa sia la luce. Convinti di essere padroni, cercando
rivalse e spadroneggiando su qualcuno che non esiste, ma che comunque ci sembra
reale.
Non lo è. Non lo è mai stato.
E quando arrivi alla fine, e capisci a cosa sei andato
incontro, è ormai troppo tardi.
Sei prigioniero.
I mali del mondo si annidano dentro di te come un cancro
incurabile.
Cattivo, bieco, subdolo… Un nemico che ti avvolge
lentamente, con promesse che non manterrà mai, ma che servono da anestetico
prima di impadronirsi di te con il colpo di grazia.
Io l’ho capito. Ora.
E da libero che credevo sono diventato prigioniero come
sono, senza infamia e senza lode, senza possibile alternativa.
Sono qui. Qui, con i miei sogni infranti e le mie speranze
distrutte, con i dolori alle ossa per i colpi ricevuti sulla schiena…
Sono qui. E piango.
Piango perché non riesco a fare altro. Salato che si
aggiunge ad amaro, perle di luce sbiadite su un volto consunto e consumato da odio
e rancore. Piango. Perché non servirebbe a nulla porre freno alle lacrime,
arginandole, trattenendole… non servirebbe farsi ancora più male.
Soffro. In un luogo buio e sporco che non conosco, ma che i
Mangiamorte hanno preferito che io vedessi.
Sono nelle loro mani. Possono fare di me quello che
vogliono. Possono fare di noi quello che vogliono.
Perché non sono solo io. Siamo in tanti.
Centinaia di celle come la mia esistono, e si consolidano
nei nostri tracciati indistinti di pensiero.
Possono fare di noi cosa preferiscono. Siamo in tanti, ma
soli con noi stessi.
Al dì la del freddo metallo delle sbarre, si aggira una
realtà che abbiamo imparato a dimenticare, quando lei stessa si è scordata di
noi.
Siamo soli. Siamo prigionieri. Siamo in balia della loro
folle ideologia delle cose…
C’è giustizia in tutto questo?
*** *** ***
Una luce fioca.
Sento il calore del sole accarezzarmi il viso. Socchiudo
lentamente le palpebre e mi metto in ginocchio.
Sono stesa sul lurido pavimento della mia stanza – anche se
parlare di stanza è effettivamente eccessivo – e cerco di fare mente locale su
quello che può essere più o meno successo.
Sono mesi che va avanti così, e non mi sorprenderei se la
cosa dovesse continuare a perdurare.
Mi metto a sedere. Ho un brivido. Mi rannicchio come posso
portando le mani alle ginocchia, cercando un calore che dentro me stessa non
esiste praticamente più.
Sono stanca. Le ossa mi fanno male, sento ancora
scricchiolare la costola rotta, simpatico regalino lasciatomi da un cliente
insoddisfatto, e le giunture sembrano sul punto di esplodere in mille pezzi.
Semplicemente non ce la faccio più.
Da quando la seconda era è iniziata, da quando le forze del
male hanno preso il sopravvento, non è più possibile vivere. Vivere a livello
fisico, forse. Tra gli abusi e gli stenti, con dolori che ti perforano il
corpo, con maniaci possessivi che ti violano in ogni momento, è ancora
possibile vivere. Ma questo, purtroppo, non è vivere. Neanche sopravvivere.
Solo… rimandare. Rimandare una morte che non riusciamo ad accettare, una resa
che non riusciamo a concepire.
Siamo rimasti in pochi. Pochi cuori che hanno ancora il
coraggio di crederci, di sperare. Poche anime che non si rassegnano all’idea
che tutto debba finire così. Pochi uomini che non si sono mai piegati e non si
piegheranno mai.
Mai… ma in fondo, per cosa?
I Mangiamorte hanno preso in breve tempo l’intero controllo
del regno magico. I ministri delle varie nazioni del mondo hanno nominato – con
ironia, all’unanimità – il Signore Oscuro capo reggente del mondo finora
conosciuto. Le cittadine che ancora resistono si possono contare sul palmo di
una mano, e i morti hanno raggiunto un livello oltremodo inqualificabile.
Mancano i più naturali diritti di base per la convivenza
civile, le cerchie nere – come vengono ormai definite le branchie più
sanguinose dell’Oscuro – spadroneggiano in lungo e in largo commettendo delitti
senza senso, per puro divertimento, distruggendo famiglie esistenti da
generazioni, deturpando le basi del genere umano.
Strofino convulsamente le mani sulle gambe. Il freddo mi si
è ormai annidato nell’anima. Un freddo per la temperatura che scende, un freddo
per il cuore che ormai è spezzato.
Sono sola. Sola.
Il ragazzo che è sopravvissuto una volta ha fallito. Non è
sopravvissuto una seconda. Ci ha provato, ha tentato… ma non ce l’ha fatta.
Mancava davvero poco, ma niente. Forse sarebbero stati giorni migliori…
Sono sola. Sola.
Hogwarts è crollata. Dopo la morte di Silente,
effettivamente, non è stata più la stessa. Gli attacchi sono stati continui,
ripetuti. Impossibile reggere a lungo. Impossibile sperare di salvarla.
Sola.
Lui. Lui non c’è più.
O meglio, non è più con me.
Fu catturato in un giorno senza particolari avvenimenti alle
prime avvisaglie di tenebre.
Da quel giorno non l’ho più rivisto. Mai più.
Ma so che è vivo. Dentro di me, dentro il mio cuore, lo
sento. Sento il calore che si sprigiona inaspettato dentro di me quando penso a
lui. Posso vedere le sue mani callose sul mio viso ansioso di lacrime, i suoi
occhi azzurri, talvolta grigi, scrutarmi attentamente in cerca di risposte,
posso sentirlo sulla pelle, sotto i segni vistosi di matite ingiallite, sotto i
lividi rossi di uomini senza coscienza.
Sì, lui è vivo.
Ed è per questo che continuo a sperare. Con rabbia. Con
orgoglio.
Glielo devo. E forse lo devo anche a me stessa.
*** *** ***
Il muro del pianto.
Ho raccolto le poche cose in mio possesso per affrontare il
nuovo giorno. Il mio vestito, bianco lucente, è macchiato da abominio
indiscriminato, da sostanze che non mi appartengono, che non mi riguardano.
Sono una schiava, un serva. Il regime imposto in questi luoghi è insostenibile,
ma è anche vero che solo i pochi che riescono a reggerlo sono ancora vivi.
Vivi… vivi perché quando gli altri abusano di noi i nostri occhi si fanno vacui
e non riusciamo a vedere, vivi perché i dolori li abbiamo dentro e riusciamo a
contenerli, vivi perché abbiamo deciso di esserlo, fino alla fine.
Non mi importa. Non mi importa se il mio corpo viene
violato. Devo vivere. Voglio vivere. Voglio ritrovarlo.
Mi metto in ginocchio sulla terra umida del campo. Serro le
mani come mi è consuetudine fare e alzo gli occhi.
E lo vedo. Alto, possente… il ricordo.
Il muro del pianto dove quelli rimasti pregano quelli che se
ne sono andati, dove i ricordi si condensano e le sensazioni si intrecciano,
dove la vita è scritta dall’uomo e si eleva per l’uomo stesso.
Mille nomi. Mille date.
Aggiunti a poco a poco, quando prima non c’era nient’altro
che freddo cemento, hanno ormai occupato l’intera facciata e i colori sbiaditi
dal tempo e dalle piogge sembrano rilucere ad ogni nuovo sguardo.
Ad ogni nome, una vita. Ad ogni data, una morte.
Gente conosciuta, o forse soltanto intravista, uomini che
non ho mai avuto il piacere o l’onore di incontrare… tutti qui, segnati in modo
indelebile più nella mente che nella realtà. Ed improvvisamente mi sembra di
conoscerli tutti.
Vedo un nome in fondo alla parete spiccare con affetto. Non
l’ho mai sentito, né mai veduto. Eppure mi immagino il viso, gli occhi, il corpo.
Mi immagino di vederlo correre verso il cielo e alzare la mano. Un saluto. E
poi sparire.
Li vedo tutti insieme. E tutti insieme li vedrò sempre.
Mi alzo. Il vestito non è più bianco come prima. Solo
infangato.
Infangato come quel nome splendente d’azzurro che mi si è
posto davanti. Azzurro come i suoi
occhi. È la mia calligrafia.
Con un gesto rispettoso volgo la testa verso il basso.
La malinconia mi prende. Ma è solo un attimo.
Io cancellerò quel nome un giorno. Lo cancellerò.
Perché semplicemente i vivi non possono esistere sul muro
del pianto.
E lui è vivo.
Non è solo orgoglio.
Fine
prologo
Allora, questo prologo è concluso.
Non so quanto tempo ci vorrà per il nuovo capitolo, ma
prometto di impegnarmi per concludere al più presto questa storia. Ovviamente
con il prossimo capitolo entreremo nel vivo della situazione, e certe cose
risulteranno più chiare.
Sperando di non avervi annoiato
Nightmare
Ovviamente qualche commentino è
ben accetto! ^^
*** *** ***
Angolo degli annunci:
E’ stato aperto da un qualche mese
un nuovo forum di Harry Potter molto carino. Abbiamo un gioco di ruolo, lo
smistamento, e ogni settimana chi troverà la soluzione all'indovinello che
l'Amministratore propone vincerà avatars, gift e animazioni riguardanti chiaramente
Hp! Abbiamo bisogno di nuovi iscritti per salire nella Top 100! Quindi, perché
non ci fate un salto? Ci farebbe davvero molto piacere.
Sento il bisogno di
proporvi anche un altro forum! Non che io condivida i principi morali di questo
sito, ma visto che è stato creato da 3 delle mie più care amiche, mi sembrava
giusto segnalarlo!
Solo per chi odia,
disprezza, ritiene indegna di ruolo di attrice… Emma Watson!
Per coloro che volessero
contattarmi, per parlare del forum o di qualsiasi altra cosa, accludo il mio
indirizzo e-mail e il mio indirizzo MSN:
<<
Un grazie infinito al cielo, per avermi donato le stelle… >>
Continua!!!
Commentino!
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