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Autore: valecullen_thedevil93    05/12/2010    6 recensioni
Angel e Devil sono in guerra da 5 secoli. Nessuno sa da cosa abbia avuto origine la guerra, Raf sa solo che troppi elementi non tornano,a cominciare dal fatto che i devil stanno per essere sconfitti nonostante siano piu' abili degli angel. E quando lei e la sua amica Uriè decideranno di indagare, faranno un incontro che cambiera' il loro modo di vedere le cose... da quell'incontro Raf e Sulfus usciranno incredibilmente legati, tanto che, molti anni più tardi, quando la verità verrà svelata, quando arriverà il momento per la nostra protagonista di prendere una decisione, non avrà dubbi, nonostante tutto, su chi scegliere. In un mondo dove non esistono i terreni e il VETO e dove niente è ciò che sembra, una angel e un devil troveranno la forza di spezzare il giro di violenze che stanno piegando i loro popoli, creando un sentimento puro e incondizionato; un potente amore tra due persone diverse e al contempo uguali. Potrà il loro amore porre fine a una guerra che dura da secoli?
Genere: Fantasy, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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SAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAALVE!!! *ALLA BRUNO VESPA IN STRISCIA LA NOTIZIA XDXDXD* VISTO CHE IL PROLOGO VI E' PIACIUTO MOLTO HO DECISO DI FARVI UN BEL REGALINO... VISTO CHE HO GIA' PRONTO IL PRIMO CHAPPY VE LO POSTO SUBITO SUBITISSIMO ^^ SI PARTE DA UN PO' PIU' INDIETRO NELLA STORIA... QUESTO PASSAGGIO E' FONDAMENTALE PER FARVI CAPIRE CHE NIENTE E' COME SEMBRA E, SOPRATTUTTO, COME I NOSTRI BENIAMINI USCIRANNO DA QUESTO INCONTRO... PREPARATEVI A SENTIRNE DELLE BELLE XDXDXD A VOI IL VERDETTO... RECENSIONI IN FONDO COME AL SOLITO!!! ^^

LOVE AND WAR

CAPITOLO 1°: “PRIMO INCONTRO”
POV RAF
5 anni prima
Mi svegliai al suono delicato di qualcuno che bussava alla mia porta. Mi rigirai fra le coperte mugugnando qualcosa di indistinto e mi tirai il lenzuolo sopra la testa, chiaro segno che non avevo nessuna intenzione di lasciare il mio letto caldo.
«principessina. Principessina si alzi. Deve andare a lezione», mi disse una delle mie innumerevoli cameriere entrando in stanza, scoprendomi con un gesto secco.
Io mi lamentai gemendo a bocca chiusa e tuffai la testa sotto il cuscino, «uffa per favore Greta, lasciami dormire», la implorai con voce lamentosa. Anche se ero una principessa ero pur sempre una ragazzina di tredici anni; volevo avere anche del tempo per me, uscire con le amiche, dedicarmi ai miei hobby e fare dello sport, non andare ogni giorno a delle stupidissime lezioni angeliche, incentrate sul comportamento e le conoscenze che una principessa come me doveva avere. Mi sentivo stretta in queste vesti, quasi soffocare. Avevo voglia di uscire, godermi il mondo, e non rimanere sempre chiusa dentro questo castello ad ammuffire. I miei genitori non mi facevano mai uscire, dicevano che le strade erano pericolose, ma io, in realtà, credevo che ci fosse qualcosa da cui mi volevano tenere nascosta, anche se non capivo il motivo.
«no no, principessina Raf, non ci pensi nemmeno!», mi disse con voce autoritaria Greta, levandomi il cuscino dalla testa, «lei deve frequentare le sue lezioni, perciò si sbrighi ad alzarsi e a fare colazione, perché il maestro la sta già aspettando in sala prove», mi disse e, detto fatto, uscì.
Soffocai un grido di frustrazione nel materasso e, con uno sbuffo, mi alzai. Mi diressi nel mio bagno privato, dove trovai la vasca già bella e pronta. Le mie domestiche dovevano aver provveduto a riempirla. Dentro vi galleggiavano dei delicati petali di rosa rossa. Mi accigliai; dicevo sempre che preferivo le rose blu, ma non mi ascoltavano mai.
Lasciai cadere la mia vestaglia a terra e mi immersi nel piacevole tepore dell’acqua, lasciando che la mia mente smettesse di pensare. Dopo un po’, quando ormai l’acqua di era fatta fredda e io avevo i brividi lungo il corpo, mi decisi ad uscire. Mi avvolsi una asciugamano intorno al corpo e, con un altro più piccolo, cominciai a frizionare i miei lunghi capelli biondi per farli asciugare.
Tornai in camera per scegliere i vestiti quando la porta si spalancò, lasciando entrare la mia migliore amica Uriè. Teoricamente avrebbe dovuto essere solo la mia dama di compagnia, ma per me era molto di più; era la sorella che non avevo mai avuto, «buongiorno Raf!», urlò, contenta come al solito. Non sapevo da dove tirava fuori tutta quell’energia di prima mattina, visto che io a quell’ora ero sempre uno zombie. Corse ad abbracciarmi e io ricambiai la stretta.
Quando si staccò mi accorsi che aveva lasciato la porta aperta, «ehm Uriè», le dissi titubante e con la faccia in fiamme, «ti dispiacerebbe chiudere la porta? Sai non voglio mostrare le mie grazie al mondo».
Lei si voltò all’improvviso e si rese conto di verla lasciata spalancata, «oddio scusami!», urlò, e corse a chiuderla.
Io scoppiai a ridere e mi voltai verso il mio immenso armadio, facendo cadere l’asciugamano a terra. Aprii le ante e mi immersi nell’immensa cabina alla ricerca di qualcosa di comodo da mettere, cosa praticamente impossibile se si considerava il fatto che, essendo una principessa, dovevo essere sempre impeccabile e avere vestiti costosi e assolutamente scomodi.
Uriè mi si affiancò divertita; era consapevole di quanto odiassi la moda,  «allora che cosa vuoi per oggi Raf?», mi chiese ilare. Niente le faceva più piacere che immergersi nella moda, anche se come gusti era molto anticonformista.
Io ci pensai su, «direi short e maglietta», le dissi e lei sorrise, prima di immergersi fra gli innumerevoli corridoi della mia cabina armadio e uscire pochi secondi dopo con uno short di jeans e un top azzurro cielo, il mio colore preferito.
Li presi in mano sorridendo da un orecchio a un altro, insieme alla biancheria che mi aveva recuperato da un cassetto, «ancora non so come fai ad essere così rapida di prima mattina. Ma di sicuro so che non sarò mai maniacale come te», le dissi e scoppiai a ridere, seguita subito da lei.
Feci appena in tempo a vestirmi che Greta entrò di nuovo in camera, «signorina Raf, ancora così?», disse esasperata alzando gli occhi al cielo, «si sbrighi che il professore di dizione la attende in biblioteca», mi disse, e mi spinse con gentilezza ma allo stesso tempo con fermezza fuori dalla porta. Uriè sghignazzò sotto i baffi, sapeva che detestavo andare a quelle insulse lezioni. Mimai con le labbra un, «dopo me la paghi» e mi avviai al patibolo.
 
Uscii dalla biblioteca con un mal di testa atroce e l’irritazione alle stelle. Oddio non ce l’avrei mai fatta a seguire un’altra lezione da quel vecchio barbuto e con la pancia che sporgeva un chilometro. Era tutto un «stai dritta e non far cadere il libro dalla testa!» e «ricordati di camminare sempre a piccoli passi e di ondeggiare come se stessi danzando». Sbuffai; come se me ne fregasse qualcosa di camminare leggiadra come una ballerina.
Avevo solo un’altra lezione quella mattina, quella di storia. Esultai; era l’unica lezione che mi piaceva seguire. Amavo sentir parlare di quello che era successo e succedeva tutt’ora nel mio mondo; era il mio unico contatto con la realtà. Mi avviai saltellante verso la sala del castello adibita  a studio per la mia lezione. Arrivata, bussai alla porta e la voce roca del professore mi disse di entrare.
Aprii la porta e mi ritrovai di fronte il professor Arkhan, il mio insegnante di storia. Aveva capelli e barba bianchi, luminosi occhi azzurri nascosti da un paio di occhiali, ali e aureola splendenti di bianco e vestiva di una lunga tunica bianca. Mi sorrise e mi fece segno di accomodarmi. Mi sedetti al tavolo composta e aprii il libro.
«bene Raf», esordì il professore guardandomi severo negli occhi, come ad ammonirmi di qualcosa, «ormai sei abbastanza grande per sapere quello che accade al di fuori di queste mura. Perciò è tempo che ti parli della guerra e dei nostri avversari, i devil», mi disse con tono solenne, come se la guerra fosse qualcosa di cui andare fieri.
Io mi rabbuiai immediatamente e i miei occhi si velarono di lacrime. Come se non sapessi niente; avevo cercato da sola le mie informazioni, documentandomi su tutto quello che c’era a sapere. E avevo appreso cose da far accapponare la pelle. Mi estraniai mentre il professore cominciava a spiegare le origini dei devil e della guerra. Osservai la vita che scorreva fuori dalla finestra; il cielo azzurro e terso, l’immenso giardino del palazzo brulicante di vita e, più in la, le strade e le case della città, protagoniste del caos mattiniero che avvolgeva il mercato in piazza. Mi rattristai, perché qui ad Angie Town, la capitale del regno angelico, la guerra era un miraggio lontano che non intaccava la felicità e il quieto vivere del popolo. L’indifferenza assoluta degli angel mi lasciava inorridita, se pensavo che, in quel momento, dei miei simili stavano morendo in battaglia.
Bastava uscire dalle mura della città per scontrarsi con quest’amara verità; le baraccopoli addossate alle vie d’accesso al paese lasciavano vedere tutta la miseria e la disperazione che la guerra aveva portato con se, una stupida guerra che si protraeva da più di cinque secoli.
Personalmente pensavo che fosse inutile continuare a combattere; benchè detestassi i devil, rinomati per le loro crudeltà attuare ai danni del popolo angel, avevo pietà di loro, e ritenevo che far cessare la guerra sarebbe stata la scelta migliore per tutti. Non aveva senso continuare a massacrare un popolo che sapevamo essere ormai sconfitto. Inoltre gli eserciti erano allo stremo su entrambi i fronti, nonostante noi angel avessimo all’attivo decisamente più vittorie rispetto ai devil e avessimo strappato loro fette consistenti dei loro territori. Persino Zolfanello City, la loro capitale, era caduta e i devil avevano edificato una nuova città in un luogo sicuro e segreto, talmente tanto che non eravamo ancora riusciti ad individuarlo.
Il problema dei devil era che erano sfuggenti come il fumo. Le loro incursioni erano devastanti, perché riuscivano a penetrare nel nostro territorio senza farsi notare; così erano in grado di infliggere duri colpi ai nostri eserciti. Non avendo più le forze per affrontare uno scontro in campo aperto, basavano la loro strategia sulla guerriglia.
«principessa, principessa Raf, mi sta ascoltando?». Uno schiocco di dita di fronte a me mi fece sobbalzare e ritornare in me. Il professor Arkhan mi guardava a metà tra l’arrabbiato e l’interrogativo.
«mi scusi prof, stavo pensando a una cosa», gli dissi ed era la verità, perché c’era veramente un quesito che mi aveva sempre assillato da quando avevo appreso la nostra situazione politica. Forse ora avrei potuto trovare una risposta.
Lui con un cenno della testa mi fece segno di continuare, «stavo pensando alla situazione tra angel e devil», cominciai e lui si irrigidì, anche se non capii perché, «perché continuiamo a combattere? Ormai abbiamo vinto, li abbiamo praticamente sottomessi del tutto, perché continuare a sprecare vite? E poi, a rigor di logica, teoricamente i devil avrebbero perlomeno dovuto tenerci testa, loro sono nati per combattere. E invece abbiamo quasi sempre vinto noi. Perché?», gli chiesi, e lui mi fissò malissimo, come se avessi appena detto qualcosa di sconveniente e proibito.
«principessa, in battaglia non contano solo i muscoli ma anche il cervello. Se usato bene, può essere un’arma letale, perché l’intelligenza batte sempre la forza bruta, e quei devil non saprebbero ideare una strategia neanche se si spremessero le meningi per secoli», concluse con tono sprezzante ma allo stesso tempo teso.
Non mi permise di porgli altre domande che ricominciò a parlare, troncando così sul nascere la conversazione. Questa risposta sbrigativa e per nulla convincente mi lasciò confusa e perplessa. Gli angel non sapevano mentire, si riconosceva subito un angel che lo faceva, ed ero sicura che il professor Arkhan non mi avesse detto niente di vero. Ma perché mentire? Cosa aveva di così importante da nascondere che lo aveva spinto a dire cose non vere a me, la principessa degli angel? Anche se avevo tredici anni, era mio diritto e mio dovere sapere tutto ciò che c’era da conoscere sul mio popolo. Solo così avrei potuto essere una brava regina, ed avevo la netta sensazione che la cosa che mi stava nascondendo, qualunque cosa fosse, fosse molto importante. E il mio settimo senso non sbagliava mai.
Mi accorsi a malapena della lezione che finiva e del professore che mi congedava, dicendomi che la lezione successiva si sarebbe tenuta il giorno seguente. Continuavo a pensare  a quello che mi aveva tenuto nascosto e che, forse, avrebbe potuto cambiare in meglio le sorti del nostro mondo.
Mi incamminai con passo latente verso la mia camera, dove trovai Uriè ad aspettarmi, «ehi Raf, come sono andate le lezioni? Scommetto una noia vero? Tanto lo so che non le sopporti…», la sua voce si affievolì fino a sparire. Fissò con aria interrogativa la mia espressione seria e pensierosa, probabilmente chiedendosi cosa avessi per comportarmi in maniera tanto strana.
Chiusi la porta e le feci cenno di sedersi sul letto. Lei obbedì e, dopo averla raggiunta, le raccontai tutti i miei dubbi sugli angel, i devil e la guerra. Lei mi ascoltò paziente fino alla fine della mia spiegazione, ma la sua reazione fu secca e decisa, «non capisco come tu faccia a provare compassione per quegli esseri abietti, Raf!», esclamò non arrabbiata, furibonda, «hanno massacrato il nostro popolo, devastato il nostro regno e ridotto il nostro paese in ginocchio. Non capisco proprio come tu faccia a pensare cose del genere, sapendo quello che hanno fatto!», sbottò, rossa di rabbia.
«si lo so Uriè, questo è quello che sappiamo noi, che sanno tutti, ma prova ad essere obiettiva», le dissi con calma, provando a farla ragionare, «abbiamo sempre vinto noi ma, a rigor di logica, avrebbero dovuto essere loro a vincere la guerra. Invece non sono nemmeno stati in grado di tenerci testa. Non lo trovi abbastanza strano?», le chiesi come se fosse ovvio.
Vidi il suo sguardo varare sul dubbio, forse qualcosa stava nascendo dentro di lei. Dovevo battere il ferro finchè era caldo, «per non parlare del fatto che nessuno può uscire da Angie Town», continuai, accennando ad una legge che avevo sempre trovato assurda, «perché non possiamo uscire? I territori sono sicuri, perché privare i cittadini della libertà di passeggiare per i boschi? È come se volessero nasconderci qualcosa e, se permetti, a me pare molto sospetto il fatto che nessuno voglia mai parlare della guerra. Appena la si nomina, tutti si irrigidiscono, distolgono gli occhi e cambiano discorso», continuai la mia arringa, sotto il suo sguardo sempre più vacillante.
«sento che c’è qualcosa di grosso dietro a tutto questo», finii, «qualcosa che potrebbe cambiare le sorti del nostro paese. E non mi fermerò fino a che non avrò scoperto di cosa si tratta», conclusi, determinata come non mai a scoprire il motivo di tutto quel mistero.
Uriè sospirò e mi guardò negli occhi, «ammesso e non concesso che tu abbia ragione, credi che sarà facile cercare delle prove di qualcosa che potrebbe benissimo non esistere? Qualsiasi sia la cosa che tengono nascosto deve essere molto importante. Non puoi andare semplicemente in giro a chiedere “ehi sai qual è la verità sulla guerra che è in corso da cinque secoli contro i nostri nemici di sempre, i devil?”», mi chiese come se fosse una domanda retorica, «al minimo ti ridono in faccia e al massimo ti sbattono in galera e ti ci fanno marcire a vita. Mi spieghi come pensi di fare? Non voglio perdere la mia migliore amica», aggiunse preoccupata, prendendo una mia mano con la sua.
Ricambiai la stretta, che sapeva di famiglia, «non so come ma troverò il modo. Devo scoprire cosa si nasconde dietro a tutto questo. Ho bisogno di sapere che non mi lascerai da sola però», le dissi guardandola negli occhi.
Lei mi sorrise e mi strinse più forte la mano, «ovvio Raf! Non potrei mai lasciarti da sola ad affrontare una prova del genere. E poi anche io sono curiosa si conoscere la verità», mi disse guardandomi determinata negli occhi. E Uriè quando guardava negli occhi non mentiva mai. Le sorrisi e l’abbracciai di slancio. Non avrei mai potuto avere amica migliore di Uriè.
Lei si staccò e mi guardò, sorridendo furbescamente, «ora però non pensiamoci più. È ora ormai», mi disse e io capii all’istante e feci un mega sorriso a trentadue denti.
Ci alzammo e ci fiondammo dentro la mia cabina armadio. Arrivammo fino in fondo, dove c’era il reparto delle scarpe. Aprii un’anta della cassettiera a muro dove tenevo le scarpe e scoprii un pannello di comando. Vi poggiai sopra la mia mano e, dopo averla scannerizzata, aprì la porta segreta. La scarpiera si ritirò di lato, rivelando una stanza luminosa che conoscevamo solo io e Uriè.
Quella stanza era la nostra base; vi avevamo messo dentro tutto quello che nel mondo angel era proibito; le nostre armi, i libri proibiti, i nostri scritti più arditi, i nostri quadri più provocatori e tutto quello che non era consono ad una angel, compresi gli ingredienti per le nostre pozioni, passione decisamente più da devil che da angel.
Sorridemmo e ci cambiammo: togliemmo i vestiti da palazzo e ci mettemmo quelli che usavamo per l’allenamento. Casacche aderenti aperte sui lati, pantaloni di tessuto aderentissimi che scomparivano negli stivali col tacco (si, noi combattevamo con i tacchi) e la cintura con le armi. Avevo sempre la spada appesa al fianco sinistro, la frusta sul destro, l’arco e la faretra appesi sulla schiena, un pugnale infilato nello stivale destro e i sari, i pugnali da guerra, incastrati in due tasche invisibili ad occhio nudo all’altezza delle cosce. Sapevo maneggiare ognuna di queste armi, anche se Uriè preferiva l’ascia e la lancia.
Una delle cose assolutamente proibite per una angel era imparare l’arte della guerra, ritenuta un argomento di competenza esclusivamente per i maschi. Ma io e Uriè avevamo una vera passione per il combattimento; ci piaceva volteggiare leggiadre e letali e, grazie ai manuali sull’arte del combattimento che avevamo, diciamo, preso in prestito dalla biblioteca, avevamo imparato tutto quello che c’era da sapere sulle armi e sulla difesa a mani nude. Perciò tutti i giorni uscivamo sempre di nascosto dal castello e andavamo nella foresta che circondava la città ad allenarci.
Quando fummo pronte, io con il mio completo azzurro e bianco e Uriè con il suo completo giallo e arancio, ci avviammo attraverso un passaggio collegato alla stanza che portava fuori dalle mura. Così potevamo uscire senza essere viste.
Arrivate in fondo al passaggio, sollevammo una grata e uscimmo dalla base delle mura nella foresta. Aiutai Uriè ad uscire e, dopo aver rimesso a posto le sbarre, ci avventurammo fra gli alberi, fino a che non arrivammo a una piccola radura sormontata da una cascata che scendeva ripida da un’altura.  Era il nostro posto segreto per allenarci.
Come al solito, lasciammo le armi e cominciammo a fare degli esercizi per migliorare la nostra muscolatura, la nostra forza e anche il nostro corpo. Insomma, anche la parte estetica faceva la sua parte. Poi ci dedicammo alla lotta a mani nude; volevamo saperci difendere non solo con le armi ma anche senza. Semmai ci avessero disarmate, allora avremmo saputo come reagire. Infine passammo alle armi.
Rimanemmo lì per tre ore buone e, sfinite, ci accasciammo per terra, «non ti sopporto sai Raf?», mi disse Uriè sbuffando imbronciata, «mi batti sempre, accidenti a te! ma prima o poi ci riuscirò, non temere», sbottò arrabbiata più con se stessa che con me, visto che ogni volta non riusciva a battermi in nessuna delle nostre sfide.
Io scoppiai a riderle in faccia, «si certo Uriè, allenati qualche altro secolo e forse ce la farai», le dissi per prenderla in giro. Ovviamente non erano cose serie, semplicemente ci piaceva punzecchiarci.
Lei, fintamente indignata, distolse lo sguardo, «guarda che mi ritengo offesa. Perciò mi sento anche in dovere di fartela pagare», dissi ridendo e, all’improvviso, una secchiata d’acqua mi arrivò in faccia, facendomi urlare di sorpresa.
«Uriè!», urlai imbufalita, correndole dietro. Lei scappò ridendo, e da lì prese il via una gara di schizzi epocale.
Stavamo ancora giocando quando rumori sospetti attirarono la nostra attenzione. Ci fermammo e rimanemmo in silenzio perfetto, per ascoltare ogni minimo suono. Quello che sentimmo ci fece accapponare la pelle; dalla città le fanfare d’allarme suonavano a tutto spiano, e si sentiva rumore di passi che correvano verso di noi. Non erano vicini, ma era meglio levare le tende se non volevamo farci scoprire, per non parlare del fatto che non volevamo assolutamente incappare nella cosa che le guardie stavano inseguendo.
Raccogliemmo in fretta tutte le nostre cose e, proprio mentre stavamo per nasconderci dietro i cespugli che delimitavano la radura, una figura alta e muscolosa entrò nello spiazzo. Ci pietrificammo sul posto e ci guardammo negli occhi stupite come non mai; davanti a noi, un ragazzo all’incirca della nostra età, dai capelli nero-blu come la notte e un fisico da far invidia a un dio greco, ansimava con forza, tenendo lo sguardo basso e una mano sulle ginocchia, piegate dallo sforzo della corsa. Aveva un fagotto sotto il braccio, avvolto in un panno bianco, a cui sembrava tenere molto visto il modo in cui lo stringeva. Il problema è che era un devil, come testimoniavano le sue corna rosse e le sue ali da pipistrello.
I passi si facevano sempre più vicini e lui, con un sospiro, rialzò la testa, raddrizzò il busto, e fece per ricominciare a correre. Fu in quel momento che ci vide; quando i suoi occhi incrociarono i miei, mi ci persi dentro. Erano di un caldo colore ambra e risaltavano sul viso grazie alla stella rossa tatuata attorno all’occhio sinistro. Allargai la visuale e mi resi conto che quel ragazzo era davvero bellissimo; naso dritto, labbra rosse e carnose e lineamenti spigolosi e definiti. Insomma, un vero capolavoro della natura. Era vestito come un guerriero e sul suo fianco faceva bella mostra di se la spada.
Non appena ci vide si irrigidì, esattamente come noi. Ma non fu la sua espressione di odio e disprezzo che mi fece tremare. No; era la freccia conficcata nella sua spalla destra all’altezza della scapola. La ferita dava l’impressione di essere molto profonda e stava perdendo molto sangue. In effetti, mi stupivo di come fosse riuscito a scappare, perché la debolezza che scaturiva da una ferita del genere si propagava nel corpo in modo rapido e letale.
Lo fissammo incapaci di fare alcunché, esattamente come lui. Non sapevo perché, ma non riuscivo a provare l’istinto di ucciderlo. Era un devil, eppure non lo consideravo un nemico, bensì qualcuno da proteggere; forse perché era ferito, forse perché aveva la mia stessa età, o forse perché sapevo che se lo avessero preso lo avrebbero di sicuro ucciso. Non avrebbero avuto pietà di lui solo perché era un ragazzo.
Ci riscuotemmo tutti quando sentimmo delle voci provenire dalla foresta farsi sempre più vicine, «è andato da questa parte! Forza, quel bastardo non deve sfuggirci!».
Lui ci guardò impaurito, sapeva di non essere in grado di affrontare un combattimento ferito com’era. All’improvviso barcollò e cadde in ginocchio, portandosi la mano sinistra, quella libera dal fagotto, sulla spalla ferita. Stava perdendo le forze rapidamente, non sarebbe mai riuscito a scappare.
Perciò agii d’impulso. Corsi verso di lui, gli presi il braccio sano e me lo feci passare sulle spalle, aiutandolo ad alzarsi in piedi. Lui cercò di liberarsi ma, debole com’era, non ci riuscì. Cercai il suo sguardo e, quando lo trovai, lo pregai con gli occhi di fidarsi di me. Lui mi guardò stupito e meravigliato, come se non credesse ai propri occhi, ma smise di cercare di liberarsi.
«Raf, ma sei per caso impazzita?!», mi domandò Uriè scioccata, che nel frattempo ci aveva raggiunti, «non puoi aiutare un devil! Va contro tutte le nostre regole!», mi disse scandalizzata.
Io la guardai con fermezza negli occhi, facendole capire che ormai avevo deciso, «non lo lascerò morire Uriè. La mia coscienza non me lo permette e lo sai anche tu che ho ragione», le dissi. Ormai avevo già preso la mia decisione.
Lei sospirò e scosse la testa, «tanto con te è impossibile ragionare vero? E poi comunque hai ragione. Non potrei mai lasciarlo morire», disse, e io sorrisi.
Andò sull’altro lato e, sostenendolo dal fianco perché il braccio era ferito, mi aiutò a portarlo nella boscaglia e nasconderlo tra i cespugli. Ci accertammo di non aver dimenticato niente per non destare sospetti e, rannicchiati contro un albero, aspettammo.
Pochi secondi dopo una pattuglia angel entrò nello spiazzo, sicuramente alla ricerca del ragazzo che sentivo di dover proteggere. «non può essere andato lontano, maledizione! Trovatelo!», urlò il comandante, e subito i dodici angel si misero alla sua ricerca frenetica.
Lo sentii irrigidirsi di fianco a me, seguito da me; se continuava così ci avrebbero di sicuro trovati, e nulla mi avrebbe risparmiata dalla furia dei miei genitori, il re e la regina. Guardai il devil di fianco a me; era appoggiato completamente contro il mio fianco destro, la testa appoggiata sulla mia spalla e sul viso una smorfia di dolore. Dovevo inventarmi qualcosa anche per lui; sarebbe stato lui a pagare le peggiori conseguenze se fosse finita male.
Uriè mi guardò negli occhi e con la mano segnò il numero due. Compresi al volo cosa intendeva. La strategia due; la strategia del depistaggio. Io annuii e lei si allontanò rapidamente senza far rumore fra gli alberi. Lui mi rivolse uno sguardo interrogativo e io gli sorrisi rassicurante.
All’improvviso sentii dei passi farsi sempre più vicini. Mi pietrificai; un angel si stava avvicinando per controllare la macchia. Strinsi più forte a me il ragazzo chiudendo gli occhi, e anche lui si aggrappò a me come se fossi stata la sua ancora di salvezza, nascondendo la testa nell’incavo del mio collo, come a non voler vedere cosa sarebbe successo di lì a poco.
Ero già pronta a vederci scoperti quando Uriè entrò nella radura nell’altro lato rispetto a quello in cui eravamo. Le armi erano sparite, indossava un vestito lungo fino al ginocchio giallo limone, aveva la faccia spiritata e una ferita al braccio. Quando se l’era fatta? Doveva essersela inferta da sola per rendere più credibile la sua recita, qualunque fosse la recita che aveva in mente. Ringraziai ancora di più Uriè per quello che stava facendo.
Gli angel la notarono subito e si fiondarono verso di lei che, teatralmente, barcollò e fece finta di cadere a terra. Un soldato la prese la volo prima che toccasse il terreno. «che ti è successo?», le chiese il comandante, preoccupato per la ferita che aveva sul braccio.
Uriè aveva la faccia sconvolta, come se avesse visto un fantasma, «u-un devil», balbettò, visibilmente scossa da qualcosa, «è sfrecciato accanto a me in quella direzione», disse indicando una via agli angel totalmente opposta a noi, «io non stavo facendo niente, eppure quando mi è passato accanto, ha sguainato la spada e mi ha ferita al braccio. Oddio, non sapete la paura che ho avuto! Ho creduto di morire!», disse singhiozzando talmente bene che, se non avessi saputo che stava recitando, le avrei creduto anch’io. E poi dicevano che gli angel non sapevano mentire.
«tu!», disse il comandante indicando il soldato che aveva in braccio Uriè, «porta la ragazza a curarsi. Voi altri con me! Inseguiamolo!», e, detto fatto, tutti sparirono.
Rimanemmo soli nella radura e io tirai un sospiro di sollievo, sciogliendo la presa su di lui e appoggiando la testa al tronco.
«perché?», un sussurro debole e roco, ma che apparteneva a una voce tremendamente sensuale, una voce capace di sedurre una ragazza con una sola parola.
Mi voltai verso di lui, mio malgrado arrossendo, e lo fissai negli occhi, «perché sei un ragazzo come me. E, anche se sono nemici, i ragazzi non si uccidono. Mai», gli dissi dolcemente.
Lui, per la prima volta sorrise, un sorriso riconoscente e sincero, e mi attirò a se con il braccio buono, stringendomi a lui. Io rimasi sorpresa mai poi ricambiai l’abbraccio, spinta da non so quale forza misteriosa, «Grazie», sussurrò tra i miei capelli. Io sorrisi sul suo petto.
Sciolsi l’abbraccio e lo aiutai a rialzarsi da terra. Era molto debole, aveva bisogno di essere medicato al più presto. Lo aiutai ad arrivare fino al laghetto e lo feci sedere contro una roccia. Appoggiò di fianco a lui il fagotto. Lo aiutai a togliersi la maglia per avere una visuale migliore della ferita e, per qualche istante, rimasi imbambolata; aveva dei muscoli spettacolari.
«ti piace quello che vedi angioletto?», mi chiese lui con voce divertita ma debole.
Io sobbalzai di scatto e tornai a guardarlo negli occhi, arrossendo come un peperone. Non dissi niente e, cercando di tenere intatta la poca dignità che mi rimaneva dopo quell’episodio, immersi una pezza di stoffa presa dalla sua maglia nell’acqua.
Quando mi rialzai, trovai il suo sguardo sul mio sedere. Mi guardava come se avesse visto il sole per la prima volta. Sorrisi sadica; vendetta dolce vendetta. «ti piace quello che vedi diavoletto?», lo provocai.
Lui sobbalzò e ritornò con i suoi occhi nei miei. All’inizio sembrò imbarazzato ma si riprese subito, «perché non dovrei angioletto? Sono appena stato salvato da un gran bel pezzo di angel. Dovrò pur rifarmi gli occhi no?», disse facendo un sorrisetto ironico ma sincero. Aveva detto che ero bella e lo pensava davvero. Arrossii e distolsi lo sguardo.
Mi chinai verso di lui e lavai per quel potevo la ferita; come temevo la freccia era conficcata in profondità e, per fare una medicazione corretta, avrei dovuto estrarla.
«e comunque, io sono Sulfus angioletto», mi disse lui dolce.
Io lo fissai negli occhi ancora una volta e, di nuovo, mi ci persi dentro. Avevano un colore spettacolare, «Raf. Io sono Raf», gli dissi timidamente, abbassando di nuovo gli occhi sulla sua ferita.
Ma Sulfus mi sorprese. Mi prese una mano nella sua e mi fece il baciamano, «lieto di conoscerti mia principessa», mi disse e io mi pietrificai.
«come fai a sapere che sono la principessa degli angel?», gli chiesi incredula e allo stesso tempo un po’ spaventata. Ero una reale; avrebbe potuto decidere di uccidermi.
Lui ridacchiò, «il tuo ciondolo. Solo i reali lo portano», mi disse e io annuii. Tutti i reali portavano il ciondolo con il simbolo della nostra casata, ossia due ali azzurre di angel su sfondo bianco.
«e comunque guarda», mi disse, e alzò la mano sinistra per farmi vedere il polso, da cui pendeva un braccialetto. Il pendente era un sole nero e rosso attraversato da una spada. Il simbolo della casata dei devil. Il ciondolo che portavano solo i membri della famiglia reale.
«ma allora tu…», dissi guardandolo negli occhi.
Lui annuì serio, «sì, sono il principe dei devil. Ora vuoi uccidermi?», mi chiese duramente, negli occhi una punta di tristezza.
Io lo guardai e risposi senza esitazione, «no. Non potrei mai farlo», gli dissi sinceramente, e gli accarezzai una guancia. Lui sorrise, di un sorriso che illuminò tutta la radura.
All’improvviso mi prese la testa con la mano sana e fece scontrare le mie labbra con le sue. Rimasi per un attimo sorpresa ma non riuscii a trovare ne la forza ne la voglia per respingerlo. Mi resi conto che, inconsciamente, avevo bramato le sue labbra da quando aveva messo piede nella radura. Perciò chiusi gli occhi e mi abbandonai alle sue labbra, al mio primo bacio. Se qualcuno mi avesse detto che l’avrei scambiato con un devil gli avrei riso in faccia, ma adesso era diverso. Non riuscivo a pentirmi di questo bacio semplicemente perché lo volevo.
Le sue labbra si muovevano dolci insieme alle mie e le mie mani scivolarono dolcemente fra i suoi capelli, stringendolo a me. Il suo braccio andò sulla mia vita per stringermi di più a lui. Il bacio si approfondì ma rimase comunque dolce e tenero.
Dopo un’infinità di tempo ci staccammo e lui mi fissò negli occhi come rammaricato, «scusa io… non so proprio cosa mi sia preso», mi disse lasciando immediatamente la presa su di me e voltandosi dall’altra parte.
Io un po’ ci rimasi male ma gli presi la mano e lo costrinsi a voltarsi. Lo rassicurai con lo sguardo e Sulfus si rilassò di nuovo, «devo toglierti la freccia. Sei pronto?», gli chiesi preoccupata. In quella posizione estrarla avrebbe fatto un male atroce.
Lui annuì e serrò gli occhi. Io presi nella mano destra la freccia e, con un gesto secco, la tirai fuori. Lui aprì gli occhi dal dolore e, di scatto, guidata dall’istinto, lo strinsi a me. Sulfus seppellì il viso nel mio petto e si aggrappò a me con forza, cercando di soffocare l’urlo di dolore nell’incavo del mio seno appena accennato.
Quando finì si staccò lentamente e mi guardò riconoscente. Io sorrisi e gli avvolsi la ferita con la pezza di prima. Quando fu fasciato, soddisfatta alzai gli occhi e gli sorrisi.
Sulfus sorrise di rimando e, all’improvviso, mi prese la mano destra con la sua. Stavo per chiedergli cosa avesse quando, con un gesto secco, mi mise al polso il suo braccialetto, quello della casata reale, «così potrai sempre ricordarti di me», mi disse guardandomi tenero.
Io non riuscii a trattenere le lacrime, che scesero prepotentemente lungo le mie guance. Volevo ricambiare il gesto, perciò presi la catena della mia famiglia, quella che avevo al collo col simbolo della mia casata, e lo allacciai al suo. Sulfus sgranò gli occhi, «così anche tu potrai ricordarti di me», gli dissi e anche lui sorrise dolce.
All’improvviso sentii dei passi e mi voltai terrorizzata che potessero essere di nuovo gli angel. Non erano gli angel; erano molto peggio. Un intero squadrone di devil fissava me e Sulfus con espressione a tratti confusa e a tratti rabbiosa. Notai che quello che sembrava il comandante assomigliava molto a Sulfus. Aveva i suoi capelli blu e la sua stella rossa ma gli occhi erano neri come la notte.
Fissai Sulfus nel panico. Se lui era stato ben disposto verso di me, lo stesso poteva non essere vero per tutti gli altri devil. Ma lui non guardava me; guardava furibondo i suoi simili, come ad avvertirli.
Mi fissò con sguardo determinato, «aiutami ad alzarmi», mi disse, e io acconsentii. Lo sorressi dal fianco buono e lo aiutai a mettersi in piedi.
Quando lo toccai, i devil sembrarono scattare, «non lo toccare, stronza di una angel!», urlò uno di loro, lanciandosi a spada tratta verso di me.
Mi preparai allo scontro, che però non avvenne. Sulfus si parò davanti a me facendomi scudo col suo corpo, «stai lontano da lei!», urlò e il soldato si fermò all’istante.
Tutti i devil lo guardarono scioccati. Quello che assomigliava a lui si fece avanti, «Sulfus, ti rendi conto che quella è una angel?», gli chiese con sguardo serio e un po’ disgustato rivolto a me.
«padre», disse Sulfus guardandolo negli occhi. Sobbalzai; allora avevo visto giusto. Era il padre di Sulfus e quindi il re dei devil, «è vero, è una angel, ma una angel che mi ha salvato la vita. Se non fosse stato per lei, probabilmente ora non sarei qui a parlarti», gli disse con sguardo fermo.
Il re sgranò gli occhi, come tutti gli altri devil del resto. Poi mi fissò, per quanto Sulfus potesse permetterlo, visto che non aveva ancora smesso di farmi scudo col suo corpo.
«avvicinati mia cara. Ti do la mia parola d’onore che non ti faremo del male», mi disse il re, guardandomi in maniera rassicurante.
Fissai Sulfus che mi sorrise incoraggiante e, deglutendo, presi coraggio e, a testa alta, mi avviai verso di lui. Mi fermai a pochi passi, che colmò lui. Allungò una mano verso di me, «posso vedere la tua mano?», mi chiese.
Respirando a fatica, allungai la mia mano destra verso di lui che, con presa ferrea, mi prese il polso e lo fissò. O meglio, fissò il braccialetto che vi era appeso. Mi pietrificai; non sapevo come avrebbe preso il fatto che Sulfus mi avesse dato il braccialetto della sua casata.
«e così ti ha dato il braccialetto», mi disse lui lasciandomi il polso e fissandomi con un sorriso, «sai, questo è un gesto che fra noi devil ha un significato simbolico molto importante. Vuol dire che stimiamo e ci fidiamo di quella persona come se fosse un membro della nostra famiglia», concluse, sorridendo ancora di più.
Io mi voltai di scatto verso Sulfus, che si grattava la testa imbarazzato. Non mi aveva detto niente ma io l’avevo ricambiato esattamente per lo stesso motivo. Il re mi fissò con sguardo divertito, «lui non ti ha detto niente vero?», mi chiese, con una punta di ammirazione nella voce. Capii che mi apprezzava perché avevo dimostrato che potevo avere rispetto per loro.
Io feci un sorrisetto a Sulfus che ricambiò e mi raggiunse di fronte a suo padre. Con mia sorpresa mi avvolse la vita con il braccio. Io arrossii all’istante, soprattutto perché davanti a noi c’era suo padre, «no, non mi aveva detto niente vostra maestà», dissi e i devil sobbalzarono nel sentire che io sapevo chi era in realtà l’uomo di fronte a me, «ma le posso assicurare che ho ricambiato per lo stesso motivo», conclusi.
Solo allora il re sembrò notare il ciondolo appeso al collo di Sulfus. Lo fissò prima confuso poi stupito. Si voltò verso di me pieno di meraviglia, «da quel ciondolo deduco che tu sia la principessa angel», mi disse, e tutti i devil ammutolirono sorpresi.
«allora uccidiamola che aspettiamo?!», disse un devil con i capelli bianchi e gli occhi viola, «se la uccidiamo poniamo fine alla guerra, perché gli angel perderanno la loro discendente», spiegò tutto eccitato, guardandomi con occhi assassini.
Io rabbrividii dalla testa ai piedi e, inconsapevolmente, mi strinsi a Sulfus, che mi strinse forte contro di se e lanciò occhiate di fuoco a quel ragazzo, «tu osa toccarla e giuro che ti faccio frustare talmente tanto che implorerai la morte prima di arrivare alla fine», sibilò furibondo.
Il devil impallidì di colpo e, per la prima volta, mi resi conto di quanto Sulfus facesse paura. Lo sguardo era nero di rabbia, i muscoli tesi e pronti a scattare per difendermi. Lo fissai commossa; stava prendendo le mie difese contro i suoi simili nonostante il naturale odio e diffidenza che avrebbe dovuto provare verso una come me.
«stai fermo al tuo posto Tyrer», ordinò il re con voce imperiosa, «tutti voi state fermi al vostro posto. Nessuno toccherà questa ragazza», comandò con voce imperiosa e tutti furono costretti ad ubbidire. Poi il re si voltò verso di me, «hai salvato la vita a mio figlio. Ti ringrazio per questo. Ora abbiamo un debito con te. Dimmi cosa posso fare per ripagarti», mi disse fissandomi negli occhi.
Io sorrisi dolcemente, «voi non mi dovete niente. Ho fatto solo quello che la mia coscienza e il mio cuore mi dicevano di fare», dissi e il re rimase sorpreso dalla cosa, «l’unica cosa che vi chiedo è di trovare un modo pacifico di far finire la guerra. Non sopporto più di vedere le persone ammazzarsi l’un l’altra. L’unico desiderio che vorrei veder realizzato adesso è la cessazione della guerra», dissi con le lacrime agli occhi al pensiero di quante vite erano state stroncate per colpa di quelle stupide battaglie per il potere.
Il sovrano si intristì e, con mia enorme sorpresa, chinò la testa in segno di rispetto, «è difficile purtroppo e anche noi siamo stanchi del sangue e della morte. Ma ti assicuro che abbiamo fatto e continueremo a fare tutto il possibile perché la guerra finisca», mi disse e mi prese la mano facendomi un baciamano, esattamente come aveva fatto Sulfus prima. E di nuovo io arrossii.
«ma allora è un vizio di famiglia mettermi in imbarazzo», borbottai a bassa voce per non farmi sentire, ma sfortunatamente Sulfus mi udì lo stesso. Lo sentii ridacchiare sotto i baffi e lo fulminai; lui si sforzò di trattenere una risata.
Il re mi riprese il polso, «porta con te questo bracciale», mi disse con sguardo dolce, «sarai sempre la benvenuta tra di noi. Hai dimostrato di essere una buona amica per noi devil», e me lo lasciò. Io annuii. «credevo che ormai la gentilezza degli angel fosse tutta una diceria, perché in battaglia non ho mai visto angel compassionevoli. Ma tu oggi mi hai dimostrato che quel tipo di angel esiste davvero», mi disse, facendomi un bellissimo complimento.
Io ringraziai semplicemente facendo un piccolo inchino e lui sorrise. Infine, con un gesto della mano, ordinò ai suoi devil di ritirarsi. Tutti cominciarono a dirigersi verso la boscaglia. Tyrer si chinò a prendere il fagotto e lo portò con se. Sulfus fissò il padre che annuì e si avviò dietro agli altri, lasciandomi da sola con lui.
«beh a quanto pare finisce così», mi disse lui guardandomi negli occhi tristemente, «probabilmente noi non ci rivedremo mai più», aggiunse, voltandosi per non farmi vedere la sua espressione.
Le lacrime cominciarono a scorrere sul mio viso. Era possibile affezionarsi ad una persona nel giro di pochissimo tempo e poi soffrire perché la si vedeva andarsene via per sempre? Sì, per me era possibile, «io non so se davvero non ci rivedremo mai più», gli dissi prendendogli la mano da dietro, «ma so che non mi scorderò mai di te, Sulfus».
Lui si voltò di scatto e mi abbracciò col braccio buono, l’altro non riusciva a muoverlo. Seppellì il viso nei miei capelli e mi strinse forte a se. Io ricambiai la stretta, incapace di fermare le lacrime che scendevano dai miei occhi sulle mie guance.
Lentamente mi staccai da lui ma non riuscii a guardarlo in faccia, «ora devo andare. Uriè non può coprirmi a vita», gli dissi e stavo già per andarmene quando Sulfus mi afferrò di scatto un polso, mi fece voltare e fece aderire di nuovo le sue labbra alle mie. Mi aggrappai alle sue spalle forti e ricambiai il bacio. Fu molto diverso di quello di prima, molto più vorace e passionale.
Quando ci staccammo avevamo entrambi il fiatone, «scusami. Ma volevo finire con un bel ricordo di te. Non so perché ho questi istinti ma volevo ricordarti così», mi disse Sulfus tenero accarezzandomi una guancia e spazzando via le lacrime con la sua mano.
Io sorrisi, «a me in fondo non è dispiaciuto come primo bacio», gli dissi, rivelando una parte intima di me stessa che non avrei mai creduto di dire.
Lui mi fissò meravigliato ma poi sorrise a trentadue denti. Poi il suo sguardo si fece triste e mi lasciò andare, «ringrazia la tua amica anche da parte mia», mi disse con sguardo basso.
«lo farò», gli dissi con voce rotta, ma mi sforzai di trattenere le lacrime. Non volevo che mi vedesse piangere.
«ciao Raf», mi disse debolmente e si voltò verso la direzione in cui erano spariti i suoi simili.
«ciao Sulfus», gli risposi io con voce triste e spenta.
Lui raddrizzò le spalle, voltò la testa, mi fece un mezzo sorriso e si incamminò verso gli altri devil, inoltrandosi nella foresta e lasciandomi sola nella radura.
Quando sparì, inghiottito dagli alberi, anche io mi voltai e cominciai a camminare lentamente verso il castello, toccandomi le labbra che, bollenti, ricordavano ancora il tocco di quelle di Sulfus.
Come uno zombie arrivai alla grata, la sollevai e mi infilai nel passaggio. Feci tutto il percorso a ritroso fino ad arrivare alla nostra stanza segreta. Dentro trovai Uriè ad aspettarmi in ansia e furibonda. Non appena mi vide quasi mi saltò addosso, «per tutti gli angeli, Raf dov’eri finita? Non sai cosa mi sono dovuta inventare per coprire la tua assenza, per non dire cosa ho dovuto dire per giustificare la mia presenza nel bosco. Spero almeno che ne sia valsa la pena…», il discorso si interruppe bruscamente quando notò la mia faccia spiritata.
Non le feci dire altro, «Uriè per favore, vai dai miei genitori e digli che non mi sento bene per cui non scenderò a cena. E poi per favore lasciami da sola, ho bisogno di qualche ora per me», le dissi guardandola negli occhi.
Lei si accorse dei segni lucidi lasciati dalle lacrime e non obiettò, perché capì che era successo qualcosa di grosso. Semplicemente annuì e se ne andò, lasciandomi sola con i miei pensieri.
Mi spogliai, misi via le armi, mi feci una doccia e mi misi a letto indossando la camicia da notte di seta. Mi accoccolai sotto le coperte e mi addormentai subito, nel cuore e nella mente solo il nome e il volto di un ragazzo; Sulfus.

GIRL95DEVIL: AMMAZZA, SENZA NEANCHE LEGGERE VAI A VEDERE!!!^^ SONO MOLTO CONTENTA CHE LE MIE STORIE TI PIACCIANO COSI' TANTO ^^ EH BEH, OVVIO CHE SONO I LORO, LO SAI CHE LE MIE STORIE SONO DELLE RAF X SULFUS XDXDXD BEH UN PO' DA TE PERO' L'IDEA DEI GEMELLI MI E' SEMPRE PIACIUTA, E POI IL DOPPIO PARGOLO MI SERVE PER UNA FUNZIONE PRECISA NELLA STORIA CHE CON PARGOLO SINGOLO NON AVREI POTUTO FARE... ODDIO ADDIRITTURA GENIO NON LO SO MA CI VADO VICINO XDXDXD (GIRL: SI VALE, COME NO - VALE: ALMENO LASCIAMI VOLARE CON LA FANTASIA XDXDXD) SIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIII NON VEDO L'ORA CHE POSTI IL TUO CHAPPY PERCHE' STO MORENDO DI CURIOSITA'  *_* KISS ^^
MARIA95/YANI@15: EH Sì POSTO ANCHE QUESTA, SE LA POSTO DA UNA PARTE ALLORA E' GIUSTO CHE ANCHE L'ALTRA LA POSSA LEGGERE ^^ NON IMPORTA SE HAI ROTTO ANZI, SE MI ROMPI MI INCITI A SCRIVERE, QUINDI HAI IL DIRITTO DI SPACCARMI LE COSIDDETTE TUTTE LE VOLTE CHE VUOI XDXDXD E NON IMPORTA ANCHE PER IL RESTO, NON POTEVI SAPERE CHE MIA ZIA ERA MORTA, STA TRANQUILLA ^^ CIAO
THE_WEREWOLFGIRL_95/MAGIKA ALE: INFATTI COME VEDI HO ASPETTATO CHE TU RECENSISSI PRIMA DI POSTARE, COSì POTEVO RISPONDERTI XDXDXD AMMAZZA AFFRONTARE MAMME E SORELLE NON E' FACILE (TE LO DICE UNA CHE HA DUE SORELLE, UNA MAMMA E QUATTRO ZIE T_T) VIVA NOI CHE LE CONTRASTIAMO XDXDXD LO SO IL PROLOGO E' MOLTO TRISTE MA FOSSI IN TE ASPETTEREI A VERSARE LACRIME PER LA PICCOLA *SI DA MAZZATE IN TESTA PER EVITARE DI DIRE TUTTO* HAI RAGIONE IL PADRE DI RAF E' UN GRAN PEZZO DI *BIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIP* GIA', POVERA RAF, E' DAVVERO TERRIBILE VEDERSI SEPARATI PER SEMPRE DAL PROPRIO BAMBINO T_T PER QUANTO RIGUARDA SULFUS, TI DICO SOLO CHE NON POTEVA ESSERE CON LEI PER OVVI MOTIVI... SE RIPENSI A QUELLO CHE HO SCRITTO NEL PROLOGO E NELL'INTRODUZIONE DELLA STORIA, VEDRAI CHE CI ARRIVI DA SOLA ^^ CIAO KISS ^^

CIAO RAGAZZE, AL PROSSIMO AGGIORNAMENTO!!! ^^
 

   
 
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