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Autore: Exelle    06/12/2010    0 recensioni
La vita di Severus Piton è monotona e solitaria.
Quella di Luna Lovegood, incomprensibilmente folle.
E se venissero raccontate nella stessa storia?
_Finalmente il capitolo sedici_
Genere: Commedia, Drammatico, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Albus Silente, Lily Evans, Luna Lovegood, Severus Piton
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7, Più contesti
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“E’ una fortuna che tu fossi lì, Severus”
Gli occhi azzurri luccicarono vividi da sopra le lenti  a mezzaluna, squadrando attentamente Piton.
Questi non replicò, limitandosi a guardare fuori dalle alte finestre. Era ormai calata la notte, di un bel color blu vivido, ma nessuna stella ornava il cielo fuori dai vetri dell’ufficio del Preside.
“Severus, mi stai ascoltando?”
“Si, Preside” rispose Piton, voltandosi rispettosamente verso il mago più anziano, ma tenendo comunque il capo chino. Non per rimorso, o in segno di costrizione, bensì per nascondere la smorfia arrogante in cui erano contratti i suoi lineamenti aguzzi.
Erano le undici, minuto più, minuto meno. Avevano atteso sette lunghe ore, prima che la dannata Lovegood riaprisse i suoi occhi a palla sul soffitto dell’infermeria.
Ah, per non parlare del sorriso ebete che aveva fatto quando aveva visto Silente!
Il quale, nemmeno a dirlo, aveva ricambiato con un sorriso altrettanto mieloso e sciocco.
Quei due, aveva pensato subito Piton, si trovavano proprio.
Avevano parlato per una manciata di minuti, fino a quando Silente era tornato da lui, e
come se fosse la cosa più naturale del mondo, l’alto mago gli  aveva ordinato seccamente di  filare nel suo ufficio nella torre grande, e di aspettarlo lì.
Piton aveva notato che il Preside aveva usato lo stesso tono di quando aveva sorpreso lui e il – dannato, esattamente come la Lovegood – Potter Senior, fuori dal Platano Picchiatore, in compagnia di un affranto Remus – Straccione – Lupin.
Ora, Severus Piton era lì, in piedi, in compagnia di un pennuto simile ad una gallina troppo pomposa, a dover spiegare perché e soprattutto come, miss Lovegood si era ritrovata carponi per terra, finendo dritta dritta in un lago di pozione Soporifera.
Silente sembrava reputarlo un fatto gravissimo e, anche se non lo vedeva in volto, Piton poteva intuirne la rabbia. La pozione non era di per sé pericolosa, ma presa in dosi eccessive, poteva causare un sonno irreversibile. Figuriamoci scivolarci dentro.
Il Preside non stava nemmeno fingendo di leggere Modelli a maglia- Collezione Autunno\Inverno. E il fatto stesso che si preoccupasse di più di una delle tante stramberie della Lovegood, invece che della sua pubblicazione semestrale preferita, mise Piton in allerta. Comunque, anche se la Lovegood aveva rischiato, grazie alla solita fortuna degli strambi, sembrava essersi ripresa quasi più che bene. Allora perché, Silente l’aveva convocato?
Non era  accaduto per colpa sua. Questo doveva essere chiaro anche a Silente.
 Severus Piton non aveva alcuna colpa, se non quella di non aver insistito abbastanza nello spedirla fuori dall’aula, quando era suonata la campana. Silente pur doveva comprendere che quella ragazza era… un po’ tocca, ecco, e svenire su un calderone di pozione Soporifera rientrava pienamente, almeno per Severus Piton, nella categoria ‘Pazzi furiosi’. Come classificazione era un po’ drastica, ma abbastanza realistica. Dopotutto, bastava  parlare anche solo una decina di minuti col padre della ragazza, per capire che da quella famiglia, non sarebbe mai uscito niente di buono. O di normale.
Severus Piton avrebbe preferito di gran lunga un bel cenone di Capodanno con i Weasley  (Escluso il Prescelto e il Padrino prescelto, e il Lupo Mannaro consigliere del Prescelto, naturalmente) che un pomeriggio sprecato in chiacchiere con Xenophilius Lovegood, nella sua dimora a forma di tuba.
Tutto in quell’uomo, era assurdo. Pure sua figlia.
Non occorreva una mente acuta come quella di Severus Piton, per accorgersene. Tutti gli studenti di Hogwarts…
“Severus, abbi la cortesia di guardarmi.” Disse Silente, interrompendo il corso dei pensieri  dell’oscuro pozionista.
Piton obbedì. Gli occhi neri si scontrarono con quelli vividi del Preside.
“Severus, Luna Lovegood è una tua alunna e lo spiacevole incidente di cui è stata vittima,
 è accaduto in seguito alla tua disattenzione e al tuo totale disinteresse nei suoi confronti.”
Piton aprì la bocca per parlare, ma Silente lo zittì con un gesto, parlando a voce più alta:
“L’unico momento in quattro anni in cui ti sei preoccupato di lei, è stato quando l’hai vista riversa a terra sul pavimento della tua aula. Posso capire che alcuni studenti suscitino le tue antipatie, ma la signorina Lovegood…”
“Lei non doveva essere lì!” sbottò Piton rancoroso, “Le avevo ordinato di andarsene, di uscire e di andare a qualunque lezione dovesse andare. Ma, tipicamente in stile Lovegood, non mi ha minimamente dato ascolto”
Silente inarcò elegantemente un sopracciglio, ingenuamente sorpreso:
“Tipicamente in stile Lovegood?”
“Sa cosa voglio dire”, borbottò Piton.
“No, Severus non lo so. Spiegamelo”, mormorò Silente, congiungendo la punta  delle dita ossute.
Piton incrociò le braccia, nascondendo l’agitazione dietro alla faccia imperscrutabile che aveva quasi sempre dipinta sul viso.
“Quello che intendo dire…” Piton si morse il labbro, pensando. Chissà perché, gli sembrava di avere di nuovo quindici anni e di indossare una logora divisa nera, verde e argento.
“Vai avanti” Mormorò Silente in tono sognante.
“Luna Lovegood è strana. Stravagante. Ha atteggiamenti che, a mio dire, sono al di là di qualsiasi normale comportamento, compreso il brutto vizio di fare commenti indesiderati e inopportuni su chiunque. Non ascolta e fa’ sempre di testa sua. Persino i suoi compagni sanno che non è a posto con..”
“Basta così, Severus” Silente si alzò, e Piton capì solo in quel momento quanto fosse arrabbiato. E quanto fosse inutile, cercare una scusa per ciò che aveva appena detto.
“Albus, sto solo cercando di dire che per quanto la Lovegood sia anormale è normale che le succedano incidenti del genere! Svampita e inetta, ecco cos’è” sbottò Piton, prima di riuscire a controllarsi. Non sopportava l’idea di venire ripreso da Silente solo perché una come Luna Lovegood decideva di mettersi in pericolo di vita durante la sua ora di lezione.
Il Preside trafisse Severus con uno scintillio ceruleo. Evidentemente, non era della sua stessa opinione.
Gli strumenti d’argento sui bassi tavolini cominciarono a ticchettare forsennati, emettendo rapidi sbuffi di fumo in fili leggeri, color lillà e acquamarina.
“Severus, ti ho permesso di insegnare a Hogwarts. Ho vegliato su di te e glissato sul comportamento che hai con Harry Potter e gli studenti che a tuo dire non hanno le capacità. Ma di certo non ti permetto, e bada bene perchè non te lo dirò una seconda volta, di definire pazzo un mio studente”
Silente aveva parlato in tono così duro che Piton, si sentì quasi costretto ad abbassare il capo e gli occhi.
Sentì l’anziano mago riprendere posto sulla sedia, ma solo dopo un lungo silenzio, Piton si decise ad aprire bocca.
“Non accadrà più.”
“Ne sono certo” rispose Silente con fermezza.
Piton ritenne la conversazione conclusa. Sentiva una strana nostalgia dei suoi barattoli colorati e del suo tenebroso ufficio e soprattutto, del bacile di pietra coperto di rune.
Aveva davvero bisogno di starsene un po’ per i fatti suoi nel passato, dopo la lunga giornata che aveva avuto.
“Posso andare ora?” domandò stancamente.
Silente lo guardò per un momento che parve eterno. Poi parlò.
“No.”
Piton incrociò di nuovo le braccia, sentendosi più adolescente che mai.
Cosa voleva ancora da lui, il Preside? Perché doveva continuare a infastidirlo con le sue lezioni morali, sul rispetto per gli studenti? Aveva finito i ghiaccioli al limone? O aveva rotto i ferri da maglia?
“Voglio che da lunedì prossimo, dalle sette in poi, tu stia con Luna Lovegood.”
“Cosa?” Esclamò Piton, spalancando gli occhi, sconvolto e imbarazzato insieme. “Che diamine dovrei farci?” Chiese allarmato Severus.
“Parlaci” gli rispose Silente, con la solita voce affabile: “Fate conversazione. La gente, al giorno d‘oggi, tende a sottovalutare il valore della comunicazione a parole, ma confido che tu e la signorina Lovegood, siate ancora in grado di imparare ad apprezzarlo”
Davanti ad un Piton basito, afferrò una copia della rivista Il ghiottone affamato e cominciò a leggerla, apparentemente concentrato.
“Stai scherzando, Albus?”
“No, e per questa inopportuna domanda, ti affibbio anche un pomeriggio a scelta, in giro per Hogsmeade o dovunque la signorina Lovegood, desideri andare” disse Silente da dietro la fotografia di una torta ai mirtilli e lamponi, guarnita di panna fresca.
Piton aprì la bocca, aveva una mezza idea di prendere a insulti Silente e le sue idee strampalate, quando il Preside, parlò di nuovo:
“Severus caro, ti consiglio di tacere e di andartene, se non vuoi che alla signorina Lovegood si aggiunga il Signor Potter.”
Albus Silente tornò a leggere la ricetta per la ‘Sfogliatella alle mele’ ridacchiando, mentre la porta del suo ufficio si chiudeva con un colpo secco, alle spalle dell’insegnante di Pozioni più arrabbiato di tutta Hogwarts.



Severus Piton camminava rapido e scocciato per i corridoi  deserti.
Maledetto Silente. Era decisamente nel suo stile, affibbiare un noioso e tedioso lavoro da balia a una svampita platinata. Oltretutto la Lovegood non era nemmeno della sua Casa. Avrebbe dovuto essere Vitious a farle da custode post-incidente. Anche se Severus non credeva che la giovane Corvonero ne avesse strettamente bisogno. Sarebbero bastati due giorni in Infermeria, pensò.
‘Due giorni, e tornerà a saltellare in giro parlando da sola, con i suoi tappi al collo e le sue rape appese alle orecchie’ Pensò il malevolo professore di Pozioni.
A proposito di Infermeria…
Non l’aveva fatto di proposito, eppure eccola lì, la grande porta a due battenti di bronzo, semichiusa davanti a lui. Probabilmente Madama Chips si era assentata per andarsene chissà dove e aveva lasciato l’Infermeria incustodita. Non c’era da preoccuparsi, comunque, perché non doveva esserci nessuno là dentro. A parte…
Luna Lovegood, pensò Severus Piton, più corrucciato che mai.
Con il mantello nero ondeggiante sulle spalle e la camminata nervosa che lo contraddistingueva, s’infilò nella porta socchiusa e attraversò la lunga corsia tagliata da lame di luce lunare, che filtrava dalle alte finestre piombate. I letti rifatti rilucevano nella fioca luce, asettici e ospedalieri.
Luna Lovegood giaceva nel letto in fondo, quello più illuminato dai raggi cangianti di colei che aveva il suo stesso nome.
Composta, con le mani giunte sopra il petto e capelli biondi sparpagliati sul cuscino a formare una bizzarra corona, sembrava se ne stesse sott’acqua, placida e indisturbata.
Respirava impercettibilmente e aveva un sorriso tranquillo e dolce impresso sulle labbra sottili.
Severus fece una smorfia.
Sembrava tonta e ingenua anche da addormentata, circondata da quell’alone di luce spettrale che le rendeva la pelle più pallida che mai.
L’insegnante fece per andarsene, quando lo sguardo gli cadde sul comodino di fianco al letto, anch’esso illuminato dalla fatua luce lunare.
Era vuoto, a parte gli anormali occhiali di Miss Lovegood.
Severus corrugò la fronte, pensieroso. Di solito quando un compagno finiva in Infermeria, i suoi amici, - e subito il pensiero di Severus corse a Potter, per il quale bastavano un taglietto e qualche ora in Infermeria, per trasformare il comodino del Prescelto nella fiera dei dolci di Nottingham – , portavano almeno un regalo, una scatola di Cioccorane, o un qualche biglietto strillante, per augurare una pronta guarigione all’amico malato. Eppure quel comodino era occupato solo dai coloratissimi occhiali dell’occupante del letto a fianco.
Fu  guardando quei solitari occhiali, che improvvisamente un pensiero, più subdolo degli altri e stranamente deprimente, si fece strada nella mente di Severus Piton.
Luna Lovegood non aveva amici.
Nemmeno un compagno che si degnasse a portarle un biglietto.
Con un’inspiegabile oppressione nel cuore e ricordi che mai avrebbe voluto rivivere, Severus Piton tornò nel suo sotterraneo, in cerca della compagnia della ragazza dai capelli di fiamma, e del vortice argenteo che per qualche ora gliel’avrebbe fatta rivedere.


Il passato, un altro ricordo..

Lily Evans non era una bambina cattiva, indisciplinata o disobbediente.
Anzi, come le ripetevano i genitori, gli insegnanti e i pochi che si ritenevano essere quasi suoi amici, non esisteva bambina più gentile, educata e dolce.
Lily non gli dava retta; pensava solo a essere buona e a non mettersi nei guai.
Non per piacere agli altri, ma semplicemente perché lei era così. Quella storia del ‘comportarsi bene’, era più forte di lei.
Lily Evans era una figlia modello e nessuno si sarebbe mai azzardato a dire il contrario.
Anche se in quel momento, nascosta dietro ai maleodoranti bidoni della spazzatura, nello sconnesso giardino invaso dalle erbacce e dai rifiuti, Lily Evans si sentiva una criminale.
La piccola Lily si aggiustò per l’ennesima volta la spallina della salopette, che continuava a scivolarle giù, rendendola impacciata.  Dopo un po’ rinunciò e con un ultimo, profondo respiro, alzò il capo e guardò oltre i coperchi di latta, da cui sbocciavano alcuni  gambi di sedano marcescenti.
La casa. La sua casa.
Lily l’avrebbe riconosciuta tra mille, anche se Tunia, nel darle le indicazioni per arrivarci aveva riso acida e sgradevole, augurandole di perdersi.
Spinner’s End, il lugubre quartiere cresciuto come un cancro a ridosso della ciminiera che torreggiava sulle centoquaranta case che lo componevano dando vita ad un labirinto industriale.
Centoquaranta case prive di campanello, targhetta o cani che segnalassero la presenza di un’abitante o di una famiglia all‘ombra di una torre ingrigita e puzzolente.
Con l’eco della risata di Tunia, fastidiosamente impresso nella mente, Lily aveva camminato fino a Spinner’s End, snocciolando una per una le case che le passavano davanti, osservandole, esaminando i portici. In due aveva provato addirittura a bussare ma poi, vergognandosi, era scappata, continuando la sua ricerca.
E poi eccola, la sessantatreesima.
La casa di Severus.
A Lily era bastato posarci gli occhi sopra, per capire che era la sua.
La casa con i mattoni più anneriti, con i vetri più incrinati, con le porte più sghembe. Quella evitata persino dagli accattoni di Spinner’s End, tanto era miserabile.
Casa Piton.
Trovandosela davanti, Lily non si era affatto meravigliata che Severus le avesse nascosto con tanta cura, la vera posizione della sua casa e non l’avesse mai invitata a bere il tè.
Si vergognava.
Lily si morse il labbro, pensierosa. Stava facendo la cosa giusta?
O Severus si sarebbe arrabbiato perché lei aveva fatto… Come si chiamava?
Ah, sì… Un gesto di carità. Era questo che la piccola Evans stava per fare?
Lily scosse la testa, agitando i folti capelli rossi, come per scacciare invisibili moscerini molesti.
Non era carità, era amicizia.
Lei e Severus erano amici, e quando un’ amico è in difficoltà bisogna aiutarlo.
Lui, per lei, l’avrebbe fatto, Lily non aveva alcun dubbio.
E questa era, una delle fondamentali certezze di Lily Evans.
Sentendosi intrepida e temeraria come mai prima d’ora, la bambina saltò fuori dal nascondiglio dietro ai bidoni e percorse il vialetto invaso delle sterpaglie, a passo di marcia.
Solo quando ebbe salito tutti i gradini e si ritrovò nel portico sconnesso, si accorse di aver lasciato il coraggio dietro ai bidoni, tra i gambi di sedano e i cartocci di pesce e patatine.
Con il cuore che batteva all’impazzata, Lily strinse il piccolo pugno e batté tre piccoli colpi sulla superficie scrostata della porta d’ingresso.
Niente.
Lily bussò ancora, un po’ più forte.
La porta rimase chiusa.
Spazientita, più che spaventata, Lily posò una mano sulla maniglia arrugginita e provò a spingere.
La porta, incerta sui cardini, si aprì con un lungo cigolio.
La piccola Lily non credeva a tanta fortuna. Con un mezzo sorriso si addentrò nella casa buia.

Lily Evans storse il nasino perfetto, in una smorfia desolata.
L’interno, pensò la piccola Lily, era ancora peggio dell’esterno. L’aria viziata aveva formato una cappa pesante e maleodorante che aleggiava in quello che doveva essere una specie di soggiorno.
‘Soggiorno’ era una parola grossa per definire il pavimento invaso dalle bottiglie, dal tappeto macchiato e sfilacciato e dalle pareti con la tappezzeria scollata. Gli unici mobili erano un divano che non sarebbe stato fuori posto in una discarica e librerie dove, al posto dei libri, erano disposti in un caos opprimente bottiglie, cocci e ragnatele.
In un angolo una vecchia stufa di ghisa, mostrava il suo ventre invaso da troppo carbone.
Un po’ di quel carbone era finito sul pavimento, calpestato e mai pulito.
C’erano due porte che davano sul soggiorno. Come ebbe modo di vedere Lily, portavano in una cucina e in un bagno, indistinguibili nel loro sudiciume.
In bagno, la ragazzina aveva quasi rischiato di svegliare quello che, a prima vista, sembrava un sacco di patate. Era un uomo; dormiva sdraiato nella scheggiata vasca da bagno, la testa tra le braccia. Era circondato da bottiglie semivuote e da un sentore di alcool, anche se Lily pensò essere medicinale.
Lily sentì le lacrime salirle agli occhi… Quello era…  No, non voleva pensarci.
Fece ancora un giro per il soggiorno, con l’unica consolazione della luce polverosa che filtrava dalle finestre unte. Poi finalmente trovò la scala, nascosta da una tela pesante e troppe volte rammendata.
Quando la barriera di  tessuto si richiuse dietro di lei, Lily si ritrovò nell’oscurità più assoluta e dovette avanzare quasi a quattro zampe, esaminando gli scalini sconnessi e storti davanti, tastandoli con le dita per accertarsi della loro posizione.
Fu un sollievo arrivare in cima.
Sul piccolo corridoio c’erano solo tre porte e una finestra sbarrata. Una di fianco all’altra, ugualmente rovinate e graffiate.
L’ultima però aveva un graffio più profondo e  regolare degli altri. Simile ad una ‘S’.
Lily camminò piano piano, badando a non far cigolare le vecchie assi del pavimento, fino a raggiungere la porta della camera di Severus. Aveva avuto solo una piccola esitazione quando era passata davanti alla seconda porta, quando aveva udito un curioso rumore, non dissimile da un basso guaito o singhiozzare di un bambino, ma aveva proseguito in direzione della ‘S’.
Come era stata sicura di aver individuato la casa, ora era sicura di aver individuato la camera di Severus.
Afferrò la maniglia e spinse.
La porta era chiusa a chiave. Cavolo, non ci voleva…
In quell'attimo, come nato dal nulla, ricordò le parole dell’amico, la prima volta ce l’aveva visto. Quello che all’inizio le era parso come l’insulto peggiore del mondo, le rimbombò nelle orecchie:
Tu sei una strega.
Io sono una strega, pensò convinta Lily Evans e in quell’istante, i cardini della porta  schizzarono fuori, volando contro la finestra e spaccando un vetro. La maniglia esplose, disintegrandosi. La pesante porta, priva di sostegno, si abbatté sul pavimento della stanza con un rumore infernale.
“Lily!” sibilò la voce di Severus da dentro la stanza in penombra. La bambina corse da lui,oltrepassando la porta scardinata con un sorriso a trentadue denti, che fu costretta a far sparire quando vide l’espressione dell’amico.
Severus era livido e stringeva i pugni per contenere la rabbia. Lily pensò che avrebbe dovuto tirar giù la porta con più delicatezza.
“Cosa ci fai qui?” Le disse, sgarbato.
“Volevo…”
“Aiutarmi? Lily, ti avevo detto di non venirmi a cercare! Sarei venuto io!”
Lily sentì di nuovo il pianto salirle alla gola, un dolore reso più acuto dalla delusione;
“Erano tre giorni che non ti facevi vedere, che cosa dovevo fare? Andare da sola al Grande Albero?” disse con difficoltà.
Da quando aveva conosciuto Severus, per Lily era diventato improvvisamente più difficile, quasi insopportabile, stare da sola. E forse fu proprio quella consapevolezza, a far calmare l’amico e a farlo tornare quello di sempre.
“Siediti” mormorò Severus, indicando il letto semisfatto. Era l’unica cosa in disordine in quell'angusta stanzetta, notò Lily.
La camera era infatti pulitissima, con due mensole, un tavolino e un armadio aperto, dove sul fondo, ben nascosti s’intravedevano alcuni spessi libri. Il solito Severus.
“Effettivamente ti avevo visto” continuò lui, indicando la finestra con le persiane semichiuse: “Quando hai mosso i capelli per scacciare dei moscerini, giù in giardino.”
“Moscerino?” chiese interrogativa Lily.
“Bé, ora sei qui, devo trovare un modo per farti uscire, senza farti vedere” borbottò il ragazzo, torcendosi le mani ossute.
“Severus, prima spiegami perché tu non ti sei fatto vedere” Lily si voltò verso di lui e nel farlo gli tirò inavvertitamente un colpetto sul fianco.
“Ahi!!” mugolò l’amico, prima che il respiro gli si spezzasse improvvisamente.
“Sev, non fare la piattola! Era solo…” Lily ammutolì quando vide la macchia rosso scuro, quasi la stessa tonalità dei suoi capelli, allargarsi sulla maglietta a righe dell’amico.
“Sev!?” Lily corse alla finestra e spalancò le persiane. La luce calda del sole estivo, inondò la stanza.
E Lily, vide quello che Severus aveva cercato di nasconderle rinchiudendosi in casa.
“Non dirlo…” sibilò a Lily “Non.. A nessuno.. Non ci provare..”
“Non l’avrei mai fatto. Sei mio amico” rispose la bambina con semplicità.
Parlare le sembrava la cosa più ardua da fare in quel momento. Non riusciva nemmeno a frenare le lacrime; scendevano da sole, senza essere accompagnate da singhiozzi o smorfie.
Lily Evans si sentì più triste e disperata che mai, guardando i lividi sulle braccia e il taglio sull’addome, non molto profondo ma pur sempre doloroso, che l’uomo nella vasca,  –Lily non aveva dubbi che fosse lui il colpevole-, aveva fatto al suo migliore amico.
“Ho provato… a curarlo con la magia… Ma non funzionava, allora ho…”
Indicò con una mano la benda insanguinata a terra, quella che Lily aveva mosso colpendolo inavvertitamente.
Lily si avvicinò all’amico e frugando nelle tasche della salopette, trovò un fazzoletto di stoffa con degli anatroccoli ricamati sopra. Lo premette con attenzione sulla ferita e raccomandando a Severus di tenerlo fermo, riprese a frugare nelle tasche.
“Ecco” mormorò Lily, estraendo un rotolo di scotch.
“Perché diavolo te lo porti dietro?” chiese Severus inarcando un sopracciglio.
“Un giorno te lo spiegherò…” Lily sorrise tristemente “Fatto!”
“Grazie.”
“E di che?” Rispose Lily, asciugandosi le lacrime con il dorso della mano.
“Ora…”
Improvvisamente un grido gli interruppe:
“Eileen!”
“Dannazione, si è svegliato!” esclamò Severus. “Lily torna qui!”  
Lily Evans era tornata in corridoio, dove una voce cavernosa proveniente dal fondo alle scale, urlava e sbraitava.
“Eileen! Dannata donna…”
Un rumore di passi  pesanti e incerti cominciò a salire i gradini. Severus raggiunse Lily e l’afferrò per la mano. Piton non doveva toccarla…
Quando il vecchio fece la sua comparsa, bottiglia rotta in mano, aveva un’ espressione furiosa e la luce malvagia che aveva negli occhi, terrorizzò i bambini.
Severus si piazzò davanti a Lily, mentre il mostro avanzava implacabile verso di loro. Doveva proteggerla a tutti i costi, lui era già ferito mentre lei era così.. Indifesa.
Il mostro alzò il braccio armato di bottiglia, mentre la creatura nascosta dietro alla porta numero due singhiozzava e urlava disperata più che mai, in preda alla follia.
Severus assottigliò le palpebre, concentrandosi e richiamando la magia.
Severus Piton era una mago, e il mago avrebbe protetto la sua amica strega, Lily Evans.
Da ogni mostro, mago oscuro o padre alcolizzato che fosse.
E proprio mentre il mostro si preparava a calare il suo colpo sullo spigoloso ragazzino, la finestra sbarrata e la parete che la incorniciava esplosero, sbriciolandosi.
Calcinacci e detriti invasero il corridoio, mentre Lily Evans, abbracciando stretta il suo amico Severus, volava via dalla casa in Spinner’s End, via dalla ciminiera, via dal mostro.
Via da ogni cosa, volando verso il sole di mezzogiorno.

  
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