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Autore: ElizabethQuinzel    06/12/2010    1 recensioni
Harley Quinn ormai è vecchia, sta per lasciare questo mondo, si trova in una casa di riposo, tutta sola e triste.
Quindi comincia a raccontare la storia della sua vita, a partire dal suo primo lavoro ad Arkham.
Genere: Drammatico, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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Cominciò tutto nel mio primo giorno di lavoro, nel manicomio di Arkham, esso sarebbe stato un nuovo inizio per me, avevo studiato tanto per arrivare a raggiungere il mio obiettivo, volevo aiutare le persone che si smarriscono nel proprio mondo, dimenticandosi della realtà che essendo crudele va vissuta nella sua pienezza.
In questo avevo anche una ragione personale, anche io avevo creato un mio mondo per scappare dalla mia famiglia. Un padre truffatore, che ci usò per scopi personali, un fratello nulla facente, che al solo vederlo mi veniva da rigettare, la mia unica speranza era mia madre, era la colla che teneva insieme la famiglia per quanto disfatta, ma non divulghiamoci su questa parte della mia vita.
Torniamo a Gotham, era una città così strana quando la vidi per la prima volta, così diversa dalla mia Brooklyn, mi piacque all’istante, sapevo di essere a casa finalmente, un posto dove poter essere me stessa, e sapevo che in quella città tutto sarebbe cambiato…non sapevo perché, ma me lo sentivo dentro, una sensazione strana che non mi lasciava.
Il mio primo giorno ad Arkham ero così nervosa, ma non volevo mostrarlo , quindi finsi una fredda sicurezza. Per fortuna incontrai Joan, che mi fece sentire subito parte del team, io ero alle prime armi di questo lavoro, e quindi mi aiutò con dei consigli. Girando per Arkham con la dottoressa, incontrai i vari pazienti che avrei avuto nei miei futuri anni. Le loro storie erano molto monotone, come molte che avevo studiato all’università, ma tra queste una spiccò subito la mia attenzione… era un caso strano, affascinante, una sfida, e a me piacevano le sfide! Ero alquanto temeraria in quell’epoca, e questa era una cosa che lui capì subito dal primo sguardo. I suoi occhi verdi smeraldo mi colpirono molto quando arrivai davanti alla sua cella, era uno sguardo misterioso, non riuscivo a cogliere bene cosa stesse pensando mentre mi guardava, era come se non mi volesse lasciare entrare, ma sapevo che quel vetro che ci divideva, sia fisicamente che mentalmente, si sarebbe infranto e lui si sarebbe concesso a me.
Joan mi accompagnò nel mio ufficio e mi lasciò sistemare le mie cose,  nella mia valigetta, che avevo comprato in un negozio lì vicino, c’era un  block notes, con matite e penne, e anche il mio porta fortuna, un ciondolo che mi aveva regalato la mamma da piccola… me lo dette all’età di 9 anni, mio padre aveva avuto una crisi, io in quel momento mi stavo nascondendo dietro al divano della sala e nel frattempo lo vedevo mentre la picchiava, non era di certo un bello spettacolo per una bambina della mia età…  poi ad un tratto vidi papà uscire dalla porta principale sbattendo per terra ogni cosa che gli si trovava davanti. Così mamma mi dette questo ciondolo nella speranza che io la ricordassi per sempre, e che ricordassi l’amore con la quale lei ha cercato di crescermi.
Passato quel flashback il mio sguardo fu rivolto verso la mia scrivania, e notai una cosa. C’era un bellissimo fiore, ben curato, che emanava un odore dolcissimo, ed era messo in un vaso di vetro, molto lungo, e attaccato al fiore c’era un biglietto che diceva : “Vieni a trovarmi qualche volta.  J-“
Era chi pensavo chi fosse?
Ci speravo tanto.
Dopo essermi sistemata l’ufficio finalmente, scesi giù per le scale e andai in cerca della sua cella, vagai senza meta, alcune volte credevo di essermi persa, che stupida, non riuscivo a trovare la strada che mi portava a lui… Poi chiusi gli occhi e passo per passo ricostruii nella mia mente la scena di stamattina,  riuscivo a vedere il suo volto, mi diceva di andare da lui, sembrava un sogno, era tutto perfetto.  
Aprii gli occhi e continuai a camminare, ad un tratto mi parve di vedere una cosa assai familiare… ma si! Era il corridoio di stamattina! Me lo ricordavo sempre di più ogni volta che avanzavo, girai l’angolo e finalmente me lo trovai davanti. Avevo trovato la sua cella, ma ad un tratto la paura mi paralizzò,  dopotutto era  l’assassino più feroce  di Gotham!  Mi ero ammattita?!? Non riuscivo a trovare il coraggio di andare verso di lui. Ma rimanere lì, impalata, come una stupida, il primo giorno di lavoro…. Mmh direi di NO.
Feci un respiro profondo, e pensai a qualcosa che mi rendeva felice… la mia mamma, che mi sorrideva, e mi diceva “Vai Harley, bambina mia.”
D’accordo mamma, vado.
Feci un passo, forse due, e pian piano arrivai lì davanti.
Lui se ne stava sdraiato sul suo letto, con la sua uniforme bianca, e con una aria maliziosa.
“C-c-ciao. M-mi vuole dire c-come hanno fatto questi a entrare nel mio.. studio?
Harley Stai Calma!
“Ce l’ho messo personalmente.”
Come diamine avrà fatto!?
“Penso c-che alle guardie farà p-piacere sapere come è u-uscito dalla c-cella.”
“Hahaha se avresti voluto informarle davvero l’avresti già fatto!”
Oh mio…
Con un balzo arrivò davanti alla vetrina, facendomi indietreggiare.
“Sai una cosa dolcezza, mi piace quello che ho saputo su di te, soprattutto il tuo nome. Harleen Quinzel”
Dolcezza?! Okay, sicuramente starò diventando rossa dall’imbarazzo, Harley mantieni la tua dignità! Nessuno mi aveva mai chiamata così prima d’ora.
E poi continuò.
“Se lo rielabori un po’ diviene Harley Quinn!”
Già, è vero, come Arlecchino. Mi ricordo di quel personaggio in maschera, molti miei vecchi amici delle superiori mi prendevano in giro per questo.
Li Odio.
“C-come Arlecchino, i-il personaggio in maschera… E’ vero l’ho già sentito n-nominare.”
Appoggiò le mani sul vetro… aveva le mani… bianche… cosa potrebbe essergli mai successo?
“E’ un nome che mi fa sorridere!”
Aww che dolce! NO Harley riprenditi! Cosa ti salta in mente? Dovevo andarmene prima che qualcosa di strano uscisse dalla mia bocca. Feci dietro front e cominciai ad andare verso il corridoio senza nemmeno salutarlo.
Lui nonostante questo continuò a parlare.
“Mi fa sperare che ci sia qualcuno qui dentro con cui io possa relazionare, qualcuno che potrebbe ascoltare con piacere i miei segreti!”
Ecco, ci siamo. Era proprio quello che stavo aspettando…  volevo sapere tutto di lui, se aveva dei segreti abbastanza strani e insoliti, e magari anche qualcuno che si collega alla sua pelle bianca.
Passai gli ultimi mesi a studiare il suo caso, ad ogni parola mi sentivo sempre più attratta da lui, pur non conoscendo niente del suo vero essere. Non sembrava come gli altri, gli altri avevano un mondo creato  per scappare dalle crudeltà che non riuscivano a supportare, mentre lui si sentiva a suo agio in queste crudeltà, il mondo era il suo palcoscenico, e lui si divertiva a distruggerlo… con una bella risata.
Finalmente un giorno mi decisi di affrontarlo con una sessione, il mio primo colloquio, ero emozionata, ma allo stesso tempo spaventata. Sentivo il mio piccolo cuoricino che batteva il doppio del normale, nella mia testa c’era tanta confusione, non riuscivo più a capire quello che stava succedendo, e questo non mi era mai successo, almeno fino ad ora.
Però dopo l’ultima esperienza pensavo che sarebbe potuta andare bene. Ma si dai! Cosa sarebbe potuto succedere?
Entrai nella stanza, e mi salutò.
“Ehilà, come va dottoressa?”
Iniziamo bene.
“Bene, grazie… ma sono io che conduco la sessione.”   
Brava Harley, fatti rispettare, dopotutto è un paziente come gli altri no?
Forse non proprio.
“Oh si mi scusi, dottoressa, prego vada pure avanti”
Oh ma guarda! E’ anche gentile!
“Volevo parlare della sua infanzia…”
Sicuramente avrà passato un infanzia terribile, d’altronde  l’hanno passata tutti i malati di mente, altrimenti perché ridursi così?
“Bèèè da dove posso cominciare? Ah si, mio padre era un tipo violento, ogni volta che ne aveva l’occasione mi picchiava.”
Oh poverino, sapevo che aveva passato un’infanzia del genere ma non pensavo che fosse così… triste.
“Ogni volta che sbagliavo qualcosa, PUM! A volte ero tranquillo, non facevo niente di male… PUM!”
Addirittura…
“Al Paparino piaceva molto il vino capisci?”
Si, capisco… anche a mio padre piaceva molto.
“Ah.. si.”
“Non ci crederai, ma l’ho visto felice una volta sola in tutta la sua vita.”
Wow…
“Mi portò al circo quando avevo 7 anni”
Anche io adoravo molto il circo! Ehi ma cosa fa? Si alza dal lettino!?
“Ooh mi ricordo ancora quando uscirono i clown, correvano per la pista con i loro calzoni enormi! Hahahaha!”
Si avevano dei calzoni veramente enormi, hahaha!
“Il vecchio si sganasciava dalle risate, temetti che si sentisse male!! Così il giorno dopo mi misi i suoi calzoni della domenica che mi cadevano da tutte le parti, e dissi : Hey papà guardami! POM!”
Si è slacciato i pantaloni! Si è slacciato i pantaloni!
Ha dei boxer carini però, e poi mi piacciono tanto quelli rossi con i pallini bianchi!
“Feci un bel capitombolo, e gli strappai tutti i suoi bei calzoni! Hahahahaha”
Non so cosa mi prese, ma volevo farlo.
“Hahahahahahahahaha”
Stavamo ridendo tutti e due a crepapelle… questo mi rendeva… felice!
Mentre continuavo a ridere, si tirò su i pantaloni e continuò a parlare.
“E poi mi ruppe il setto nasale.”
Povero angelo…
“Ma…ma davvero?”
“Che ci vuoi fare, è questo il brutto della comicità, si viene sempre e comunque criticati e malmenati da chi non la capisce… “
Si è vero. Ha ragione. Detesto ammetterlo ma ha ragione.
“Come il mio Papà… o come Batman!”
Batman? Ah si! Ho sentito parlare di una specie di “supereroe” che vigila su Gotham.
“Bè grazie della chiacchierata dottoressa, è stato divertente!”
Almeno lui si è divertito.
“Alla prossima sessione.”

Gli infermieri lo portarono via e lo rimisero in cella.
Presi le mie cose e me ne tornai nello studio.
Rimasi intere ore a pensare, e a capire cosa fosse veramente.
Poi finalmente capii.
“Il Joker” così chiamato dalla società e spesso descritto come un pazzo furioso e come un pericoloso criminale, era una persona con l’animo sensibile e tormentato, un bambino afflitto e ferito, che desiderava solo far sorridere il mondo alle sue buffonate… ma che veniva sempre ostacolato dal virtuoso e moralista Batman. Determinato a rendere un inferno la vita del mio angelo…
Mi resi conto di una cosa… mi mancava, volevo rivederlo, così aspettai un mese per poter fare una seconda sessione.

Era il 6 marzo, me lo ricordo come se fosse ieri.
Mi alzai dal mio freddo letto, e controllai l’agenda.
Mi misi gli occhiali per poter leggere meglio, e lessi “Seconda sessione con il paziente”.
E’ vero! Me ne ero quasi dimenticata… “Ore 10:00”
Cavolo!
Stavo facendo tardi!
Andai in bagno, mi lavai e infine mi vestii.
Presi la macchina e m’incamminai verso il manicomio.
Ho sempre odiato quella fredda stradicciola… piena di alberi spogli che parevano prendere le forme di mostri.
La strada era sempre bagnata a causa della pioggia, non so come ma quel posto era molto soggetto a queste precipitazioni.
Sembrava maledetto.

Parcheggiai la macchina, ed entrai.
Molto ansiosa andai a posare le mie cose nell’ufficio.
Salutai gli altri colleghi e rimasi a parlare per un po’ con loro, per fortuna era ancora presto quindi avevo un altro po’ di tempo.
Visto che non avevo fatto colazione , mi unii per un caffè insieme a loro, e magari anche per un cornetto.
Se provavo a pensare a lui, mi venivano le farfalle nello stomaco.
Ero nervosa.
Mi veniva da rigettare.
Ma mantenni la calma.
Su Harley… va tutto bene.

Erano le 10:00
Era giunto il momento della sessione.
Accompagnata dai dottori mi fecero entrare nella stanza.
E lui era lì, come l’ultima volta.
“Salve Harley!”
“Buongiorno…”
Non sapevo cosa dire.
“Di cosa vogliamo parlare oggi, dottoressa?”
E’ evidente, a lui non gliene importa niente del fatto che io sia una dottoressa. Mi avrà messa al suo stesso piano.
“Bè, oggi volevo provare qualcosa di diverso.”
Lui mi rivolse lo sguardo.
Mi stava osservando intensamente.

“Anch’io volevo provare qualcosa di nuovo dottoressa!”
Sarà che siamo telepatici!?
Ma cosa dico?!

“Mmmh, e cosa avrebbe in mente?”
Assurdo, una dottoressa che chiede al proprio paziente cosa vuole fare.
“Perché per oggi non ci scambiamo per un po’ i ruoli?”
Scambiarsi i ruoli? Ancora più assurdo! Però mi attraeva come idea!
“D’accordo, facciamo finta che sia una sorta di esperimento.”
Mi avrebbero sicuramente licenziato… ma non ce ne sarebbe stato bisogno.
Ci scambiammo i posti, io mi misi sdraiata sul lettino, mentre lui si mise seduto sulla sedia.
Avevo ancora il mio block notes in mano, e incominciai a disegnarci sopra alcune strane figure.
“Allora piccola, vuole raccontarmi un po’ della sua infanzia?”
Piccola? Mi stava prendendo in giro? Non mi importava.
“Bè… ho passato un infanzia difficile… mio padre era un truffatore, mio fratello uno scansafatiche, e non avevano alcun interesse per me. L’unica persona su cui potevo contare era mia madre. Scusami ma ho troppi brutti ricordi, e sembrerà strano ma… per quanto fosse poco professionale mi sono innamorata del mio paziente, non sono molto normale vero?”
Harley tieniti pronta, potrebbe non prenderla molto bene.
“Niente affatto, come ogni donna che si dedica alla carriera con determinazione, non ti sei lasciata coinvolgere dai piaceri della vita, è più che naturale che ti senti attratta da un uomo che sia in grado di farti ridere.”
Ora ne ho la conferma, il Joker non era per niente una persona cattiva.
“Sapevo che mi avresti capita!”
“Ma figurati!”
Ad un tratto sentimmo arrivare i medici, aprirono la porta e rimasero sorpresi.
Ci chiesero cosa stesse succedendo, e io non avevo spiegazioni.
Me lo portarono via immediatamente, l’ultima cosa che mi disse fu:
“Arrivederci cara Harley, è stato un piacere!”
“Anche per me”

Uscii dalla stanza e me ne tornai nello studio.
Finito di lavorare andai a casa, ero molto stanca.
Mi misi in pigiama, mi lavai i denti e infine mi sdraiai sul letto.
Accesi la televisione e cominciai a seguire un programma.
Era un programma piuttosto noioso, tanto che mi addormentai di colpo.

Feci un sogno.
Sognai lui, e di come stavamo bene insieme, come sarebbe la nostra vita fuori da quella struttura.

Ma poi quel sogno non durò un granché,  mi svegliai a causa di una telefonata… da Arkham.
Era quel che temevo?
Si.
Era riuscito a scappare.
  
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