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Autore: scarlett666    07/12/2010    5 recensioni
...la catena degli Uchiha.
Da oggi comincia una nuova era, la mia strada è cambiata. Una strada che percorreranno i miei figli, e i figli dei loro figli, lastricata di sacrificio, dolore e crudeli rinunce, seguendo un destino fatto d’odio ed insaziabile sete di vendetta. Tutte le generazioni a venire saranno contaminate da questo male inarrestabile che li infetterà fin nel profondo dell’anima, oscurando ogni altro sentimento d’amore o comprensione.
Il loro credo ninja sarà sempre e solo il rancore.
Questa è la mia maledizione, fratello.
1-L'Eremita delle sei vie della trasmigrazione.
2-Madara e Izuna.
3-Madara e Hashirama.
4-La valle della fine.
5-Obito e Kakashi.
6-Obito e Kakashi, II° parte.
Genere: Drammatico, Guerra, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Itachi, Obito Uchiha, Sasuke Uchiha, Shisui Uchiha
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Più contesti
Capitoli:
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La valle della fine

La Valle della Fine

 

 5- L'Hokage e il Vendicatore


Fissarono lo sguardo a fondo in quello dell’altro, cercando di carpire le intenzioni più segrete del proprio avversario, riuscendo infine a scorgervi solamente la chiara consapevolezza che quel momento prima o poi sarebbe arrivato.
Non vi era sorpresa degli occhi scuri e profondi di Hashirama Senju, solo un’amara cognizione, una rassegnata accettazione di ciò che quel preciso momento rappresentava e della sconsiderata catena di eventi che proprio in quel luogo li aveva trascinati.
Scrutò le iridi scarlatte del suo nemico, una luce malata illuminava quegli occhi, la più totale perdita di raziocinio mostrava i suoi frutti su quel corpo abusato e portato a forza oltre il limite, in totale assenza di rispetto per se stessi e per la vita.
Madara Uchiha puntava insistentemente lo sguardo innanzi a sé, le palpebre innaturalmente dilatate, i denti scoperti in un ghigno ferino senza dubbio agghiacciante, le narici frementi e le orecchie tese, pronte a catturare il minimo movimento…un viso che di umano pareva avere ben poco. Le gambe lievemente flesse, il busto vistosamente proteso in avanti: una belva pronta per la caccia.
Ormai, in quel corpo rapito dall’inebriante sapore della battaglia, ogni traccia di controllo era completamente sparita, volatilizzatasi nel preciso istante in cui si era trovato a fronteggiare l’avversario in quello che, sapevano entrambi, sarebbe stato il loro ultimo scontro, al termine del quale uno solo avrebbe abbandonato quella valle  sulle proprie gambe.
L’altro ne avrebbe fatto la sua ultima dimora, avrebbe lasciato in quel luogo la propria vita ed il proprio corpo, restituendolo per sempre alla nuda terra.
 
Ancora non riusciva a rendersi conto di come fosse giunto sin li in così poco tempo, poco più di un effimero batter d’ali.
Ripercorrendo mentalmente gli ultimi avvenimenti faticava seriamente  a realizzare cosa in realtà fosse accaduto in quel breve lasso temporale, come se uno dei suoi jutsu gli si fosse rivoltato contro improvvisamente.
L’impressionante velocità dello svolgersi degli eventi era parsa ai suoi occhi, certamente non sprovveduti, come un violento turbinio di polvere e attimi che, al loro caotico passaggio, trascinano incuranti uomini, case, ricordi, pensieri e sentimenti.
Poteva ricordare distintamente l’attimo in cui, con incedere sicuro e sprezzante, aveva varcato le porte del villaggio che lui stesso aveva faticosamente contribuito a costruire, tacendo e sottomettendo il proprio orgoglio per espresso volere del clan; villaggio che lo aveva esiliato, cacciato ignobilmente, rifiutato e tradito. 
 
Nascosto nel fitto della boscaglia, a lungo aveva scrutato ogni mossa della guardie, ogni singolo movimento sospetto, che potesse tradire un possibile stato d’allerta da parte degli abitanti di Konohagakure; al sicuro da sguardi indiscreti attendeva paziente pregustando il momento in cui la sua terribile vendetta si sarebbe compiuta. Con tale intento decise dunque di non affrettare i tempi: presto l’Hokage stesso avrebbe abbassato la guardia, lasciandosi lusingare da quella placida sensazione di quiete che stava lentamente cogliendo ogni singolo shinobi di quelle terre, come una subdola sindrome virale conseguente a quella pace ingenua e solo apparente. Una sorta di piacevole sopore, uno scandaloso ottundimento dei sensi, inaccettabile per dei ninja d’alto livello.
Si era faticosamente preparato, sottoposto ad estenuanti allenamenti per affinare le proprie tecniche, le illimitate potenzialità dello sharingan ipnotico eterno; si rendeva conto che questa volta avrebbe dovuto combattere solo contro un intero villaggio.
Sarebbe stato solo di fronte ad un intero esercito…e fra quelle schiere una moltitudine di occhi di brace lo avrebbero sfidato.
Sì, per la prima volta sarebbe stato veramente solo contro tutti, persino il suo stesso sangue avrebbe lottato per sconfiggerlo, per avere la sua testa una volta per tutte; perché ormai anche quelli del suo clan avevano paura della sua inarrestabile follia, ed inorridivano all’idea di aver per anni idolatrato un tale sanguinario guerrafondaio, di aver custodito e cresciuto in seno una serpe fratricida.
Tuttavia l’apparente situazione di svantaggio sembrava non riuscire nemmeno a scalfire la sua granitica sicurezza; tramava nell’ombra…certo che la fatica e la lunga ricerca avrebbero presto dato i loro dolcissimi e letali frutti.
 
Nessuno lo aveva atteso all’ingresso, i cancelli spalancati offrivano un’invitante panorama di quel ridente villaggio; alcune abitazioni facevano bella mostra di sé, amabilmente circondate da rigogliosi e verdeggianti giardini. La vegetazione lussureggiante rendeva l’insieme piacevole ed accogliente per qualsiasi forestiero di passaggio. In lontananza, posto sulla torre dell’edificio più altro, il kanji del fuoco risplendeva al sole del tramonto, nobile e fiero nel suo rosso  quasi ardente.
 
A tal punto si illudevano di essere al sicuro?
 
Poi tutto si era svolto con una rapidità impressionante
 
Da dietro un’ampia colonna era apparso lui, il primo Hokage con la sua veste ufficiale; avanzava sicuro con passo misurato.
Il lungo mantello candido ondeggiava pigramente facendo risaltare, con gli ultimi raggi del sole, vermiglie lingue di fuoco poste sull’orlo inferiore. L’ampio copricapo celava parzialmente il viso dell’uomo, un’espressione seria e consapevole ne plasmava i tratti.
 
“Ti aspettavo…” disse senza tanti inutili cerimoniali “…sapevo che saresti tornato.”
 
“Vuoi forse la tua vendetta?” parole sprezzanti, di sfida, tuttavia nulla ne tradiva i sentimenti. Il tono neutro di quelle poche e brevissime frasi lo colpì più di mille parole.
 
Era dunque così penosamente prevedibile?
Aveva dunque sprecato tempo prezioso per nulla, mesi in inutili appostamenti ed estenuanti attese?
 
Un profondo senso di vergogna s’impossessò del suo corpo, facendolo tremare dalla rabbia, un denso malessere che dal ventre andava montando sempre più sino a raggiungerlo in viso, avvampandone gli zigomi ed infiammandone lo sguardo.
 
Si era reso ridicolo.
 
Mesi di sacrificio, attesa ed immani sforzi, l’illusione di poter contare su un impeccabile effetto sorpresa…ed il suo avversario era li, solo, alle soglie del villaggio, ad attenderlo impassibile.
 
Come se dalla sua fuga fossero passati poco più di una manciata di giorni.
 
“Accetto la tua sfida, ne raccolgo l’odio e la sete di vendetta. Lasciamo però da parte il villaggio. Questa storia riguarda solo noi due. Tu ed io, adesso, ma lontano da qui.”
 
Le ultime parole uscirono lentamente dalla labbra del Senju, scandite pesantemente come i rintocchi nella cassa di un mortale orologio.
 
Era giunta la loro ora.
 
L’Uchiha  a quelle parole annui con convinzione, ghignando internamente all’ingenuità dell’idea del suo degno avversario.
 
Povero illuso, davvero credeva che una volta uscito vittorioso dallo scontro avrebbe risparmiato quel villaggio di empi traditori?
Quel covo di vili appartenenti al suo ormai ripudiato clan, che avevano preferito la sottomissione alla gloria ed i rispetto per se stessi in cambio di una disonorevole cessazione dei conflitti?
Tzk, fin troppo facile, si era allenato con la previsione di dover affrontare un intero esercito di shinobi di Konoha e quell’ingenuo ora gli offriva la possibilità di uno scontro paritario?
Decisamente le circostanze stavano volgendo dalla sua parte.
 
Inconsciamente portò la lingua a lambire le sottili labbra, alla sola idea dello spargimento di sangue che ne sarebbe seguito. Pregustava soddisfatto la vittoria, la pura gioia che di li a poco lo avrebbe colto ed appagato pienamente.
 
Il sole era ormai calato, lambendo docilmente l’orizzonte coi suoi raggi infuocati, cedendo il passo ad una cupa notte priva di stelle. Grosse nubi cariche di pioggia andavano addensandosi velocemente proprio sopra il villaggio. Il fragore dei tuoni e la violenza dei fulmini avrebbero fatto da cornice alla battaglia della Fine.
 
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Il suo corpo fremeva impaziente, poteva avvertire distintamente l’eccitazione che lo attraversava, percorrendo febbrilmente ogni singola vertebra della sua robusta schiena. L’euforia del combattimento, il rumore del metallo che s’incontra, l’odore penetrante del sangue che cola dalle numerose ferite inferte ad entrambi.
Sì, perché anche il proprio sangue  aveva il sublime potere di eccitarlo, il bruciore penetrante degli squarci sulla pelle l’inebriava, lo coglieva ogni volta con fremiti di piacere, lo faceva sentire vivo.
Per questo era nato e, kami, questo avrebbe continuato a fare finché le gambe lo avrebbero sorretto, finché nei suoi polmoni fosse rimasto un alito di vita.
 
Pochi nemici erano stati in grado di trasmettergli emozioni così forti, di soddisfarlo pienamente…e fra questi senz’altro il migliore era proprio colui che, in quel preciso istante, lo stava aspettando sull’altro lato della cascata, intento a scrutarlo come a volergli leggere nella mente.
 
L’avversario perfetto attendeva paziente a pochi metri da lui; la sua figura possente e tuttavia priva di quello sprezzante orgoglio che al contrario tanto caratterizzava la sua persona, si stagliava fiera incutendo un naturale rispetto; i lunghi capelli corvini lasciati cadere ben oltre le spalle, che il vento soleva far ondeggiare dispettoso, giacevano ora fastidiosamente appiccicati al viso ed al corpo, incollati dalla pioggia che, gelida e pungente, non accennava a scemare, cadendo insistente ormai da ore.
Il paesaggio pareva trasmutato sotto quell’incessante precipitare: la terra polverosa si era andata ricoprendo di uno spesso strato fangoso, insidiando il passo del viandante e rendendo difficile ogni movimento rapido, la foresta ululava e pareva piangere sotto il peso dei rami che, carichi d’acqua piovana, si piegavano pericolosamente sino a spezzarsi e travolgere ogni cosa sotto di sé. La forza della natura pareva voler ammonire coloro che, in cima al grande canyon, si apprestavano a sfidare la morte, incuranti delle acque prepotenti che gonfiavano pericolosamente quel fiume che li divideva.
L’intera vallata piangeva, temendo la sorte dei suoi fondatori.
 
Nell’oscurità più totale si fronteggiavano, fieri portatori d’opposti ideali e complementari universi. Stille di pura passione dall’incastro perfetto.
Bianco e nero che sfericamente turbinano dando forma ad ogni umana emozione.
Intrinsecamente connessi in un perverso gioco di morte e vita, totale completezza e pietoso nulla.
 
Un lampo squarciò l’aria densa e fremente d’attese, l’istantanea visione di quei volti tesi e consapevoli, la luce negli occhi guizzava riflessa specchiandosi nell’altro.
 
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Sottili sbuffi salivano fuggendo in brevi ondate dalle sottili labbra socchiuse; la pelle secca ed arrossata seguiva il repentino entrare ed uscire del respiro condensato, rapido ed affannato nel susseguirsi inarrestabile dei colpi.
 
La pioggia battente fendeva obliqua i loro volti segnati, raffiche taglienti di vento giungevano a tratti, assalendo improvvise ogni cosa, tendendo terribili agguati dal nulla annunciati, colpendo alle spalle con vile ferocia i duri shinobi dal freddo lambiti.
Cento stiletti di ghiaccio affilato colpivano incessantemente gli occhi, la nuca, gli zigomi, le braccia e le mani, come fini aghi sottopelle che, sciogliendosi lungo la schiena in sottili rivoli di liquidi brividi, penetravano nel profondo, legando le stanche membra in una morsa gelida ed implacabile.
Ma nulla è il mero cadere di lacrime celesti innanzi all’incrollabile volontà di chi sente dal proprio profondo di essere nato per quel momento: fuoco e vendetta riscaldano cocenti i corpi infreddoliti dei ninja opponenti, che come in una crudele danza s’incrociano agili e perfetti segnando indelebilmente l’avversario con precise e letali stoccate. Le vesti ormai fradice e lacere rivelano tragiche fioriture scarlatte che rapide paiono sbocciare ed immediatamente sfiorire, sinistri tributi al valoroso nemico, degno avversario di molte battaglie, opposto compagno di guerre non troppo lontane.
 
Con un rapido balzo all’indietro scansò solamente all’ultimo l’ennesimo kunai che, sibilando attraverso l’aria, finì per conficcarsi a fondo nello spesso strato di fango che ormai ricopriva il terreno. Proprio nel corso del precedente scambio Madara non aveva calcolato bene la consistenza del campo di battaglia, perdendo presa con il piede destro a seguito di un atterraggio poco fortunato, finendo per essere colpito di striscio sul fianco da una spessa trave lignea scagliata dall’avversario.
Normalmente gli sarebbe bastato rendersi intangibile per qualche secondo, ma nella situazione nella quale si trovava non era proprio il caso di mettersi a sprecare prezioso chakra inutilmente; ogni goccia risparmiata era di vitale importanza per il suo piano.
Il corso ingrossato della grande cascata imperversava furioso minacciando di esondare, andando a ricoprire e travolgere violento i fragili argini fangosi, ormai cedevoli e stanchi sotto il brutale incedere delle rapide. In tali condizioni era difficile persino rimanere in equilibrio sulla superficie dell’acqua, senza dover considerare l’inevitabile precarietà dei movimenti causata dalle frequenti ondate che scuotevano incessantemente la corrente del fiume. Nonostante l’indubbia abilità dei due shinobi, l’esigenza di rafforzare la presa per garantire un certo equilibrio, aumentando notevolmente la quantità di chakra concentrata sotto le piante dei piedi, sottraeva ad entrambi importanti risorse e riserve d’energia necessarie al combattimento.
 
Conosceva bene le armi del suo avversario, l’abile arte innata del legno che ne contraddistingueva il clan. In diverse occasioni si era dovuto difendere da simili attacchi ed ora, a distanza di anni, dopo innumerevoli ed estenuanti battaglie combattute con onore, poteva senza alcun dubbio affermare di poter bloccare e volgere a suo vantaggio i punti deboli di quell’abilità.
Hashirama era come un libro aperto ai suoi occhi: le tecniche utilizzate, le tattiche di combattimento, le peculiarità e le insicurezze, nulla gli era ormai sconosciuto o difficilmente prevedibile.
Allo stesso tempo era ben consapevole del fatto che nemmeno lui poteva ritenersi imperscrutabile agli acuti sguardi osservatori del proprio avversario; troppo a lungo si erano fronteggiati per evitare quest’inesorabile reciproca conoscenza.
 Erano come due vecchi compagni d’armi, solamente posti su fronti nemici ed inconciliabili.
 
Ma questa volta non avrebbe avuto compagni a sostenerlo, nessuno lo avrebbe soccorso e coperto in caso di difficoltà. Non ci sarebbe stato nessun Uchiha ad acclamarlo. Lo avevano lasciato solo a sostenere con la forza il valore dei suoi ideali, ad affrontare l’angoscia dei proprio fantasmi.
Perché nonostante la ferma convinzione di aver combattuto sempre per una causa giusta, l’assenza di una spalla su cui contare nei momenti critici si faceva sentire inevitabilmente. Accanto a Izuna non aveva mai dubitato, la sua convinzione non aveva mai vacillato, persino nel mezzo della battaglia, la presenza di una forte schiena contro la sua aveva sempre avuto il potere di infondergli coraggio e determinazione.
Ora nulla di tutto questo era rimasto, solo il freddo, i brividi, il sangue che colava copioso sulla fronte…e la forza della disperazione.
Continuava ad aggrapparsi strenuamente a tutto l’odio che era in grado di provare per andare avanti, per vincere, per non crollare, per Izuna.
 
In fondo, forse li avrebbe solo puniti duramente, erano pur sempre il suo clan, la sua famiglia, e lui era sempre stato particolarmente devoto ai familiari, come profondamente devoto era stato al suo amato otuto, che tanto eroicamente si era sacrificato per il bene degli Uchiha, donandogli i suoi stessi occhi.
Sì, probabilmente li avrebbe risparmiati e ripresi con sé, ovviamente non prima di una tangibile prova di fedeltà.
 
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Era il momento.
Ora che fango e sangue si erano ancora un volta mescolati fra loro.
Ora che entrambi, sporchi ed inzuppati, ansimavano sulle opposte rive del fiume.
Ora che il battito furioso di ognuno rimbombava con prepotenza nei timpani dell’atro.
Qualcuno una volta ha detto che ai veri shinobi non servono parole per comprendersi, qualunque sia il motivo o la loro storia, si capiranno istantaneamente nell’esatto momento in cui i loro pugni si scontreranno, colpendo con violenza, connettendoli inevitabilmente per mezzo del filo della rivalità, sottile ed impalpabile ma allo stesso tempo infrangibile, e così continuano a comunicare intuitivamente ogni volta, ad ogni scontro più uniti.
Era il momento di sferrare il suo attacco.
 
Scartando lateralmente per aggirare la spessa barriera di fango che il Senju aveva appena elevato, allungò rapido un braccio e, spalancandone la mano, aprì un varco spazio-temporale proprio alle spalle dell’Hokage, cogliendolo per un attimo impreparato, per poi richiuderlo immediatamente dopo. Hashirama fece appena in tempo a registrare l’accaduto che, recuperato istantaneamente l’equilibrio, in un secondo scattò lontano avvicinandosi pericolosamente all’Uchiha, le mani protese impegnate a comporre sigilli.
La sua mente tuttavia non poteva fare a meno di ritenere strano un simile attacco. Cos’aveva voluto fare? Anche non muovendosi non avrebbe potuto fare altro che privarlo di una misera ciocca di capelli che, essendo terribilmente lunghi, non potevano afe ameno di oscillare ad ogni movimento.
 
Cos’era accaduto?
Perché quel varco così mal posizionato?
Non era da lui sbagliare così palesemente, cosa stava tramando Madara?
 
Hashirama ormai poteva affermare di conoscere bene le capacità di Madara e le potenzialità delle sue tecniche; normalmente con un jutsu del genere avrebbe tranquillamente potuto portargli via un braccio, ed invece…doveva esserci qualcosa sotto, senza alcun dubbio.
 
Perso un tali pensieri si rese conto solo all’ultimo della fitta cortina di fumo che aveva avvolto ogni cosa.
“Kuchiyose no Jutsu!”
Madara, chinato a terra ed ancora visibilmente ansimante, sacrificava una goccia del suo sangue sul sigillo del richiamo. Il peso concentrato sul braccio destro, il petto scosso da brevi singulti sussultava irregolare.
Dal fitto della nebbia, si avvertì prepotente la presenza di un’imponente creatura; qualcosa si stava muovendo diradando le nubi fumose. Due, quattro…nove enormi code di fulvo pelo ondeggiarono fiere nell’aria, grosse zampe morbidamente fasciate affondarono i proprio affilatissimi artigli nel terreno cedevole. Un passo e la terra tremò. Un altro ed un argine crollò, franando sugli alberi spezzati della vallata. Un ghigno ferino, folle e crudele più del suo evocatore, furente e gioioso, riluceva nell’oscurità di quella notte priva di stelle. Le narici fremevano, assaporando dopo tanto tempo il piacevole odore della libertà. Due occhi fendenti, dilatati oltre ogni possibile immaginazione scrutavano con attenzione studiando la preda, deridendone la misera sorte; le pupille vermiglie, tre gocce d’odio puro in un mare di sangue.
Innanzi allo sguardo incredulo di Hashirama si mostrava in tutta la sua fierezza Kyuubi, il demore Volpe, la più potente e crudele delle bestie sigillate dall’Eremita dei sei sentieri.
 
Lo stupore del primo Hokage era palpabile: tutto si sarebbe aspettato da un avversario abile e scaltro come Madara, persino che avesse dato fuoco all’intera vallata con Amaterasu pur di ucciderlo, ma non avrebbe mai creduto possibile che decidesse così sconsideratamente di liberare uno dei leggendari Biiju…il più feroce per giunta.
A tanto giungeva il suo odio e la sua smania di vendetta.
A tal punto desiderava la distruzione di Konoha.
Ad una tale triste traguardo lo aveva spinto la sua follia, la sconsiderata cecità e l’ormai totale perdita di senno.
Aveva sperato fino a quel momento di poter placare la sua ira, di concludere il combattimento senza vittime, risparmiando inutili sacrifici ad un dio nel quale non aveva mai creduto: la vendetta. Tuttavia si era tristemente dovuto ricredere, la sua era stata un’ ingenua speranza, una mera utopia.
 
Dall’altra parte di ciò che rimaneva della cascata, il vendicatore osservava la scena con evidente soddisfazione: lo stupore che si era dipinto sul volto del suo rivale era segno evidente del suo genio. Dopotutto era ancora in grado di stupirlo, coglierlo di sorpresa e quindi batterlo una volta per tutte.
Prendendo posizione rafforzò il controllo su Kyuubi pronto al vero scontro, quello che sarebbe stato l’ultima fase della battaglia e la sua vittoria. Grazie allo Sharingan ipnotico poteva gestire ogni azione di quell’indomabile demone, anche se una tale tecnica gli richiedeva un enorme consumo di chakra. In ogni caso la potenza della Volpe era talmente grande che avrebbe permesso la conclusione di tutto in pochi minuti. Oltre non sarebbe riuscito a spingersi nemmeno lui. Troppo poco tempo aveva avuto per dedicarsi ad un simile addestramento e decisamente troppo era il consumo d’energia, al punto da lasciarlo ogni volta riverso sul terreno, ansante e pressoché privo di forze.
Hashirama scrutava il nemico, cercando disperatamente una via d’uscita che non prevedesse la distruzione di massa.
L’unica possibilità per uscire vivo da quello scontro infernale ed al contempo impedire alla Volpe di raggiungere il villaggio e raderlo a suolo consisteva nel riuscir a controllare temporaneamente il chakra del demone, giusto il tempo per sconfiggere l’Uchiha, e successivamente risigillare la belva in  un nuovo Jinchuuriki.
Per far questo il primo passo era necessariamente depistare Kyuubi, portando la sua attenzione su una copia lignea attraverso la tecnica della sostituzione del corpo. In seguito si sarebbe concentrato su Madara neutralizzando proprio quella sua abilità innata tanto potente quanto in grado di causare danni e sofferenza dalla portata devastante.
Il demone Volpe lanciò un grido cupo, basso e vibrante; l’odore inebriante del sangue giungeva alle sue acute narici come un dolce profumo, la voglia di uccidere, squartare e nutrirsi avidamente di dolore andava crescendo sempre di più sino a divenire insopportabile.
Le code fendevano l’aria sibilando e colpendo duramente il terreno, al loro passaggio interi alberi e gruppi di arbusti venivano sradicati e cadevano al suolo ridotti in frantumi.
Con un agile balzo che fece tremare nuovamente l’intera vallata fu innanzi al primo Hokage; sete e giustizia, istinto animale e saggia determinazione.
Ormai pronto al peggio, protese in avanti il braccio destro, afferrandone il polso con la mano sinistra, sul palmo disteso apparve nitido il kanji della soppressione.
 
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Buio, una densa oscurità piena di nulla.
Il vuoto ovunque: innanzi a me, dietro, nulla sotto i piedi, nero pure il cielo.
Come aver chiuso gli occhi…per sempre.
Brancolava.

Astuto il Senju, non per nulla l’avevano eletto Primo Hokage preferendolo a lui, aveva trovato finalmente il modo per renderlo inoffensivo.
Lo aveva reso cieco.
Ed un Uchiha cieco è un Uchiha morto.
Lui ne sapeva qualcosa.

Un attimo prima poteva vedere Kyuubi colpire in pieno Hashirama con una potente sfera di chakra nero concentrato e mille schegge impazzite scagliarsi nell’aria.
Poi nulla.
Il buio più totale l’aveva avvolto come una coperta polverosa e soffocante, si era posato sui suoi occhi rendendoli inutili e facendogli perdere in controllo sulla Volpe.
Sapeva di essere ancora in quella valle, tuttavia i suoi sensi erano come spenti, resi inutili da un ottundimento generale.
Nessuna luce, nessun odore, nessun suono.
Nemmeno una superficie da toccare. Non riusciva più ad avvertire nemmeno il vento sulla pelle…e la scrosciante pioggia battere sul viso e sulle numerose ferite.
Iniziava, lentamente, ad insinuarsi il dubbio, a farsi strada nella sua mente la consapevolezza della sua fine, che molto probabilmente non sarebbe stato lui ad uscire vivo da quella battaglia. Inaspettatamente stava perdendo, nemmeno l’espediente di Kyuubi aveva funzionato.

Doveva prepararsi alla sconfitta?
Accettare il fallimento?

Abbandonarsi allo sconforto?

Poi un colpo, in pieno stomaco, ma non una spada, non un kunai.
Qualcosa di grosso, nemmeno particolarmente appuntito, non particolarmente affilato.
Tossì, sputò sangue, inveì rivolto al nulla e svenne. Si spense.

E fu il buio della mente.
Oblio dei sensi e della memoria.
   
 
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