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Autore: thefung    07/12/2010    7 recensioni
Bella Swan è un'agente della CIA a cui viene affidata un'importantissima e difficile missione. Dovrà lavorare con una squadra molto speciale ed affiatata, in particolare insieme a Edward Cullen, che oltre ad essere un ragazzo arrogante, pieno di sé e donnaiolo, è anche il nipote del capo. Bella pensa di aver capito tutto di lui, sin dal loro primo scambio di occhiate. In realtà Edward nasconde moltissimi segreti, e, alla fine, quella che sembra una missione per la salvezza del pianeta, diventa per Bella una missione per la vita, per ritrovare sé stessa e soprattutto l'amore.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Bella/Edward
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
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Capitolo 11
Missione d'Amore

CAPITOLO UNDICI


Interdetta e incuriosita, ripercorsi il tragitto compiuto pochi istanti prima con perizia ed attenzione.
Sentivo dei fruscii che non promettevano nulla di buono e, nonostante avessi comunque la pistola a portata di mano - Edward aveva insistito per farmela portare - non avevo assolutamente voglia di doverla utilizzare.
Quando però fui sulle scale del terzo piano, una luce tenue, bianca, proveniente dalla parte più interna del corridoio, mi fece bloccare.
Stupidamente, mi ritrovai a pensare ad Harry Potter, alla somiglianza che questo strano bagliore aveva con il deluminatore di Ron.
Maledicendomi e scuotendo la testa, mi affrettai a proseguire, sempre con più attenzione, soffocando ancora una volta la mia curiosità.
Decisamente troppe cose erano sospette in quella villa, ma dovevo lasciare perdere tutto ciò mi attirasse se volevo risolvere la missione con Edward e dare finalmente un senso a tutto.
Arrivata al quarto piano, tentai di ricordare le coordinate di Edward che avevo sentito un po' male a causa della sua voce attutita dall'auricolare.
Eh sì, il rumore sospetto che mi aveva infastidito era proprio l'allarme dell'auricolare. Ovviamente, di questo non avrei fatto parola con Edward, già immaginandomi quanto mi avrebbe derisa.
Sesta porta alla destra delle scale, ricordai muovendomi svelta.
Una volta giunta davanti alla mia meta, sbirciai dalla serratura della porta socchiusa, giusto per assicurarmi che non ci fosse qualche brutta sorpresa. Nonostante le mie precauzioni, però, non si riusciva a vedere nulla da quel misero spazio, perciò, con un sospiro profondo, aprii la porta.
Dopo aver provocato un leggero scricchiolio, mi fiondai dentro, chiudendola con forza alle mie spalle.
"Finalmente", un sussurro chiaro, perfettamente udibile anche senza l'auricolare, giunse alle mie orecchie.
Mi voltai.
Ero in una stanza ampia, buia - ovviamente -, arredata a regola d'arte. Doveva essere una camera da letto, probabilmente per altri ospiti, visti i due letti presenti accanto alle pareti.
Di Edward, però, nessuna traccia. Eppure la voce l'avevo sentita...
Camminando sulle punte, mossi titubante il copriletto del materasso più vicino, in modo da percepire se per caso il ragazzo si fosse messo lì dietro giusto per spaventarmi e fare uno scherzo stupido dei suoi.
Una risatina, cristallina e limpida invece si disperse nell'aria, proveniente da tutt'altra direzione. "Guarda che sono qui, eh"
Oddio, come avevo fatto a non vederlo?!
Di fronte all'armadio - formato da due sportelli, uno sopra l'altro - con un'anta aperta, sbucavano due lunghe gambe muscolose, coperte da pantaloni attillati neri. Ecco, quello era chiaramente Edward.
Morendo di imbarazzo, mi avvicinai cauta, volendo capire cosa avesse trovato e perché si ostinasse a parlare ad alta voce.
Una volta al suo fianco, osservai perplessa ciò in cui le sue mani stavano frugando così attentamente e scrupolosamente. Erano...scatole, scatole e fogli.
Convinta che parlare sarebbe stato pericoloso, gli picchiettai sulla spalla ansiosamente per chiedere spiegazioni.
La sua testa si voltò di scatto e, non appena vide la mia espressione, si aprì in un sorriso mozza fiato, tenero e divertito. "Puoi anche parlare, sai?", ridacchiò continuando a scavare tra le varie scatole di documenti. Non le apriva mai, controllava solamente l'esterno, nonostante sembrassero tutte identiche.
Ora che le osservavo bene, mi accorsi che quelle erano davvero scatole di scarpe in cui qualcuno aveva infilato fogli e cartellette varie!
"Ma...non è pericoloso?", chiesi piccata e un tantino scettica.
"No", rispose senza ritornare a guardarmi. "Questa stanza è insonorizzata, guarda i pannelli alle pareti", mi diede indicazioni, ormai imperturbabile.
Feci come mi aveva detto e notai che dei tendaggi scuri ricadevano sulle quattro pareti della stanza. Niente di ciò, però, attirò più di tanto il mio intuito; guarda caso, non avevo mai avuto una stanza tutta mia ed insonorizzata.
"Come fai ad esserne così sicuro?", domandai nuovamente.
"Anche io avevo una stanza del genere quando abitavo con i miei", un'ombra passò per un attimo sul suo volto, testimoniando la sofferenza e la nostalgia che provava. "Suono il pianoforte e, per evitare che tutti mi sentissero dalla mattina alla sera, avevamo deciso di rendere la mia camera insonorizzata", spiegò lento, armeggiando ancora con le mani. Da una scatola, finalmente, tirò fuori dei fogli, mostrandomeli.
"Guarda", disse.
Il primo di essi era un normalissimo foglio bianco, con alcune scritte al centro della pagina.

SOGGETTO X
Vita, morte e miracoli

Sollevando lo sguardo, fissai Edward perplessa. Cosa significava quella scritta?
"Penso possa essere la loro vittima principale, quella per cui stanno facendo tutto questo casino", rispose continuando ad osservare la pagina come la volesse bruciare con la semplice forza del pensiero. Be', in effetti i suoi occhi erano così intensi che forse avrebbe potuto...
Dandomi per l'ennesima volta della stupida, neanche fossi un'adoloscente in pieno sconvolgimento ormonale, ritornai al discorso di prima senza dare troppo nell'occhio.
"Partendo dal presupposto che siano loro gli artefici della 'missione tetano'?", domandai nuovamente, prelevando i due fogli successivi dalla stessa scatola nera.
"Sì, esattamente"
Il secondo documento era ancora più strano del precedente: aveva anche questo una scritta nera nel mezzo, proprio al centro della pagina, ma sembrava più che altro il luogo e la data di una nascita.

Hondgenville, 12 Febbraio

Senza riuscire a resistere, passai al terzo, incuriosita più che mai.

Prestò servizio come capitano nell'esercito degli Stati Uniti

La mia confusione cresceva sempre di più, man mano che leggevo.
Quarto foglio.


Springfield: avvocato

Sugli ultimi due fogli, invece, c'erano scritti soltanto i nomi di due luoghi.

Gettysburg
Washington


"C-che significa?", balbettai lasciando che i fogli cadessero dalle mie mani, fragili e leggeri.
"Bella...penso che ci sia qualcosa di strano", rispose Edward, il tono di voce preoccupato ed intenso.
Mi voltai a guardarlo.
"Cosa intendi?"
"Queste date...questi posti...credo che ci stiano tendendo una trappola, Bella", mormorò, gli occhi ridotti a fessure.
"Proviamo a guardarne un altro...", dissi prendo già un'altra scatola.
Con mani tremanti, sollevai il coperchio e lessi con attenzione la prima pagina.

SOGGETTO X
Vita, morte e miracoli

Ancora. Voltai la pagina, con un guizzo di sospetto negli occhi.

Hondgenville, 12 Febbraio

"Ambramo Lincoln", questo fu il lieve sussurro di Edward, quasi impercettibile per come l'aveva pronunciato, ma che mi arrivò alle orecchie con precisione, neanche l'avesse urlato.
"Hai ragione, Edward!", esclamai ormai colta da una frenesia incredibile.
Quelle date, quei posti...tutto riguardava la vita di Abramo Lincoln, non una qualche potenziale vittima. Era solo una trappola, aveva ragione Edward, ma forse non tutto era detto...
"Prendi altre scatole", ordinai in fretta.
"Cosa?!", domandò scettico e confuso lui.
"Prendile e basta!", gridai ormai sull'orlo dell'isteria.
Aprivo e controllavo più scatole di scarpe riuscissi, sicura che quello che stavo cercando sarebbe comparso a momenti.
Doveva esserci.
Un passo. Due passi. Tre. Quattro.
Sollevai di scatto il capo, facendo scontrare i miei occhi con quelli di Edward.
"C'è qualcuno, cazzo!", esclamò lui, cominciando già a riporre i fogli nelle scatole.
"NO!", ribattei, ricominciando a controllarle.
"Bella, cazzo, non c'è tempo!", cercò di prendere le mie mani ed allontanarmi dalle scatole, ma continuai imperterrita a cercare.
"L'avete sentito?", una voce conosciuta giunse alle nostre orecchie, un po' attutita ma comunque abbastanza chiara.
Jacob.
Voltai nuovamente il capo in direzione di Edward. "Ma non era una stanza insonorizzata, questa?", sibilai mantenendo il tono di voce più basso che potessi.
Non gli diedi il tempo di rispondere, la sua espressione parlava chiaro: lui ne era convinto, fino ad un attimo fa, ovviamente.
Scuotendo impercettibilmente la testa, continuai a controllare i fogli. Tutti identici, cazzo! Tutti con quel dannato soggetto X...
I passi si fecero man mano più vicini e nitidi, così tanto che Edward fu costretto a prendermi di peso per distogliermi dalla mia operazione.
Mi dimenai furiosa, ma anche la sua mano giunse a bloccare ogni mia protesta, prima che mi buttasse letteralmente sotto la scrivania con lui stesso alle spalle.
Giusto in tempo.
"Lo so che sei qui...o siete", un mormorio accattivante proruppe dal buio della stanza, mentre i passi giungevano sempre più chiari.
"Vieni fuori...", questa volta a parlare era stato Quil, il tono minaccioso e crudele come l'avevo sentito solo pochissime volte. Per mia fortuna, dovevo dire. Non era niente di piacevole.
Camminavano velocemente, ridacchiando senza sosta. Avevano delle risate sadiche e immaginavo come dovessero essere le loro espressioni: dei gatti che cercano senza pietà le proprie prede nascoste nell'ombra.
Un frastuno tremendo, acuto e fragoroso, come di un lampadario di vetro che cade per terra, frantumandosi in mille pezzi.
Il tutto a poca distanza da noi.
"Cosa cazzo è stato?!", gridò Jacob, la voce preda del panico e del nervosismo.
Dopo un'ultima imprecazione, corsero tutti quanti - dovevano essere in quattro, più o meno, - nel corridoio, ormai concentrati solamente su quel rumore assordante.
Anche lì doveva esserci qualcuno, ma non me ne preoccupai; avevo ben altro a cui pensare, e non persi tempo.
Liberandomi della stretta ferrea di Edward, mi fiondai nuovamente all'armadio, tirando fuori i fogli dalle scatole sempre più freneticamente.
Sebrava non esserci nulla, sembrava che ogni mia convinzione fosse una semplice cazzata, sembrava che avesse ragione Edward mentre mi pregava di smetterla e di andarcene.
Sembrava, perché improvvisamente sul secondo foglio dell'ennesima scatola nera, vidi una scritta ben diversa dalle solite.
Tre parole, incomprensibili a prima lettura, ma che confermavano tutte le mie ipotesi.
"Bella, cazzo!!!", questa volta Edward non si fece scrupoli, mi prese come prima in spalla - testa sulla sua schiena e sedere all'aria -, mettendosi a correre vecelocemente, ovviamente un po' rallentato dal mio peso.
Riuscivo a percepire le voci confuse ed arrabbiate degli uomini, lì nella stanza dove si era rotto il vetro.
Chissà cos'era stato...
Una parte di me era incuriosita, ma la seconda ebbe la meglio: le tre parole che avevo letto mi avevano destabilizzato troppo: non riuscivo a capire assolutamente cosa potessero significare.
Edward aveva ormai il fiatone, ma non per questo la sua corsa rallentò.
Sarei dovuta scendere per semplificare il tutto, ma la sensazione di essere protetta, per una volta, di avere il suo corpo caldo a contatto col mio...
Ora stava armeggiando con il mazzo di chiavi della stanza, impaziente di infilarlo nella toppa e farla finita con questa corsa.
Una volta che l'aprì, ci si infilò dentro, sempre con me in spalla, e la chiuse ermeticamente, attento e scrupoloso.
Mi fece scendere senza degnarmi di uno sguardo, poi si voltò nella direzione opposta, verso il balcone, lasciò cadere le chiavi a terra e fece una cosa che non mi sarei mai aspettata.
"Spogliati"
Impallidii.
"C-cosa?", chiesi, perplessa e convinta di aver capito male.
"Spogliati", ripeté, imperturbabile levandosi la maglietta dalla testa e mostrando ai miei occhi la sua schiena pallida, muscolosa e levigata come il marmo.
"Perché?", domandai ancora, cercando di dare alla mia voce un tono meno affannato.
Sospirò, probabilmente tentando di trattenere un attacco di nervi. "Perché sento i loro passi, Bella, e sono sicuro che verranno a controllare se siamo noi i ficcanaso o perché non abbiamo sentito i vetri. Perciò,", si voltò, inchiodandomi con i suoi occhi verdi, "Questo è l'unico modo", concluse liberandosi dei pantaloni neri attillati e rimanendo soltanto in boxer.
Li sentivo anche io, adesso, sentivo ancora le loro voci e le loro falcate frettolose sulle scale, sempre più vicini, proprio come prima.
Ma non fu per questo che deglutii.
"D-devo proprio...?", mi uscì spontaneamente, senza che potessi controllarmi.
Si avvicinò al letto con passi candenzati, piccoli e lenti, e sorrise, un sorriso mesto, privo di una qualche emozione in particolare.
"Non è il momento di essere timidi, Isabella"
Il fatto che mi ebbe chiamato con il mio nome intero mi fece capire che non scherzava.
E le voci si avvicinavano.
Facendo un sospiro profondo e trattenendo le emozioni contrastanti nella mia testa, sfilai il corpetto nero con un gesto secco.
Via il dente, via il dolore, pensavo.
Purtroppo, però, trovarmi davanti lo sguardo di Edward, quei suoi occhi chiari, trasparenti e lucidi, non fu positivo. Per niente.
Rimanemmo a fissarci per un tempo che sembrò interminabile in silenzio, io con pantaloncini e reggiseno e lui con indosso solo i boxer grigi.
Il tutto prima che Edward si risvegliasse dalla trance e corresse al letto, scostasse in fretta le lenzuola e ci si infilasse sotto con un movimento fluido. Non avevo tempo per decidere o per pensare: era una cosa che dovevo fare e basta.
Portai le mie mani tremanti alla schiena - ricoperta di brividi anch'essa - e slaggiai il gancio del reggiseno di pizzo bianco, candido ed immacolato, facendolo cadere per terra.
Poi, presa da uno slancio - l'unico, tra l'altro - di sicurezza, raggiunsi anch'io il letto, senza guardare minimamente il volto di Edward. Avevo paura di ciò che vi avrei visto.
Derisione? Ammirazione? Orrore? Non ne avevo idea, e in quel momento proprio non lo volevo sapere dato che due colpi secchi e feroci arrivarono alla porta della nostra stanza.
Incollai le mie labbra a quelle di Edward mentre lui, veloce ed impetuoso come al solito, si portava sopra di me, schiacciandomi piacevolmente con il calore del suo corpo seminudo.
Dolcezza, passione, desiderio. Riuscivo a cogliere di tutto in questo contatto, nonostante la porta si aprì di colpo, rivelando la figura affannata e sudata di Jacob.
Aveva corso per le scale fino a questo momento, e se non ci avesse trovato lì, per noi sarebbe stato un disastro.
"Oh", disse semplicemente, notando la nostra 'occupazione'.
Edward ed io ci separammo, ma le braccia di Edward rimasero comunque dietro la mia schiena, in un abbraccio che mi permetteva di stare sempre a contatto con lui, con tutto il suo corpo.
"Qualche problema?", ringhiò Edward, facendo trasparire tutta la sua irritazione.
Era proprio un bravo attore, una spia modello, mi resi conto con amarezza.
L'espressione di Jacob si fece confusa e allo stesso tempo divertita. "No, per carità...hanno semplicemente spaccato una vetrata al quarto piano e ci è sembrato strano che non l'aveste sentito"
Per tutta risposta, Edward si girò verso di me, guardandomi con finto stupore. "Avevi ragione, amore, era davvero vetro quello che avevi sentito", mormorò in modo che lo potesse sentire anche Jacob, prima di lasciare un bacio a fior di labbra sulla mia bocca già arrossata a causa dei suoi baci ardenti.
Stavo andando in iperventilazione. Entro poco, lo sentivo, sarei esplosa.
"Be'...allora io adesso tolgo il disturbo", disse Jacob, per niente a disagio, "Continuate pure con comodo: domani non penso riuscirete dato che ci sarà una festa. Spero soltanto che questi cazzo di vandali non pensino di passare anche la prossima notte.", sembrò perso un attimo nei suoi pensieri, poi trovò il solito ghigno strafottente e se ne andò, lasciandoci solo con un "Divertitevi"
Non appena ebbe chiuso la porta, Edward si rituffò nuovamente sulle mie labbra, senza lasciarmi nemmeno il tempo di respirare.
Era appassionato, proprio come prima, e io non feci altro che chiedermi, come tante altre volte avevo fatto in questi giorni, se per lui fosse solo e soltanto finzione.
Mi concentrai ancora una volta sui passi di Jacob nel corridoio e, una volta che entrambi lo avemmo sentito chiaramente cominciare a scendere le scale, pensavo che Edward si sarebbe allontanato, lasciandomi ansimante su un letto che ormai sapeva del calore e del profumo di entrambi.
Ma così non fu.
Le sue labbra continuavano implacabili a baciarmi, anzi, forse con ancora paggior foga, mentre la sua lingua riprendeva quella tanto desiderata danza con la mia, lasciandomi entro poco senza fiato. Non sapevo come riuscire a staccarmi, anche solo per riprendere fiato, dato che mi teneva per la nuca, le dita infilate tra i miei capelli.
Feci leva sulle sue spalle per farlo allontanare, sentivo che se fossi rimasta ancora senza aria sarei svenuta, sia per autocomubustione che altro.
Comprese il messaggio immediatamente, ma le sue labbra non abbandonarono il mio corpo, anzi, scesero sul collo, baciando e leccando tutta la zona della giugulare.
"E-edward", dissi tra i sospiri. Sembravo una gatta in calore.
"Jacob se n'è andato", continuai ansimando.
Non mi degnò di alcuna risposta verbale, però, entro poco, le sue labbra presero di nuovo possesso delle mie, sempre bramose e morbide mentre le sue mani tra i miei capelli dettavano il ritmo dei movimenti.
Il suo petto contro il mio seno, poi, creava una sensazione incredibile, intima come non ne avevo mai provate.
Riuscii a staccare di poco la bocca dalla sua, il tempo di aprire gli occhi e trovare i suoi, spalancati e scuriti dal desiderio.
Sentivo le farfalle nello stomaco.
"P-perché?", chiesi sulle sue labbra, le sue braccia che ad ogni movimento mi stringevano di più a sé.
"Bella, non dirmi che non lo senti anche tu.", disse con voce roca, sospirando velocemente ed accarezzandomi la schiena con mani tremanti.
"Non dirmi che non senti il bisogno di baciarmi, di stringermi, di unirti con me in un solo corpo come lo desidero io.", continuò con una tale intensità negli occhi verdi da lasciarmi sgomenta.
Non riuscii a pensare, a riflettere sulle sue parole né a dire una sillaba, ribattere per ciò che aveva detto. Per ciò che mi aveva confidato.
Mi ritrovai nuovamente le sue labbra calde sulle mie, sempre più desiderose e appassionate.
Come si faceva a dire di no ad una tale attrazione?
Perchè ormai era chiaro: eravamo attratti l'uno dall'altra, in una maniera impossibile da controllare o fermare.
Nel modo in cui la sua lingua si fece nuovamente strada nella mia bocca, riuscii a comprendere tutta la sua frustrazione, le sue incertezze, forse anche la sua paura.
Compresi tutto ciò che provava in un attimo, e ancora meno mi ci volle per convidire appieno i suoi sentimenti.
Allontandandosi ancora una volta perché respirassi, si spostò un poco da me, giusto per guardarmi meglio e tentare di liberarmi del ciondolo che ostacolava il passaggio delle sue labbra sul mio collo.
Il ciondolo.
Il ciondolo.
Il ciondolo.
Fu quello a farmi riprendere coscienza di me stessa, di ciò che stavo facendo.
Di chi appartenesse quella piccola stella di argento ed anche io stessa. Di cosa avevo promesso lui, nonostante mi avesse lasciata.
Scossi la testa con decisione, tentando di far comprendere quella decisione anche al mio corpo, che, invece, non desiderava altro che Edward, solo e solamente lui, come un drogato e la sua qualità di eroina preferita.
"No.", sussurrai, volendo far capire anche al ragazzo la mia decisione.
Nonostante nel suo sguardo leggessi delusione, stupore e ancora desiderio, si scostò piano, lasciandomi lo spazio per sgusciare fuori ed alzarmi dal letto.
Sono una stupida, sono una stupida, solo questo riusciva a registrare la mia testa mentre mi abbassavo a prendere una maglietta a caso dal pavimento, senza neanche far caso al fatto che fosse sua.
Aprii con un colpo secco la portafinestra che dava sul balcone e avvolsi il mio corpo con l'indumento, riparandomi dal venticello più fresco della notte, ormai in piedi sulla terrazza.
Sentivo le lacrime agli angoli degli occhi, premevano per uscire - volevano uscire -, ma rimanevano lì, a bruciare dolorose.
Mentre una di esse prese a scorrere sulla mia guancia, guardando la luna bianca e perfetta brillare nel cielo, mi vennero in mente tre parole.
Quelle tre parole senza senso che avevo letto nel documento.
L'unico. Il documento 'vero'.
Sameline Lurele Crence.

EEEECCOMI QUAAA! ^^
BUONA SERA A TUTTI!!!!!!
SIETE ARRIVATI ALLA FINE DEL CAPITOLO???? WOOOW, GRAZIE, CHE PERSONE STRAORDINARIE! XD IO NON CE L'AVREI FATTA, RIBADISCO COME AL SOLITO! XD
LO SO, è STATO UN CAPITOLO PARTICOLARE...
PENSO NON SI CAPISSE NULLA ALL'INIZIO DEI DOCUMENTI, E ANCORA MENO ADESSO CON QUESTE TRE PAROLE: SAMELINE LAURELE CENCE.
CHE COSA RAPPRESENTANO????
AH BOOOOH....STA A VOI SCOPRIRLO! ANZI, A EDWARD E BELLA! =D
ECCO, A PROPOSITO DEI MIEI DUE PICCIONCINI...C'HANNO DATO DENTRO, EH?!?! XD
NON A CASO HO MESSO IL RATING ARANCIONE, SAPETE? ù.ù NON ME LA SENTO DI COMMENTARE QUESTA SCENA SINCERAMENTE, DATO CHE CE NE SARANNO ALTRE COSì....
EHM...POTEVO DIRLO? XD
COME AL SOLITO, CHIEDO SCUSA PER IL RITARDO...PERò IL CAPITOLO ERA LUNGO E RICCO, PENSO DI ESSERE PERDONATA. ALMENO IN PARTE, DAI! ù.ù
FATEMI SAPERE SE VI è PIACIUTO, DAI, MUOIO DALLA CURIOSITà ^^
UN BACIO GRANDE A TUTTE QUANTE!!!!!!!!
GRAZIE DA MORIRE PER TUTTO!!!!!!!!
ELE


ANGOLINO PUBBLICITà ^^
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GRAZIE MILLE IN ANTICIPO! ^^
VOSTRA ELE


   
 
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