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Autore: Abraxas    08/12/2010    7 recensioni
Tre secoli e mezzo dopo il confronto con i Cullen, il potere dei Volturi è solo una pallida ombra di ciò che era un tempo. Se solo le cose fossero andate diversamente, medita Aro…
E se esistesse un modo per cambiare gli eventi?
E se qualcuno fosse incaricato di impedire queste modifiche?
Qualcuno che non sospetta minimamente dell’esistenza di vampiri e licantropi…
Lei torna a sedersi dietro la scrivania, facendo segno di accomodarmi sulla poltrona di fronte. “Una missione Infiltrazione e Controllo temporale attivo standard. Primo decennio del ventunesimo secolo.”
Mi allunga un datapad, che prendo e comincio a scorrere velocemente.
“Sistemazione a centocinquanta miglia da Seattle? Riserva indiana di La Push? Dico, siete impazziti? Come diavolo farei a passare inosservato?”
Genere: Science-fiction, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Quileute, Seth Clearwater, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più libri/film
Capitoli:
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- #7: I don’t know you, but I want you… -

 
“Isolare i tracciati biologici a ventuno e quarantasei.”

“Tracciati isolati.”

“Isolare il gruppo Fenrir, il gruppo Aesir e l’unità Vanir.”

“Unità isolate.”

“Inserire reticolo geografico.”

“Reticolo inserito.”

Studio con attenzione la mappa olografica della foresta di Hoh, che aleggia ondeggiando una decina di centimetri sopra al tavolino del salotto, precisa fino all’ultimo albero.

“Ingrandire settore Oscar-nove.”

L’immagine della radura si estende ad occupare tutta la proiezione. Su di essa troneggiano cinque punti arancioni, uno rosso e due blu, ad indicare rispettivamente i lupi, il Vanir, me ed Eva.

“Continuare fino a ventuno e quarantasette.”

La sfera rossa si muove a scatti in una buffa danza con una di quelle blu, per poi spostarsi all’improvviso fino al bordo della radura, inseguita da quattro delle arancioni.

“Mantenere lo stesso livello di ingrandimento, passare al settore Oscar-otto e continuare fino a ventuno e quarantotto.”

I simboli dei lupi continuano a tallonare quello del Vanir, per poi circondarlo e saltargli addosso.

“Continuare. Avanti di uno ogni dieci secondi.”

Il punto rosso diminuisce notevolmente di intensità mentre gli altri tre, dopo qualche momento fermi intorno a lui, si allontanano fino ad uscire dalla mappa. Il Vanir è oramai svanito.
Un attimo, non erano quattro?
Ah, no, rieccolo. Devono esserci dei problemi con la sincronizzazione dei sensori.

“Segnalare l’ultima posizione nota dell’unità Vanir come Midgard.”

“Posizione segnalata.”

Obbediente, un icona con su scritto Midgard appare nel luogo occupato fino a poco fa dal punto rosso.

“Ricercare altri tracciati biologici nel raggio di cinquecento metri da Midgard a partire da ventuno e cinquanta.”

“Attendere. Ricerca in corso… ricerca terminata. Non vi sono ulteriori tracciati biologici all’interno dei parametri indicati.”

Impossibile.

Vorrebbe dire che quel coso corazzato è stato fatto fuori da una combriccola di canidi troppo cresciuti. Per quanto possano essere pericolosi, non mi sembrano in grado di costituire una minaccia per un essere a prova di proiettile. Dev’esserci per forza qualcos’altro.

“Elencare tutti i tracciati biologici rilevati in precedenza.”

“Numero cinque tracciati biologici corrispondenti ad unità Fenrir. Numero uno tracciati biologici corrispondenti ad unità Vanir. Numero due tracciati biologici corrispondenti ad unità Aesir. Numero uno tracciati biologici corrispondenti ad esseri umani. Numero uno tracciati biologici corrispondenti ad entità sconosciute. Denominazione Nyx-01.”

Bingo.

“Specificare.”

“L’unità Nyx-01 è stata rilevata a ventuno quarantanove e ventidue, ed è scomparsa a ventuno cinquantuno e dodici.”

“Visualizzare per esteso il suo tracciato biologico.”

“Impossibile eseguire. Dati insufficienti. Il tracciato è troppo debole per essere visualizzato.”

Accidenti a me che ho sistemato per bene i sensori soltanto dopo aver salvato la Swan.

“E’ possibile rintracciarla con una scansione dell’area?”

“Negativo. Dati insufficienti. Impossibile eseguire un riscontro con i tremiladuecentocinquantaquattro tracciati rilevati attualmente all’interno del campo d’azione.”

Un momento.

“Concentrarsi sull’unità Fenrir-03… per quanto tempo il suo tracciato scompare?”

“L’unità Fenrir-03 è scomparsa a ventuno quarantanove e ventuno, ed è stata nuovamente rilevata a ventuno cinquantuno e tredici. Le posizioni di comparsa e di scomparsa di Fenrir-03 e del contatto Nyx-01 corrispondono.”

Cioè… uno dei lupi è in grado di cambiare tracciato genetico a piacimento?
Che casino.

“Segnalare immediatamente qualora vengano rilevate le unità Fenrir. Chiudere.”

La mappa scompare, giusto giusto mentre Eva torna dal suo giro al supermercato.

“Ho fatto anche un salto dai Black per la macchina… non c’era nessuno”, annuncia chiudendo la porta dietro di sé e posando in terra le borse della spesa. “A quanto pare tale Harry Clearwater ha avuto un infarto, e non ce l’ha fatta. Mi hanno detto che sono a casa sua a consolare la vedova ed i figli.”

“Clearwater?”, chiedo, alzando la testa dal datapad che sto compilando. “C’entra qualcosa con quel Seth e la sorella che abbiamo incrociato settimana scorsa in spiaggia con Kim? Come si chiamava… cosa… tizia… Lyla?”

Certo, noi Aesir abbiamo una memoria infallibile, ma solo quando decidiamo di ricordarci un’informazione, cosa che non ho fatto per la Clearwater. Sarebbe troppo bello memorizzare senza doversi nemmeno sforzare...

“Leah.”, mi viene in aiuto lei. “Sì, sono loro.”

Non è che ci avessimo parlato granché. Chi siete, da dove venite, come vi trovate, e la cosa era morta lì. Beh, forse al momento morta non è l’eufemismo migliore da usare.

“Dovremmo perlomeno passare a fare le condoglianze.”

Tanto per continuare con l’integrazione nella riserva. E’ da settimana scorsa che i Quileute sembrano evitarci per chissà quale ragione, e noi abbiamo altro a cui pensare per cercare di riappacificarci. Dobbiamo risolvere questo mistero dei lupi, per esempio.

“Fermo lì. Indovina chi era uno dei più cari amici del defunto Clearwater?”, mi interrompe.

Scuoto le spalle per dirle che non ne ho idea.

“Charlie Swan.”

Il che implica Isabella Swan. Ma quella sbuca fuori ad ogni angolo di strada?

“Tutte queste informazioni le hai ottenute frequentando le zabette del villaggio?”, chiedo sorridente. L’uovo che afferro al volo un attimo prima che mi si rompa in testa mi informa che non ha gradito la mia definizione della sua “raccolta informazioni”.

“Piantala di dire idiozie”, intima.

“D’accordo, passiamo a quello che ho scoperto io. Mappa.”

L’ologramma riappare in mezzo alla stanza.

“Ripetere le ultime direttive.”

Di fronte allo sguardo concentrato di Eva i punti colorati ripercorrono più volte gli stessi spostamenti che hanno compiuto poco fa. Lei cambia angolazione, sposta lo zoom, si concentra solo su poche tracce alla volta… insomma, analizza la situazione da ogni punto di vista.

“Stai cercando di dirmi…”, comincia lei spegnendo la mappa, dopo una decina di minuti, “…che non solo sono lupi giganti, ma lupi giganti mutanti?”

“Geneticamente parlando… sì. Il che ci lascia con parecchie domande sulla loro natura. Purtroppo non siamo in grado di isolare nuovamente questa traccia, i sensori non erano tarati quando hanno registrato il nostro scontro. Anzi, è già tanto se erano accesi. E’ stata fortuna con la c maiuscola se siamo riusciti ad avere questi dati.”

Lei si mordicchia il labbro, pensando a cosa fare.

“Che diciamo alla Novikova? Che ci troviamo davanti dei lupi mannari?”

“Cerchiamo di restare seri, ok? Non posso scrivere nel rapporto una cosa del genere!”

“Beh, a questo punto… direi che ci serve uno di questi lupi. Vivo, possibilmente.”

La guardo incredulo.

“Vuoi catturare uno di quei mostri?”

“Non abbiamo scelta. Ci serve sapere cosa abbiamo di fronte, con precisione.”

“E’ rischioso.”

“Un falò si è acceso da solo, bruciando un essere a prova di proiettile. Ed abbiamo un animale in grado di cambiare tracciato genetico a suo piacimento. Non ti interessa avere delle
risposte?”

“Sì, ma… d’accordo, hai ragione.”

Resto un momento con lo sguardo perso nella cartina, senza vederla davvero, prima di riprendere a parlare.

“I lupi sono animali abitudinari. Credo che potrebbero anche ripercorrere sentieri già battuti… potremmo organizzare un’imboscata. Occorrerà lasciarli in pace per qualche giorno, però.”

“Direi che in questo caso il gioco vale la candela. Da oggi comincia la nostra carriera di… come si chiamano gli studiosi di lupi?”

“Studiosi di lupi”, replico con scarso interesse, ricordandomi in quel momento che lei è entrata in casa con una borsa di surgelati che ora si stanno bellamente squagliando vicino al caminetto acceso. La priorità ora cambia in salva la cena.

“Accidenti, me n’ero completamente dimenticata!”, esclama lei nello stesso momento, venendomi dietro.

“Funghi surgelati?”, domando schifato mentre apro il freezer, riempiendolo il più in fretta possibile. “Siamo in montagna, potremmo anche cercarceli da noi, sai?”

“Perché abbiamo poco da fare, no?”, mi chiede strappandomi dalle mani il sacchetto con le crocchette, che finiscono in frigorifero.

“Ti ricordo che abbiamo appena deciso per due giorni di pausa in modo da far uscire allo scoperto i lupi.”

“Questo non significa che siamo in vacanza.”

“Peccato, ci speravo proprio.”

“Se non vuoi più rischiare la vita in angoli di galassia dimenticati avresti dovuto chiedere il congedo dopo Polaris… sei un po’ in ritardo, eh.”

Cerco di ignorare la solita stretta gelida che mi prende lo stomaco al sentire nominare quel sistema maledetto. Strano, però, non è così terribile come mi ricordo… proprio per niente.

“Già…”, le rispondo stiracchiando un sorriso. Per i miei standard è un successone.

Lei ricambia il mio sorriso, come se volesse dirmi visto? Ce la puoi fare.

“…ma non è che abbia molte possibilità in altri settori lavorativi, e non credo che ci lascerebbero andare così tranquillamente. Siamo proprietà dell’Alleanza, ricordi?”

“Prima o poi succederà… non possono tenerci per sempre, no?”, mormora sognante.

“Tu dici? A me non sembra che il nostro contratto preveda date di scadenza.”

“Fra una ventina d’anni…”

“Fra una ventina d’anni saremo esattamente come adesso. Perfettamente identici. Come ora siamo identici a tre anni fa.”

Mi guarda triste.

“Credi proprio che non ci sia speranza per noi, eh? Di vivere una vita normale, dico.”

“Eva, noi non siamo normali. Ci siamo giocati la normalità quando abbiamo chiesto una seconda possibilità di vivere. Stai avendo ripensamenti su questa tua scelta?”

“No, assolutamente!”, nega con forza. “Però… a volte mi chiedo come sarebbe stato… invecchiare, innamorarsi, avere dei bambini… non credo che mi pentirò mai della mia decisione, ma
mi sarebbe piaciuto provare tutte queste cose a cui ho dato un calcio. Non che avessi molte alternative, comunque.”

Potrei dire un paio di parole sull’innamorarsi, ma è meglio che me ne stia zitto. Insomma, presto o tardi dovrò dirle che sono cotto di lei, ma per ora tardi è molto più quotato. Che poi, accidenti, cosa ci trovo di così… così in lei? E’ oggettivamente bella, ok, ma poi?

E’ che quando sorride… eeeeeh…

Già, quando sorride ha il potere di squagliarmi il cervello. Ma non è una risposta. Perché?

Perché accanto a lei sto bene, qualsiasi cosa faccia. Potrebbero spedirmi nel posto più pericoloso e sconosciuto della galassia, ed io non ne vedrei l’ora, se dovessi lavorare insieme a lei. Anzi! Un posto remoto e sconosciuto significa che saremmo solo io e lei, ed allora…

No. No no no. Niente ragionamenti del genere, per favore. E’ già abbastanza difficile dormire nella sua stessa stanza senza andare a complicarmi la vita così.

“Cos’hai, Eva?”, le chiedo, notando che anche lei è persa nei suoi pensieri.

“Cercavo di immaginarmi una vita normale. Chissà, magari sarei stata una Emily che avrebbe trovato il suo Sam… una qualunque con il suo uno qualunque. Semplici umani.”

Mi si stringe il cuore.

“…ma non so nemmeno io perché sto perdendo del tempo dietro a queste fantasticherie. Noi due siamo una coppietta felice, no?”, domanda ironica. “Che c’è?”, continua, “Oh, lo so, non è da Aesir fare discorsi del genere.”

Non è per quello, Eva… accidenti, apri gli occhi! Hai capito tutto di me, ti basta solo un passettino in più…

“Tu ti ricordi com’era?”

“Com’era cosa?”

“Amare.”

Giuro, in questo momento desidero solo tirare una testata al muro.

“…senza sentirsi strani, senza sentirsi diversi. Semplicemente normali.”

“Ti è presa la sbornia triste?”

Pessimo intervento, ma quantomeno la smette di dilaniarmi senza accorgersene.

“Chiamali più i cinque minuti di nostalgia. Non ti sei mai fermato a pensarci?”

“Ho scoperto che è più facile fare finta di niente.”

“Sì, beh, hai ragione. Però…”

“Però?”

“Niente”, scuote la testa, come a voler scacciare strane idee, “Andiamo a fare la nostra fugace apparizione a casa Clearwater?”

Mugolo un’approvazione, mentre continuo a pensare a ciò che ha detto. Perché?
 

- - -

 
Perché è convinta che non si possa più amare?

Tiro un calcio ad un sassolino sulla strada, facendolo rotolare pigramente qualche metro più avanti. Non avrei mai pensato che Eva potesse farsi problemi del genere. Per quello che la conosco è sempre stata spensierata ed allegra…
Originalità zero nelle descrizioni, proprio. Insomma, il concetto è quello.
Probabilmente se fossimo in un olofilm sarei dovuto correre ai suoi piedi confessandole i miei sentimenti, lei avrebbe ammesso in lacrime di ricambiarli, ci saremmo baciati con tanto di canzone strappalacrime di sottofondo e…

“Ehi, ci sei?”

“No, sono al bar”, borbotto infastidito. Stavo immaginando così bene la scena, sembrava così reale…

“Simpatico, davvero”, commenta sarcastica lei, “Ti ho scombussolato così tanto prima? Continui a tenere su un muso…”

Sì.

“No, ma da una come te non mi sarei mai aspettato un discorso del genere.”

“Sarebbe, una come me?”, domanda fermandosi e guardandomi curiosa.

“Beh, da come ti conosco io sei sempre stata quella con il sorriso stampato in faccia, quella don’t worry, be happy.

“Lo so, quei discorsi non mi si addicono. Non ti preoccupare, non mi sono trasformata improvvisamente in una depressa cronica!”, replica allegramente.

“Eri molto convincente in quella parte… sicura che vada tutto bene?”

“Sì, Matt, sì…”

Torna a rabbuiarsi. “Hai ragione, è meglio non pensarci. Però…”

“Però non puoi farne a meno”, le sorrido. “Ogni tanto fa bene. E’ anche meglio se hai vicino qualcuno che ti possa dare una mano.”

“E tu puoi?”, chiede ricambiando la mia espressione.

“In quanto reduce da sei mesi di depressione cronica, credo proprio di essere uno dei maggiori esperti a riguardo, signorina”, le rispondo sistemandomi il colletto della felpa con finta superiorità.

“Ma piantala”, controbatte ridendo, tirandomi un pugno su una spalla.

“E’ anche merito tuo se non sono più un incrocio fra uno zombie ed uno stoccafisso, Eva. Ricambiare il favore mi sembra il minimo.”

“Non sono messa così male, io.”

La guardo scettico, ricevendo in risposta una linguaccia.

“D’accordo, non sei messa così male, tu”, cedo. “Cerca di evitare altri momenti del genere, però, o mi farai venire un colpo.”

“Addirittura! Gentile tutta questa attenzione per me, comunque.”

“Oh. Beh… credo di dovertelo dire, a questo punto…”

Via il dente via il dolore, no? Certo la panetteria all’incrocio fra Church Road ed Alder Street non rientra nella mia top ten dei posti ideali per una dichiarazione, ma cercherò di chiudere un occhio.

“Dirmi cosa?”

Dove sono i violini di sottofondo quando servono?

“Beh, che…”

“Eva! Matt!”

Nemmeno l’avessero pagata apposta, Kim sbuca da dietro l’angolo nel momento più sconveniente per farlo, quasi fossimo in una sceneggiatura di un olofilm rosa di serie z. La voglia di prendere a testate un muro torna ad impossessarsi di me.

“Come state? E’ da un po’ che non ci si vede…”

Già. Sembra quasi che Jared escogiti tutti i modi possibili ed immaginabili per tenerla lontana da noi, anche quando è a scuola. Persino per ridarle gli appunti siamo dovuti passare dal suo fidanzato. Spero che abbia un valido motivo per avercela sguinzagliata contro proprio adesso. Non poteva passare fra cinque minuti?

“Jared ti ha lasciato l’ora d’aria?”, chiede Eva allegramente.

“Ci siamo dati appuntamento proprio qui davanti”, risponde lei. “Voi invece? Non vi ho mai visto nel centro di questa grande metropoli!”

Caspita, fa pure la spiritosa. Dov’è finita la cara, vecchia, impacciata Kimberly, quella che non ci avrebbe rivolto la parola nemmeno sotto tortura?

“Abbiamo saputo del vecchio Clearwater…”

“Ah. State andando a fare le condoglianze? Buona fortuna…”

“Perché?”

“Beh, Leah non è mai stata un mostro di gentilezza, ed ora è anche più intrattabile del solito.”

“Correremo il rischio”

“Ignorarli completamente non mi sembra un’idea carina”, aggiungo.

“No, certo… in ogni caso, state attenti. Io vi ho avvertiti.”

“E’ così terribile questa Leah?”

“A me fa un po' paura”, risponde abbassando lo sguardo. “Oh, lo so, è una cosa stupida, ma…”

“Hey, Kim!”, la voce di Jared la interrompe mentre il ragazzo in questione arriva di corsa, infilandosi fra noi e la sua ragazza come se volesse proteggerla, nemmeno fossimo due molestatori.

“Vuole una nostra foto?”, bisbiglio ad Eva mentre la coppietta si bacia, notando l’occhiata penetrante che ci ha rivolto prima.

“Stavi insidiando la sua principessa, è logico che ti guardi male!”

“Ma… io e te… cioè…”

“Devo proprio spiegarti tutto”, sospira rassegnata, approfittando di una pausa dei due piccioncini per aggiungere un “Noi allora andiamo. Ciao!”, prendermi per il braccio e trascinarmi via. Due isolati dopo si ferma, interrompendo la sua mezza corsa.

“No, fammi capire… ho commesso l’orrendo crimine di rivolgere la parola alla sua fidanzata, e quindi sono passibile di morte?”, la affronto.

“E dire che l’uomo qui sei tu…”

“Io non mi farei di questi problemi!”

“Tu non sei innamorato perso come loro due.”

Te la concedo solo per il come loro due, sappilo.

“Sì ma… oh, lasciamo perdere”, borbotto rassegnato. Ma prima o poi glielo dirò, e vedrò di fare in modo che sia un prima piuttosto che un poi.

“Anche perché siamo arrivati. A te l’onore di suonare il campanello.”
 

. . .

 
Certo, è più facile a dirsi che a farsi. Cosa vai a dire ad una famiglia che ha appena perso un padre? Famiglia che conosci solo di vista, oltretutto. Mentre premo il tasto del campanello, rannicchiato contro la minuscola tettoia dell’ingresso per nascondermi dalla pioggia che sta cominciando a cadere, tutto d’un tratto l’idea di un telegramma di condoglianze mi sembra parecchio più appropriata.

Per me forse… ma per loro?

C’è poco che uno possa dire o fare in momenti come questo. Se c’è una cosa che ho imparato in sei anni di servizio è che la gente non apprezza i discorsi consolatori toccanti e costruiti alla perfezione. Spesso basta solo un abbraccio per dire tutto.

“Sì?”, chiede lo sceriffo Swan aprendo la porta, con voce impastata ed occhi rossi, segno che ha pianto parecchio.

 “Siamo…”

“Cosa ci fate qui?”

Questa è Leah, che a passo di carica scosta malamente il capo della polizia e socchiude la porta in modo da poterci parlare senza che altri vedano.

“Beh, noi…”

“Sentite, piantatela, ok? Ne ho abbastanza di gente che viene da noi cercando di consolarci come se fossimo due bambini! E’ morto, se n’è andato, e voi non potete farci niente! Lasciateci in pace!”

E ci sbatte la porta in faccia.

“Però, che caratterino”, commento, guadagnandomi un’occhiataccia da parte di Eva.

Qualche secondo dopo la porta si apre di nuovo, ed un Seth Clearwater che ha guadagnato una spanna in altezza dall’ultima volta che l’ho visto fa la sua apparizione.

“Dovete scusare mia sorella, è un po’…”

Si blocca di scatto. Io lo osservo un momento, preoccupato, prima di rendermi conto che sta fissando a bocca spalancata Eva come se fosse la prima volta che vede una ragazza. Gli leggo in faccia che il cervello ha momentaneamente chiuso i battenti, in perfetto stile ci scusiamo per l’interruzione del servizio, riprenderemo le trasmissioni il prima possibile. Lei invece lo sta osservando con un misto di curiosità e divertimento, incapace di distogliere lo sguardo.

Poi è il mio, di cervello, a connettere le informazioni.

Seth.

Si sta mangiando con gli occhi.

Eva.

E tutto il discorso di prima sul io non mi farei mai di questi problemi va a farsi benedire. Perché oltre alla solita aggressività che salta fuori in presenza dei Quileute, adesso si aggiunge il desiderio di fargli più male possibile per il modo in cui si è imbambolato a guardare ciò che non dovrebbe.

Reprimo a fatica la tentazione di tirargli un diretto sul naso. Piantala di guardarla così, vorrei urlargli, ma sono troppo impegnato a ringhiare versi inarticolati e a controllare gli istinti omicidi.
Fortunatamente qualcuno mi salva da questa situazione imbrazzante, afferrando Seth per la collottola e trascinandolo rudemente in casa, con mia enorme soddisfazione.

Soddisfazione che va in briciole non appena noto la faccia sconvolta di Leah, proprietaria della mano salvatrice. Se gli sguardi potessero uccidere, credo che in questo momento sarei a terra stecchito.

“Sparite”, ringhia lentamente. “Avanti, fuori dai piedi!”

L'uscio ci viene sbattuta in faccia per la seconda volta.

Brutto idiota, proprio adesso, proprio con quella ti doveva succedere? Sam ti ucciderà…”, la sento inveire dietro il legno, ma per il momento ho altri problemi.

“Eva?”

In risposta ricevo solo un mugolio indistinto.

“Ehi! Ci sei?”, domando preoccupato, afferrandola per le spalle.

“Eh? Sì, sì, ci sono! Cosa… cos’è successo?”

“Ti sei incantata a guardare un ragazzino…”, rispondo amareggiato mentre cominciamo ad incamminiarci verso casa.

“Io… oddio, è stato stranissimo. Mi sono sentita… come posso farti capire… come se lui mi considerasse la cosa più importante che abbia mai visto.”

“Io mi sono sentito ad un passo dall’omicidio di primo grado", brontolo incurvando le spalle ed affondando le mani nelle tasche dei jeans.

“Addirittura?”

“Già.”

Solo a pensarci mi prudono le mani. Come ha anche solo osato

“Sei geloso?”, chiede dopo un breve silenzio.

Chi? Io? Noooooooooooo! Perché mai?

Faccio finta di non capire.

“Geloso?”

“Volevi davvero farlo secco solo perché mi stava guardando?”, chiede ridacchiando.

“C’era sempre la solita sensazione di minaccia tipica dei Quileute…”, mi difendo debolmente.

“Tutto qui? Volevi accopparlo solo per questo?”

Si è fermata ed ora mi fronteggia a braccia conserte, inchiodandomi con i suoi occhi verdissimi.

“Io…”

Glielo dico? Non glielo dico? E poi? E se dice di no? E se invece dice di sì? E se…

Sovraccarico di richieste. Impossibile elaborare tutti i possibili scenari.

No, seriamente… grazie, pezzo di latta nel mio cervello. Prenderti cinque minuti per fumare una sigaretta no eh?

Richiesta non chiara. Specificare.

Spegniti, accidenti, e lasciami fronteggiare la cosa… Diglielo, su!

“Ecco, è quello che volevo dirti anche prima…”

“Sì?”, chiede curiosa.

“Io… cioè, tu… insomma…”

“Io cosa?”

“Tu… mi piaci”, sussurro, arrossendo subito dopo e distogliendo lo sguardo da lei.

Complimenti, razza di cretino, ce l’hai fatta. Vent’anni per dire tre parole contate, con la stessa maturità di un bambino alla sua prima cotta. Adesso incrocia le dita e spera in bene…

Rialzo gli occhi, impacciato, per notare che il suo sorriso è scomparso di colpo, sostituito da un’espressione incredula.

“Oh.”, dice lei infine. “Oh. Non… non me l’aspettavo. Pensavo che… Matt… io… io non credo che… noi due… no.”

No. Lo sapevo, ma non per questo fa meno male. No. Faccio un passo indietro, sospirando triste.

“Non prenderla male, Matt… ma…”

No.

“Non ti preoccupare. Capisco.”, le dico amareggiato, voltandomi. “Solo che…”

No.

“Solo che?”

No.

“Niente. Fantasticavo.”

No.

A passi lenti mi allontano da lei, che resta bloccata sul posto. Non so bene neppure io dove sto andando, troppo concentrato a cercare di arginare quella sensazione di vuoto che mi ha
preso all’improvviso.

La pioggia aumenta gradualmente d’intensità, ma non è mia intenzione cercare un riparo. Continuo a vagare senza meta, con l’acqua che mi tamburella addosso. Di tornare a casa per affrontarla non ho la minima voglia.

Ringrazio di aver preso la felpa impermeabile per uscire, anche se non serve a granché con il nubifragio che sta imperversando sulla riserva. Perché fa così male? Mi ha solo detto ciò che in fondo avevo sempre saputo… ma perché detto in faccia è così doloroso?

Sto piangendo?, mi chiedo, passando una mano fradicia sul viso già bagnato. No, è la pioggia. E’ sicuramente la pioggia.
 

- - -


Razza di deficiente, sottospecie di imbecille, cretino totale!

Non so quanto tempo è passato quando rientro a casa, bagnato fradicio dalla punta dei capelli fino all’angolo più remoto delle calze. Mi sento un poco meglio, abbastanza per capire che ho fatto un’idiozia a stare fermo sotto tutta quell’acqua senza battere ciglio.

Ah, l’amour…

L’amour un paio di cionfoli, stordito che non sei altro!

Apro lentamente la porta, e trovo Eva raggomitolata su sé stessa su una poltrona. Mi fissa incredula per un attimo, poi scatta a prendere un asciugamano e me lo lancia.

“Ti sei ridotto così per… ok, ne parliamo dopo. Adesso cerca di renderti presentabile, per favore. Sembri un pulcino bagnato.”

Un pulcino bagnato. Andiamo sempre meglio.

Senza una parola filo in bagno, dove una doccia calda provvede a rimettermi in sesto, almeno fisicamente. Per il resto continuo a sentirmi come se una cannonata si fosse portata via un pezzo di me. Quella maledettissima sensazione di vuoto che mi attanaglia non accenna ad andarsene. Si è infilata dentro di me, ha scavato una tana nella mia anima, e non ha intenzione di sloggiare.

Oh, certo, accompagnata dalla coscienza che un tredicenne si sarebbe comportato in maniera più matura e responsabile. Magari senza rischiare una bronchite. Quando rientro in soggiorno lei mi osserva attentamente, prima di fare un respiro profondo e mormorare un fugace “Scusami”.

“Per cosa? Per avermi detto la verità?”, le rispondo acido.

“No. Per averti ridotto così.”

Si alza e cerca di abbracciarmi, ma la blocco prima che si stringa a me, per quanto ogni singola cellula del mio corpo mi implori di lasciarla continuare.

“Eva… non lo fare.”

Lei mi guarda, e ancora una volta quei suoi occhi verde smeraldo mi inchiodano dove sono.

“Matt… oddio, mi dispiace! E’ solo che… che…”

“…che non provi per me quello che io provo per te. Lo capisco.”

Il fatto che mi faccia male è un discorso completamente diverso.

“Sì.”, ammette con aria colpevole.

Io scuoto la testa. Non posso, non riesco a prendermela con lei.

“Eva, non è colpa tua. Tranquilla. Lo so, va bene così.”

Non è vero.

“Credi di poterti lasciare abbracciare, adesso?”

“Non so se…”

Ma prima che io possa finire la frase, lei si è liberata della mia presa e mi si è incollata addosso. Non è l’abbraccio che avrei voluto… è l’abbraccio di un’amica. Stranamente, lo apprezzo per questo. Sono proprio deciso ad aggrapparmi a qualsiasi cosa, pur di convincermi che ha intenzione di parlarmi ancora.

“Lo so che è chiederti troppo, ma… credi che riusciremo a restare solo amici, come prima?”, mi domanda speranzosa.

Dovrei esserne felice. Non ha intenzione di non rivolgermi più la parola. Ma no, voglio di più.

“Non credo di potertelo promettere, Eva. Ma io non voglio perderti… quindi immagino che mi dovrò accontentare.”

Lei mi guarda triste, scuotendo la testa.

“Immaginavo. Ma dovevo provarci. Vorrei tanto che le cose per te fossero un po’ più semplici…”

“Oh, non puoi sapere quanto lo vorrei anch’io.”

Non posso fare altro che bearmi di quell’abbraccio consolatore, finché dura. E vorrei che durasse per sempre. A dire la verità vorrei un sacco di altre cose, ma immagino che dovrò farne a meno.

. . .


Il segnale di chiamata del proiettore olografico interrompe quel momento magico, costringendoci a separarci. Continuo a fissarla con la morte nel cuore.

Credo di essere patetico, ma cos’altro posso farci?

Quando la sagoma azzurrina del Generale Novikova appare, tuttavia, sono costretto a cercare di arginare le sensazioni di poco prima. Esiste qualcos’altro, purtroppo, oltre ai miei problemi sentimentali.

“E’ un brutto momento?”, chiede notando le mie condizioni non esattamente felici.

“Non è importante, Generale. Io ed il Comandante abbiamo avuto un… ah… disaccordo professionale, e stavamo lavorando per appianarlo”, risponde Eva, lanciandomi un’occhiata preoccupata.

“Spero nulla di grave”, commenta lei. Non è il momento di crearmi altri problemi è il messaggio sottointeso.

“No, signore”, la rassicuro tentando di mantenere un tono di voce accettabile.

“Bene. Signori, sarò breve e sintetica: il fronte temporale è un fottutissimo casino.”

Al momento la cosa non mi interessa particolarmente… Davvero ha avuto il coraggio di definirlo un disaccordo professionale?

“La CHRONOS ha innalzato il livello di allerta di tutte le stazioni di sorveglianza temporale a DEFCON-2. Siamo in presenza di tentativi multipli di modifica della timeline, e la situazione non accenna a migliorare. Solo nelle ultime quarantotto ore vi sono stati sette attacchi rivolti contro obiettivi sensibili ad opera di agenti Altariani, per non parlare del proliferare delle anomalie nel vostro settore. Siamo a tanto così…”, avvicina l’indice ed il pollice quasi a toccarsi, “…dalla guerra aperta. Altair non ha preso bene il rafforzamento della Task Force destinata ad Eridiani. Comprensibile, secondo me… nessuno prenderebbe bene tre portacaccia parcheggiate sull’ingresso di casa, ma sto divagando. Perdonatemi, alla caffetteria hanno finito il Caf Pow, e tirare avanti senza è un supplizio.”

Forse è questa l’emergenza di cui ci voleva parlare.

“Il Consiglio di Sicurezza ha deliberato per l’approvazione dell’operazione Interdictor, mirata ad interrompere il flusso tachionico per un periodo di tempo limitato. Considerando che siamo sull’orlo del baratro di una seconda guerra con Altair, non abbiamo le risorse per tenere sotto controllo centinaia di eventi sparsi su eoni di storia. Domattina alle 07:00, secondo il vostro fuso, verrà fatta detonare una testata ad antimateria opportunamente modificata da un team di scienziati. Il risultato dovrebbe essere la distruzione del substrato temporale, rendendo praticamente impossibile il viaggio temporale per due mesi circa.”

“Siamo richiamati nel ventiquattresimo secolo, signore?”, domanda Eva.

“Negativo, Tenente. Stiamo evacuando gli altri Aesir dalle loro postazioni, ma voi mi servite lì dove siete. Chiamatelo eccesso di cautela, ma il vostro incarico, insieme ad un altro paio, continua. Sono punti fin troppo sensibili per essere lasciati scoperti. A tal proposito, c’è un incarico per voi direttamente dalla CHRONOS, e riguarda la vostra amica Swan. Priorità assoluta.”

“Si sono decisi a farcela proteggere?”

“No, Cortéz. A quanto pare un’azienda semisconosciuta è divenuta azionista di maggioranza della US Airways, e temono che ciò possa avere ripercussioni su alcuni eventi particolarmente delicati. La Swan, insieme a questa… dove diavolo ho messo il datapad? Ah, eccolo qui. Dunque… Alice Mary Brandon Cullen. Mai sentita?”

“No, signore.”

“Beh, dicevo, alla CHRONOS ritengono di fondamentale importanza che queste due signorine raggiungano l’aeroporto internazionale Amerigo Vespucci di Firenze il giorno venti marzo, ore 10:54 locali. Proseguiranno poi per la città di Volterra, arrivando a destinazione alle ore 11:56, ma questo non vi interessa. Il vostro compito è assicurarvi che giungano in Italia all’ora prevista, non un minuto più tardi. Non mi interessa come, basta che succeda. Dirottate un aereo, noleggiate un C-130, fate quel che vi pare… loro devono essere a Firenze per quell’ora. Sono stata chiara?”

“Cristallina.”

“Vi conviene muovervi, il volo parte fra meno di due ore dall’aeroporto di Tacoma. La sezione tecnica ha già provveduto a prenotarvi due biglietti, lasciando a terra a causa di spiacevoli complicazioni tecniche tali Bruce Ernst Wilson e Henriette Augustine Dawson. Non credo che per due pensionati che saltano la loro visita alle città d’arte italiane crollerà il continuum. Terminato questo incarico, tornate pure alle vostre ricerche sulle unità Fenrir e sull’assassino dell’unità Vanir. Per il momento la scorta delle due ha la precedenza. Domande?”

“Indicazioni su come comportarci durante la serrata temporale, Generale?”

“Cercate di ambientarvi il più possibile nella comunità locale per i prossimi due mesi. Sarete tagliati fuori dalle comunicazioni con me, ma i tecnici di Rocky Point continueranno ad assistervi per qualsiasi evenienza. Se avrete bisogno di supporto, saranno loro a procurarvelo. Comandante, da domani lei sarà l’ufficiale di maggior grado coinvolto in questa operazione, quindi è promosso controllore temporale ad interim. La responsabilità è tutta sua… cerchi di non deludermi.”

Responsabilità. L’idea di continuare con il mio solito lavoro adesso sembra così strana…

“Sissignore”, biascico distrattamente.

“Ci risentiremo fra un paio di mesi, se tutto va bene. Dovrei augurarvi in bocca al lupo, ma data la situazione non credo sia il caso. Cortéz, D’Aquila… buona fortuna. Novikova, chiudo.”

Il proiettore si spegne, lasciando dietro di sé una pesante cappa di silenzio.

“Ehm… tutto a posto, Matt?”, chiede imbarazzata Eva dopo un po’.

“Ti sembra una domanda sensata? Come vuoi che mi senta!”

“Volevo…”

“Senti, lasciamo perdere, e piuttosto troviamo un modo per arrivare a Seattle alla svelta Pensiamo al dovere”, borbotto, cominciando a ficcare in uno zaino vestiti a casaccio.

“Ma…”

“Tenente, si dia una mossa, la voglio pronta a partire in dieci minuti. Abbiamo un aereo da prendere.”


***
N.d.A.: Altro capitolo-parto, altro capitolo-non-mi-convince per eccesso di melodramma, altro originale più tragggico del risultato finale che è stato prontamente vivisezionato. Perlomeno stavolta ho avuto la mia beta, che è stata indispensabile per rimuovere un numero incredibile di milanesismi (proprio non ne voglio sapere di usare tu invece di te), ma che altresì non ha per niente apprezzato la piega della trama sentimentale. Meglio, più è incattivita più sarà spietata con il testo.

Un inchino a Jakefan, che mi ha fatto notare come, essendo Irina una donna, è Novikova e non Novikov. Tanta attenzione a documentarmi, e poi faccio queste castronate. Per fortuna ho voi lettrici.

Poi, vediamo... Il titolo riprende la prima strofa di Falling slowly, di Glen Hansard e Marketa Irglova. Altro da dire al momento non lo trovo. Oggi sono di poche parole.

Ah, sì, un pat pat virtuale sulla spalla a chi mi trova la citazione disneyana nel testo xD
   
 
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