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Autore: Vivien L    09/12/2010    22 recensioni
SEGUITO DE "I GIORNI DELL'ABBANDONO".
Edward e Bella hanno una vita perfetta: insieme sono ormai felici, il loro amore sembra intramontabile, ma...il passato tornerà a fargli visita, distruggendo tutte le loro certezze e sgretolando lentamente il loro rapporto, finchè un nuovo dolore si abbatterà sulle loro esistenze.
DALL'OTTAVO CAPITOLO:
Libidine, desiderio, lacerante parossismo che si insinua nel mio corpo, incendia le mie vene, sconvolge ogni equilibrio, ogni certezza, ogni convinzione.
-Sono tua...lo sono sempre stata. Sempre-
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Edward Cullen, Emmett Cullen, Isabella Swan, Rosalie Hale
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'I GIORNI DELL'ABBANDONO'
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PAROLE D'AMORE
               CAPITOLO 13
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20 luglio 2009, ore 22.45...un anno prima
 

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Il dolce baluginio di un caldo raggio di luce lunare le ferì violentemente gli occhi, costringendola ad abbassare lo sguardo.Isabella mugolò, mentre sentiva il suo corpo tendersi fino allo spasmo nel tentativo di riacquistare lucidità. Percepiva una strana debolezza avvolgere ogni fibra del suo essere; tendini e ossa si ribellavano alla brutale intrusione che quelle mani calde e sconosciute le avevano imposto.

-Edward...- chiamò con voce disperata, e James sorrise, afferrandola per la vita e trascinandola con passi lenti e cadenzati verso la sua auto.

Gli occhi della donna divennero vitrei; nella sua mente si insinuò un vortice di pensieri incoerenti che non riusciva a controllare...il suo cuore tendeva verso il luminoso spiraglio di luce che non riusciva a sconfiggere l'opprimente oscurità che si era impossessata del suo animo.

Si sentiva così stanca, fisicamente e mentalmente: il suo unico desiderio in quel momento era abbandonarsi alla disperazione che si acuiva giorno dopo giorno, trascinandola in un limbo in cui dolore e confusione echeggiavano insistentemente in ogni recesso di se stessa.

-Lasciami...-

Isabella tentò di divincolarsi dalle braccia dell'uomo; aveva paura di ciò che sarebbe potuto succedere se il suo accompagnatore avesse deciso di abusare della sua debolezza...e quella volta non ci sarebbe stato il suo Edward a salvarla, traendola dal vortice di sofferenza che l'aveva ormai sopraffatta.

Gli occhi verdi e luminosi del suo unico amore si insinuarono prepotentemente nei suoi pensieri: nonostante spesso dubitasse della solidità loro rapporto, non avrebbe mai potuto neanche immaginare di amare un uomo che non fosse lui.

Le loro anime erano irreversibilmente legate, marchiate a fuoco dalla stessa sofferenza...una sofferenza che avevano condiviso in un passato lontano e irraggiungibile, ma che era tornato ad incombere sulle loro vite come il peggiore dei persecutori.

-Edward...- mormorò ancora, spossata, e un sorriso sadico e cattivo piegò le labbra del suo accompagnatore: adorava le donne fragili e vulnerabili come Isabella...le trasmettevano una delicatezza innata che accresceva smisuratamente il suo ego di cacciatore. Nella sua mente pregustò il momento in cui l'avrebbe finalmente posseduta: la sua pelle sapeva di fresia, i suoi occhi erano così languidi e dolci, sembravano affacciarsi su un mondo sconosciuto e irraggiungibile, le labbra simili a teneri boccioli rosati, il corpo esile e minuto...tutto, di lei, prometteva il più totale abbandono al piacere dei sensi.

-Si, amore mio- mormorò con voce roca, afferrandola per la vita e spingendola con forza nella sua piccola utilitaria: Isabella cercò di dibattersi, intimorita dall'aura inquietante che emanava quell'uomo, ma James la immobilizzò con un braccio, costringendola a sottostare ai suoi voleri.

Il viaggio verso casa fu lungo ed estenuante; gli occhi di Isabella erano divenuti vitrei, assenti, un innaturale pallore si era impossessato del suo volto, le guance arrossate a causa dell'alcol che il ragazzo l'aveva indotta ad ingerire.

La sua mente sembrava ripercorrere i momenti più belli della sua vita passata con Edward...

Cos'era quella strana sensazione che le era risalita alla bocca dello stomaco, e che quasi le impediva di respirare?

Perchè il suo Edward non era con lei?

Perchè non era venuto a cercarla?

Ondeggiò lentamente il capo all'indietro, stordita, incapace di dar voce alle sue perplessità: non conosceva l'uomo che sedeva al suo fianco, e non sapeva dove lui avesse intenzione di portarla...

...in quel momento il suo unico pensiero era rivolto a suo marito...ma Edward non c'era, l'aveva abbandonata, e il dolore l'aveva ormai travolta come un fiume in piena, trascinandola nell'irreversibile limbo dei suoi pensieri confusi.

-Edward- mormorò ancora, e una risatina bassa le penetrò la mente con violenza...un vortice di suoni e colori indistinti si impossessarono del suo corpo e del suo cuore, gettandola nella più completa oscurità.

James le posò una mano sulla fronte, costringendola a chiudere gli occhi.

-Dormi, amore mio- c'era derisione in quelle parole: l'amore era un sentimento che l'uomo non aveva mai sperimentato di persona. La sua anima era marcia, irreversibilmente corrosa dal tempo e dai ricordi... nessuno avrebbe più potuto restituirgli il passato che ancora non riusciva dimenticare.

E il nulla la travolse.
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20 luglio 2009, ore 22.45...un anno prima
Edward

 

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Panico.

L'unico sentimento che in quel momento il mio cuore riuscì ad inglobare fu l'irreversibile terrore che si era insinuato in ogni fibra del mio essere, impedendomi di ragionare lucidamente. Le urla strazianti di mio figlio mi penetravano la mente, dilaniando la mia razionalità. Le guance arrossate, le piccole mani ancorate alla mia candida camicia in plexiglas, gli occhietti scuri spalancati dall'angoscia, il mio bambino reclamava a gran voce le braccia calde e delicate di sua madre.

Ma sua madre non c'era...se n'era andata più di sei ore fa, abbandonando i suoi bambini e interrompendo un altro dei nostri ormai frequenti litigi.

L'ennesima incomprensione, trainata dai silenzi strazianti e dal suo atteggiamento sfuggente nei miei confronti, era sfumata in un violento scontro di opinioni, in cui entrambi avevamo esternato ancora una volta tutto il rancore che nutrivamo l'uno verso l'altra.

Ricordo ancora con maniacale precisione le parole dure che le rivolsi in quel frangente: la delusione che provavo per il comportamento freddo e distaccato che aveva assunto verso di me mi aveva spesso fatto sprofondare nel terrore più puro. Perchè la paura di perderla era più forte di qualsiasi altra sensazione: persino l'amore che provavo per lei veniva brutalmente ottenebrato dal timore che potesse abbandonarmi, portandosi via la metà più importante di me stesso.

Giorno dopo giorno la situazione diveniva sempre più critica: mi sentivo costantemente imprigionato in un limbo in cui la straziante consapevolezza che lei si fosse stancata di me mi logorava dentro, spandendosi come un cancro immortale in ogni fibra del mio essere.

Avevo ormai capito da tempo che l'amore che provavo per Isabella era un sentimento corrosivo: mille catene d'acciaio mi legavano a lei, ossessionato da tutto ciò che la riguardava, tormentato dall'insicurezza che aveva lentamente lacerato il nostro rapporto. La mia possessività la opprimeva, il mio desiderio di esser partecipe di ogni suo pensiero la faceva sentire imprigionata in morsa irreversibile. La stessa morsa in cui mi sentivo costretto dal lontano giorno in cui capii di essermi innamorato di lei: quando non era il mio fianco mi sembrava quasi impossibile persino respirare, come se ogni mio organo tendesse fino allo spasmo verso l'unico spiraglio di luce che illuminava la mia esistenza.

E in quel momento il dolore mi travolse, trainato dall'impellente bisogno di poterla rivedere ancora una volta.

Avevo provato a rintracciarla in ogni modo possibile: il suo cellulare era spento, sua madre non aveva alcuna notizia di lei, le poche amiche che aveva non la sentivano da tempo.

E io mi ritrovavo lì, con un figlio piangente fra le braccia, ansioso che mia moglie tornasse da me.

Cullai teneramente Mark, baciandogli con dolcezza la testolina mora, ma nulla sembrava poter acuire il suo dolore...era più di un ora che piangeva incessantemente, reclamando la presenza di sua madre accanto a sè.

In quel momento il suono stridulo e insistente del cellulare mi riscosse dal vortice caotico dei miei pensieri tormentati. Lo afferrai, il cuore accelerato dall'angoscia, premendo con impazienza il tasto d'avvio.

-Pronto?- urlai, per sovrastare le grida assordanti di mio figlio.

-Edward, che succede?Scusa se non ho risposto prima alle tue chiamate, ma ero impegnata- la voce allarmata di mia madre mi penetrò la mente, e un moto di delusione mi sconvolse l'anima.

-Mamma...hai per caso notizie di Isabella?

Dall'altro lato della cornetta seguì un lungo istante di silenzio.

-No, certo che no! Dov'è andata? E perchè sento tutta questa confusione?- sospirai, irritato.

-E' Mark...è più di un ora che piange, dannazione!- la mia voce era quasi disperata - Io e Isabella abbiamo litigato, e lei è sparita più di sei ore fa. L'ho cercata dappertutto, ma non riesco a raggiungerla. Non riesco a calmarlo, mamma- sussurrai, mentre il piccolo si dibatteva fra le mie braccia, le guanciotte rosse, la vocina arrochita dal pianto.

-Oddio...dove diavolo può essere andata?- strillò Esme, furibonda, per poi continuare - Il bambino non può continuare in questo modo, Edward! Si ammalerà, lo capisci?-

-Cosa devo fare?- sbottai - Non sono sua madre, non capisco cos'abbia che non va...-

-Verrei io, tesoro, se non fossi ad una cena di Gala...proprio non riesco a liberarmi, mi dispiace. Perchè non chiami Rosalie? Lei saprà sicuramente cosa fare...-

-Puoi anche scordartelo, mamma!- ribattei, infervorato: io e Isabella avevamo già abbastanza problemi senza l'ulteriore interferenza di Rose nelle nostre vite. Ero a conoscenza dell'acredine che era nata fra le due donne, e non volevo assolutamente creare altri alibi per discutere con mia moglie...non sarei riuscito a sopportarlo.

- Non so cosa dirti allora, Edward!- sbottò, irata e, dopo avermi raccomandato di tentare di calmare Mark, attaccò.

Mio figlio continuava a piangere instancabilmente, chiamando la sua mamma con voce acuta e squillante, mentre il terrore si faceva lentamente strada nel mio cuore e nella mia mente: dove diavolo si era andata a cacciare Isabella? E se le fosse successo qualcosa? In preda all'ansia più pura presi a precorrere a grandi falcate il soggiorno, tentando inutilmente di calmare Mark finchè, notando le sue guance paonazze e i suoi occhietti stanchi agii d'impulso, afferrando il cellulare e componendo velocemente il numero di Rosalie, che mi rispose dopo pochi squilli, ansiosa.

-Che succede,Edward? Mi ha chiamato tua madre e...-

- Avrei dovuto immaginarlo- alzai gli occhi al cielo, per poi continuare - Rose, c'è Mark che non riesce a smettere di piangere. Isabella è uscita parecchie ore fa e non riesco a contattarla...-

-Sono subito da te- mi interruppe decisa, e un impercettibile sospiro di sollievo abbandonò le mie labbra, sostituito all'istante da una rabbia acuta e travolgente, al pensiero che non sarebbe dovuta essere Rose ad occuparsi di mio figlio...

Pochi minuti dopo sentii il suono stridulo del campanello d'entrata diffondersi nell'aria. Corsi ad aprire la porta, e il volto accigliato della mia ex moglie si insinuò con violenza nel vortice caotico dei miei pensieri.

Nei suoi occhi scorsi un lampo di disarmante preoccupazione quando notò lo stato in cui si trovava Mark, placidamente accasciato fra le mie braccia.

-Povero piccolo- mormorò, afferrandolo per la vita e cullandolo dolcemente. All'inizio mio figlio si dibattè con più forza, piangendo disperatamente, ma le carezze di Rose lo calmarono dopo pochi secondi...sapevo che lei era molto esperta con i bambini, dato che alcuni anni prima si era ritrovata ad accudire la sua sorellina minore, nata dal successivo matrimonio di sua madre con un altro uomo.

Rimossi velocemente quel pensiero doloroso dalla mente, lanciandole uno sguardo di pura gratitudine, che ricambiò con un sorriso impercettibile.

-Vado in camera sua...vediamo se riesco a far addormentare questo piccolo angioletto- mormorò dolcemente, incamminandosi verso le scale che conducevano al primo piano.

Rosalie tornò circa un quarto d'ora dopo, sospirando di sollievo.

-Ci sono riuscita- mormorò trionfante, ma scorsi una nota d'amarezza ottenebrare il suo tono soave.

Si accomodò al mio fianco, guardandomi tristemente.

Sospirai -Mi dispiace, Rose...non volevo procurarti brutti ricordi. Fosse per me non ti avrei neanche chiamata, ma...-

-Non preoccuparti, Edward- sorrise - Sai che io ci sono sempre- aggrottò la fronte, per poi continuare - Dov'è Isabella?- sibilò, risentita, e uno strano senso di fastidio si impossessò del mio cuore...era la prima volta che la sentivo parlare in questi termini di mia moglie, e il tono che aveva usato non mi piacque affatto.

Scossi il capo - Non lo so- mormorai, disperato, prendendomi il capo fra le mani -Io...noi abbiamo litigato, ci siamo detti cose che in sette anni di matrimonio non abbiamo mai neanche osato rivolgerci, e lei se n'è andata. Cristo, Rose...non so più cosa diavolo fare, con lei. Mi sento così impotente, quasi come se...-

-Ehi, rallenta- mi rimbeccò dolcemente, prendendomi il volto fra le mani e lanciandomi un'occhiata compassionevole. Presi fiato, scosso.

-Scusa, è che io...-

-Non importa, Edward. Calmati, va tutto bene- sospirò -Ci sono io, adesso...non c'è più nulla di cui preoccuparsi-pronunciò, seria e composta, e i miei occhi bruciarono nel cobalto dei suoi. Il silenzio si cristallizzò nell'aria, irreversibile come il peggiore dei tormenti, mentre scorgevo il suo volto avvicinarsi lentamente al mio. Completamente ipnotizzato, quasi non mi accorsi delle sue labbra che si posarono con delicatezza sulle mie, e il suo sapore dolce e fruttato invadermi il palato...finchè due occhi scuri, profondi come l'oceano, luminosi come una calda giornata di sole non si insinuarono violentemente nel vortice caotico dei miei pensieri, e un senso di indicibile disgusto invase ogni fibra del mio essere.

...non era quella la donna che desideravo baciare

...non erano le sue labbra che avrei voluto sentire sulle mie

...e non era il suo profumo la sottile fragranza che mandava in estasi i miei sensi

...Isabella...

Mi scostai di scatto, lanciandole uno sguardo che esprimeva tutto il ribrezzo che avevo provato per quel contatto inaspettato e lei, ferita dal tumulto di emozioni che aveva scorto sul mio pallido volto si allontanò, afferrando la sua borsetta e dirigendosi velocemente verso la porta d'entrata, le labbra piegate in una smorfia addolorata. In quel momento non provai neanche a fermarla: tutto, nella mia mente, richiamava quel gesto e mi faceva sprofondare nel baratro della mia disperazione. Perchè baciare un altra donna, una donna che non fosse mia moglie era il gesto più blasfemo che avessi mai potuto commettere, e nulla avrebbe potuto giustificare ciò che era successo fra me e Rosalie.

La sensazione che presto avrei pagato amaramente per quell'atto sconsiderato si diffuse come un cancro immortale nel mio cuore, unita alla straziante consapevolezza che, se Bella avesse scoperto ciò che era successo fra me e la mia ex moglie, l'avrei persa per sempre.
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Lanciai un'ultima occhiata al piccolo orologio posto sull'imponente cassettiera in mogano della nostra stanza.

Le tre e un quarto.

Sospirai, voltandomi verso l'altro lato del letto e posando una mano sul candido lenzuolo delle coltri.

Erano vuote...vuote e fredde.

Esattamente come mi sentivo io in quel momento. Per tutta la notte non avevo fatto altro che crogiolarmi nell'ansia e nel dolore: Bella non era ancora tornata, e io non ero riuscito a chiudere occhio, senza il corpo caldo di mia moglie stretto al mio. Il timore che le fosse accaduto qualcosa mi lacerava dentro, sconvolgendo ogni fibra del mio essere.

Nella mia mente un vortice inespresso di domande mi logorava l'anima: dov'era andata? Perchè non era ancora tornata da me, da noi? Com'era possibile che si fosse così facilmente dimenticata dei suoi figli?

Scossi il capo, tramortito, gli occhi lucidi dalla paura:se le fosse davvero successo qualcosa, non sarei mai riuscito a darmi pace....lei doveva tornare da me.

Doveva.

Uno scricchiolio sinistro mi riscosse dai miei pensieri tormentati. Aprii gli occhi, sbalordito, e un moto di sconvolgente felicità travolse il mio cuore quando l'esile figura di Isabella varcò l'uscio, incerta. Felicità istantaneamente subissata da una furia cieca, nel momento in cui ogni dubbio sulla sua incolumità venne brutalmente scacciato dalla mia mente.

Cliccai l'interruttore dell'Abat-Jour, irato, scostandomi le coperte dal corpo e ergendomi in tutta la mia statura, sorprendendola alle spalle.

-Dove sei stata?- Isabella sobbalzò, spaurita, appoggiandosi instabilmente alla testiera del letto. Non si voltò, ne si degnò di rispondere alla mia domanda. In un attacco di rabbia la afferrai per la vita, voltandola leggermente nella mia direzione e strattonandola con forza.

-Ti ho detto di rispondere, cazzo!- urlai, ma la visione che si parò dinnanzi ai miei occhi stanchi mi fece morire la voce in gola: il suo volto era cosparso da un pallore innaturale, profonde occhiaie contornavano i suoi occhi scuri e penetranti, lacerati dalla sofferenza, le labbra livide e sconvolte da un tremore impercettibile, i capelli arruffati...sembrava l'immagine dell'agonia più pura.

Spalancai la bocca, scioccato.

-Bella...cosa...-

-Lasciami- la sua voce era intrisa di una disperazione disarmante, e sentii il mio cuore sgretolarsi lentamente quando le lacrime presero a scorrere sul suo viso delicato.

Scossi il capo, tramortito.

-Cosa....amore, cosa ti è successo?-

- Lasciami, ho detto!- urlò ancora, fuori di sè, ma io la strinsi con più forza per la vita...non potevo, non volevo abbandonarla proprio in quel frangente.

Io ero sempre stato il suo eterno conforto, colui che l'aveva sorretta e aiutata nelle situazioni più difficili...lei aveva bisogno di me.

-Bella, ti prego, mi stai uccidendo così...ti scongiuro, dimmi cos'è successo, io....-

-Lasciami!- mi interruppe ancora, singhiozzando e scostandosi da me, ma un moto di rabbia si impadronì del mio cuore, ottenebrando la mia razionalità.

I miei occhi divennero gelidi.

Con uno strattone violento l'attirai a me, ignorando il suo pianto disperato e scrollandola impetuosamente per le spalle.

-Dimmi che cazzo è successo! Dove sei stata? Dove? Dimmelo, dannazione!- lei continuava a dibattersi, ma io non me ne curai: avevo bisogno di saperlo, e in quel momento soltanto quello contava davvero.

-Lasciami, non toccarmi, mi fai schifo, schifo!- singhiozzò, e io mi immobilizzai, mentre sentivo i miei occhi bruciare di lacrime represse.

Contrassi la mascella - Io ti faccio schifo?- ringhiai, afferrando il suo volto fra le mie mani e comprimendolo in una morsa dolorosa - Io non ho abbandonato i miei figli nel momento del bisogno, io non ho fatto stare mio marito ore e ore a preoccuparsi perchè tu eri scomparsa chissà dove...non sono io che ti sto gettando addosso tutto il mio odio senza alcun motivo, Isabella! Che razza di madre sei diventata? E i tuoi doveri di moglie?-

-Io non sono tua moglie! Non voglio esserlo più...me ne vado, Edward! Ti odio, ti odio con tutta me stessa! - la mia furia scemò nell'esatto istante in cui vidi i suoi occhi divenire vitrei. Si portò una mano alla bocca, sconvolta dalle sue stesse parole, lanciandomi uno sguardo spaesato...era così fragile, stretta fra le mie braccia, il suo piccolo corpicino caldo addossato al mio...

...può l'amore che provo per lei spingermi fino a questo punto? Indurmi ad odiarla per quello che mi sta facendo passare, e al tempo stesso desiderarla con ogni fibra del mio essere?

Le sue gambe cedettero, e vidi il suo corpo afflosciarsi contro il mio, senza forze, senza alcuna energia.

-Bella!- urlai, tramortito, afferrandola per la vita e trascinandola sul nostro letto. Quando provai a sfiorarle la fronte, preoccupato, lei si scostò, voltando il capo di lato per evitare il mio sguardo, la voce ridotta ad un sussurro privo di vita.

-Lasciami sola-

-Amore...- provai a farla ragionare, ma lei si portò le mani alle orecchie, chiudendo gli occhi e rannicchiandosi su se stessa.

-Lasciami sola, ho detto!-

Le sue parole sembrarono incendiarmi l'anima. Come un automa mi allontanai da lei, dirigendomi verso la porta d'uscita e pensando ancora una volta a quanto avrei voluto stringerla fra le braccia, accarezzarla, baciare ogni centimetro della sua pelle, donandomi a lei nella maniera più assoluta...quando mi chiusi l'uscio alle spalle, l'eco dei suoi singhiozzi disperati riecheggiò nell'opprimente oscurità che si era ormai impossessata della mia esistenza, sgretolando lentamente ogni recesso di me stesso.
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Oggi
 

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Mi scostai violentemente le calde lenzuola dal corpo, tramortita, trattenendo l'urlo che sentivo nascere nel petto, dirompere nella mia gola e lottare per esalare tutto il mio dolore. Le immagini che la mia mente aveva così facilmente rimosso dai miei ricordi passati erano tornate a perseguitarmi, più vivide e sconvolgenti che mai...e con esse, la straziante consapevolezza che ciò che avevo rivissuto era frutto della realtà, di azioni concrete che non ero riuscita a metabolizzare, poichè troppo sofferenti da poter essere tollerate. Un vortice di sensazioni contrastanti si impossessò della mia anima, lacerando la mia razionalità.

...dolore

Perchè non meritavo l'amore di Edward

...confusione

Perchè non riuscivo a ricordare?

...angoscia

Cos'avevo fatto? Avevo davvero tradito mio marito, concedendo il mio corpo ad un altro uomo?

...rimorso

La conferma che si, le sudice mani di James si erano davvero insinuate nei recessi più nascosti di me stessa...

E le lacrime traboccarono dal mio sguardo quando, con uno strattone violento mi chiusi la porta del bagno alle spalle, accasciandomi sul lucido lineolum del pavimento e prendendomi il capo fra le mani.

Era stato tutto reale, e la sofferenza che aveva comportato quella consapevolezza scorreva come acido nelle mie vene; corrodeva, lacerava, infrangeva ogni fibra del mio essere, gettandomi in un limbo in cui la mia disperazione era la sensazione più nitida fra tutte.

Non seppi mai per quanto tempo rimasi in quello stato, ma all'improvviso due braccia calde e familiari mi risollevarono da terra, sfiorando la mia pelle con tale amore e devozione che i singhiozzi imprigionati nella mia gola si acuirono, risuonando nel silenzio che si era cristallizzato nell'aria.

-Va tutto bene, amore mio...ci sono io con te, e ci sarò per sempre-

E quando gli occhi angosciati di Edward si immersero nei miei, capii che lui sapeva, e che era quello il reale movente dei suoi comportamenti passati.

Edward sapeva, eppure non mi aveva abbandonata.

Sapeva, ma nonostante tutto continuava ad amarmi.

Sapeva...ma nel suo volto dalla bellezza eterea, irraggiungibile, non scorsi disgusto o derisione, ma soltanto dedizione e comprensione.

In un improvviso moto di lucidità, realizzai finalmente che ero stata io ad abbandonare lui...e lo avevo fatto nel peggiore dei modi, tradendo la sua fiducia e maltrattando i suoi sentimenti.

E in quel momento un gemito strozzato abbandonò le mie labbra.

-Perdonami-
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Il perdono è l'essenza stessa dell'amore, ciò che lo innalza ad entità divina, sconvolge l'anima dell'uomo e lo trascina con sè.

Victor Hugo
 

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Lo ammetto, questa volta il capitolo è stato a dir poco...estenuante. Specie il bacio fra Rosalie e Edward...per me è contronatura che Edward baci qualcuna che non sia Bella!Ringrazio i lettori che hanno recensito lo scorso capitolo...vi risponderò entro la settimana prossima, giuro!Ora vado,lasciando a voi il verdetto: non voglio anticiparvi nulla! *risata sadica*! Un bacio, E

 

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