Anime & Manga > Axis Powers Hetalia
Segui la storia  |       
Autore: Yuri_e_Momoka    13/12/2010    3 recensioni
Avrebbe preferito ricordare il giorno in cui lui e Arthur erano stati sorpresi dalla pioggia e si erano riparati sotto lo stesso ombrello; il suo compleanno, quando l’inglese aveva cucinato per lui, o il giorno in cui avevano litigato per scegliere la carta da parati da mettere in soggiorno; la volta in cui avevano fatto un picnic in campagna e avevano dimenticato la tovaglia; la domenica mattina in cui Francis era rimasto a guardarlo dormire. Ma non poteva, non era accaduto niente di tutto ciò. Non c’era stato il tempo.
[FrUk/Germania x Francia]
Genere: Drammatico, Guerra, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Francia/Francis Bonnefoy, Germania/Ludwig, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
fourth trench Titolo: Schützengraben, Capitolo 4 – Fourth Trench
Fandom: Axis Powers Hetalia
Personaggi: Inghilterra (Arthur Kirkland), Francia (Francis Bonnefoy), Germania (Ludwig)
Genere: Storico, Drammatico, Guerra
Rating: Nc17, Arancione
Avvertimenti: Yaoi, Angst, Death, AU
Parole:  5,634 con Windows Office
Disclaimer: I personaggi della fanfiction provengono da Axis Powers Hetalia che appartiene a Hidekaz Himaruya
Note: 1. Anche stavolta ho dovuto posticipare la data del capitolo rispetto al fatto storico, solo per riuscire a parlare di tutte le battaglie che avevo in mente, ma anche per fare in modo che i  personaggi si trovassero e si spostassero in un arco di tempo “umano” da un luogo all’altro. Perciò vi chiedo nuovamente di fare finta di essere nel 1915, e non nel ’16.
2. Per la vostra gioia ci saranno ancora scene di sesso.
 

Fourth Trench: The last salvation
 

Dover / Ypres, aprile 1916
 
Londra bruciava e gli Zeppelin solcavano il cielo cremisi come le ombre di enormi calabroni. Tutto andava in rovina, le bombe cadevano inesorabilmente su ogni cosa, imprevedibili e implacabili. La sua infanzia, la sua vita si sbriciolavano tra le esplosioni, i ricordi volavano lontano sottoforma di cenere.
Sentiva il calore delle fiamme e la polvere degli edifici crollati che lo soffocavano. Era inutile guardarsi attorno: lo scenario era sempre uguale e non sembrava esserci una via di fuga.
Contemplava impotente quella tragedia e l’unica cosa a cui riuscì a pensare fu un vecchio ritornello che raccontava di un ponte che crollava…
 
Le pareti della sua stanza erano grigie, macchiate qua e là dall’umidità e con estesi buchi nell’intonaco. Lì, a Dover, gli Zeppelin erano già passati. I tedeschi, nel tentativo di conquistare la Manica, avevano attaccato i porti e poi si erano spinti nell’entroterra.
Arthur rimase immobile a fissare il soffitto scrostato, con la coperta gettata di lato. Non sapeva se quello scenario infernale di Londra fosse stato un incubo o un ricordo: era accaduto appena due giorni prima e ancora faticava a rendersene conto.
Si mise a sedere lentamente sul letto, la luce grigia penetrava dalla finestra alla sua destra e mostrava la desolazione di Dover. La sua camera era vuota, eccetto un semplice comodino e l’unica finestra, dalla quale cercava le risposte alle sue domande, si trovava accanto al triste letto dalla testata in ferro.
Aveva il braccio sinistro fasciato e appeso al collo e una benda stretta in fronte, regali dall’ultimo campo di battaglia, a Neuve Chapelle.  L’operazione era stata un successo, la città era stata sottratta ai tedeschi in mezzora, non riusciva a capire come, in così poco tempo, fossero potuti morire a migliaia: cinquemila perdite per ogni chilometro di terra conquistato.
Quando gli fu detto che sarebbe stato riportato a Londra aveva davvero sperato che fosse tutto finito e che, in qualche modo, avrebbe potuto provare a ricominciare. Poi gli avevano riferito che, appena rimessosi, sarebbe stato rimandato al fronte: era un Capitano ormai, gli uomini avevano bisogno della sua guida, poiché si era dimostrato così abile nelle battaglie precedenti. Era così, aveva faticato così tanto per potersi guadagnare la propria indipendenza, ma si stava rendendo conto sempre più di aver fatto male i conti.
Qualcuno bussò alla porta e non si preoccupò di attendere l’invito prima di entrare. Arthur fece per alzarsi ma fu fermato da un gesto della mano.
“Buongiorno, Capitano. Come si sente oggi?”
“Buongiorno, Colonnello. Sto bene, la ringrazio.”
“Questo ci conforta, dato che abbiamo molti progetti in serbo per lei.” Il Colonnello si avvicinò al letto con una cartellina sottobraccio. “Sono qui in veste ufficiale per promuoverla al rango di Maggiore.”
Arthur si impegnò per simulare sorpresa, in realtà se lo aspettava già da tempo. Un altro grado verso l’alto e un altro metro verso il basso.
“Siamo tutti colpiti dalla capacità con la quale ha organizzato quei salvataggi durante l’attacco di Londra, nonostante fosse ferito, quindi promuoverla ci è sembrata la cosa più giusta da fare.”
Già, era proprio l’occasione che stavano aspettando.
“Presumo che si stia annoiando” continuò il Colonnello estraendo la cartellina e gettandola sul letto. “Le ho portato qualcosa da leggere.”

Arthur osservò il fascicolo, se avesse potuto scegliere non l’avrebbe mai letto, ma il suo superiore era lì e controllava le sue mosse, così lo aprì.
“Belgio…” lesse ad alta voce.
“Ypres. È quella la sua prossima destinazione. Presumiamo che i tedeschi stiano conducendo degli esperimenti in quel luogo. I battaglioni alleati sono giù sul posto, vogliamo che lei li raggiunga e fermi i tedeschi una volta per tutte.”
Arthur sollevò lo sguardo dai fogli e lo puntò dritto in quello del Colonnello. Ormai non cercava più di nascondere il suo odio verso quell’individuo: stavano entrambi giocando, ma la sconfitta di Arthur era un dato di fatto. Aveva compiuto ogni genere di azione spregiudicata, pericolosa, eroica, subdola pur di arrivare fin lì, al vertice, per potersi allontanare dal campo di battaglia e avvicinarsi a coloro che avevano in mano le sorti della guerra, per farla terminare o almeno per potersi rintanare da qualche parte lontano da quella distruzione. Ma più si avvicinava al potere, più percepiva la verità e comprendeva sempre più che il motivo per cui milioni di persone si affannavano e morivano era una mera questione economica. Non esistevano né un inizio né una fine, le sorti di tutti erano in mano a pochi e lui era un semplice strumento, come tutti gli altri. Si era praticamente gettato in pasto a coloro che cercavano carne da mandare al macello per i propri scopi: a nessuno faceva comodo un ufficiale che proveniva dal popolino e il fatto che si fosse guadagnato il potere con le proprie forze era soltanto un elemento di pericolo, perché lui non vedeva la guerra dallo stesso punto di vista dei borghesi che stavano al comando e accoglierlo tra le loro fila li avrebbe soltanto danneggiati.
Questo era il semplice motivo per cui adesso Arthur veniva mandato nell’inferno di Ypres, perché questa era una missione dalla quale non sarebbe dovuto tornare.
Una promozione… bella scusa. Maggiore Kirkland non suonava nemmeno tanto bene. Ma Arthur non si sarebbe tirato indietro, si era sobbarcato di troppe responsabilità, sapeva troppe cose per poter desiderare di abbandonare tutto. Piuttosto, avrebbe compiuto con dignità il primo passo sul sentiero in discesa verso la rovina.
 
Quel posto era una desolazione, proprio come tutti gli altri luoghi in cui era stato durante gli ultimi due anni. Inghilterra, Francia, Belgio, ormai non vi erano più molte differenze, l’unica cosa che vedeva erano i campi di battaglia e quelli erano sempre, tristemente uguali. Forse, l’unica novità degna di nota era che a Ypres c’era ancora qualche albero vivo. Però pioveva. Pioveva sempre.
Le trincee si articolavano su una vasta area, mentre le gallerie erano basse e strette, per lo più si trattava di cunicoli. C’era solo un tratto più praticabile che conduceva ad alcune stanze per le necessità primarie: infermeria, alcune camerate e due uffici, uno per il Generale – che in ogni caso non li degnava mai della sua presenza – e uno per lui. I soldati che non trovavano posto sottoterra si accontentavano di dormire in trincea o, se erano fortunati, nei villaggi vicini, quando non erano chiamati per combattere. Al momento comunque si trovavano tutti lì, perché Arthur non aveva perso tempo a organizzare l’attacco desiderato dal Comando e più tardi si sarebbe consultato con i Sergenti.
Intanto scrutava la zona deserta che si stendeva davanti a lui: da qualche parte, a un chilometro circa di distanza, c’era la trincea tedesca, immobile.
Arthur stava in piedi vicino alla trincea, in una zona leggermente rialzata: un perfetto bersaglio per un cecchino, ma sapeva di non correre alcun rischio, al momento. Da settimane era tutto tranquillo, nulla si muoveva, era come se i tedeschi stessero aspettando qualcosa, e per Arthur non era difficile capire cosa.
Il braccio gli pendeva ancora dalla fascia al collo e per quanto avesse voluto liberarsi di quel bendaggio era ancora troppo presto. Durante l’attacco a Londra gli era rimasto sotto un muro crollato, solo per miracolo non si era rotto niente ma aveva rischiato di farselo amputare da quanto i muscoli e i tendini si erano danneggiati. Era stato fortunato, se ne rendeva conto ormai da due anni. Nonostante tutte le idiozie e gli atti sconsiderati che aveva compiuto si era sempre salvato e aveva sempre combattuto per restare in vita. Ma da un po’ gli era sorta una nuova domanda: a cosa serviva restare in vita in un mondo come quello? Ora che conosceva tutti i loschi ed egoistici intrighi che stavano all’origine della guerra aveva anche la certezza che quel conflitto non sarebbe mai finito. Quindi tanto valeva sparire per sempre da quel posto.
 
Aveva sollevato il fucile e stava prendendo la mira, ma era inutile, era ridicolmente in ritardo e il tedesco lo aveva già nel mirino. Per di più stava per morire per aver seguito le grida di un francese. Maledizione.
Poi accadde qualcosa di indefinito e nebbioso. Dal fianco ferito – che prima aveva quasi dimenticato – salì una fitta che gli raggiunse il cervello e per qualche istante vide tutto confuso. Riuscì a sentire lo sparo e il terreno gli colpì la nuca. Pensò di essere stato preso in pieno e il mondo si oscurò. Ma poi sentì degli uomini che gridavano, altri spari, riapparve un po’ di luce e Arthur si ritrovò a boccheggiare nel fango. Il tedesco che gli aveva sparato cadde morto e altri soldati con la divisa inglese color kaki vennero a vedere se Arthur era ancora vivo, chiamarono un barelliere e lo portarono via. Ancora faticava a capire cos’era successo, aveva ipotizzato che la ferita al fianco gli avesse fatto perdere i sensi per qualche secondo e gli avesse fatto schivare il proiettile per un soffio.
Ma per tornare alla base lui e i barellieri dovevano attraversare il campo di battaglia, con i proiettili che vagavano impazziti, le mine ovunque e il fuoco che aveva incendiato quel francese e l’aveva divorato in pochi secondi. Che senso aveva correre al rifugio? Non sarebbero riusciti a fare un solo passo in più.
Il braccio gli faceva malissimo e lo costrinse ad aprire gli occhi. Adattarsi al buio della camerata fu difficile, ma presto riprese il controllo e ricordò dove si trovava. Era a Ypres, non ad Arras. Quel capitolo della sua vita era chiuso.
Durante il sonno la fascia gli si era slegata dal collo e il braccio gli era finito sotto il corpo. Impiegò molto tempo prima di riuscire a muoverlo. Il suo respiro era ancora affannoso, rimase a lungo immobile, con le coperte scostate dal corpo. Con la mano sana tastò il materasso duro al suo fianco, ma ne incontrò subito il margine. Ritirò la mano sentendo un’inspiegabile tristezza.
Quello non era un letto francese.
 
“Le loro mitragliatrici sono appostate qui, qui e qui. In questo punto ci sono due cannoni, ma hanno esaurito le munizioni e i rifornimenti non sono ancora arrivati. Questa zona è la preferita dai cecchini, quindi se attacchiamo da questa parte…”
Arthur reggeva una matita tra i due indici e tracciava distrattamente piccole onde nell’aria, mentre osservava attento la cartina che il Sergente stava picchiettando, sciorinando orgogliosamente tutte le informazioni che aveva raccolto sui tedeschi prima dell’arrivo dei rinforzi.
“Se provassimo ad aggirare qui…”
“Cos’è quella traccia?” domandò improvvisamente Arthur. Il Sergente si interruppe con aria confusa.
“Quale traccia?”
“Quel segno dietro la nostra trincea.”
L’uomo abbassò lo sguardo, alla ricerca. “Oh! Quella è la trincea che usavamo all’inizio dell’attacco, quando i tedeschi utilizzavano i cannoni, ma quando hanno terminato le munizioni, e poiché abbiamo accertato che non era più previsto il loro arrivo, ci siamo spostati un chilometro più avanti.”
Arthur si piegò in avanti e la osservò pensieroso. “Voglio mille uomini, settecento attaccheranno frontalmente, trecento rimarranno qui in caso di necessità. Tutti gli altri si trasferiranno nella vecchia trincea.”
Il Sergente si agitò e si rivolse a lui come se stesse parlando a un idiota. “Ma Maggiore, in caso di emergenza noi saremmo troppo lontani per venire in vostro aiuto. Mille uomini sono troppo pochi!”
“Non se vengono usati bene.”
“Ma si tratta di una missione rischiosa, non sappiamo nemmeno cosa stiano pianificando i tedeschi!”
“Per questo motivo ho intenzione di portarne pochi con me! È meglio che ne muoiano mille che cinquemila.” Arthur stava perdendo la pazienza, era stanco di venire trattato come una recluta: sapeva quello che stava facendo. L’altro si acquietò.
“Maggiore, è sicuro di non voler dirigere l’attacco da qui? Lei detiene il comando, se dovesse cadere sul campo…”
“Non accadrà. E se anche fosse, non sono io a fare la differenza, qui.” Avrebbe continuato a ripetere ai suoi uomini quella  frase per rassicurarli. Non sapeva se sarebbe caduto o no, il giorno dopo, ma di sicuro era ciò che il Comando si aspettava, quindi poteva essere solo questione di tempo.
“Ora vai, manda qui gli ufficiali francesi cosicché possano concordare col piano.” Arthur congedò con un gesto della mano il Sergente, il quale salutò e uscì in fretta. Fuori si udì un breve scambio di battute, poi la porta si aprì di nuovo ed entrarono i francesi. Il primo, il Tenente, fece il saluto militare e venne diretto verso la scrivania; il secondo…
Arthur trattenne il respiro, sentì il cuore mancare un battito e rimase impietrito perché quella era l’ultima persona che pensava di trovarsi davanti. Era Francis, e aveva la sua stessa, identica espressione.
Arthur era stato colto così alla sprovvista che non seppe come reagire, ma Francis stava immobile e muto, pallido e con gli occhi sgranati come se stesse guardando un fantasma, perciò l’inglese tentò di riscuotersi e fece finta di nulla, invitando il Tenente a parlare. Questi non se lo fece ripetere, sembrava aver imparato a memoria un discorso interminabile sui pregi delle sue truppe e sul supporto che avrebbero offerto e Arthur rispondeva ogni tanto a monosillabi, sforzandosi di guardarlo negli occhi. Ma ogni tanto lo sguardo gli cadeva su Francis che se ne stava ancora lì a fissarlo, immobile, mettendolo del tutto a disagio. Sembrava fare uno sforzo immane per trattenersi, gli tremavano tutte le braccia.
Arthur espose il piano a grandi linee, disse che avrebbe preso solo quattrocento francesi per la spedizione del giorno dopo. L’altro dimostrò di accettare le condizioni, probabilmente aveva poca voglia di organizzare un attacco e Arthur aveva fatto in modo che esso apparisse una specie di ricognizione. Il Tenente si congedò e fece un cenno un po’ spazientito a Francis, ma Arthur colse l’occasione al volo, senza pensarci.
“Vada pure, Tenente, ma vorrei che il Sergente si trattenesse qui per elencarmi le armi a vostra disposizione.”
“Come desidera” rispose l’altro senza dimostrare troppo interessamento. Uscì e si chiuse la porta alle spalle.
Arthur fece il giro della scrivania lentamente, cercando qualcosa da dire e un’espressione da assumere.
“Ehi… dove sei…” Gli fu impossibile terminare la domanda perché Francis gli aveva preso la testa tra le mani e sigillato le labbra con le proprie. Arthur non apprezzava simili effusioni ed ebbe l’impulso di respingerlo, ma non lo fece, un po’ perché era accaduto tutto così inaspettatamente – l’incontro, la sua lingua in bocca – un po’ perché era stato colpito dalla sofferenza che Francis aveva dimostrato di patire mentre stava lì, in piedi, a guardarlo… e anche perché era come se qualcosa, dentro di lui, si stesse sciogliendo e gli stesse prosciugando le forze.
Per tutte quelle ragioni – e per tante altre che non riuscì a classificare – non reagì alle mani di Francis che lo frugavano, toccandogli ogni parte del corpo, come per assicurarsi che ci fosse ancora tutto. Ma quando gli tastò il braccio ora libero, Arthur si ritrasse colto da una fitta di dolore.
Francis si spaventò, ma subito si avvicinò di nuovo e stavolta lo guardò dritto negli occhi. Arthur si perse per un attimo in quel blu, un colore così vivo che non vedeva da molto tempo. Il francese lo strinse così forte da spremergli l’aria fuori dai polmoni.
“Lo giuro, ero sicuro di non rivederti più. Maledizione, cosa mi hai fatto per torturarmi così? Ho sperato che mi sparassero un colpo in testa per riuscire a smettere di pensarti.”
“Basta, Francis.” Arthur cercò di essere delicato ma non era sicuro spingersi oltre, qualcuno sarebbe potuto entrare, e comunque c’era un limite a tutto, ciò che si sentiva dire lo metteva in difficoltà. Non gli faceva piacere ammetterlo, sperava di aver sviluppato un maggior autocontrollo, ma era contento di rivedere Francis, era come tornare indietro, quando la fine della guerra sembrava sempre dietro l’angolo.
Nonostante tutto avvertiva un certo pericolo in quel sollievo, qualcosa che avrebbe potuto minare la sua determinazione e allontanarlo dai suoi doveri.
“Che ti è successo?” chiese Francis ignorando le sue proteste. Scrutava con premura ogni angolo del suo viso. Arthur si sentì a disagio.
“Nulla di così diverso da quello che hai passato tu, a meno che non ti abbiano messo a riordinare scartoffie fino adesso.”
Francis sembrò addolorato. “I tuoi occhi sono morti, Arthur.”
Non era certo qualcosa che ci si sentiva dire tutti i giorni e l’inglese rimase non poco colpito da quell’osservazione. In realtà non c’era nulla di strano in quello che aveva detto Francis: Arthur era perfettamente consapevole di ciò che era diventato.
“Già” disse infine, nascondendo una punta di amarezza, “certe cose non si possono evitare.”
In realtà anche il francese appariva provato. Portava su di sé i segni della guerra, era dimagrito, non camminava più sicuro e impettito, non esibiva più quel sorriso provocatorio, ma i suoi occhi brillavano, come chi non ha ancora abbandonato la speranza.
All’improvviso il francese parve ricordarsi della reticenza di Arthur e si allontanò leggermente, cambiando argomento. “Sono felice che tu abbia mantenuto la tua promessa di restare in vita. Mi piacerebbe tanto sapere come hai fatto a diventare Maggiore in così poco tempo.”
Arthur non andava fiero di ciò che aveva fatto: se due anni prima era disposto a qualunque cosa pur di arrivare ai vertici, ora rimpiangeva i giorni in cui sarebbe potuto morire silenziosamente su un fangoso campo di battaglia, inconsapevole delle trame che si celavano sopra la sua testa, convinto di aver combattuto per un giusto ideale.
Si portò una mano alla tempia e sollevò i capelli, rivelando la cicatrice infertagli dal proiettile di Arras che l’aveva risparmiato per un soffio.
“Grazie a questo e a mille altri inutili atti di eroismo.”
Francis sfiorò la ferita a sua volta. “Che idiota.”
Sì, lo era, ma non disse niente. “Se non avessi fatto tutto questo ora non sarei qui.”
“Già, probabilmente saresti in Inghilterra, in congedo.”
Avvertì una punta di irritazione. Ricordargli i suoi sbagli non lo aiutava a restare calmo. Decise di prenderlo in contropiede. “E tu perché non sei a casa in congedo?”
Francis immerse le dita più in profondità tra i capelli di Arthur. “Ti cercavo.”
“Hai detto di essere sicuro che fossi morto.”
“È vero.” Rise senza entusiasmo. “Ti rendi conto di quello che mi hai fatto?”
Arthur aveva voglia di ribattere senza tanto garbo, non gli piaceva il modo in cui Francis lo sobbarcava di ulteriori responsabilità. Era certo di non poter reggere nulla di più, ma era stanco dei battibecchi, delle gare a chi riusciva a prevalere, delle lotte contro le tentazioni. Gli rimaneva soltanto un obiettivo da portare a termine e probabilmente non si sarebbe protratto oltre il giorno successivo.
Francis lo guardò in un modo che lo inquietò, lo abbracciò di nuovo, più delicatamente questa volta e iniziò a baciargli il collo. “Adesso che sono qui non ti lascerò fare altre stupidaggini.”
Arthur si divincolò. “Basta, adesso.”
“Nonostante tutto non sei cambiato.”
Sì che era cambiato! Aveva fatto delle scelte e imboccato un percorso al quale non poteva più sottrarsi senza provocare gravi conseguenze, e questo non era da lui. Francis lo faceva arrabbiare, non sapeva nulla di quello che gli era successo o che aveva deciso. Non si rendeva conto delle responsabilità che aveva!
Era cambiato, o meglio, era distrutto. Aveva cancellato tutto ciò che era e anche ciò in cui credeva. Non aveva altre aspettative se non quella di andare a morire il giorno dopo, rinunciando semplicemente a quello per cui, due anni prima, voleva vivere e combattere.
Si sentiva ridicolo di fronte a Francis. Aveva affrontato ogni genere di difficoltà, pericolo e sofferenza, eppure gli sembrava di essere ridicolmente inferiore e questo lo faceva infuriare.
Era come se Arthur non esistesse più, persino il suo orgoglio era sprofondato sotto terra.
Non avrebbe rinunciato ai suoi doveri e non avrebbe abbandonato la sua missione, ma se avesse potuto avrebbe voluto sparire per sempre, in quel modo avrebbe risolto ogni problema.
“Ti desidero come prima, ma so che sei un pudico bastardo quindi non insisterò, mi accontenterò di continuare a coccolarti finché non riuscirai più a resistermi.”
Arthur lo spinse via. Francis non sapeva niente, non poteva pretendere di credere che fosse rimasto lo stesso di prima. Era furibondo e la sua mente andò al tagliacarte che teneva sulla scrivania: glielo avrebbe piantato volentieri in un occhio. Che arrogante. Ma ciò che lo faceva sentire ancora peggio era la sensazione di avere sempre torto quando si trovava col francese. Che situazione degradante, voleva provare finalmente sollievo, voleva scomparire. Ormai non era che un rottame, sentiva che persino la sua anima era stata corrotta e non aveva più speranze. Non riusciva a provare altro che dolore, senso di colpa e rabbia, era per questo che il giorno dopo avrebbe attraversato la terra di nessuno senza paura: perché era arrivato al punto di disprezzarsi.
Fissò Francis negli occhi, un po’ come una sfida, ma non c’era nulla di nobile in ciò che stava per fare, soltanto il desiderio di essere annullato, nel corpo e nell’anima.
Si sentiva uno schifo, ma con decisione e rabbia iniziò a sbottonarsi la giacca e la gettò per terra, poi fece lo stesso con la camicia, i pantaloni e in pochissimo tempo si ritrovò nudo.
Francis aveva assistito a quell’esibizione inaspettata a bocca aperta, ma Arthur non aveva intenzione di conoscere la sua reazione, si trattava soltanto di un atto egoistico.
Andò al muro e vi si appoggiò coi gomiti, cercando di non pensare a nulla.
“Che cosa stai facendo?” domandò Francis incredulo.
“Stai zitto, so che lo vuoi e allora sbrigati.”
Sentì i suoi passi che si avvicinavano lentamente, ma non le sue mani sulla pelle, come aveva pensato.
“Non ti voglio così.”
Che palle, non gli andava bene niente. Non si poteva accontentare?
“Francis, sono cambiato, fattene una ragione, quindi datti una mossa prima che ci ripensi!”
Era umiliante, ma era anche tutto ciò che in quel momento poteva fare per cercare di soddisfare il suo desiderio di autodistruzione, o almeno era l’unica cosa che non comprendesse l’uso del tagliacarte.
Era solo un disgustoso concentrato di dolore e fallimenti.
Francis avrebbe potuto insistere sulla convinzione che quello fosse il modo sbagliato per farlo, ma probabilmente pensò di non potersi perdere un’occasione del genere. Le sue mani erano fredde quando gli sfiorarono i fianchi e salirono lungo la schiena, fino alle spalle.
“Sono qui per salvarti dall’oscurità in cui sei caduto, Arthur.”
Arthur chiuse gli occhi. Era impossibile salvarlo, lui stesso non voleva, ma cercò di crederci per qualche istante.
“Tu hai già salvato me” continuò Francis, “sei stato la mia piccola stella nei momenti peggiori che mi ha permesso di tornare vivo da te.”
Quelle parole non lo aiutavano ad affrontare la vergogna che già provava. “Smettila di farneticare.”
“Smettila tu, di farneticare, e cerca di capire quello che ti posso dare.”
Ciò che voleva era solo sprofondare e smettere finalmente di pensare, ma purtroppo la capacità di arrovellarsi il cervello in ogni situazione era una sua prerogativa, per cui, prima di sentire le dita di Francis sfiorargli il ventre, fu investito da una valanga di ripensamenti che lo fecero irrigidire come un ramo secco.
Il francese riprese a baciarlo, cosa che Arthur non sopportava poiché in quel lasso di tempo, che pareva protrarsi per l’eternità, aveva mille occasioni per pensare a quanto stesse mentendo a se stesso. Gli piaceva sentire il tocco invadente ed esperto di Francis, il calore che si diffondeva dalla sua pelle, i suoi capelli che gli solleticavano le spalle, i suoi vestiti che diminuivano man mano. Ma era tutto troppo complicato e degradante, era molto più semplice desiderare di essere eliminato per sempre piuttosto che accettare quei brividi di piacere.
“Lo vuoi davvero?” gli sussurrò Francis all’orecchio.
Maledizione, perché doveva complicargli la vita così?! Era triste e confuso, sicuramente non aveva le facoltà per prendere una decisione razionale e tutto quello che stava accadendo era dettato solo dal suo temporaneo disorientamento. Sì, lo voleva, ma se ne sarebbe sicuramente pentito, ne era certo, stava commettendo un atto sconsiderato e infantile, proprio come tutti quei patetici tentativi di eroismo che gli erano costati la condanna a morte. Ultimamente non era più in grado di fare delle scelte assennate, era come se l’istinto avesse preso definitivamente il sopravvento e lo spingesse a commettere una cazzata dopo l’altra, senza riuscire più a fermarsi.
Nel tempo che Arthur impiegò per tentare di decifrare quello che sentiva, Francis decise di interpretare la risposta a modo suo. Scivolò lungo la sua schiena fino ad inginocchiarsi – ormai era nudo anche lui, Arthur lo avvertiva perfettamente – mise le mani sui suoi fianchi e prese ad accarezzarlo, dapprima con le labbra e poi con la lingua.
Arthur lottava contro l’impulso di girarsi e stenderlo con una ginocchiata. Che modi erano?! Non si vergognava? Il modo in cui stava usufruendo di lui, neanche fosse la più volgare prostituta di un bordello, lo turbava profondamente, ma ad essere sinceri era proprio ciò che Arthur aveva desiderato all’inizio: essere preso, annullato, abbattuto completamente. Tra il desiderio e il fatto compiuto, però, c’era un abisso. L’inglese non aveva una grande cultura in materia, tutti i rapporti che aveva avuto fino ad allora erano stati con fanciulle assai meno volgari ed intraprendenti di Francis, però intuiva esattamente cosa c’era da fare, in quella situazione. Il francese continuava a lavorare là dietro, e Arthur era felice di essere girato così da poter nascondergli il rossore che gli stava invadendo le guancie. Quando le mani di Francis scesero sulle sue cosce per poi risalire, Arthur comprese di essere caduto troppo in basso per potersi risollevare.
Non voleva che Francis lo stimolasse in quel modo, voleva essere lui a gestire il suo piacere, era così che aveva sempre fatto con le donne. Ma in quel momento era completamente in balia di quei movimenti alienanti ai quali non voleva assolutamente abbandonarsi.
Non poteva farlo, non poteva umiliarsi in quel modo. Va bene farsi sopraffare, ma voleva almeno mantenere un minimo di dignità, non aveva intenzione di restare in balia di Francis come una donnaccia scostumata e ancor meno…
Fu un attimo e tutti i pensieri svanirono. Tutte le sue aspettative non l’avevano preparato a una sensazione del genere, un groviglio inestricabile di dolore, piacere, desiderio, fastidio, calore, attrito, brivido… il suo cervello smise di lavorare.
La testa di Francis ora era accanto alla sua e sentiva distintamente il suo respiro affannoso sulla pelle sudata. Arthur affondò le unghie nella roccia, si morse le labbra per bloccare quei gemiti che gli risalivano lungo la gola e pretendevano di uscire, incontrollati e volgari.
Si dovette inarcare sotto la forza di Francis, il quale si appoggiava ugualmente al muro, stringendo le mani di Arthur tra le sue, come per impedirgli di sottrarsi a quell’unione, ma anche per sostenerlo. Poiché insisteva nel suo sofferto silenzio, Francis, o per esigenza o solo per dispetto, gli morse la spalla, e così anche Arthur fu costretto a lasciarsi andare, con sua somma vergogna, ma anche con liberazione.
“Ho aspettato… ho sognato all’infinito questo momento” disse Francis col fiato corto. “Sei tutto ciò che voglio, sei la mia salvezza da questo inferno.”
Arthur non rispose, fu colto da un tremito.
“Perché ti trattieni? Sarà tutto più semplice e più bello se ti lasci andare. Non domandarti se sia giusto o sbagliato, pensa soltanto ad accogliere in te il mio amore.”
Che razza di romanticherie sdolcinate, solo un parrucchiere francesino poteva parafrasare una dichiarazione tanto infiocchettata. Era terribile trovarsi in balia di un altro in quel modo, eppure Arthur sapeva che, se avesse dato retta a Francis, sarebbe stato tutto più semplice.
I movimenti di Francis erano sempre più intensi e precisi. Lui sì che sapeva dove toccare per fargli perdere la ragione e Arthur era ormai prossimo al punto di non ritorno.
“Guardami, Arthur. Stai facendo l’amore con me, non col muro… coraggio.”
Era troppo vulnerabile, non voleva mostrare a Francis il suo volto paonazzo e un’espressione ormai troppo vicina all’estasi, ma la forza di volontà lo stava abbandonando velocemente. Francis gli sfiorò la mandibola, spingendolo  a piegare il collo all’indietro e a scoprirsi.
“F-Francis…” Voleva dirgli di piantarla, ma le parole non riuscivano a salire, sembravano fermate da un nodo all’altezza del cuore.
“Arthur, sei bellissimo così. Di’ ancora il  mio nome.”
Ma cosa pretendeva, il servizio completo? Non avrebbe fatto la dolce mogliettina accondiscendente per soddisfare i suoi capricci.
“Fran…cis”
Che cazzo stava facendo?! Perché quella era l’unica parola in grado di pronunciare?
Mon Dieu, sei perfetto.”
“Francis…”
Fantastico, il suo cervello era fottuto. Era come se la sua parte razionale fosse relegata in un angolo, completamente slegata dal resto del corpo e stesse osservando, critica e un po’ disgustata, l’assurda situazione in cui si era sprofondato da solo.
Francis lo toccò con ancora più trasporto ma meno coordinazione, più veloce, più intensamente e Arthur raggiunse infine l’apice del piacere. Dalla strana sensazione che provò pochi istanti dopo capì che anche Francis l’aveva raggiunto ed entrambi si fermarono ansimando.
Ora che la mente di Arthur stava riacquistando lucidità, non poteva ancora credere di aver fatto ciò che era appena accaduto, in verità era a metà tra lo stupito e lo shockato. Le sue forze si erano prosciugate e d’un tratto non sentì più le gambe. Francis lo accolse tra le sue braccia e si sedettero per terra, appoggiati al muro.
Arthur si sentiva andare a fuoco e il francese gli passò lentamente una mano sulla fronte e sui capelli a tergergli il sudore, mentre con l’altro braccio lo cingeva stretto.                                
Accarezzò con attenzione le cicatrici che individuò sul corpo di Arthur, il quale si ritrovò ad apprezzare più quel momento di affettuosa quiete rispetto al sesso.
“Sei stato davvero scortese” disse Francis, passando dalla ferita al fianco alla lunga cicatrice sul braccio sinistro, “hai trattato male questo corpo pur sapendo che presto avresti dovuto darlo a me.”
“Non l’ho mai saputo, razza di egocentrico.”
Se l’avesse saputo sarebbe stato tutto diverso? Se ad Arras avesse fatto una scelta differente e avesse accolto in maniera diversa le attenzioni di Francis, ora si sarebbe trovato a morire a Ypres, col corpo martoriato e l’anima spezzata?
“In un modo o nell’altro io ottengo sempre ciò che voglio. Ma la prossima volta mi piacerebbe sedurti, piuttosto che vederti costretto da un tuo malsano desiderio autolesionista.”
Arthur sospirò irritato: non sapeva accontentarsi. “La prossima volta impegnati di più, allora, e non cercare di rimorchiarmi con i tuoi metodi da voyeur.”
Francis gli baciò il braccio e la mano, come un cane che si lecca una ferita. Un gesto… affettuoso.
“Voglio che tu rimanga indietro nella vecchia trincea, domani.”
Francis si fermò e lo guardò negli occhi come per accertarsi che non stesse scherzando. “Mi prendi in giro, vero?”
“Perché dovrei farlo? Sono gli ordini di un tuo superiore.”
Gli lasciò andare il braccio. “E quindi hai intenzione di lanciarti ancora in quell’assurda missione suicida?!”
“Non alzare la voce, cretino!”
“Sei tu il cretino! Dopo tutto quello che è successo credevo di averti fatto passare la voglia di morire!”
Arthur si staccò da lui. “Non si tratta di voglia di morire, ma di doveri! Ho ricevuto l’ordine di condurre questa missione e non mi tirerò indietro.”
“Sei un maledetto idiota! Non solo pretendi che ti lasci andare, ma vuoi anche che me ne rimanga ben lontano in caso ti servisse aiuto! Sei un bastardo egoista!”
Nella caverna spoglia l’eco dello schiaffo aleggiò per alcuni interminabili secondi. Francis, che era stato colto completamente di sorpresa, si portò la mano alla guancia arrossata.
Ora Arthur era furibondo.
“L’egoista sei tu! Possibile che non capisci? Non ci siamo solo io e te, qui! È una guerra e ormai ci siamo dentro entrambi, io molto più di te, purtroppo!”
“Ancora ti importa di questa stupida guerra?! Ormai avrai capito che né tu né io possiamo fare nulla per fermarla! E allora ti basterebbe lasciare il comando e venire via con me! Cos’è che ti ferma, ancora?”
Arthur si morse la lingua prima di urlare un insulto che avrebbe attirato nell’ufficio tutti i soldati presenti nei dintorni. Si prese qualche istante per riacquistare il controllo, o almeno per riuscire ad abbassare il volume della voce.
“Fammi capire: intendi disertare?”
Francis spalancò le braccia esasperato. “Cos’è che ti trattiene, ancora? Adesso siamo insieme e possiamo andarcene dove vogliamo! Possiamo tornare in Inghilterra, scappare in Italia oppure in America!”
Arthur aveva voglia di urlare e prenderlo a botte per la sua ottusità, ma capì che non sarebbe servito e ormai era stanco di discutere. Se avesse potuto se ne sarebbe andato sbattendo la porta, ma purtroppo era ancora nudo e rivestirsi avrebbe richiesto troppo tempo, tanto che sicuramente gli sarebbe passata l’arrabbiatura.
Si inginocchiò di fronte a Francis. Per qualche motivo si sentiva esausto, ma voleva riuscire a farlo ragionare.
“Devi metterti in testa che sono un Maggiore, adesso. Ho un compito da eseguire, dei soldati da comandare. Se disertassi… i miei uomini verrebbero accusati di tradimento e molto probabilmente sarebbero tutti fucilati! Se… se io…”
Dannazione, non ce la faceva più. Francis non poteva sapere quanto lui stesso volesse andarsene di lì e abbandonare tutto, ma non poteva farlo! Il suo orgoglio glielo impediva, i suoi doveri… Non sopportava di dover tornare sulle sue scelte, lui andava avanti, non provava rimorso per nulla. Non poteva permetterselo.
E ora cercava di reprimere quel feroce istinto di fuga che Francis gli stava instillando, era talmente dilaniato che se fosse stato solo probabilmente gli sarebbero spuntate le lacrime, ma non davanti a lui.
“Cerca… cerca di capire quello che devo fare.” Gli posò i pugni sul petto, non sapeva più cosa dire ma non voleva nemmeno che l’altro replicasse. Non poteva non capire!
Dopo un po’ Francis sospirò e gli prese la testa tra le mani costringendolo a guardarlo negli occhi.
“Mio povero Arthur. Ti sei condannato con le tue mani.”





Continua



Ogni volta spero di metterci meno del solito a pubblicare, ma la verità è che ci metto tanto cmq, soprattutto stavolta che avevo molto da fare, quindi chiedo perdono di nuovo.
Dunque, Francis felice, Arthur depresso... ho dovuto scrivere sette pagine prima di riuscire a far spogliare Arthur di sua spontanea volontà, credetemi non è stato facile, ma dovete sapere che ho scritto esattamente tutto ciò che volevo trasmettere. L'inglesino non può certo calarsi i pantaloni al primo sguardo dolce di Francis, e lui, d'altro canto, non può neanche stuprarselo... Arthur non lo permetterebbe e Francis non oserebbe, perché in fondo gli vuole troppo bene.
Ora passiamo alle recensione della volta scorsa:


@GinkoKite: Le sopracciglia sono tornate, e insieme a loro anche il nostro amato inglese! Volevo rassicurarti sulla tua affermazione su Francis... intendo quel "molto profondo"..... Ludwig non si è lamentato quindi immagino che tu abbia pienamente ragione.

@Harinezumi: Come sono contenta che tu conosca questi fatti! E' sempre utile essere ben informati su queste cose. Francis è un inguaribile romanticone, ed è pure stracotto quindi è naturale che continui a pensare al suo frigido inglesino!! Scusa, alla fine ti ho fatto attendere ancora di più!!!!! *piange*

@Julia_Urahara: Devo rivelarvi che questa fic è stata scritta in prevalenza per fare un piacere alla mia compagna di account nonché beta. La FrUk e la Francia x Germania (che qui si è tramutata nella Germania x Francia a causa di un mio rifiuto psicologico XD) sono due delle sue coppie preferite di Hetalia in assoluto. A me basta che ci sia Arthur e tanto angst e sono felice :P

@Miristar: Dunque... da dove cominciare... Ci tengo davvero tanto a farti capire che non era assolutamente mia intenzione far apparire Hitler come un omosessuale represso. Ho inserito il suo personaggio solo per qualche riga, non mi permetterei mai (né mi prenderei lo sbattimento di farlo) di inventarmi la sua personalità per poi infilarlo lì tra una riga e l'altra. Mi sono semplicemente basata sul fatto storico e confermato: Hitler era davvero un incapace e un disadattato, non riusciva bene in niente, tranne che nei compiti affidatigli durante la guerra, è per questo che appare così infervorato e che ha sviluppato il suo grande odio verso il nemico che lo porterà ai tragici eventi della seconda guerra mondiale. Ti prego, non pensare che mi metta a inventarmi personalità di tale complessità come quella di Hitler!
Per il resto, sono felice che tu abbia gradito i momenti di sesso dello scorso capitolo e spero che questi ultimi ti siano piaciuti ancora di più!



Suivant chapitre--> Cinquième  Tranchée: Le petit étoil
   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Axis Powers Hetalia / Vai alla pagina dell'autore: Yuri_e_Momoka