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Autore: fri rapace    15/12/2010    14 recensioni
“So io cosa fare!” annunciò con sicurezza Tonks. “Se calmava me quando ero piccola, può mettere a nanna chiunque:
Chiudi gli occhi dolce lupetto
posa il capo sul mio petto...
Genere: Comico, Demenziale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nimphadora Tonks, Remus Lupin | Coppie: Remus/Ninfadora
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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Ninna nanna per un lupo affamato
Scritta per il contest di Fabi (Maghi e Famigli, Animagi e Licantropi - Seconda Edizione), mi sono vergognata troppo a parteciparvi con questa idiozia, il che la dice lunga sulla qualità della mia ff ^^
La pubblico lo stesso (ringraziando Fabi che mi ha dato il permesso), si sa mai che almeno qualche sorriso lo strappi... comunque potete tranquillamente insultarmi, è proprio una scemata XD!





Il lupo lanciò un ululato di trionfo con il muso rivolto alla faccia luminosa alta nel cielo: finalmente era tornato in possesso del proprio corpo.
La luce bianca lo aveva squarciato e rivoltato come un guanto e ora una fitta pelliccia copriva la vergogna di quel corpo glabro da verme, che lo possedeva per gran parte del tempo e tanto lo disgustava.
Annusò l’aria, gli occhi pallidi che scavavano nelle ombre della grossa scatola in cui era stato rinchiuso, l’odore di polvere era pesante, impregnato di umidità.
Capì alla svelta che il verme senza pelliccia lo aveva nuovamente ingannato: non c’era vita in quella prigione, solo lui.
La faccia in cielo prese a parlargli nella testa con una suadente cantilena:
Mangia, lupo, mangia. Mangiamangiamangia umani, carne…
Il lupo amava quella voce e aveva fame, una fame da inghiottire il mondo intero.
Annusò frenetico alla ricerca di carne, ma l’unica che riuscì a individuare fu quella di quel furbo del verme, ben nascosto sotto la sua pelliccia.
Mangia, lupo, mangia!
Iniziò a sbavare e obbligato dalla faccia nel cielo ad assecondare quell’appetito che lo divorava dentro affondò famelico i denti in una zampa, come se non fosse sua; non sentiva dolore, solo la fame e la cantilena che gli riempiva la testa allungata d’animale.
Il sapore di sangue lo ubriacò e con tutta quella carne di umano addosso la necessità di sbranare divenne frenetica: lo aspettavano tante ore con la faccia in cielo, aveva tutto il tempo necessario a consumare il verme fino all’osso.
“Remus?”
Il lupo si bloccò, le orecchie ritte e il naso all’opera.
“Remus! A cuccia!”
Lui non conosceva il significato di quella parola, non era mai stato addomesticato, ma poteva sentire l’odore inebriante di carne umana anche attraverso le spesse pareti della scatola gigante.
Si scaraventò con violenza contro il rettangolo di legno dietro il quale sapeva sostare l’umano, dimentico del pasto appena abbandonato.
La porta vibrò forte quando si scontrò con essa, ma non cedette.
“No! Cuccia! A cuccia!”
Mangia, lupo, mangia!
Il lupo guaì, grattando la testa dolorante per la collisione e le voci sul pavimento scheggiato, le zampe che raspavano come se stesse cercando di tenersi a galla in un mare senz’acqua.
“So io cosa fare!” annunciò con sicurezza la voce umana. “Se calmava me quando ero piccola, può mettere a nanna chiunque:
Chiudi gli occhi dolce lupetto
posa il capo sul mio petto
canterò fino al mattino
qui poggiata sul cusc… sull’uscino
canterò una melodia
sin che il buio non va via
ti sarò accanto col sorriso
finché il sole vedrà il tuo viso.”
Il lupo non capiva una sola delle parole pronunciate dall’umano, ma la voce della faccia nel cielo ben presto iniziò a soccombere, sovrastata da quella senza senso della bistecca canterina.
“Chiudi gli occhi dolce lupetto
posa il capo sul mio petto…”
La melodia lo faceva sentire strano, tutto molle e sonnacchioso, così pacifico da sdraiarsi a pancia all’aria, la voglia di mordere scalzata dalla necessità di morbide leccate.

***

“Ah…” Remus sollevò e palpebre sentendosi come se le stesse tirando su ognuna a forza di braccia. Non sapeva se era notte o giorno, né dove si trovava.
“Oh, tesoro dolce, ciao!” venne salutato con voce amorevole.
“Mmm?” mugugnò lui, alzando un poco il capo dal cuscino.
“Lo vuoi un po’ di latte? Ti sciacqui la bocca, così.”
Remus fece debolmente segno di sì, qualcosa di caldo l’avrebbe aiutato a tenere lo stomaco al suo posto: il dolore delle ferite gli dava sempre una nausea da togliere il respiro.
Ma la stanchezza prese il sopravvento prima che Tonks riuscisse a farlo bere e scivolò nuovamente nell’incoscienza.
Ore dopo, quando tornò a svegliarsi, il dolore si era fatto meno assillante e sentiva la mente più sgombra.
La prima cosa che lo stupì fu il camino acceso che aveva di fronte.
“Dora?” chiamò, agitandosi nel letto.
La sua testolina rosa sbucò dal basso: era seduta per terra, le gambe allungate sul pavimento.
“Sì, cucciolo?” sbadigliò stiracchiandosi.
“Non chiamarmi cucciolo,” s’irrigidì lui.
“Sì, lupetto da favola?” gli fece il verso lei, imitando alla perfezione il suo tono imbronciato.
“Meglio,” annuì lui, piuttosto soddisfatto. “Da quando in qua abbiamo il camino in camera?”
“Devi cambiare prospettiva, Remie,” gli consigliò, controllandogli la temperatura con un bacio sulla fronte.
“Cambiare prospettiva?”
“Ti senti meglio, vero? Sei fresco…”
“Dora?”
Le fece spazio sul materasso e Tonks si accomodò accanto a lui, tirando le ginocchia sotto al mento. Non stava mai seduta composta, e quella era solo una delle mille cose che adorava di lei.
“Non è il camino a essere cresciuto in camera nostra, è camera nostra che si è trasferita in salotto,” gli spiegò, controllando premurosamente la fasciatura che gli avvolgeva il braccio destro. “Male?”
Remus provò a mettersi a sedere: le ferite superficiali gli tiravano la pelle e il braccio pulsava un po’, ma tutto sommato si sentiva molto meglio rispetto ai soliti post pleniluni.
I capogiri lo colsero, mentre cercava di orientarsi dentro la propria casa. Il divano e il tavolino del salotto giacevano rovesciati uno sull’altro nel locale che riconobbe essere la loro camera, mentre il letto troneggiava nel centro del salottino, occupandolo quasi integralmente.
“Hai riarredato, vedo.”
Lei avvicinò il viso al suo, facendogli una carezza. “Avevi tanto freddo, Remus, il calore del camino ti calma i brividi. E poi ormai questa è un’usanza della nostra famiglia, io rivoluziono l’arredamento a ogni plenilunio, ma di solito te ne stai in coma per molto più tempo e rimetto tutto a posto prima che tu te ne possa rendere conto.”
“Non devi scomodarti per me, non ne vale la pena e ti do’ già tanto da fare e…”
Tonks gli schiacciò la mano sulla bocca. “E questo è il motivo per cui non te ne ho mai parlato!”
Remus sfogò in un lungo sospiro i sensi di colpa per il disturbo che procurava alla sua piccola, e così facendo si accorse di avere qualcosa in gola. Si liberò gentilmente dalla mano di Tonks, cavandosi qualche pelo dalla bocca, stava ancora abbastanza male da fregarsene delle buone maniere.
“Dora… ma cosa ho mangiato?” chiese preoccupato e con un crescente senso di repulsione.
Di solito, malgrado i morsi che si infliggeva, non gli restavano mai peli in bocca.
“Vorrai dire leccato,” lo corresse lei come se nulla fosse. “Non sei autolesionista fino a quel punto. Ti senti, no, hai ancora la tua voce roca e profonda così sexy!”
Remus si accigliò, per nulla tranquillizzato dalla sommaria spiegazione. “Ho leccato… qualcosa? In forma di lupo? E tu mi hai visto?”
“Dal buco della serratura, sia chiaro.” Il suo sguardo si fece ispirato. “Oh, eri così tenero mentre ti leccavi la saccoccetta e le pall…”
A Remus sfuggì un singulto. “Io ho…”
“Puoi giurarci!” batté le mani Tonks.
Si prese la lingua nel pugno con tutta l’intenzione di strapparsela via, ma senza scartare del tutto l’idea di darle prima fuoco.
“Dài, mollala! Guarda che per gli animali è del tutto regolare fare le pulizie domestiche anche a sud dell’equatore,” Tonks si grattò la testa, senza dare peso alla sua espressione stomacata. “Beh, quelli che anatomicamente hanno la possibilità di poter fare certe contorsioni. Io, da piccola, avevo un Jack Russel raccattato in un canile Babbano che alla mamma avevo spacciato per un Crup e stava le ore a leccarsi le pallin…”
Remus non rimase ad ascoltare la parlantina inarrestabile della sua dolce signora dallo stomaco di ferro.
“Credo che vomiterò…” decise svelto, cadendo giù dal letto e arrancando tutto storto e zoppicante fino all’uscita, che però si chiuse ermeticamente prima che riuscisse a varcarla.
Tonks gli corse incontro con la bacchetta alla mano e evocò un gabinetto proprio davanti al suo naso.
“Chiudi gli occhi dolce lupetto
posa il capo sul mio petto
canterò fino al mattino…”
Remus circondò la tazza con un braccio, fermandosi però ad ascoltare la ninna nanna. “Oh,” comprese, riuscendo a mettere da parte per un attimo lo schifo per quello che aveva fatto alla bestia che occupava abusivamente il suo corpo. “È così che hai calmato il mostro abbastanza da spingerlo a fare quella cosa che mi tormenterà per il resto della mia vita, immagino.”
“CHIUDI GLI OCCHI
DOLCE LUPETT…” alzò la voce lei, fissandolo con insistenza.
“Ora cosa vorresti farmi fare?” rifletté Remus, osservandola in tralice.
Tonks indicò il gabinetto senza smettere di cantare.
“Capisco. Ma non è necessario, mi è stato insegnato ad usarlo parecchi anni fa, non ho bisogno che mi educhi in questo senso. Non in forma umana, se non altro.”
“Non ti ho detto un’altra cosa da sbellicarsi che faceva il mio cane,” rise lei. “Su, devi ancora sciacquarti la bocca, ricordi?”
Remus, seppur ancora nauseato, ricambiò il sorriso e lo fece di gusto. Sapeva benissimo che stava scherzando e il suo scopo era solo quello di non farlo uscire al freddo, così come la canzoncina era servita a evitargli ferite più serie. Tutto quello che la sua piccola faceva aveva come scopo l’aiutarlo… divertendosi un po’, particolare che alleggeriva infinitamente Remus dai sensi di colpa. Non avrebbe retto lo scorgere sacrificio e pena sul suo volto, invece del riso.
“Ok,” disse solenne, decidendo di stare al gioco. “All’aperitivo seguirà un profondissimo bacio alla mia spiritosa mogliettina.”
“Comincio a correre?”
“Vai!”




Lo so, lo so, fosse stato così facile calmare il lupo mannaro in cui si trasformava Remus... però lasciatemi pensare che almeno per un volta poteva fuzionare, sapete... l'effetto sorpresa ^^

E poi filastrocche e canzoni tranquillizzano davvero gli animali, soprattutto quelli sdomi. Quando mi trovo davanti un puledro da ammansire canticchio sempre, e funziona, funziona davvero!!!
La ninna nanna non è opera mia, è una ninna nanna popolare ;-)
(ho solo sostituito "orsetto" con "lupetto" e "cuscino" con "uscino")
ciao
Fri



   
 
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