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Autore: Angorian    16/12/2010    15 recensioni
[Sospesa]
Ginny è da sempre innamorata di Harry. Eppure, tra sogno e incubo, è un'altra la voce che riempie i suoi pensieri..
"Ti attrae solo perché mi è simile”. Continuò, respirandole piano sul collo.
Lei strinse le labbra.
“No”.
Il ragazzo sorrise, consapevole del battito accelerato di lei.
“Nessuno ti conosce meglio di me, Ginny”. Soffiò."
Genere: Dark, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ginny Weasley, Tom O. Riddle
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
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10.
 
“Ma senza dubbio,
 Riddle voleva che quel diario
 venisse trovato, che il frammento
 della sua anima abitasse
o possedesse qualcun altro…”
(Harry Potter e il principe mezzosangue)
 
 
 
Fu in un giorno d’estate, che Ginny Weasley si accorse d’essere cresciuta.
Tutto ciò che aveva vissuto durante il suo quarto anno di scuola si era sedimentato, lasciandole sul corpo e nello spirito tracce di una maturità acquisita troppo presto.
La delicata e timida ragazzina di quattordici anni aveva lasciato il posto ad una quindicenne più dura, decisa.
In quel giorno d’estate sentì il bisogno di lasciare le lenzuola tiepide del suo letto, per portarsi davanti allo specchio e potersi riconoscere nella figura slanciata che in esso era riflessa.
Poggiò le dita della mano sinistra sulla superficie riflettente e fredda, come se avesse potuto davvero afferrare quel cambiamento di cui solo allora si era accorta.
Ma aveva sentito anche qualcos’altro, strisciare su di lei e penetrarle l’epidermide.
Una sensazione di calore, una tensione nei muscoli; sentiva il potere e la magia ribollirle  nelle vene e pervaderle la mente.
Non aveva mai provato nulla del genere, e beandosi di quella sensazione di tepore, sorrise involontariamente allo specchio.
“Sei di buon umore, oggi”. Osservò il ragazzo che, seduto sul bordo del letto, aveva seguito i suoi movimenti nella stanza.
Ginny si morse il labbro, e al suono di quella voce le tracce del suo buon umore sparirono dal volto ancora stropicciato dal sonno.
“Quindi hai deciso di rovinarmi la giornata fin da ora?”. Ribatté la ragazza con sarcasmo.
Avevano parlato poco, dalla confessione di Tom in infermeria, quando con poche frasi enigmatiche le aveva rivelato la sua natura: più di un ricordo,  meno di un fantasma.
Un brandello di anima che si era aggrappato a lei, quando il precedente contenitore era stato distrutto.
Il turbamento di Ginny era durato pochi giorni; tornare alla Tana per le vacanze estive infatti le aveva impedito di rimuginare sulle sue frasi, o anche solo rivolgergli la parola,  dal momento che non riusciva a restare da sola neppure per qualche momento.
Eppure aveva accolto con gioia il fermento della casa, e persino i noiosi e irritanti preparativi del matrimonio di Fleur e Bill erano preferibili ai gelidi commenti della presenza che la tormentava.
“Credevo che ti fossi abituata a me”.  Disse, ignorando il commento astioso.
“Ti sei sbagliato”.
Tom si alzò dal letto, e con studiata lentezza si avvicinò a lei.
“Eppure, non tremi più alla mia vista”.
Non era del tutto vero; Sentiva ancora il cuore in gola e il terrore invaderla, quando le sue labbra esangui si piegavano in quei sorrisi crudeli.
Ed era allora che, in quel misto di paura e odio, provava il desiderio di poterle sfiorare.
Un sentimento che aveva provato anche ad undici anni, quando aveva sperato che Tom esistesse, che potesse confortarla non solo con quelle parole d’inchiostro che vergava per lei,
ma anche con il calore di un abbraccio.
Voleva che Tom esistesse.
Era comprensibile, a quell’età, aver ceduto al suo fascino, alle sue lusinghe.
Ma lui l’aveva tradita, ingannata, usata.
Possibile che quella brama nascosta, fosse ancora in lei, latente?
“Voglio solo che tu te ne vada”.
Ma non ne era più tanto sicura.
 
*
 
Settembre arrivò con un fruscio di foglie secche, attenuando con le sue dita plumbee il calore del sole estivo.
Varcando gli imponenti cancelli di Hogwarts, Ginny aveva avuto il sentore che qualcosa di sinistro avesse varcato quella soglia, e lanciando un’occhiata a Tom, a pochi passi da lei, si chiese se non fosse stata proprio lei a permettergli di entrare.
Dean Thomas le stringeva la mano con affetto, e Ginny rispondeva concedendogli dei sorrisi affettati, che però lui non sembrava notare.
La ragazza si strinse di più nel consunto mantello di lana nera.
Aveva freddo.
 
*
 
 
Era estate, e il riverbero della luce solare le feriva gli occhi.
Sembrava che ogni cosa fosse dorata: la polvere che ricopriva il sentiero su cui passeggiava, e le spighe che la circondavano, rivolgendo il loro seme al sole, e bisbigliando i loro segreti alla brezza che le scuoteva, piano.
Qualcuno le teneva una mano; una stretta sicura, ferma, che non l’avrebbe lasciata andare.
Sorrise agli occhi verdi che la scrutavano, oltre quelle lenti che aveva imparato ad amare.
Il volto di Harry era serio, mentre con delicatezza le posava una mano sulla spalla, e si accostava al suo viso per baciarle le labbra asciutte.
Con impeto Ginny si strinse a lui, infilando le dita tra quei capelli scuri e spettinati che tanto le piacevano, gioendo della sensazione del corpo di Harry tra le sue braccia.
Ma c’era qualcosa che non andava; il sapore di quelle labbra era diverso, e persino i capelli sembravano diversi al suo tatto.
E solo quando si allontanò comprese che non era Harry il ragazzo che aveva di fronte.
Gli occhi verdi si erano fatti scuri, ardenti; le guance scavate, e le labbra piene.
“Cosa c’è, Ginny?”.
L’espressione di Tom era dolce, preoccupata.
“No… C’era Harry. Tu eri Harry”.
Ma non c’era alcuna logica. C’era Tom davanti a lei, più attraente che mai.
Il ragazzo le sfiorò la linea delle guance, con una delicatezza inaudita.
“Va tutto bene, Ginny. Ce ne siamo liberati. Insieme”. La rassicurò lui, abbassando lo sguardo sul sentiero.
E lì, riverso nel suo stesso sangue, c’era Harry, gli occhiali di traverso e gli occhi verdi spenti in un’espressione si stupore.
“No, no!”. Ginny cercò di allontanarsi da Tom, da quella vista, ma lui la tratteneva per le spalle.
“L’hai ucciso!”. Urlò, disperata.
Tom sorrideva, paziente.
“No, Ginny.  L’hai ucciso tu, perché te l’ho chiesto”.
La voce era carezzevole, intensa.
E gli occhi della ragazza si riempirono di orrore, quando posò lo sguardo sulle sue mani imbrattate di sangue scarlatto.
 
*
 
“Ginny, va tutto bene?”.
La voce insistente di Hermione la svegliò, mentre le sue compagne di dormitorio le lanciavano occhiate in tralice.
“Demelza mi ha detto che urlavi nel sonno”.
Lo sguardo indagatore della ragazza la scrutava.
“Va tutto bene. Un incubo”. Borbottò Ginny, la voce impastata dal sonno.
“Sarà l’ansia per la partita, allora. Gli altri hanno già fatto colazione, sarà meglio che ti sbrighi”.
E mentre Ginny afferrava a tentoni la sua divisa da Quidditch, Hermione continuò a parlare a raffica, del tempo, di Ron e del contenuto di una certa boccetta che Harry aveva versato nel succo di zucca di suo fratello.
Ginny non ascoltava. Era impegnata a non incontrare lo sguardo di Tom che, divertito, osservava la scena.
 
*
 
I festeggiamenti per la vittoria di Grifondoro  contro Serpeverde durarono fino a notte inoltrata, e fu solo quando tutti furono troppo stanchi di ripercorrere azione per azione la partita, che la Sala Comune ritrovò un po’ di pace.
Ginny aveva riso, bevuto, scherzato; Dean le era stato più appiccicato del solito, e solo con molta pazienza riuscì a sopportarne la presenza.
Perché per la prima volta, Ginny desiderava essere lasciata da sola.
Per l’intera giornata aveva covato una sorda rabbia per il ragazzo che, in un angolo della Sala Comune, faceva da spettatore allo svolgersi della sua vita.
Quando finalmente anche gli ultimi ragazzi di Grifondoro si decisero a salire la scala a chiocciola che portava ai dormitori maschili, lei si ritrovò finalmente sola.
Tom osservava il fuoco morire tra i ciocchi diventati ormai brace, perso nei suoi torbidi pensieri.
“Devi smetterla”. Ringhiò Ginny, cercando di controllare il tono della sua voce.
Tom si voltò verso di lei, imperscrutabile.
“Di fare cosa?”.
Aveva il volto concentrato, quasi stesse giocando una partita di scacchi.
E forse, era proprio così.
“Di entrare nella mia testa. Sei tu a provocare gli incubi”.
Lui rise. Una risata roca, senza divertimento.
Nonostante il tepore della brace, Ginny rabbrividì.
“Ho meno potere di quanto immagini”. Ribatté lui.
“I tuoi sogni ti appartengono. Io posso solo vederli”.
“Io non farei mai del male ad Harry”. Rispose la ragazza, truce.
“Era un incubo, l’hai detto tu stessa”.
“Sei un bugiardo!”. Sibilò, furiosa.
Tom strinse gli occhi, irritato.
“Non ho motivo di mentirti”.
Frustrata, Ginny spostò lo sguardo sul camino.
“E quindi resteremo per sempre così?” Chiese lei, con una risata amara.
“Tu un fantasma che non puo’ fare a meno di seguirmi, ed io non sarò mai libera di stare da sola?”.
Tom si passò una mano pallida tra i capelli.
“Non credere che questa situazione infastidisca solo te, ragazza”.
L’amarezza del suo tono la lasciò basita per qualche istante.
“Dev’esserci un modo per spezzare questa connessione”. Mormorò lei.
“Questo dipende da te”. Rispose lui, piano.
“Cosa vuoi dire?”.
Lui la soppesò. E di nuovo Ginny fu invasa dall’irrazionale istinto di sfiorarlo, toccare la sua pelle bianca, e scoprire se era fredda come sembrava.
“Se vuoi che  la mia esistenza non dipenda più dalla tua, dovrai darmi un corpo”.
Eccola lì, l’esca era stata lanciata.
Il suo obiettivo, fin dall’inizio.
“E dovrei darti la mia vita in cambio, giusto?”. Ribattè lei, sarcastica, incrociando le braccia sul petto.
“Esistono altri modi”. Disse lui, come se Ginny non avesse profferto parola.
Continuava a guardarla con intensità, esaminandone le espressioni.
Sembrava davvero che stesse giocando a scacchi, ma non riusciva a capire quale fosse il suo ruolo in quella partita; Era un’avversaria, o una pedina?
 
Esistono altri modi.
 
E un’idea, folgorante quanto pericolosa la pervase.
Il cuore cominciò a batterle furiosamente, quasi volesse uscirle dal petto.
Liberarsi di lui, essere finalmente libera.
In cambio, doveva solo dargli un corpo.
 
Esistono altri modi.
 
E mentre lui la osservava cupo, lei ricambiò lo sguardo apertamente.
Bellissimo e letale, somigliava in modo sinistro ad un serpente, che attendeva il momento giusto per colpire.
Le aveva offerto un’alternativa; stava a lei scegliere.
 
Esistono altri modi.
 
A quel punto, doveva decidere solo se essere la sua avversaria, o la sua pedina.
 
***
   
 
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