Torna Edward, come annunciato a giugno (no comment please) e torna così bello incazzato che mi pareva giusto dedicare un capitolo solo a lui.
Prossimamente gli aggiornamenti!
Buona lettura!
PROIBITO
122 - Rabbia - Edward
***
Edward
***
Tutti,
prima o poi, commettono degli errori.
Il
mio imperdonabile errore risaliva a dieci anni prima,
quando avevo lasciato che Aro separasse Bella da me, senza battere
ciglio,
certo che fosse ‘per il suo bene’. Dieci anni di caos nella mia testa,
senza
riuscire a mettere a fuoco cosa stessi diventando, vivendo –se così si
può
dire- alla stregua di un relitto di legno abbandonato ai flutti
dell’oceano.
Avevo
perso di vista le mie priorità, i valori in cui ero
stato cresciuto in entrambe le mie vite, avevo lasciato che altri
pensassero al
posto mio, che decidessero per me quale fosse il modo migliore di
scomparire.
Avevo
avuto Alice e non mi ero mai accorto di quello che
realmente provavo per lei finché non era arrivata la fine della nostra
relazione,
così come, prima di lei, non avevo capito quanto fosse sciocco lasciare
andare
via Bella, finché non l’avevo persa.
Dieci
anni senza obiettivi, senza stimoli, senza aria.
Avevo
vagato come inebetito sulla faccia della terra:
‘bevi questo sangue’, mi diceva Aro e io obbedivo; ‘fa l’amore con me’,
chiedeva il potere di Chelsea attraverso le labbra sensuali di Alice e
io lo
facevo.
Avevo
scoperto di avere un’anima solo quando ormai era
chiaro che l’avessi persa, prostituendomi alla volontà del destino,
reagendo
quando ormai era troppo tardi.
O
forse non avevo mai reagito e continuavo ad essere
succube degli ingranaggi di un enorme e misterioso orologio che
ticchettava la
mia eternità.
Tutti
quelli che sbagliano, prima o poi ammettono i
propri errori e tentano a qualunque costo di porvi rimedio. Tutti,
prima o poi,
ragionano. Tutti, almeno giunti alla fine dell’esistenza, dimostrano di
valere
qualcosa.
Io
no.
Avevo
venduto la mia anima per un’informazione, mi ero
scottato e l’avevo perduta per sempre, comportandomi da quel che ero:
un infame
egoista, pronto solo a inseguire la propria coda di decadenza e orrore.
Un uomo
indegno di avere l’anima.
La
cosa peggiore, a posteriori, era l’aver compreso
quanto io fossi incoerente e falso, perfino nei miei stessi confronti.
Ero
capace di convincermi di un’idea, di rimuginarci fino a farmi scoppiare
la
testa e trarre nuova forza dalla mia stessa convinzione autoindotta e
poi, in
un batter di ciglia, lasciarmi andare agli istinti peggiori della mia
natura di
uomo e rinnegare ogni cosa, arrivando a sostenere l’esatto contrario di
quello
che mi aveva scaldato l’anima per qualche tempo.
L’anima…
quello che mi aveva scaldato l’anima…!?
No:
erano solo illusioni! Illusioni miste alla frenesia
del momento, illusioni che illuminavano in maniera diversa fatti del
mio
passato, erano solo necessità momentanee di credere che le cose non
stessero
così. Era solo il desiderio spasmodico di aver fiducia che le cose si
sarebbero
sistemate e che tutto prima della fine sarebbe tornato a posto, che i
ruoli si
sarebbero ripristinati, che aveva avuto senso credere in qualcosa e
convincersi
che quella fede, quel pensiero costante e rassicurante, prendesse il
nome di
‘anima’.
Gli
altri, forse, potevano averla davvero.
Io
no.
Se
mai l’avevo avuta, l’avevo persa, inorridita dal
peggio che ribolliva dentro di me.
Era…
era deludente rendermi conto di quanto facessi
schifo e fossi pronto a lasciarmi trasportare dalle onde dell’ira,
dimenticando
l’esistenza di ogni approdo e convincendomi che l’unico elemento nel
quale
meritavo di galleggiare era quella melma scura di veleno e rancore.
Ero
un perdente. Un misero, patetico, incazzatissimo
perdente e, forte di questa consapevolezza, avevo ceduto all’evidenza
dei fatti
e accettato di essere un misero, patetico perdente fino in fondo,
sfogando la
mia incazzatissima ira a scapito della salute e del futuro degli altri.
Avevo
abbandonato i miei compagni nel mezzo della
battaglia: fino ad un istante prima li guidavo, forte di un perfetto
equilibrio
creatosi tra noi, nel quale io prevedevo con attenzione le mosse dei
nemici,
leggendole nei libri aperti della loro mente e loro, coloro che mi
vedevano
come una guida, si battevano e le schivavano, andando avanti e ancora
avanti,
verso la salvezza.
Li
avevo abbandonati a causa di un pensiero che non avrei
dovuto captare, una parola di troppo, una verità che scuoteva e
sradicava ogni
effimero barlume della mia coscienza.
Quando
Jane, vedendo scagliarsi contro di lei una vampira
cristallizzata tra l’infanzia e l’adolescenza, dagli occhi purpurei
nonostante
l’odore di sangue, nata da poco e letalmente pericolosa, aveva pensato
al
dolore della madre della bambina, strappata al suo nido e aveva
associato a
quell’immagine quella di Bella che sfiorava la sua pancia e mormorava: ‘il mio bambino’ io…
-Edward!
Che ti prende?-
-Attento!-
-Sta
giù!-
Lame
e stridio di denti, un fendente accanto a me,
immobile nel mezzo del cerchio dei miei amici, pietrificato
dall’immagine
evocata dai pensieri di Jane. Immobile, come quel pensiero che non
accennava a
dileguarsi dalla mia mente.
-Stupido!
Giù!-, ero stato scaraventato a terra da
Marcus, mentre Jane colpiva con la sua magia nera un nemico che stava
per
attaccarmi.
Nel
pantano di fango e sangue, gli occhi di Marcus erano
puntati su di me: -Che ti prende? Edward?-, e dopo anche lei, la causa
della
mia improvvisa catalessi, pronta a guidare gli altri verso un luogo più
riparato, al posto mio, mi aveva squarciato con il suo sguardo
indagatore,
mentre gli altri ancora lottavano per salvarsi, per salvare me.
-Felix,
attento!-
-Cazzo…
Mi hanno preso. Cretino di un Cullen, hai visto
un fantasma, forse?-
Un
fantasma… come avevo pensato io vedendo Alice, qualche
ora prima. Il fantasma di un incubo che prendeva forma e mutava in un
mostro
reale, che mi arpionava al collo e stringeva, levandomi il respiro.
Cosa
stava pensando
Jane? Cosa, cosa???
L’avevo
afferrata per la maglia e tirata in basso, nel
fango accanto a me, lottando con lei e immobilizzandola a terra,
schiacciata
sotto al mio peso.
-Cosa
significa?-, avevo ringhiato al suo orecchio,
percependo l’orrore che stavo instillando nella sua coscienza.
-Cullen,
lasciala!-, qualcuno che mi aveva strattonato,
aiutando Jane a sollevarsi.
Per
qualche istante il mondo aveva ruotato solo attorno a
noi due: volevo sapere assolutamente cosa significasse quel pensiero
che aveva
lasciato trapelare, volevo che rispondesse, che mi dicesse che era
stato solo
un fortuito caso creato dalle sinapsi immobili del suo cervello.
-Che
vuoi da me?-, aveva sibilato, acquattandosi in
posizione di difesa, mentre un ringhio sottile accompagnava il suo
respiro e la
battaglia infuriava su di noi.
-Hai
pensato a Bella Swan. Hai pensato al bambino di Bella
Swan! Che cosa cazzo
significa?-, mi ero scagliato di nuovo contro di lei, animato da un’ira
figlia
dello strisciante dubbio che mi aveva instillato nelle vene, come
veleno
mortale, anche per uno come me.
L’avevo
vista sgranare gli occhi, mentre mani amiche, che
avrei tradito di lì a poco, mi trattenevano ancora e allora -solo
allora-,
guardando il volto insanguinato del suo Felix che si era parato davanti
a me
per proteggerla, tutto l’odio che poteva contenere quella piccola
strega si era
riversato su di me, trucidandomi, parola dopo parola.
-Guarda,
Cullen: guarda cosa hai fatto!-, aveva tuonato,
indicandomi il vampiro suo amato, sfregiato da una freccia volante che
io non
avevo visto, né fermato, -Hai letto la mia mente e ti sei fatto
distrarre da
una cazzata come quella? Bene, allora io annienterò quel minimo di
dignità che
ti resta, perché ormai è chiaro che tu non riesci ad imparare dai tuoi
errori,
sei egoista, cinico e… e ti meriti di sapere tutta la verità e di farti
del
male da solo!-
Con
la coda dell’occhio, avevo visto Marcus scattare
verso di lei, come avevo fatto io poc’anzi e sibilare al suo orecchio
minaccioso, tenendole il visto stretto in una mano, di stare zitta, di
non dire
una parola in più.
Jane
era rimasta in silenzio, ma, sorridendo verso di me
con una perfidia che ancora non le avevo mai vista dipinta in viso,
aveva
aperto la sua mente, mostrandomi tutto.
Bella
era a Volterra.
Bella
era con Esme, chiuse nella cella che Alice aveva
preparato per nostra madre.
Bella
stava male, era confusa.
Bella
era incinta.
E
dopo le immagini, la sua lunga arringa mentale contro
di me:
“Sai,
Cullen…
circolano tante orribili storie sulle sorti delle umane che portano in
grembo
figli di vampiro… storie in cui la madre, prima o poi, inizia a
soffrire, via
via che il feto cresce, via via che le succhia tutta la vita e le
spezza le
ossa con la sua forza.
Dicono
che nessuna
di loro sia mai sopravvissuta. Credi che la ragazza che ho visto nel
bosco
fosse realmente figlia della vampira bionda? Orfana: non poteva che
essere
orfana e aver ucciso la madre, venendo al mondo, eccezione terribile..
I mezzi
vampiri sono pochi, perché quelli della nostra specie, nonostante
tutto, hanno
un minimo di giudizio… evidentemente Carlisle Cullen è stato
sopravvalutato da
tutti voi, visto che non si è preoccupato delle conseguenze, quando ha
messa
incinta la tua Bella…”
Sebbene
pietrificato dalle sue mute parole, ero riuscito
a percepire che Marcus avrebbe voluto fermarla, ma, nonostante le
stesse
tappando la bocca, non avrebbe potuto in alcun modo interrompere il
flusso dei
suoi pensieri e, nella concitazione del momento, anche lui mi aveva
servito sul
piatto d’argento la conferma a quanto aveva detto la piccola vipera,
lasciando
aperta la sua mente e mostrandomi ancora la mia Bella.
Bella
era fuggita con Esme.
Bella
aveva vomitato, era stata male.
Bella
era nel bosco, sotto la neve, in mezzo ad una
guerra sanguinaria tra vampiri.
Bella
era incinta.
Ma
soprattutto, Carlisle Cullen, colui che l’aveva rovinata,
era a Volterra, nella mani di Aro, a un
passo da me…
-Maledetto!-,
la voce mi era uscita senza neanche che me
ne rendessi conto, tonante come l’esplosione di un razzo nel mezzo al
petto.
-Edward,
calmati!-, altre mani mi avevano trattenuto,
ringhi vicini e lontani, il clangore delle armi intorno a me e poi
qualcosa
sotto ai miei denti, lo scricchiolio della pelle di pietra dei vampiri,
un urlo
conosciuto, il sapore del sangue sulla mia lingua.
-Edward!
Basta!-, un pugno nello stomaco, un braccio
ritorto, mentre altre urla belluine erano sempre più vicine, le spade
fischiavano a poca distanza da noi e io, io… stavo uccidendo con le mie
mani i
miei stessi fratelli. Nemico tra gli amici, distruttore in mezzo a chi
si
fidava di me.
-Fermalo,
Jane!-, un ordine, un istante di silenzio e
d’attesa, come se il tempo si fosse fermato, per darmi modo di capire
che stavo
per soffrire.
Era
durato poco, giusto il tempo di immobilizzarmi e
trascinarmi lontano, assieme a loro che battevano la ritirata,
abbandonando il
prezioso bottino di armi, difendendosi come potevano, mentre io, tenuto
sotto controllo
dal potere della ragazza di veleno, speravo di non tornare più a galla.
Quello
che mi aveva atteso, quando avevo ripreso
coscienza, erano otto occhi neri e quattro volti profondamente delusi
di me.
Era
Marcus che sanguinava poco sopra la spalla: era sua
la pelle scalfita, suo il sangue di cui mi ero macchiato.
Chi
non apprende dai propri errori, chi non è capace di
farsi un esame di coscienza e capire dove ha sbagliato, chi non soffre
a
sufficienza sulla sua pelle per il male che si è procurato, quello, di
solito,
viene riportato sulla retta via da coloro che gli sono vicini: gli
mostrano gli
errori, gli spiegano le conseguenze, gli indicano una scappatoia per
recuperare
l’onore e sanare le piaghe vergate sulla coscienza.
Ma
io non ero più
sensibile alle parole degli amici. Non avevo più una coscienza: se
anche ne
avessi avuta una, l’avevo appena rinnegata. Inutile, sciocco fardello
che mi
avrebbe diviso dalla soddisfazione di una vendetta completa.
Non
mi importava
più di non deludere chi mi voleva bene, perché io non sarei più stato
in grado
di volere bene a nessuno, mai più avrei desiderato qualcosa, mai più
avrei
sperato, pregato, sognato, assaporato l’attimo eterno che prelude alla
scoperta
di qualcosa di meraviglioso.
Io
non volevo più
scoprire niente.
Non
avevo più
bisogno di niente se stavo perdendo lei, l’ultimo faro nella notte,
l’ultimo
approdo nel mio lungo viaggio. L’ultimo ricordo veramente dolce e
bello, scevro
dall’acredine della realtà.
Il
mio ultimo
sogno.
Non
poteva svanire…
Non doveva svanire!
E
se lei era
destinata a pagare sulla sua carne e con la sua vita le colpe di chi
l’aveva
ingannata e illusa, non avrei avuto più alcun desiderio, alcun sogno,
niente
per cui andare avanti. Non potevo perdere anche l’idea di lei, la
fantasia di
immaginare cosa stesse facendo, a miglia e miglia lontana da me, la
curiosità
di vederla mutata, cresciuta e realizzata.
Nonostante
tutto,
Bella stava morendo, illudendosi di essere felice. Ogni fantasia, ogni
speranza, ogni progetto sarebbe stato cancellato dalla sua morte.
Potevo
morire
anch’io, no?
E
allora, perché
non farlo vendicando chi l’aveva uccisa?
-Lasciatemi-,
la mia voce aveva risuonato roca e cupa e a
nulla erano valsi gli sguardi attoniti dei miei compagni e i ringhi
sommessi di
Felix e Demetri, che mi tenevano ancora sotto controllo.
Mi
ero rivolto direttamente a Marcus, perché non volevo
più sapere niente da Jane: -E’ vero?-, gli avevo domandato, -E’ vero
che Bella
aspetta un figlio e che questo… mostro
la ucciderà?-, attesi una risposta che non giunse.
La
mente del vecchio Marcus era tornata protetta dalla
muraglia che aveva indossato per anni con me e con Aro.
-E’
vero, Marcus che si tratta del figlio di Carlisle?-,
avevo tuonato, urlando a pochi centimetri dalla sua faccia, lasciando
che
soccombesse al mio sguardo di fiele.
Attento
a quello
che dici, vecchio, perché se confermi quello che ha detto Jane, se dopo
essermi
privato dell’illusione di avere un’anima mi troverò spogliato anche
della
speranza di saperla felice e al sicuro fino alla vecchiaia, allora io
troverò
quel bastardo e non vorrà dire nulla se l’ho amato come un padre, se è
stato un
esempio per me, se mi ha voluto bene e mi ha insegnato a vivere in
questo corpo
infame.
-E’
vero che Carlisle è qua a Volterra, questa notte?-
Se
è vero, vecchio
Marcus, questa sera io ucciderò Carlisle Cullen con le mie mani.
Se
è vero gli
strapperò il cuore immobile, caverò gli occhi che hanno osato guardare
Bella e
taglierò quelle mani immonde che l’hanno toccata, lo priverò dell’anima
e
dell’orgoglio, rinnegherò il suo sangue e avrò la mia vendetta.
-E’
vero?-, avevo urlato ancora, sputando goccioline di
veleno sul viso del Volturo, che ancora mi guardava e taceva.
Marcus
aveva deglutito e chiuso gli occhi per un istante.
-E’
vero-, aveva ammesso, ma quello che aveva iniziato a
dire dopo io non avevo neanche voluto sentirlo, perché ero già scappato
da
loro, abbandonandoli al loro destino per compiere il mio.
Se
è vero, ucciderò
mio padre e dopo mi toglierò la vita.
Avevo
corso attraverso la battaglia, infischiandomene di
combattere, di uccidere, di aiutare, di proteggere e di dare speranza,
avevo
schivato i colpi e saettato come una freccia in mezzo ai cadaveri,
sopra i vivi
che si barcamenavano per restare tali, inspirando a pieni polmoni
l’odore acre
e dolce al tempo stesso del sangue, eccitandomi e fomentando la mia
sete,
giunta quasi al limite della sopportazione.
Avrei
ucciso non uno, ma dieci, cento umani in quel
momento: misere anime cui avrei donato il silenzio eterno, impedendo
loro di
vivere ancora per marciare verso l’infelicità.
Avrei
bevuto non uno, ma cento litri di sangue caldo e
corroborante, l’avrei rubato a chi combatteva a fianco a me.
L’avevo rubato
ad un vampiro neonato, inesperto e saporito, che non si era neanche
accorto di
essere giunto alla fine dell’illusione di immortalità: quel disgraziato
aveva
incontrato me al capolinea della sua esistenza, pronto ad uccidere
chiunque si
fosse trovato lungo la via che mi avrebbe portato alla vendetta. Non
c’era un
motivo reale per cui l’avevo ucciso, forse l’avevo fatto per ingordigia
oppure
per liberarlo di un’infinita esistenza infame.
O
forse l’avevo fatto perché quel vampiro difendeva un
nostro simile, lo guardava con occhi preoccupati, si curava di lui
proprio come
se quello fosse stato il suo creatore. Anch’io, come lui, avevo a lungo
pensato
che avrei potuto venerare il mio creatore per tutta la mia vita
immortale e l’avrei
amato per sempre: poi ero stato tradito. Non potevo permettere che
altri
provassero sulla loro pelle quanto bruciasse il tradimento di una
persona che
si crede di amare, per questo l’avevo ucciso! Per impedirgli di
soffrire quando
suo padre l’avrebbe tradito,
pugnalandolo alle spalle, rubandogli l’amore e distruggendo tutti i
suoi sogni.
Poi
avevo ucciso il vecchio, lasciando lì il suo sangue
traditore.
Soltanto
dopo essermene andato, mi ero reso conto di
averli uccisi senza neanche chiedermi se fossero Romeni o Volturi. In
fondo non
me ne importava.
A
me bastava solo
sapere che lei avrebbe vissuto una vita lunga e felice… tutto il resto
non
aveva più alcun senso.
Avevo
corso ancora, alla ricerca di una meta, senza
ancora sapere cosa fare, dove andare, come cercare di impedire
l’inevitabile.
Avevo
corso per trovarla e guardare i suoi occhi una
volta ancora, sentirmi dire dalle sua labbra che non era colpevole, che
non
aveva venduto la sua dignità ad un mostro, che non sapeva quello verso
cui
inesorabilmente andava.
Se
Bella era destinata a morire, se nulla avrebbe più
potuto aiutarla, se neanche il mio morso l’avrebbe infine trasformata e
resa
eterna, allora neanche lui avrebbe meritato di restare in vita.
Correvo
e colpivo, sapendo che l’unica luce in fondo al
tunnel sarebbe stata quella della sua candela prossima a spegnersi.
Ecco
perché Alice non riusciva più a vedere Bella: perché
Bella non avrebbe avuto un futuro… e Carlisle… sì… lui sarebbe stato
ucciso in
quella battaglia: era chiaro il motivo per il quale gli eventi non
mutavano
nelle visioni di mia sorella, perché ero io
che li avrei condotti passo passo verso la loro realizzazione, perché,
nel
profondo del mio cuore, non avevo mai accantonato la rabbia per il
tradimento,
il dolore per la delusione e la strisciante convinzione che gliel’avrei
fatta
pagare.
La
chiave di tutto,
quindi, ero io: avrei vendicato Bella e si sarebbe avverata la visione
di Alice
su Carlisle; avevo abbandonato i miei compagni, lasciando Felix in
balia della
morte; avrei deluso mia madre, che avrebbe fatto qualunque cosa per
proteggere
gli altri suoi figli, anche mettendosi contro Rosalie e non avrei
lottato
contro Jasper, perché, in fondo, non mi importava niente di lui, di
noi, di
tutti.
Mi
importava solo
di poter rivedere almeno una volta il dolce sorriso di Bella Swan,
sognare una
volta ancora di poterla amare liberamente e per sempre.
Preso
dai miei tumultuosi eppur dolci pensieri, non mi
ero reso conto di essere capitato in una zona non battuta del bosco,
ancora
lontana dal frastuono della battaglia, lontano dalla città, eppure
limitrofa ad
un’ampia area abitata.
Lo
schiocco secco di un ramo spezzato dal passo di
qualcuno che incedeva velocemente verso di me, richiamò la mia
attenzione,
portandomi a distaccarmi dall’universo rosso e nero di vendetta e
rimpianti che
mi aveva attratto e continuava ad alimentarmi di odio e disgusto, come
una
placenta che fornisca sangue avvelenato all’embrione di un potenziale
patricida.
Mi
acquattai nell’ombra, rimanendo immobile come una
statua, sperando che l’ottenebrante odore del sangue che macchiava la
mia pelle
e la mia coscienza perduta non fosse di richiamo per chi mi stava alle
calcagna: presto, due vampiri estremamente diversi in corporatura e
andamento
sfrecciarono vicino a me. Il più grosso, un vampiro vestito di nero,
portava
tra le braccia un corpo immobile e smembrato, all’apparenza senza più
spirito
vitale; davanti a lui, una donna minuta e veloce sfilò mormorando in
una
disperata litania le sue colpe, senza mostrarmi il suo viso.
Bambino
mio,
perdonami per quel che ti ho fatto. Piccolo mio, torna da me!
Il
loro passaggio fu improvviso e rapidamente svanì anche
il loro odore, lasciandomi addosso una strana sensazione di dejà-vu.
Il loro odore… familiare, eppure sconosciuto…
Mi
sforzai di non lasciarmi distrarre da quello strano
groviglio che mi aveva preso allo stomaco, quella sensazione a metà tra
il
pentimento e il rancore.
Ancora
una madre, ancora un figlio perduto.
Mi
domandai se fossero Romeni o Volturi e, ancora una
volta, non mi importò di conoscere la risposta: il mio scopo era andare
avanti,
capire dove mi trovassi e da dove provenissero quei tre.
Qualcosa
mi attraeva, nella direzione dalla quale essi erano
spuntati, qualcosa che ancora non aveva preso forma nella mia mente e
che
solleticava quel poco di coscienza rimasta sepolta tra le pieghe
dell’ira. Come se la mia natura di cacciatore avesse
già scorto quello che la mia intelligenza da umano non aveva ancora
colto.
Proseguii
più cauto di poco prima nella notte rischiarata
dalla luce della luna filtrata dalle nubi gonfie di neve e mi soffermai
a
pensare che quella stessa neve, quella stessa luna incombevano anche su
coloro
che erano stati i miei cari e dai quali mi ero ormai, volente o
nolente,
allontanato: dopo che avessi punito chi si era macchiato del peccato
non avrei
più osato avvicinarmi ai superstiti, non avrei mai potuto tornare
indietro.
Sarei
rimasto solo, emarginato. Svuotato.
Non
ha senso stare
da soli e lo sai bene Edward… Ricordi il periodo che avevi abbandonato
Carlilse
ed Esme? Cos’eri? Cosa pensavi di poter essere, eh, Edward? Nemmeno gli
assassini più turpi desiderano vivere da soli, nemmeno i peggiori
peccatori.
Vuoi
davvero fare
terra bruciata accanto a te e rinunciare ad avere il perdono e la
vicinanza di
qualcuno che possa essere lo scopo delle tue giornate?
Qualcosa
vacillò sotto la coriacea scorza di odio che
avevo tessuto attorno a me mischiando il veleno dei miei sentimenti
alle
scaglie di dolore che ormai erano l’unico residuo tangibile del mio
cuore.
Tra
poco sarai
solo, Edward.
Solo.
Quanto
ci sarebbe voluto prima che Bella morisse? Quanto
avrebbe comunque potuto sopravvivere in una guerra tra vampiri? Quando
avrei
guardato oltre gli occhi di Carlisle e avrei spento la sua mente per
sempre,
pugnalando il suo cuore traditore di padre e amico, quando avrei chiuso
per
sempre i suoi occhi e cancellato il volto della mia Bella dalla sua
memoria?
Mi
tornò in mente una foto, scattata tanti anni prima
proprio da Bella, un pomeriggio in cui eravamo ancora tutti felici: lei
con me,
Carlisle con mia madre, Alice con il suo Jasper. Mi apparvero, nitidi
alla
memoria, i volti radiosi di ciascuno dei miei familiari
e le particolari e inconfondibili caratteristiche dei
loro sorrisi.
Spensierato,
quello di Emmett.
Superbo,
quello
di Rose.
Combattuto,
quello
dipinto sulle labbra tirate di Jasper.
Felice,
quello
di mia madre Esme.
Scintillante,
quello
di Alice.
Orgoglioso,
il mio, sebbene teso, per la lontananza fisica di
qualche metro dalla mia ragazza.
Rassicurante,
quello senza tempo di Carlisle.
Rassicurante.
Mi
fermai ansimante con la schiena schiacciata contro la
corteccia umida di un albero spoglio, di nuovo risucchiato dal
crogiuolo di
sentimenti discordanti che si animavano in me.
Rassicurante.
Non
era la prima volta che ripensavo a quella foto che
avevo a lungo conservato assieme alle poche cose care rimaste della mia
vecchia
vita in famiglia, mi aveva aiutato in momenti bui, lì a Volterra e
prima a
Buenos Aires, quando mi ero esiliato da tutti, ma avevo lasciato il mio
cuore
nella piccola cittadina piovosa e uggiosa di Forks.
Mi
ero fatto aiutare dai ricordi delle battute di Emm e
dallo charme perfetto di Rosalie, avevo più volte desiderato di
rivedere
l’espressione felice sul viso di mamma, immaginando che fosse accanto a
me, a
irradiare sul buio della mia esistenza la sua luce fulgida.
Ma
più di tutti, mi ero lasciato rassicurare da lui e dal
ricordo della sua integrità e
forza.
Lui,
la colonna della nostra casa, lui, il mio primo amico
e il mio confidente, lui, che mi aveva amato come un
vero padre.
Lui,
che stavo andando ad ammazzare.
-Cosa
sto facendo?-, un rantolo impercettibile persino
alle mie orecchie, sfuggito alla mia gola arsa dalla sete e dalla
voglia di
urlare all’infinito la mia disperazione.
Cosa
sto facendo…
Sbattei
più volte le palpebre e mi spostai avanzando
piano fino ad un piccolo spiazzo tra gli alberi, lasciando che la neve
fredda
cadesse sul mio viso rivolto al cielo.
E
allora mi ricordai delle volte che avevo atteso Bella
sotto la sua casa, col naso all’insù, aspettando che spegnesse la luce
e si
addormentasse, perché io potessi osservarla di nascosto.
Mi
tornarono in mente gli attimi in cui, guardando verso
il sole, avevo atteso il suo verdetto sulla sua sorpresa di vedermi
scintillare, immobile nella radura del bosco dove l’avevo portata,
quando aveva
scoperto la mia vera natura.
E
infine il cielo stellato cui avevo chiesto un segno,
quando, ballando con lei, avevo capito che non avrei mai potuto
privarla della
vita per farla per sempre mia e le avevo strappato una promessa.
Adesso
c’era solo un cielo di latte cagliato e inutili
fiocchi di neve a guardarmi dall’alto.
Le
mie speranze erano tutte estinte e non avrei trovato
mai più il conforto di qualcuno che mi osservasse da lassù.
Solo.
Per
l’eternità, solo.
Stavo
immobile, scosso dai brividi che si erano impossessati
di me, in balia della mia infinita ira, disperato per una decisione
troppo
difficile da prendere.
Avrei
davvero trovato il coraggio di vendicare Bella?
E
se lei fosse stata felice, invece, se le cose non
fossero state come mi ostinavo a pensare, se lei avesse davvero
amato Carlisle?
Avrei
potuto strapparle il cuore, uccidendolo e dopo
lasciarla in balia della sua sorte, in attesa di un morte violenta e
tragica?
E
il figlio? Quel figlio inutile e colpevole già da prima
di vedere la luce, quel figlio odiato… avrei ucciso anche lui, dopo,
per
l’assassinio di cui si era macchiato inconsapevolmente?
Lasciai
che il mio corpo inerme scivolasse a terra e
affondai le mani tra i capelli fradici e sporchi, mentre un’idea
balzana si
impossessava della mia mente perversa: e se Bella fosse stata
trasformata prima che la sua fine fosse decretata?
Forse la… la cosa… sarebbe morta e
lei… sarebbe rimasta per sempre in vita, libera di amare chi volesse…
in fondo
era quello che desiderava, no? Era stata lei a chiedermi di mettere
fine alla
sua vita da umana, tanti anni prima. In fondo lei voleva davvero essere
una
vampira, come me! Ero stato io a convincerla che avrebbe perso il fiore
della
sua vita, che si sarebbe privata delle gioie della maternità e…
Bella
non voleva un
figlio.
Carlisle
ne aveva
accolti cinque, accanto a sé.
Era
stato lui a
volere quell’abominio, non Bella!
Lui
ad aver reso
tutti noi degli assassini per natura… come sarebbe stato il figlio di
Bella.
-Bastardo
egoista!-, mi alzai ruggendo dal mio buco nel
fango e ripresi a muovermi nel bosco, senza una meta, ma con un piano
in testa:
l’avrei trovato e costretto a mordere Bella, per porre fine al pericolo
incombente sulla sua salute e permetterle di essere finalmente ciò che
aveva
sempre desiderato.
Era
la cosa giusta!
La cosa migliore per lei, per la sua vita, per il suo futuro…
Avrebbe
potuto vivere con me, passare giorni e notti
insonni a crogiolarci nel nostro amore, correre insieme col vento tra i
capelli, cacciando in libertà, godendo delle stesse cose e…
Era
davvero la cosa
giusta per lei?
Bella…
Bella avrebbe voluto stare con me, insieme,
scoprendo la nuova natura e quel corpo perfetto e scattante che avrebbe
avuto…
vero? Lei avrebbe accettato di rinunciare al sonno, alle lacrime, ad
invecchiare…
certo… era quello il suo desiderio, in fondo, no?
O
era quello che
volevo io…?
A
volte, quando l’aiuto degli amici non è sufficiente a
rimettere un infido peccatore sulla retta via, quando neanche a
sbattere contro
i propri errori uno si rende conto della loro solennità, quelle volte,
invocato
o meno, è il destino che ci mette la mano per cercare di far rinsavire
colui
che ha perso totalmente il contatto con la realtà e pensa solo a
incorrere in nuovi,
mastodontici errori per coprire quelli più piccoli.
È
un po’ come coprire un tatuaggio con uno più grande, e
poi con uno più grande ancora, finché tutta la pelle diviene nera e
della sua
originale autenticità, della possibilità di impallidire per la paura o
arrossire per la vergogna non resta assolutamente niente.
Ma
il destino, a volte beffardo, a volte cinico e infido,
a volte pervaso da una saggezza ancestrale, che va oltre il singolo e
abbraccia
il tutto armonizzandolo con lo scorrere del tempo, purtroppo non è di
parte,
non fa il tifo per nessuno, non ascolta le preghiere di chi è colto dal
panico.
Il
destino agisce e basta e, alle volte, si meraviglia
lui stesso di quel che riesce a combinare…
Davanti
a me, coperta da un filare di alti cipressi
scuri, si confondeva nella tormenta di neve l’imponente villa di Aro
dei
Volturi.
Apparentemente
simile ad un antico cascinale, nei secoli
rimaneggiato fino ad assumere le fattezze di una classica villa medicea
rinascimentale, armonizzata nel territorio toscano al punto di apparire
‘normale’, la villa di Aro era collegata a Volterra da una fitta rete
di
cunicoli sotterranei, dei quali solo pochi conoscevano l’esistenza. Io,
che
potevo leggere nella mente di chiunque, lì a Volterra, li avevo
scoperti per
caso, una volta che Sulpicia aveva tentato una fuga amorosa con uno dei
suoi
innumerevoli servi-amanti.
Non
sapevo dove sbucassero i passaggi segreti, ma
certamente li avrei trovati e mi avrebbero portato dritto da Aro: se
Bella era
a Volterra, niente di più scontato che fosse insieme a lui, altro
pretendente
nella gara di polli che le razzolavano attorno. Tra tutti, forse, io
ero il più
ottuso e lunatico: dopo averla lasciata andare via, dieci anni prima,
perché le
risparmiassero la vita e non la trasformassero, adesso la cercavo per
portare a
termine quella missione e farla mia per sempre.
Patetico.
Cinico.
Egoista.
Forse
semplicemente
ancora irrimediabilmente innamorato, Edward?
Sentii
le mie labbra tendersi in un sorriso, alla
constatazione della reale causa della mia impulsività e di quel turbine
di sentimenti
contrastanti e irruenti che mi stravolgevano umore e intelletto. Era
così: ero
innamorato pazzo, folle dalla voglia di rivederla, adesso che la sapevo
così
vicina. Lei non… Bella non era mai più stata così vicina a me, da
quando
l’avevo allontanata, affidandola a mio padre. Era qui, con me, ma non
reale:
era fatta della materia dei miei sogni, offuscati nel tempo dalle
vicissitudini
e maledizioni che ci avevano inflitto, Ma… era solo un sogno: l’ultimo
vero
sogno che ancora custodissi nei cassetti del mio cuore.
E
quindi, era così importante prevedere e disegnare i
piani della mia vendetta? Era davvero così importante avere una
vendetta,
adesso che potevo almeno rivederla e toccarla e inspirare il suo
profumo a
lungo agognato?
Il
vento aveva iniziato a soffiare forte e gli alberi,
come in posa per una fotografia di gruppo, chinavano le loro chiome
dalla mia
parte, mentre i fiocchi di neve si schiacciavano sul mio viso, portando
con sé
gli odori della campagna lontana. Potevo sentire quello che mi avrebbe
atteso,
come un leone che fiuti le tracce nella savana, mentre la confusione
che mi
stava aggrovigliando i pensieri veniva quasi spazzata via, dimenticata
alle mie
spalle. Avrei deciso al momento opportuno cosa fare e come comportarmi:
l’importante era trovare Bella e metterla al riparo almeno dalla
battaglia.
Tutto
il resto sarebbe venuto dopo.
Se
il destino lo
avesse permesso…
Qualcosa,
in lontananza, si mosse lentamente, sbucando di
soppiatto tra le siepi che delimitavano uno dei vialetti di accesso
alla villa.
Ci ero passato davanti, poco prima e avrei potuto giurare che non ci
fosse
nessuno.
Eppure,
sull’orlo del vialetto, stava una donna, di
spalle: i suoi capelli scuri e scarmigliati venivano strapazzati dal
vento,
mentre si teneva stretta le braccia attorno alla vita, coprendosi con
il
maglione che indossava.
Era
una macchia rossa nella notte grigia e bianca, come
il petalo di una rosa caduto per la tempesta, come una goccia di sangue
su una
foto in bianco e nero.
Capii
che avevo trovato quello che cercavo quando si
voltò verso di me e, senza vedermi, rabbrividì, tirò su col naso e
prese a
camminare con passo incerto nella mia direzione.
Capii
che era Bella senza che la riconoscessi davvero,
per tanti piccoli particolari che mi avevano accompagnato nella lunga
notte
della mia vita a Volterra.
Il
passo incerto, lo sguardo che guizzava da una parte
all’altra, senza trovare riposo, il modo con cui si passava le mani sul
viso,
per liberarlo dai capelli bagnati, il battito ovattato del suo cuore.
Fui
assalito da un capogiro oppure, come diceva Aro
schernendo i suoi condannati, dalla mano umana che tornava ad
accarezzare la
vita un attimo prima che finisse, e mi parve che la neve, il vento, la
battaglia, Volterra, tutto attorno a me stesse svanendo, per lasciare
spazio a
quell’istante bramato da anni e sognato nel profondo del mio cuore da
sempre.
Bella.
La mia Bella.
Avrei
dovuto andarle incontro, vincere la forza del vento
e inspirare il suo profumo, stringerla in un abbraccio infinito, farle
capire
che ero io, che ero lì, che non avrebbe più dovuto avere paura di
nulla, invece
riuscivo solo a rimanere immobile, nascosto nell’ombra, guardandola
avvicinarsi
inconsapevolmente a me.
Lei
si voltò, controllò che nessuno la stesse seguendo,
tornò a guardare avanti a sé e accelerò il passo.
-Maledizione…-,
la udii imprecare piano, la voce rotta
dalla paura, dalla rabbia, dal dolore, -Cos’ho fatto… Cos’ho fatto!-,
inciampò
in un avvallamento del terreno, si aggrappò alla siepe vicina a sé,
inspirò
profondamente e riprese a camminare svelta, tenendo una mano avanti per
sicurezza e l’altra lievemente posata sul ventre.
Stai
male, mia
Bella? Provi dolore?
-Dove
siete…?-, sussurrò addolorata, -Dove siete tutti?-,
urlò un istante dopo, carica di rabbia e, dopo aver portato le mani
alla testa,
le lasciò di scatto ricadere lungo il corpo, tornando a guardarsi
intorno.
Sembrava
spaesata e infreddolita, sconvolta dagli
avvenimenti che stavano vorticando attorno a lei, o forse solo dalla
sua
condizione fisica. Di nuovo il vento virò e portò alle mie narici il
profumo
indimenticabile e inconfondibile del suo sangue.
Come
ero stato attratto in maniera bestiale dalla sua
carne morbida la prima volta che l’avevo incontrata sui banchi di
scuola, così
la gola prese ad ardere ferocemente. Mi schiacciai contro il tronco di
una
grossa quercia battuta dal vento, trattenendo il respiro, affondando le
unghie
nel legno, attendendo che quella micidiale arsura cessasse. Mi sforzai
di
ricordare i momenti dolcissimi passati con Bella, quando eravamo
entrambi due
ragazzi e solo allora constatai quanto gli ultimi dieci anni avessero
gravato
su di me più di tutti i precedenti, vissuti nel corpo ingrato in cui
ero stato
costretto. Ero profondamente cambiato, scioccato dalle privazioni e dai
miei
errori, ma non ero certo di poter dire di essere maturato, grazie ad
essi. Ero
stato un giovane impulsivo e sanguigno e, in fondo, non ero cambiato.
Avevo
conquistato la fiducia di tanti valorosi vampiri, ma ero sempre Edward
il
diciassettenne lunatico e iper reattivo. Ogni volta che credevo di aver
fatto
un passo avanti verso la maturità, cedendo alla ragione e alla voce del
cuore,
piuttosto che ai miei istinti, succedeva qualcosa che non riuscivo a
controllare, che mi faceva nuovamente precipitare nella sensazione di
eterna
lotta contro tutto e nell’inadeguatezza in cui ero cristallizzato, come
un
qualunque adolescente.
Aprii
gli occhi che avevo serrato e, cautamente, mi
decisi a respirare di nuovo l’odore di cui stava saturandosi la mia
piccola
bolla d’aria; Bella era ancora vicina a me, ignara del pericolo che
stava
correndo a causa della mia sete irrefrenabile. Mi resi conto che si era
fermata
e mi voltai a guardarla, restando nascosto nell’ombra, complici le
nuvole, che
avevano oscurato la luna: stava immobile con la testa bassa e, alla
poca
luminescenza della notte, sul suo viso
brillavano grosse lacrime di dolore.
Era
sempre la mia Bella, eppure era così cambiata… I
lineamenti si erano fatti adulti e, nonostante si fosse ammorbidita, il
suo
viso appariva più spigoloso di quando aveva solo diciotto anni. Il suo
petto si
alzava e si abbassava ad ogni singhiozzo silenzioso e i capelli erano
più corti
di come li ricordassi. Stava mordendosi il labbro inferiore, proprio
come
faceva allora, sforzandosi di trovare la forza di avanzare nella notte.
Era
sola, indifesa, in pericolo di vita.
Non
potevo lasciarla così…
Cautamente
uscii dal mio nascondiglio, facendo violenza
su me stesso per non cedere all’obnubilante profumo della sua pelle e
del suo
sangue e avanzai verso di lei; dovetti percorrere una decina di passi,
prima
che si accorgesse che qualcosa stava muovendosi nel bosco vicino a lei
e
tendesse muscoli e orecchie per prepararsi a spiacevoli incontri.
Indietreggiò
fino a scontrarsi con la siepe di alloro e la vidi iniziare a tremare,
allora
deglutì, passò ancora una mano sul viso a cancellare le lacrime versate
e
pigolò: -Carl…?-
Una
fitta di dolore stracciò la forza di cui mi ero
vestito prima di mostrami a lei e mettere da parte, almeno per un po’,
la furia
iraconda che mi aveva trascinato fino al confine del bosco: nonostante
tutto,
Bella chiamava Carlisle.
Nonostante
tutto, quello che fino ad allora avevo solo
immaginato, visto nelle visioni di Alice e sentito dire, era vero e
bruciava
come sale sulle ferite… Dio, quanto era atroce sapere che la mia Bella
era
stata irretita e tradita proprio da quel padre che l’aveva accolta
nella sua
casa come una nuova figlia!
Mi
fermai di colpo, indeciso se affrontare l’incontro con
lei oppure scappare come un codardo, come avevo sempre fatto in vita
mia.
-Carl…?
Sei tu…?-, sussurrò ancora, strappando senza
rendersene conto alcune foglie, strette nelle sue mani contratte. Non
potevo
andare via e lasciarla lì… non potevo, anche se era così difficile…
Avanzai
ancora e finalmente lei mi vide: nel buio della
notte non mi riconobbe finché non fui sufficientemente vicino e la
chiamai.
-Bella-
Il
suono del suo nome, pronunciato dalla mia voce, mi
apparve così estraneo, dimenticato nel corso del tempo e cancellato
dalla
rassegnazione. Mi fermai a pochi passi da lei e la osservai sgranare
gli occhi,
portare una mano alla bocca e trattenere il respiro, fissandomi
sconvolta.
-Bella…
sono Edward…-, le parlai, mantenendo la voce
bassa e calma, per non spaventarla ancora di più, ma lei face un passo
indietro, come se volesse nascondersi dentro la siepe… come
se cambiasse qualcosa…
Coprii
la distanza rimanente e mi fermai a guardarla:
tenevo le mani sollevate in segno di resa per mostrarle che non avevo
intenzioni di farle del male e vidi che non mi stava guardando in viso.
Era
come pietrificata. I miei occhi scesero sulla mano destra, dalla quale
cadevano
alcune piccole gocce di sangue.
Strinsi
le mascelle per non cedere ai miei impulsi e
ripetei mentalmente come quel liquido scarlatto a lungo agognato
avrebbe potuto
rappresentare solo la mia fine.
-Bella…-,
sussurrai ancora, ormai succube della sua
figura tanto desiderata negli anni. Si era fatta ancora più bella,
morbida e
formosa, arricchita dalla saggezza del tempo che a lei era sicuramente
riuscito
ad insegnare qualcosa. Non si muoveva, ma il suo cuore crepitava, tanto
batteva
rapido.
Lentamente,
senza gesti avventati, allungai una mano
verso il suo viso finché non sfiorai con la mia mano il suo mento
liscio e
caldo; le feci alzare lo sguardo verso di me e rimasi incollato ai suoi
occhi
per un istante infinito.
I
suoi occhi…
In
un baleno rividi tutti i momenti vissuti insieme,
fuggiti dai cassetti della mia mente come fantasmi dispettosi; rividi i
suoi
occhi innocenti e speranzosi, gli occhi angosciati che mi avevano
catturato a
Volterra, gli occhi colmi di una tristezza infinita, quando l’avevo
abbandonata.
-Edward…-,
mormorò incredula.
Un
istante dopo roteò quegli occhi all’indietro e svenne
tra le mie braccia.
***
... to
be continued...
***
Disclaimer: i
personaggi e gli argomenti trattati appartengono
totalmente a S. Meyer. La storia è di mia
fantasia e
non intende paragonarsi a quella concepita e pubblicata da S. Meyer.
***
Twilight, New Moon,
Bella Swan, i Cullen,
i
Volturi, Stefan e Vlad,
il
Clan di Denali, il Wolf
Pack dei Quileute sono copyright di Stephenie Meyer. © Tutti i
diritti riservati.
La storia
narrata di 'Proibito', le circostanze e
quanto non appartiene a Stephenie Meyer
è di invenzione dell'autrice della storia
che è
consapevole e concorde a che la fanfic
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Dedico questo capitolo ad una mia meravigliosa lettrice che oggi compie gli anni.
Oggi che Firenze e la Toscana sono ricoperte di neve, proprio come l'avevamo lasciate a... giugno, con l'ultimo aggiornamento di Proibito!
Un bacio grande a 'lei sa chi' e un mega grazie a tutte voi.