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Autore: wustawak    18/12/2010    3 recensioni
Era stato un dio… ed ora, non era niente.
La gente l’aveva guardato con deferenza, in passato, trattenendo il fiato come di fronte a qualcosa di troppo grandioso per passare sotto silenzio… Avevano tremato, al suo cospetto, schiacciati dalla consapevolezza della propria insignificanza, tributandogli lo stesso rispetto dovuto ad un principe. Un astro luminoso in mezzo ad una volta oscura, ultimo erede di due delle più importanti famiglie di maghi del mondo magico, fulgida promessa di rivalsa.
Una promessa, sì… Una promessa infranta.
Draco è alle prese con i demoni interiori che lo perseguitano e con una dipendenza destinata, col tempo, a distruggerlo. Hermione è forse l'unica che può tirarlo fuori dal baratro senza fondo in cui è precipitato... Ma ne sarà in grado?
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Draco Malfoy, Hermione Granger | Coppie: Draco/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Capitolo #2
Nella tana del serpente
 
“Che c’è, Mezzosangue? Non dici niente? Un serpente ti ha mangiato la lingua?”
 
Hermione si portò una mano alla bocca come per trattenere un sussulto. Visto da vicino era ancora più malmesso di quanto non apparisse dalla finestrella della porta blindata della cella… Ancora più magro, ancora più cagionevole. Sembrava che quel mucchio d’ossa dovesse crollare da un momento all’altro sotto il peso della sua stessa pelle, pallida come il ghiaccio.
 
“Vorrei dire che è un piacere rivederti, Draco. Ma non ti voglio mentire, non lo è affatto.” disse infine, guardandolo, mentre una grandissima angoscia le ghermiva il cuore e l’anima.
 
“Vorrei dire che è un piacere rivederti, Draco. Ma non ti voglio mentire, non lo è affatto.”

“Quanto sei scortese, Granger. E io che stavo per stappare una bottiglia per questa bella rimpatriata.”

Hermione lo fissò con compassione. Aveva la lingua pungente come e più del solito, ma gli mancava nella voce quell’allegra sfrontatezza che lo contraddistingueva, la spavalda arroganza di chi guardava gli altri dall’alto del proprio personale, splendido Olimpo.
 
“Non fraintendermi. Il motivo per cui non faccio i salti di gioia non sei tu, sono le tue condizioni. Mi dispiace vedere come ti sei ridotto durante questi ultimi anni.” precisò la ragazza, venendo però interrotta dalla risata sarcastica di Draco.
 
“Già… Perché se stessi bene saresti la persona più felice della terra?” le domandò sogghignando da dietro la folta barba bionda, divertito da quel pensiero strampalato “Ti ci vedo proprio. Razza di ipocrita.”
 
“Pensala come vuoi, Draco. La verità è che sono sinceramente dispiaciuto di quello che ti è capitato.”


“Non mi è capitato proprio un bel nulla, cara la mia saccente Mezzosangue. Solo un bel giorno mi sono volati addosso gli sgherri di mia madre, erroneamente convinta che io abbia un problema, e mi hanno rinchiuso in questo cesso di posto. Tutto qui.” le spiegò il giovane, inarcando le sopracciglia come se fosse ormai stufo di ripetere quella storia.
 
“Posso non essere d’accordo con i metodi che ha adottato finora, Draco… Ma in tutta onestà non credo che tua madre abbia torto nel sostenere che tu abbia un problema.”

Il ragazzo sbuffò, seccato. Forse aveva compreso il motivo per cui la giovane Mezzosangue era venuta fino a lì, oppure semplicemente si era stufato della conversazione: in ogni caso, spazientito, esplose in un’imprecazione a bassa voce, poi aggiunse con voce ringhiante:
 
“Smettila di sparare queste cazzate e arriva al nocciolo della questione. Che diavolo ci fa una brava bambina come te nella tana del serpente? Perché non fai marcia indietro e non te ne torni da dove sei venuta, mia piccola, saccente So-tutto-io?”
 
Hermione sospirò. Stabilire un contatto con lui, trovare un punto di partenza per instaurare un dialogo, si stava rivelando difficile esattamente come aveva previsto.
 
“Il dottor Tucker mi ha parlato brevemente del tuo problema.” disse, cercando di mantenere la voce neutra e di non cedere alle provocazioni di Draco.
 
“Se vuoi io ti parlo del suo. E’ da quando ha imparato a camminare che ha una Nimbus 2000 infilata su per il…”


“In questo momento il problema del dottor Tucker sei tu.” lo interruppe Hermione, prima che il discorso scivolasse nella scurrilità.
 
“No, sono la sua gallina dalle uova d’oro. Gli faccio fare più soldi io che tutti quanti gli altri pazienti di questa cazzo di clinica messi assieme.” ribatté Draco.
 
Hermione nella fattispecie trovava difficile dargli torto, ma chiaramente non poteva ammetterlo apertamente, così, seppur a malincuore, si mise a difendere il collega: “Sono sicura che le preoccupazioni del dottor Tucker non sono di natura così venale.”
 
“Dottor Tucker di qua, dottor Tucker di là! Ti piace proprio quel tizio, eh?” esplose Draco.
 
Sghignazzò, in maniera esagerata e un po’ volgare.
”Tu e il dottor Tucker… Sareste davvero una bella coppietta. Anche lui è uno sporco Mezzosangue, lo sapevi? Tu e lui insieme avreste degli insopportabili mocciosi Mezzosangue e saccenti.”
 
La voce di Draco era sibilante e maligna… Forse dopotutto, sotto quella superficie sudicia e indebolita, dietro a quello sguardo spento, era rimasto esattamente la stessa miserabile persona che si divertiva a farla ammattire ad Hogwarts con le sue meschinità e le cattiverie.
 
“L’igiene del dottor Tucker mi è sembrata ineccepibile. Lo stesso non si può certo dire della tua, signor Malfoy.” ribatté Hermione con fare sostenuto, decisa a dimostrargli sin da subito che il comando, in quella stramba situazione, era interamente in mano sua. In casi come quelli, era di basilare importanza sottolineare chi avesse il coltello dalla parte del manico.
 
A quelle parole il giovane scrollò le spalle, tentando stizzosamente di apparire noncurante… Ma l’occhio allenato di Hermione fu in grado di notare, non senza un briciolo di piacere sadico, che quella battuta aveva raggiunto l’effetto sperato, ovvero quello di farlo tacere dalla vergogna.
 
“Ti diverte vedermi così, Sanguesporco? Ti diverte vedermi piegato come una marionetta a cui hanno tagliato i fili, spezzato e umiliato?”
 
La voce di Draco era rotta e tremante… Non stava piangendo, ma solo perché probabilmente era disidratato e in quel momento di lacrime da versare proprio non ne aveva.
 
“Non sono una persona così meschina.”
 
“No, certo. Non sei come noi Slytherin. Tu sei superiore!”
 
“Si puoi sapere cosa vuoi da me, Draco?” sbottò Hermione “Vuoi che io gioisca perché sei ridotto uno straccio, o perché ti sei rovinato la vita con le tue stesse mani? E’ questo che vuoi? Non posso farlo, Draco, e tu lo sai. E non perché io sia particolarmente virtuosa, è solo che non sarebbe da me, soltanto questo.”
 
“Non essere ipocrita, Granger. Il solo fatto che tu ti rifiuti di infierire su di me fa capire chiaramente che ti reputi superiore.” sibilò Draco, socchiudendo gli occhi.
 
“Questo non fa di me superiore o inferiore. Fa di me ciò che sono.” rispose la giovane medimaga.
 
“E quel che sei è una piccola, saccente, insopportabile Mezzosangue.”
 
“Può darsi.” replicò Hermione, con voce pacata. Doveva cercare di moderare i toni e non cercare lo scontro, se avesse assecondato la vena polemica di Draco avrebbe ottenuto come unico risultato di indisporlo ancora di più e di farlo chiudere ulteriormente in sé stesso.
 
Avanzò piano, poi si inginocchio vicino a lui. Non voleva guardarlo dal basso in alto, desiderava che entrambi potessero guardarsi negli occhi senza che Draco dovesse alzare il mento, azione che chiaramente gli costava non poca fatica, data la scomoda posizione.
 
“Che diavolo stai facendo, Granger?” sussurrò Draco, stupito da quel gesto. Evidentemente il dottor Tucker e il suo staff, ammesso e non concesso che ogni tanto scambiassero qualche parola con il loro preziosissimo paziente (o meglio, cliente), non prestavano particolarmente attenzione all’amor proprio di chi si trovavano davanti e non si abbassavano a guardarlo come un proprio pari, considerandolo come un patetico caso umano di cui prendersi cura per compiacerne la ricca madre.
 
“Ho mandato via tutti quanti, Draco. Siamo soli, io e te faccia a faccia.”


“Non me ne frega niente, Mezzosangue. Vattene e basta!” esplose Draco. Aveva la voce stanca, provata… Le faceva una gran pena, ma non poteva lasciare il discorso sospeso a metà, doveva andare fino in fondo.
 
“L’ho fatto,” gli spiegò lei, ignorando quell’ultima frase “perché sia subito ben chiaro, a te come a chiunque altro, che io non lavoro per tua madre, come le persone che ho appena mandato via.”

“No, tu sei solo qui per goderti lo spettacolo.” sibilò lui, con tono cattivo.
 
“No. Affatto.”
 
“E per quale altro motivo saresti venuta, allora?”


“Sono venuta per aiutarti, Draco. Come ti dicevo, non ho intenzione di lavorare per tua madre. Lei sta bene di salute, per quanto mi è dato sapere, non ha bisogno di me. Io lavoro per te, per te e nessun altro.”
 
Una risata lugubre e profonda sfuggì dalle labbra livide di Draco, sinceramente divertito da quanto appena detto da Hermione. Tuttavia smise dopo pochi secondi, tornando a guardarla con sguardo cattivo.
 
“E così saresti alle mie dipendenze?” ringhiò, aggressivo “Se è così, perché non mi sleghi da questa cazzo di camicia e poi ti togli di torno una buona volta?”
 
“Ho detto che lavoro per te, non che ho intenzione di assecondare i tuoi capricci da bambino viziato.” lo redarguì lei.
 
“Allora non mi servi. Sei licenziata.”

“Non puoi licenziarmi.”

“Se non ti posso licenziare allora vuol dire non lavori per me.”

“Pensala come vuoi, Draco. Non mi interessa.” disse Hermione, rimettendosi in piedi. Non voleva litigare con lui, né prolungare ulteriormente quella conversazione “Quello che mi interessa al momento è rimetterti in sesto. Ho giusto in mente una terapia che fa al caso tuo.”


“Accomodati. Non funzionerà.”
 
Sorrise, o per meglio dire esibì i denti in quello che sembrava maggiormente un ringhio rabbioso: “Non funziona mai.”
 
“Lo vedremo.” ribatté Hermione, avviandosi verso la porta della cella. Prima di andarsene definitivamente, si voltò verso di lui:
 
“Tieniti pronto, la terapia incomincerà al più presto. Tra qualche giorno, al più tardi la prossima settimana.”
 
“Vai al diavolo.”
 
Hermione non rispose a quell’ultima provocazione, si limitò a richiudere la porta della cella dietro di sé, e ad allontanarsi a passo spedito.
 
Le aveva fatto molta impressione stare in quella minuscola stanzetta imbottita, molta di più di quando non dimostrasse, e voleva allontanarvisi il più in fretta possibile.
 
Non riusciva a credere che quello che un tempo era stato il temuto Principe delle Serpi, l’altro più sfolgorante della Casa di Slytherin, ora fosse ridotto ad una patetica e strisciante parodia di ciò che era stato in passato. Non era giusto, non era così che doveva andare…
 
Se l’era meritato? Hermione non riusciva a darsi una risposta a quella domanda, o meglio, non voleva: sapeva in cuor suo che il comportamento che Draco aveva adottato spesso e volentieri nei suoi confronti non l’avrebbe fatta rispondere in maniera imparziale, e non voleva sentirsi in colpa per quello. Stava già abbastanza da schifo solo per il fatto di averlo visto in quello stato, i sensi di colpa erano proprio l’ultima cosa che le ci volevano.
 
Si avviò fuori di lì camminando in fretta, aveva un groppo alla gola e sperava che se ne andasse non appena messo piede fuori da quel posto.
 
Il dottor Tucker, non appena la vide uscire, si avvicinò a lei per sapere l’impressione che aveva avuto dopo il colloquio, ma Hermione non era affatto dell’umore giusto per parlare con lui; inoltre era piuttosto in ritardo, doveva ancora passare al San Mungo per sbrigare le ultime pratiche e poi andare a cena a casa di Harry e Ginny.
 
Aveva rimandato fin troppe volte, non poteva dare ancora buca: così liquidò velocemente il collega, per poi venirsene via in fretta e furia.
 
“La chiamo entro domani,” gli disse “così le comunicherò la terapia che ho deciso di intraprendere.”
 
“Attenderò impazientemente la sua chiamata, dottoressa Granger. Anzi… visto che a quanto pare ci capiterà di lavorare assieme, le dispiace se la chiamo Hermione? A patto però che lei mi chiami Robert, si intende.”
 
Hermione non aveva nessun piacere nel fare ciò, ma non si trovava nella posizione di rispondere negativamente, tanto più che se l’avesse fatto avrebbe dovuto prolungare la sua permanenza in quella maledetta clinica, eventualità che non l’attraeva affatto; per questa ragione, seppur malvolentieri, acconsentì a darsi del tu con il dottor Tucker, che felice per quella concessione l’accompagnò fino al parcheggio e, al momento di congedarsi, le diede il proprio biglietto da visita (sul quale, a biro, si era preoccupato di scrivere il proprio numero privato).
 
Il pensiero di quanto accaduto, tuttavia, non l’abbandonò per tutto il resto del giorno, né tantomeno la sera: quando più tardi arrivò a casa di Harry e Ginny con la prospettiva di una tranquilla cenetta tra amici, quel chiodo fisso non accennava minimamente a lasciarla in pace.
 
“Hermione, tesoro, va tutto bene?” le chiese più volte la padrona di casa, preoccupata dal fatto che la giovane Medimaga fosse piuttosto taciturna.
 
“Stai tranquilla, Ginny… Sono solo stanca, i turni in ospedale mi stanno uccidendo.” disse Hermione cercando di sdrammatizzare; dopotutto era una così bella serata, non le sembrava il caso di rovinare il buonumore generale della tavolata con i suoi problemi di lavoro.
 
Più tardi, quando i fratelli di Ginny e gli altri invitati se ne furono andati, Hermione si confidò finalmente con Harry e Ginny, e parlò loro del nuovo paziente che le era stato affidato.
 
“Ti giuro, Harry, che mi è venuta una morsa al cuore quando l’ho visto. Non posso neanche lontanamente farti capire in che condizioni era, dovresti vederlo con i tuoi occhi per fartene un’idea.”

“Sinceramente, non posso dirmene un granché dispiaciuto. Era veramente un bastardo.” commentò il giovane Potter, stravaccato sul divano di fianco alla mogliettina, che stava bevendo il caffè ascoltando in silenzio la conversazione.
 
“Neanche ai tempi di Hogwarts,” mormorò Hermione, scuotendo la testa “quand’era all’apice della sua stronzaggine, gli avrei mai augurato di fare una fine del genere, né me lo sarei aspettato.”

“Che intendi dire?”

“Intendo dire che non mi spiego come una persona come lui, ricca, di bell’aspetto… Non fare quella faccia, Harry, lo sai benissimo anche tu che non era affatto un brutto ragazzo!” esclamò Hermione, redarguendo l’amico che aveva fatto una smorfia buffissima “Insomma, quello che intendo è che aveva tutto ciò che desiderava. Perché una persona del genere deve andare a rovinarsi la vita in questo modo?”
 
“Beh, se devo essere sincero, non posso dire di essere stupita. Che si facesse uso praticamente di ogni droga universalmente conosciuta non era certo un mistero, era solo questione di tempo prima che finisse in una di queste cliniche specializzate nella disintossicazione.” disse Ginny.

“Ma perché? E’ una cosa risaputa che si droghi?” domandò Hermione, stupita. Per quanto la riguardava, lei l’aveva saputo quel pomeriggio per la prima volta, e non si sarebbe mai aspettata che fosse una cosa di pubblico dominio.
 
“Ma Hermione!” esclamò l’amica, sbalordita “Si può sapere dove vivi? Lo sanno praticamente tutti.”

“Già.” disse Harry “Probabilmente fino a oggi eri l’unica persona in tutta Londra a non sapere che Malfoy è un tossico. E va avanti già da diversi anni.”
 
“Non c’è giornale che parli di gossip che non pubblichi quotidianamente le sue foto da strafatto o quelle dei festini dei suoi amici tossici.”
 
Forse era per quel motivo che Hermione ne era all’oscuro: non era mai stata sua abitudine leggere i tabloid o i giornaletti scandalistici. Eppure non poté fare a meno di sentirsi un po’ in colpa per la propria ignoranza, anche se razionalmente si rendeva conto di non aver fatto nulla di male.
 
Salutò gli amici, li abbracciò e se ne tornò dritta a casa, stravolta dopo quella fin troppo lunga giornata, con l’intenzione di farsi un bel sonno ristoratore. Ma neanche il dolce abbraccio di Morfeo riuscì a distoglierla per un istante da quegli occhi torbidi che la fissavano, come se si aspettassero da lei un qualche tipo di miracolo.
 
La bocca sottile e leggermente digrignata le intimava di andarsene via, di sparir sene, di tornare da dove era venuta… Ma negli occhi, si convinse, nei suoi occhi grigi e sfuggenti, c’era un grido di aiuto, un messaggio dentro una bottiglia che sperava fosse raccolto al più presto da qualcuno.

Forse nemmeno Draco stesso se ne rendeva conto, ma Hermione doveva fare qualcosa per aiutarlo, altrimenti non sarebbe più riuscita a guardarsi allo specchio senza provare disgusto…
 
Neanche il sonno la liberò da quel senso di angoscia, quel genere di pensieri continuò a tormentarla per tutta la notte, senza darle nemmeno un secondo di tregua.


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