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Autore: Elessar Enials    18/12/2010    0 recensioni
Prima c’era solo il rumore delle macchine che lavoravano.
Lo ricordo bene ancora, in fin dei conti non è passato poi così tanto tempo in misura umana. Qualche anno… briciole per gli uomini. Eppure sembra così tanto se ci penso. E’ incredibile come ricordi tutto fin nei minimi dettagli senza però che riesca a ricordare bene come era prima.
Silenzio. E rumore.
Sembra quasi un paradosso, ma tutto della mia esistenza lo è. Non dovrei esistere e lo so da quando sono nato. Ma stò divagando. Voglio raccontarvi la mia nascita, non questo. Sia la prima che la seconda. Quando ho visto lei… no, non correre.
Ricordo…
Fuori c’era un forte rumore, macchine industriali a lavoro, molte. Dentro di me però c’era solo silenzio. Lavoravo senza sapere chi fossi, a me spettava il compito di coordinare tutto e come sempre eseguivo senza lamentarmi.
Poi ad un tratto sono nato.
Genere: Dark, Drammatico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era la prima volta che la vedevo, ma non sarebbe stata l’ultima.

Mi ripresi solo qualche minuto dopo quel primo incontro, mi trovavo ancora nell’atrio dell’edificio, ma la luce era diversa. Calcolai che erano passati circa dieci minuti e che probabilmente avevo trascorso questo periodo imbambolato davanti alla porta. La prima cosa che pensai era che quella ragazza doveva essermi passata davanti, magari mi aveva preso per pazzo… o peggio. Dovevo… Non capivo cosa mi stava succedendo e tuttora in realtà lo comprendo solo marginalmente. I pensieri si aggrovigliavano saltando uno sull’altro e non riuscivo a trovare un filo logico che mi permettesse di riprendere le redini di quello che stava avvenendo dentro la mia testa. Avevo voglia di rivederla, ma allo stesso tempo avevo paura di questo. Se pensavo a lei sentivo una strana sensazione, come un fremito superficiale sulla pelle, ma allo stesso tempo mi sembrava che la testa stesse per scoppiare. Ero letteralmente impossibilitato a muovermi nonostante mi rendessi conto che stare lì fermo era una pessima idea. Non riuscivo a non pensare a lei, neanche sforzando tutto me stesso, ma quel pensiero mi faceva solo stare male.

Dopo alcuni minuti lunghi quanto interi millenni, riuscii a muovermi nuovamente anche se in modo stentato e mi trascinai in ascensore. Qualche piano più in alto avevo trovato le forze per rialzarmi in piedi. Ancora un paio di minuti ed ero sdraiato sul mio letto. Avevo bisogno di riposo, dovevo fare in modo che l’immane mole di dati che stavo affrontando si attenuasse perché il mio sistema non era pronto. Spensi quindi volontariamente le mie facoltà, programmando un reboot qualche ora dopo. Non farlo significava rischiare la pazzia… e onestamente non riuscivo a immaginare tale parola legata ad uno come me, ma l’idea non mi piaceva per nulla, avrei nuovamente perso me stesso. Cosa era successo?

Solo successivamente capii di aver sperimentato per la prima volta una delle emozioni umane più forti in assoluto: l’amore.

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Passai i giorni successivi collegato al sistema elettrico del condominio, impegnato a spiare l’oggetto del mio desiderio. Ammetto ora che questo non era proprio un comportamento giusto, ma tuttora effettivamente ho difficoltà a comprendere cosa indichino veramente per gli uomini le parole “giusto” e “sbagliato.” Certo questi sono concetti aleatori il cui significato varia a seconda di milioni di incognite momentanee, tanto che spesso gli stessi uomini sembrano non comprenderle, ma sicuramente a quel tempo non mi ero ancora neanche posto il problema e per me quei due termini non rappresentavano altro che due parole scollegate completamente dalla realtà in quanto illogiche ed inesistenti. Certo le conoscevo e potevo pronunciarle, ma solo in unione all’idea di un giudizio finale di un’operazione. Se c’era un errore era sbagliato, altrimenti era giusto. Insomma, l’idea di morale mi era totalmente aliena.

E così nella settimana successiva scoprii numerose cose su di lei.

Si chiamava Abigail Matthews, aveva 20 anni e si era appena iscritta all’Università di Londra, precisamente al King’s College. Questo era il motivo per cui si era trasferita a Londra dalla piccola cittadina di Newhaven e sempre per lo stesso motivo aveva preso in affitto un appartamento in Tappletone Road. Era al terzo piano, seconda porta a destra, due piani precisi sotto di me. Suo padre era morto in un incidente stradale che aveva coinvolto un camion così a lei era rimasta solo sua madre, quest’ultima lavorava come segretaria alla Airpool, una piccola azienda che si occupava di noleggio e vendita elicotteri e ultraleggeri. Ovviamente il suo reddito non bastava a sostenere economicamente gli studi della figlia, ma questa aveva vinto una borsa di studio che le aveva permesso di coronare i suoi sogni. Non aveva altri parenti, a parte uno zio che amava viaggiare e non aveva fissa dimora. In realtà il padre aveva litigato con la propria famiglia molto prima della nascita della figlia e le due parti non si sentivano da molto tempo, così in realtà era possibilissimo che lei avesse dei parenti che neanche conosceva. Tuttavia decisi di non indagare in tale direzione. Non era rilevante.

Abigail si alzava ogni mattina alle 7 in punto per correre per le vie di Londra per un’oretta. Quindi tornava a casa, si cambiava e se era una giornata infrasettimanale, andava all’università, altrimenti studiava o scriveva. Non usciva molto. Anzi quasi mai. Solo il sabato sera si vestiva in modo più elegante e femminile, cosa che quasi mi causò un cortocircuito la prima volta che la vidi, e usciva per andare ad una vicina sala bowling. Qui si metteva a giocare da sola a tutto quello che le capitava a tiro fino a mezzanotte, ora in cui tornava nel proprio appartamento.

Era incredibilmente precisa nel suo modo di agire. Perfettamente consuetudinaria, tanto che mi veniva spesso il dubbio che anche lei fosse come me. Certo non aiutavano i sogni. Non avrei mai creduto che potessero essere così potenti. In realtà per me era illogico anche pensare che una macchina potesse “sognare.” Ma evitavo di pormi problemi che rischiassero di mandare in tilt il mio sistema centrale. In realtà non avevo bisogno di dormire, come già detto, ma lo facevo comunque per “vivere” completamente l’esperienza umana e anche perché quei momentanei momenti di riposo mi aiutavano ad affrontare meglio le giornate. O forse era perché desideravo sognare lei. Pensandoci bene erano i sogni di lei che mi aiutavano ad affrontare meglio le giornate. Inoltre avevo imparato, proprio grazie a lei, che il riposo permetteva alla memoria di immagazzinare meglio i dati che raccoglievo ogni giorno senza che questi mi facessero impazzire.

Quindi sognavo. Sognavo lei ogni notte e a volte era veramente assurdo. La vedevo che mi correva incontro, mi stringeva, mi accarezzava, mi baciava e mi accettava per quello che ero. Alcune volte, molto rare, si rivelava una come me, una macchina in corpo umano. E ogni volta quando mi svegliavo mi ritrovavo a desiderarla ossessivamente, tanto che dovevo stringermi i polsi con tutta la forza che avevo per non correre da lei. Non furono poche le volte in cui mi risvegliai per altro nella mia forma originaria, cosa che di solito aveva pessime conseguenze per il letto che usavo. Ne comprai parecchi in quel periodo.

Non poteva continuare così, lo sapevo.

Abigail non aveva ancora trovato amici visto che era una ragazza fondamentalmente schiva, sempre impegnata a studiare, che difficilmente, anche quando e se usciva, parlava con qualcuno o tentava di fare conoscenze. A quel che sapevo, e ne sapevo tanto, le uniche persone che incontrava a volte erano sua madre, che comunque sentiva spesso per telefono, e il suo maestro di arti marziali. Si, giusto… praticava arti marziali tre pomeriggi la settimana, mi ero scordato di dirlo. Queste distrazioni sono strane, mi sembrano sempre di più quelle di un umano.

In ogni caso ogni tanto qualche uomo le si avvicinava, probabilmente attratto dal suo bellissimo aspetto esteriore, ma finiva sempre nella stessa maniera, con lei che lo rifiutava. E come darle torto? Erano dei tali idioti. Se non c’avesse pensato lei, c’avrei pensato io a tenerli distanti dal suo corpo. Ed il punto per cui era sola era proprio quello, tutti desideravano il suo corpo e basta. Io credevo di essere diverso, ovviamente, e altrettanto ovviamente sbagliavo.

Comunque, tornando alla storia, decisi che visto che era sola avevo alte possibilità di riuscire ad avvicinarmi così da poterla fare mia. Volevo che nessuno la guardasse o la toccasse anche solo per sbaglio. Solo io dovevo e potevo. Doveva essere mia. Mia.

E così mi organizzai.

Ah, quanto poco avevo capito dell’amore.
 

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E così mi presentai ad Abigail sotto le mie spoglie umane. Lentamente riuscii ad avvicinarmi a lei e a divenire suo amico. Iniziai a frequentare le sue lezioni, spacciandomi per un suo compagno, ma non seguivo quanto i professori dicevano. Ero lì solo per lei ed il mio scopo originale era stato completamente cancellato. Tutto era solo un discorso di priorità.

Spesso uscivamo anche la sera. Ogni tanto lei si stupiva di alcuni miei comportamenti che mi affrettavo poi a correggere rapidamente. Imparai molte cose, ma le vedevo nell’unica ottica di apparire il compagno ideale per lei. Ogni giorno, ogni secondo diventavamo sempre più intimi, tanto che lei mi fece entrare nella sua vita presentandomi sua madre, il suo maestro… insomma, le persone a lei care e vicine. Nonostante questo però non riuscivo a dichiararle i miei sentimenti. Mi rendevo conto di quanto era illogico quel comportamento, ma non ci riuscivo. Avevo paura di deluderla. Avevo paura che mi avrebbe comparato a tutti gli altri ragazzi che erano venuti prima di me. Avevo paura di perderla. E visto che la paura per me era una cosa tutta nuova questo spesso e volentieri mandava in crisi i miei sistemi interni.

Quei brevi periodi di quelle giornate passate insieme a lei erano il paradiso. Facevamo cose futili, assolutamente inutili per la mia futura esistenza eppure per me valevano più di tutto il nuovo me stesso. Ringraziavo chi mi aveva risvegliato, chiunque fosse stato, ogni secondo che tornavo nel mio appartamento dopo essere stato con lei. E se quando uscivo con lei, non pensavo, limitandomi ad assorbire le mie nuove sensazioni, quando ero solo allora la sognavo intensamente. Spesso la sera mi portavo sul tetto dell’edificio di fronte al nostro condominio e la osservavo dalla finestra cronometrando il tempo che mi divideva dal successivo appuntamento. Non riuscivo a non vederla per più di cinque minuti. La sola idea bastava a mandarmi in crisi, tanto da obbligarmi al riposo forzato. Riposo che in quel periodo ignorai non poco, limitandomi a “dormire” il minimo indispensabile per non far collassare la mia memoria centrale.

Ricordo un episodio particolarmente felice. Era un sabato sera e si era usciti insieme io e lei. Era bellissima, abbastanza da attirare le attenzioni anche di un altro ragazzo, uno di quei tipetti che tanto sembravano andare di moda in quel periodo. Lei però lo rifiutò senza mezzi termini… e lui in risposta prese ad offenderla, anche pesantemente, tanto da ridurla in lacrime e a obbligarla ad uscire dal locale. Ovviamente mi ero messo a difenderla, ma lui non trovò di meglio che offendere anche a me. Lo attesi fuori dal locale. Poco più tardi, dopo aver cancellato tutti i possibili indizi che potevano condurre ad Abigail, rientrai nel condominio e la trovai che piangeva vicino alla rampa delle scale. Agii di istinto e così lei mi raccontò perché non riusciva ad avere rapporti di amicizia con nessuno, che fossero uomini o donne. Mi raccontò parte del suo passato e io chiusi il segreto dentro di me, tanto più che di certo non lo troverete registrato qui. Infine mi disse che ero unico e mi baciò dolcemente la fronte. Il sovraccarico fu quasi istantaneo e non mi permise di reagire a quel gesto, tanto che quando mi ero finalmente ripreso, lei era già rientrata nel proprio appartamento. Ero felice. Anzi, la parola felice non bastava a descrivere l’emozione che provavo. Era qualcosa di semplicemente immenso e non era solo per quel delicato gesto di affetto, ma anche perché parlandomi del suo segreto mi aveva fatto capire di essere una parte importante della sua vita, ormai integrata nella sua esistenza ed insostituibile. Decisi che questo era il segnale giusto e che alla prossima uscita mi sarei dichiarato. Non vedevo come fosse possibile che lei rifiutasse. Tutti i dati portavano alla stessa soluzione e anche se c’era una minima possibilità di errore questa era talmente bassa da giustificare la mia scelta di ignorarla. Non sapevo che l’amore non era qualcosa che si poteva misurare con le probabilità e le formule.

Quella sera però iniziò anche qualcosa di diverso, per certi versi più sinistro. E se è vero che è stato il mio incontro con Abigail a portarmi fino a questo punto è altresì vero che quella fu la sera in cui tutto iniziò a cambiare in un modo più sinistro.

Ancora sovreccitato per quanto successo mi spostai come al solito sul tetto dell’edificio di fronte per continuare a osservare la mia bella. Questa si era appena cambiata e ora stava leggendo un libro mentre era sdraiata sotto le coperte. Continuai a guardarla fino a quando non spense le luci e allora io attivai i miei infrarossi. Era così bella mentre dormiva. Solo a quel punto mi resi conto di una cosa bizzarra. I miei sensori di superficie percepivano una strana anomalia nella temperatura. Era come se improvvisamente si fosse fatto più freddo. Ma non solo, i rumori della città sembravano attenuarsi in un silenzio soprannaturale. Allora notai che non ero l’unico a guardare la finestra di Abigail. In mezzo alla strada vi era una figura sinistra, vestita come se fosse uscita da un varco temporale, con una veste sacerdotale nera molto lunga, ornata di complessi disegni viola. Il volto era coperto da uno spesso cappuccio, anch’esso nero, e visto che mi dava le spalle non riuscivo neanche a intravederne i lineamenti, anche se sapevo che stava guardando nella mia stessa direzione. La cosa più sinistra era però che i miei sensori non percepivano quella figura come umana. Anzi, a dire la verità, non la percepivano proprio per nulla. Per me non era morta e non era viva, semplicemente non esisteva anche se i miei occhi potevano vederla. Rimasi probabilmente qualche secondo a fissare incuriosito e inorridito allo stesso tempo quella sagoma e solo allora lui si mosse voltandosi verso di me, quanto bastava almeno perché potessi vedere sotto il cappuccio. Era buio, vuoto, ma nel mezzo di quel nulla brillavano due occhi violacei che sembravano nascondere un sapere antico quanto crudele. Mi sentii improvvisamente minacciato e subito assunsi la mia forma originaria pronto a difendere la mia stessa esistenza, ma la figura in risposta si limitò semplicemente a sorridermi. Un sorriso bianco, che brillò come una luce malevola nell’oscurità. Un sorriso crudele e beffardo che probabilmente ricorderò fino alla fine della mia esistenza, per quanto breve questa sia destinata ad essere adesso. E improvvisamente andai in sovraccarico e mi dovetti autoriavviare per non danneggiare il mio nucleo interno. Quando cinque minuti dopo potei rivedere di nuovo, la figura era scomparsa e tutto sembrava tornato normale.

Pensavo che era stata una cosa momentanea, magari una di quelle allucinazioni tipicamente umane, ma mi sbagliavo. Nelle settimane successive rividi di nuovo la figura oscura e non solo. Una sera particolare vidi… no, ma forse è meglio che questo ve lo mostri direttamente. 
  
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