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Autore: Tanuki    21/12/2010    1 recensioni
Solo due codini rosa.
Non di un infantile rosa confetto, non di un banale rosa antico, non
di un volgare rosa shocking, quei codini erano di un rosa...così equilibrato, da sembrare quasi sovrannaturale...
Da quando aveva visto quei codini che ondeggiavano leggermente, sospinti dal vento, lui non riusciva a vedere altro, e non voleva vedere altro.
Fanfiction creata al momento, senza pretese, ho voluto utilizzare un personaggio poco presente nelle FF...
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mitsuru Sano/Sandy Winter, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questo è il secondo capitolo, è maledettamente stupido, e ho già il capo cosparso di cenere...ma spero che vi piaccia!!





Mitsuru rientrò in casa tutto infreddolito, si richiuse la porta alle spalle, sospirando. Si tolse il giubbotto, la sciarpa e il berretto per riporli sull’appendiabiti accanto all’ingresso, mentre andava verso la sua camera, si guardò per un attimo allo specchio appeso alla parete del corridoio: stesso fisico minuto, stesso viso infantile, però ora non provava odio per quelle caratteristiche che mezz’ora fa considerava delle punizioni divine.

Ora si sentiva…meglio.

Sentiva ancora su di sé i dolci occhi di Hitomi, che non lo guardavano irridenti, il suo sguardo era…era…così diverso da quello delle altre ragazze.

Domani l’avrebbe rivista, quello sarebbe stato il suo primo vero appuntamento, anche se era soltanto un pretesto per riavere i guanti; il ragazzo aveva ancora tra le mani quel colorato lasciapassare.

“Il vento oltre la collina”  un film sentimentale, senza dubbio, un tipo di film di solito poco amato dai maschi.

Ma questo poco gli importava, domani l’avrebbe rivista.

Entrato in camera, chiamò velocemente Hiroshi (che aveva appena una linea di febbre e sbuffava rumorosamente perché ancora non poteva uscire di casa) per dargli i compiti; poi si distese sul letto, chiudendo gli occhi.

Adorava il tepore di casa sua, il tepore del suo piumone verde a righe gialle, gli stessi colori della Hirado, la sua squadra; Mitsuru vedeva casa sua come una “cuccia” dove rifugiarsi quando il mondo sembrava essere troppo cattivo con lui.

Ma questa volta, il mondo non era stato cattivo con lui.

Non sapeva se questa specie di “appuntamento” sarebbe finito bene, o male, sapeva solo che voleva rivederli, quei codini rosa.

 

 

Il giorno dopo, Mitsuru a scuola aveva un’aria trasognata, guardava fuori dalla finestra il pallido sole invernale che illuminava il piazzale dell’istituto.

Le odiava, quelle giornate illusorie, il cielo era sereno, ma l’aria era pungente e gelida. Eppure quel giorno Sano sorrideva, era felice, per lui quella era una bella giornata.

Si ritrovò a contare freneticamente i minuti che lo separavano da quell’incontro, centellinandoli quasi uno per uno, con le sottili labbra spiegate in un sorriso.

Era sempre piccolo, e scompariva tra i coetanei nel corridoio che vociavano e ridevano, ma ora questo per lui non rappresentava affatto un problema, nella sua testa solo Hitomi, i suoi codini, la sua voce e i suoi occhi grigioverdi.

Si trattenne dal dirlo all’amico di sempre Hiroshi, non per cattiveria, ma per evitare una fuga di notizie che sempre trapelava dalla sua bocca, sembra strano a dirsi, ma anche i difensori alti due metri potevano essere più pettegoli di venti comari.

 

 

Nel pomeriggio Sano si preparò con particolare cura per quel particolare appuntamento: si infilò i jeans nuovi, regalati dalla zia di Osaka poco più di una settimana fa, neri, aderenti, un po’troppo aderenti a dir la verità, ma il ragazzo si rimirò soddisfatto allo specchio, per la prima volta si sentiva “adulto”.

Si mise la sua felpa gialla portafortuna, si pettinò i lunghi capelli bruni, districando ogni singolo nodo, calzò le scarpe da ginnastica che aveva appena lavato, di un bianco lucente.

Mitsuru guardò l’orologio: le tre e mezzo, era in perfetto orario; salutò la madre prima di uscire, e si incamminò verso la stazione centrale.

Una volta in strada, Sano respirò profondamente, il suo primo appuntamento, non gli sembrava vero…

Il set cinematografico era grande, dispersivo, pieno di gente che andava avanti e indietro urlando a gran voce; una signora dall’aria disperata portava tra le braccia un lungo vestito rosso da donna pieno di pizzi e merletti, e gridava:

“Dov’è la costumista?? La gonna è troppo corta!! Santo cielo!! La gonna è troppo corta!! Ingeborg è furiosa!! Furiosa dico!!”

Sano cercava di avanzare in mezzo a quell’agglomerato di pazzi, confuso e disorientato;tra tutta quella confusione, in lontananza vide quei due codini rosa che ondeggiavano.

Mitsuru accelerò il passo per raggiungerli, Hitomi lo aspettava in piedi, accanto ad una macchina da presa; quando arrivò, la ragazza sorrise:

“Ciao Mitsuru! Sono contenta di vederti!”

“Ciao” sussurrò timidamente Sano.

La ragazza gli porse i guanti: “Grazie davvero, sei stato così gentile!”

Mitsuru prese i guanti e se li mise in tasca: “Di nulla!” rispose.

I due si guardarono per circa cinque minuti, con le mani in tasca, con sguardo imbarazzato, nessuno dei due sapeva cosa fare.

“Ti va di prendere qualcosa da bere?” chiese Hitomi prendendo il coraggio a quattro mani.

Sano non se lo fece chiedere due volte: dopo pochi minuti erano al bar temporaneo del set, lei davanti ad un frullato alla fragola, lui davanti a una cioccolata calda.

“Questo posto è leggermente incasinato…” constatò Mitsuru guardandosi intorno.

Hitomi giocherellava con uno dei suoi codini, intrecciandolo tra le dita sottili:

“Beh, per me non è così terribile…ci sono abituata!”

Sano era come ipnotizzato dai codini di lei: il modo in cui lei ci giocherellava, con quelle dita così affusolate che danzavano tra le ciocche rosate; i nastrini rossi che li fermavano, il modo in cui ricadevano sulle sue spalle minute…

Hitomi invece guardava Mitsuru attentamente, cercando di afferrare il suo sguardo semicoperto dalla folta frangetta.

“Ti piace fare questo lavoro?” chiese lui, distogliendo a malincuore lo sguardo dai capelli di lei.

La ragazza prese un sorso di frullato: “Si, ma è dura dover sopportare i capricci dello scenografo…per me è solo uno sbruffone, pensa di essere bravo solo lui!!” sul suo visino comparve una smorfia, poi cambiò discorso “E tu, cosa fai nella vita?”

Sano poggiò la tazza semivuota sul tavolino, sulle sue labbra spiccavano due baffi di cioccolato: “Studio all’istituto Hirado, e gioco a calcio nella squadra della scuola…spero di diventare un calciatore famoso, un giorno…”

“Che bello! Che ruolo ricopri in campo?” chiese lei, sgranando gli occhi.

“Faccio l’attaccante…” rispose Mitsuru, ma venne interrotto dalla risata argentina di lei.

“Guardati! Sei sporco di cioccolato!” d’istinto prese un fazzolettino di carta “Aspetta che ti pulisco!”

Sano fece per indietreggiare, non era abituato a simili confidenze, con una ragazza, per giunta, ma quando vide la mano di Hitomi avvicinarsi non riuscì più a muovere un muscolo, rimase immobile e si fece docilmente pulire da lei; il suo tocco era delicati, i suoi occhi lo fissavano, l’insistenza di quello sguardo lo fece tremare.

Alla fine, Mitsuru si alzò per andare a pagare, voleva fare il gentiluomo e pagare anche per lei, ma Hitomi prontamente mostrò un badge al commesso del bar che si limitò ad annuire.

“Per lo staff è tutto gratis, non preoccuparti” lo rassicurò la ragazza.

Sano sorrise nervosamente, mentre prendeva il suo giubbino appeso alla sedia, il lasciapassare cadde dalla tasca, e il ragazzo si chinò per raccoglierlo…

STRAAAAAAP

Quel rumore risuonò nel piccolo bar, tutti si girarono, Hitomi compresa, e videro l’enorme strappo sui pantaloni di Mitsuru, all’altezza del sedere; e videro anche una parte dei suoi boxer bianchi a righine blu.

Sano si sentì avvampare. Quei jeans erano davvero troppo stretti.

La ragazza toccò la spalla di lui: “Ops” mormorò dolcemente, nessuna vena di dileggio nella sua voce.

Eppure l’imbarazzo era tanto, tantissimo. Il povero Sano non sapeva che fare, non si era mai trovato in una situazione del genere…

Allora, fece la cosa che gli riusciva meglio: si mise a correre.

Mitsuru aveva le ali ai piedi, uscì dal set in quattro e quattr’otto e si precipitò in strada; l’aria gelida gli sferzava il volto, la chioma bruna e selvaggia garriva al vento.

Dietro di lui, una voce:

“Mitsuruuuuuu!”

Era Hitomi, che correva, dietro di lui, in maniche di camicetta si era immersa nella gelida Nagasaki invernale per raggiungerlo.

Lui non voleva che lo raggiungesse, era troppo imbarazzato, era troppo arrabbiato di aver fatto una figura da idiota proprio al suo primo appuntamento.

La ragazza non demordeva, anche il suo corpo esile saettava sul marciapiede gelato, era decisa a raggiungerlo.

Sano si voltò, vide il visetto congestionato di lei che lo stava raggiungendo, e quasi inconsciamente rallentò il passo. Anche la ragazza rallentò, come se lo avesse letto nel pensiero.

Hitomi era sempre più vicina a lui…quella corsa stava diventando quasi un gioco per entrambi, la corsa quasi disperata si era trasformata in una corsetta leggera.

Lei voleva raggiungerlo, e lui voleva farsi raggiungere.

  
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