Questo
è il secondo capitolo, è maledettamente stupido, e ho
già il capo cosparso di cenere...ma spero che vi piaccia!!
Mitsuru
rientrò in casa tutto infreddolito, si richiuse la porta alle
spalle,
sospirando. Si tolse il giubbotto, la sciarpa e il berretto per riporli
sull’appendiabiti accanto all’ingresso, mentre andava verso la sua
camera, si
guardò per un attimo allo specchio appeso alla parete del
corridoio: stesso
fisico minuto, stesso viso infantile, però ora non provava odio
per quelle
caratteristiche che mezz’ora fa considerava delle punizioni divine.
Ora
si sentiva…meglio.
Sentiva
ancora su di sé i dolci occhi di Hitomi, che non lo guardavano
irridenti, il
suo sguardo era…era…così diverso da quello delle altre ragazze.
Domani
l’avrebbe rivista, quello sarebbe stato il suo primo vero appuntamento,
anche
se era soltanto un pretesto per riavere i guanti; il ragazzo aveva
ancora tra
le mani quel colorato lasciapassare.
“Il
vento oltre la collina” un
film sentimentale, senza dubbio, un tipo di film di solito poco
amato dai maschi.
Ma
questo poco gli importava, domani l’avrebbe rivista.
Entrato
in camera, chiamò velocemente Hiroshi (che aveva appena una
linea di febbre e
sbuffava rumorosamente perché ancora non poteva uscire di casa)
per dargli i
compiti; poi si distese sul letto, chiudendo gli occhi.
Adorava
il tepore di casa sua, il tepore del suo piumone verde a righe gialle,
gli
stessi colori della Hirado, la sua squadra; Mitsuru vedeva casa sua
come una
“cuccia” dove rifugiarsi quando il mondo sembrava essere troppo cattivo
con
lui.
Ma
questa volta, il mondo non era stato cattivo con lui.
Non
sapeva se questa specie di “appuntamento” sarebbe finito bene, o male,
sapeva
solo che voleva rivederli, quei codini rosa.
Il
giorno dopo, Mitsuru a scuola aveva un’aria trasognata, guardava fuori
dalla
finestra il pallido sole invernale che illuminava il piazzale
dell’istituto.
Le
odiava,
quelle giornate illusorie, il cielo era sereno, ma l’aria era pungente
e
gelida. Eppure quel giorno Sano sorrideva, era felice, per lui quella
era una
bella giornata.
Si
ritrovò a contare freneticamente i minuti che lo separavano da
quell’incontro,
centellinandoli quasi uno per uno, con le sottili labbra spiegate in un
sorriso.
Era
sempre piccolo, e scompariva tra i coetanei nel corridoio che vociavano
e
ridevano, ma ora questo per lui non rappresentava affatto un problema,
nella
sua testa solo Hitomi, i suoi codini, la sua voce e i suoi occhi
grigioverdi.
Si
trattenne dal dirlo all’amico di sempre Hiroshi, non per cattiveria, ma
per
evitare una fuga di notizie che sempre trapelava dalla sua bocca,
sembra strano
a dirsi, ma anche i difensori alti due metri potevano essere più
pettegoli di
venti comari.
Nel
pomeriggio Sano si preparò con particolare cura per quel
particolare
appuntamento: si infilò i jeans nuovi, regalati dalla zia di
Osaka poco più di
una settimana fa, neri, aderenti, un po’troppo aderenti a dir la
verità, ma il
ragazzo si rimirò soddisfatto allo specchio, per la prima volta
si sentiva
“adulto”.
Si
mise la sua felpa gialla portafortuna, si pettinò i lunghi
capelli bruni,
districando ogni singolo nodo, calzò le scarpe da ginnastica che
aveva appena
lavato, di un bianco lucente.
Mitsuru
guardò l’orologio: le tre e mezzo, era in perfetto orario;
salutò la madre
prima di uscire, e si incamminò verso la stazione centrale.
Una
volta in strada, Sano respirò profondamente, il suo primo
appuntamento, non gli
sembrava vero…
Il
set cinematografico era grande, dispersivo, pieno di gente che andava
avanti e
indietro urlando a gran voce; una signora dall’aria disperata portava
tra le
braccia un lungo vestito rosso da donna pieno di pizzi e merletti, e
gridava:
“Dov’è
la costumista?? La gonna è troppo corta!! Santo cielo!! La gonna
è troppo
corta!! Ingeborg è furiosa!! Furiosa dico!!”
Sano
cercava di avanzare in mezzo a quell’agglomerato di pazzi, confuso e
disorientato;tra tutta quella confusione, in lontananza vide quei due
codini
rosa che ondeggiavano.
Mitsuru
accelerò il passo per raggiungerli, Hitomi lo aspettava in
piedi, accanto ad
una macchina da presa; quando arrivò, la ragazza sorrise:
“Ciao
Mitsuru! Sono contenta di vederti!”
“Ciao”
sussurrò timidamente Sano.
La
ragazza gli porse i guanti: “Grazie davvero, sei stato così
gentile!”
Mitsuru
prese i guanti e se li mise in tasca: “Di nulla!” rispose.
I
due si guardarono per circa cinque minuti, con le mani in tasca, con
sguardo
imbarazzato, nessuno dei due sapeva cosa fare.
“Ti
va di prendere qualcosa da bere?” chiese Hitomi prendendo il coraggio a
quattro
mani.
Sano
non se lo fece chiedere due volte: dopo pochi minuti erano al bar
temporaneo
del set, lei davanti ad un frullato alla fragola, lui davanti a una
cioccolata
calda.
“Questo
posto è leggermente incasinato…” constatò Mitsuru
guardandosi intorno.
Hitomi
giocherellava con uno dei suoi codini, intrecciandolo tra le dita
sottili:
“Beh,
per me non è così terribile…ci sono abituata!”
Sano
era come ipnotizzato dai codini di lei: il modo in cui lei ci
giocherellava,
con quelle dita così affusolate che danzavano tra le ciocche
rosate; i nastrini
rossi che li fermavano, il modo in cui ricadevano sulle sue spalle
minute…
Hitomi
invece guardava Mitsuru attentamente, cercando di afferrare il suo
sguardo
semicoperto dalla folta frangetta.
“Ti
piace fare questo lavoro?” chiese lui, distogliendo a malincuore lo
sguardo dai
capelli di lei.
La
ragazza prese un sorso di frullato: “Si, ma è dura dover
sopportare i capricci
dello scenografo…per me è solo uno sbruffone, pensa di essere
bravo solo lui!!”
sul suo visino comparve una smorfia, poi cambiò discorso “E tu,
cosa fai nella
vita?”
Sano
poggiò la tazza semivuota sul tavolino, sulle sue labbra
spiccavano due baffi
di cioccolato: “Studio all’istituto Hirado, e gioco a calcio nella
squadra
della scuola…spero di diventare un calciatore famoso, un giorno…”
“Che
bello! Che ruolo ricopri in campo?” chiese lei, sgranando gli occhi.
“Faccio
l’attaccante…” rispose Mitsuru, ma venne interrotto dalla risata
argentina di
lei.
“Guardati!
Sei sporco di cioccolato!” d’istinto prese un fazzolettino di carta
“Aspetta
che ti pulisco!”
Sano
fece per indietreggiare, non era abituato a simili confidenze, con una
ragazza,
per giunta, ma quando vide la mano di Hitomi avvicinarsi non
riuscì più a
muovere un muscolo, rimase immobile e si fece docilmente pulire da lei;
il suo
tocco era delicati, i suoi occhi lo fissavano, l’insistenza di quello
sguardo
lo fece tremare.
Alla
fine, Mitsuru si alzò per andare a pagare, voleva fare il
gentiluomo e pagare
anche per lei, ma Hitomi prontamente mostrò un badge al commesso
del bar che si
limitò ad annuire.
“Per
lo staff è tutto gratis, non preoccuparti” lo rassicurò
la ragazza.
Sano
sorrise nervosamente, mentre prendeva il suo giubbino appeso alla
sedia, il
lasciapassare cadde dalla tasca, e il ragazzo si chinò per
raccoglierlo…
STRAAAAAAP
Quel
rumore risuonò nel piccolo bar, tutti si girarono, Hitomi
compresa, e videro l’enorme
strappo sui pantaloni di Mitsuru, all’altezza del sedere; e videro
anche una
parte dei suoi boxer bianchi a righine blu.
Sano
si sentì avvampare. Quei jeans erano davvero troppo stretti.
La
ragazza toccò la spalla di lui: “Ops” mormorò dolcemente,
nessuna vena di
dileggio nella sua voce.
Eppure
l’imbarazzo era tanto, tantissimo. Il povero Sano non sapeva che fare,
non si
era mai trovato in una situazione del genere…
Allora,
fece la cosa che gli riusciva meglio: si mise a correre.
Mitsuru
aveva le ali ai piedi, uscì dal set in quattro e quattr’otto e
si precipitò in
strada; l’aria gelida gli sferzava il volto, la chioma bruna e
selvaggia
garriva al vento.
Dietro
di lui, una voce:
“Mitsuruuuuuu!”
Era
Hitomi, che correva, dietro di lui, in maniche di camicetta si era
immersa nella
gelida Nagasaki invernale per raggiungerlo.
Lui
non voleva che lo raggiungesse, era troppo imbarazzato, era troppo
arrabbiato
di aver fatto una figura da idiota proprio al suo primo appuntamento.
La
ragazza non demordeva, anche il suo corpo esile saettava sul
marciapiede
gelato, era decisa a raggiungerlo.
Sano
si voltò, vide il visetto congestionato di lei che lo stava
raggiungendo, e
quasi inconsciamente rallentò il passo. Anche la ragazza
rallentò, come se lo
avesse letto nel pensiero.
Hitomi
era sempre più vicina a lui…quella corsa stava diventando quasi
un gioco per
entrambi, la corsa quasi disperata si era trasformata in una corsetta
leggera.
Lei
voleva raggiungerlo, e lui voleva farsi raggiungere.