Libri > Twilight
Ricorda la storia  |      
Autore: thefung    22/12/2010    12 recensioni
"23 Dicembre.
Estrema periferia di New York.
Ore 21.20.
-10° Centigradi.
Non una persona in giro, non un'anima viva per le strade solitamente così affollate e caotiche.
Nessuno a parte me."
Un Edward solo, insicuro, con una storia difficile alle spalle, un odio incondizionato per il Natale e nessuno a casa ad attenderlo. Una Bella ingenua, dolce, cliente inaspettata in una notte di fine dicembre.
Non si conoscono, non si sono mai visti prima, ma c'è qualcosa che li lega, che li spinge a confidarsi come mai hanno fatto prima. Sarà il destino? Sarà l'atmosfera natalizia?
No. E' soltanto il bisogno di essere guidati e di guidare qualcuno: la necessità di trovare la propria stella cometa.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan | Coppie: Bella/Edward
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Edward e Bella
.. Come Una Stella Cometa ..

Questa storia è nata da una fantasia che avevo in mente da tempo e che ho messo per iscritto grazie a Mela_ e alla fanfiction che abbiamo provato a scrivere insieme, proprio sulle coppie della saga di Twilight e il Natale.
Di quelle che ho scritto, questo è stata la più importante per me, quella che penso mi abbia rappresentata maggiormente.
La voglio dedicare a tutte voi che state leggendo, a voi a cui piacerà, a voi altre che invece penseranno che è una gran cavolata. A tutti, sicuramente, ma in particolare ad alcune persone: Mela_ e The Red One, le mie ortaggiuzzuole, perché è ormai quasi un anno che ci conosciamo e, nonostante tutti litigi, il bene che vi voglio non è mai scemato, a fallsofarc, la mia autrice preferita, perché grazie a tutte le sue fantastiche ed incredibili storie, ho dei modelli più 'umani' da seguire e grandi sogni nel cuore, e a Funny_lady e vero bigia, perché mi hanno sempre sostenuto e incoraggiato, in ogni mio strambo ed inutile progetto. E non negatelo! XD
Vi auguro di trascorrere un Buon Natale con la vostra famiglia e alle persone che amate!
Buona lettura ^^

Edward POV

23 Dicembre.
Estrema periferia di New York.
Ore 21.20.
-10° Centigradi.
Non una persona in giro, non un'anima viva per le strade solitamente così affollate e caotiche.
Nessuno a parte me.
Sto in piedi dietro il bancone del negozio, in attesa che i minuti scorrano in fretta e che, finalmente, anche io possa tornare a casa mia; sempre che quella topaia in cui vivo possa essere definita tale.
Non vedo che bisogno ci sia di tenere il negozio aperto fino alle 21.30. Con questo freddo, nessuno è in giro, nessuno si riduce a comprare i regali di Natale anche in questo momento. Se qualcuno ne avesse avuto bisogno, l'avrebbe fatto prima, di giorno. Questo è il momento da dedicare alla famiglia, il momento in cui si torna stanchi da una giornata faticosa di lavoro, una tipica serata in cui stare vicino al caminetto con i propri figli attorno, a bere una buona cioccolata calda, per riscaldare corpo e mente.
Eppure io sono costretto a rimanere chiuso qui dentro, a svolgere un lavoro che non è il mio, tra l'altro.
Sono un magazziniere, non un commesso. Il peggio del peggio. E nella mia condizione non posso certo permettermi di insultare e sputtanare il mio capo come invece vorrei. No, nella mia condizione non è concesso, seppure non sia affatto giusto che lui e i suoi altri amichetti 'cassieri laureati' - come tengono sempre a precisare - se ne vadano dalle loro mogliettine lasciandomi qui, solo come un cane.
Prova a muovere quel tuo bel culo da questo negozio prima delle 21.30, e sei licenziato.
Ecco ciò che dice il suo biglietto, scritto frettolosamente su un pezzo di carta riciclata e rigorosamente appiccicato con dello scotch sulla scrivania, proprio perché possa sempre averlo sott'occhio.
Patetico.
Comincio a gironzolare per gli scaffali del negozio, in cerca del mio libro, lasciato da qualche parte, nascosto dietro a cianfrusaglie di ogni genere. Il magazzino in cui lavoro non vende nulla di specifico. Da oggetti per la casa a quadretti da due soldi, da francobolli a uova di Pasqua. In questo periodo è soprattutto specializzato in prodotti natalizi: alberi di natale, presepi, palline colorate, ghirlande, frange decorative, addobbi vari, stelle comete di plastica.
Finalmente scorgo il mio romanzo, dietro ad una grande caraffa graffiata. Salgo su di una scaletta per recuperarlo senza fare danni, quando una voce lontana mi fa voltare la testa verso l'ingresso.
"C-c'è nessuno?", chiede nervosa e perplessa.
Stupito, scendo l'unico gradino su cui ero salito e mi metto a correre per raggiungere il bancone, la mia postazione.
Con il fiatone ed un leggero velo di sudore a bagnarmi la fronte, mi appoggio ansante al tavolo in legno, sollevando la testa per accogliere nel miglior modo possibile il mio inaspettato cliente.
Se prima ero sorpreso, adesso mi posso dire quasi completamente sconvolto.
Di fronte a me non c'è un cliente qualunque, c'è una ragazza. Avrà più o meno la mia età, è stretta nel suo giubbotto imbottito nero, una sciarpa ad avvolgerle il collo e un tenero cappellino di lana a coprire parte dei suoi lunghi capelli color mogano.
Sembra infreddolita e in qualche modo leggermente infastidita. Forse è entrata in questo negozio sperando soltanto di trovare un po' di calore, e il fatto che invece non ce ne sia non le fa molto piacere. Posso capirla, nemmeno uno straccio di riscaldamento decente c'è qui dentro.
"Posso aiutarti?", chiedo gentilmente.
Non appena apro bocca, i suoi occhi si accendono, luccicano, le guance, già arrossate, avvampano ancor di più.
"S-sì...io starei cercando una punta per l'albero di Natale", balbetta nuovamente, nervosa, tirando fuori le mani dalle tasche del giubbotto. Sorrido nel vedere che anche queste sono protette da un paio di guanti, della stessa fantasia del capello e della sciarpa.
"Certo, vieni da questa parte", dico incamminandomi tra gli scaffali.
La conduco verso il reparto addobbi, mostrandole i vari modelli tra cui può scegliere.
"Abbiamo punte di tre tipi: il puntale classico, la stella e la stella cometa.", la informo, aspettando che decida.

 
Il suo sguardo è attento, mentre esamina i modelli che le sto proponendo.
Ad un certo punto, però, solleva lo sguardo, facendomi incrociare ancora una volta quei suoi grandi occhi color cioccolato.
"Tu cosa mi consigli?", chiede.
Io? vorrei domandarle. 
Mi passo una mano tra i capelli, incerto.
"I-io...penso che la stella cometa sia la migliore", sembra una domanda, sono proprio patetico.
La ragazza sorride, mostrando denti bianchi come quelli di un bimbo. "Anche per me", mormora piegando leggermente la testa di lato, come a studiarmi.
Il suo sguardo mi fa sentire...strano, non so decifrarlo.
Sembra una ragazza carina, gentile, è per questo che decido di fare un minimo di conversazione. Non si dica mai che da William's il personale non sia affabile e socievole.
"Un po' tardi per comprare gli addobbi di Natale...", mormoro sperando che non si offenda.
Le sue guance si tingono nuovamente di rosso. E' imbarazzata.
"Sì, in effetti lo è, ma mi riservo sempre l'ultimo momento per comprare la stella. Ne compro una diversa ogni anno, è un'abitudine di famiglia. Sono passata qui qualche giorno fa, a quest'ora con un'amica...e mi sono sorpresa di vedere il negozio aperto...", lascia la frase in sospeso, come a voler chiedere o sottintendere qualcosa.
Mi volto verso di lei, sorridendole amaramente. "Lo sono anch'io, credimi"
Sembra confusa, confusa e curiosa. "Come mai rimani qui fino a quest'ora? Nessuno, a parte una stupida come me, verrebbe in giro di notte a comprare addobbi di Natale", mi chiede appoggiandosi al bancone con i gomiti, prendendosi una liberta in più.
Sono felice che se la sia concessa. Dal modo in cui camminava, balbettava e arrossiva ho capito che è timida e mi dispiaceva che fosse così poco a suo agio.
Il sorriso non abbandona le mie labbra nemmeno quando controllo il prezzo della stella cometa, azionando la cassa.
"Sono 10 $", dico prendendo da sotto il tavolo una busta di plastica.
"Certo...", mormora armeggiando con la borsa per estrarne il portafogli.
Non le devo alcun resto, e questo fa sì che il tempo da trascorrere insieme diminuisca, mano a mano scorra, fino ad azzerarsi.
Perché non voglio che finisca così? Perché voglio trattenerla qui con me?
Quando le porgo la busta, incerto, lei la prende senza esitazione. Forse vuole tornare a casa. Forse non vuole più rimanere qui. Magari tornerà dal suo ragazzo, pronto ad accoglierla con il calore di una casa confortevole e bella.
"Come ti chiami?", chiedo di getto, senza pensarci.
E' sorpresa dalla mia domanda, ma non spaventata. Sembra, anzi, che la cosa le faccia piacere.
"Mi chiamo Bella. E tu?"
"Io sono Edward", rispondo con un mezzo sorriso. So bene che il mio nome è ormai passato di moda da un pezzo, non c'è nessuno a parte me che si chiami così, a parte i vecchietti decrepiti, certo.
Fa un passo indietro, sempre più lontano da me.
"A-aspetta", le dico, in imbarazzo. "Potresti aspettarmi un secondo? Il tempo di chiudere il negozio", le spiego sperando che non mi prenda per un maniaco.
Non controllo nemmeno l'orologio, me ne infischio dell'orario o del capo: ho voglia di andarmene da qui, e se anche perderò il lavoro non mi importa.
Non ora.
Premo velocemente il tasto dell'interruttore per spegnere tutte le lucine colorate all'esterno del negozio, prendo il mazzo di chiavi, la sciarpa e la giacca, senza neanche curarmi di metterla prima di uscire. Non voglio che mi aspetti troppo, non voglio essere motivo di suo ritardo a casa.
All'esterno si gela, completamente. Forti raffiche di vento sembra vogliano graffiarmi, tagliarmi lo strato leggero dei vestiti come fossero lame affilate.
Ormai costretto, infilo la giacca e la sciarpa, beandomi del senso di sollievo che mi donano e, infine, mi abbasso ad abbassare la saracinesca dell'entrata.
Bella non parla, e se non fosse che percepisco la sua presenza a pochi passi da me, potrei dire che se n'è andata, lasciandomi qui, solo.
Non appena ho terminato l'operazione, l'affianco. Ha la testa alzata verso l'alto, gli occhi puntati verso il cielo scuro, un immenso manto nero da cui scendono fiocchi di neve bianca, come piccoli e numerosi meteoriti.
Che stupido, penso, non me ne sono nemmeno accorto.
Automaticamente, mi ritrovo anche io con gli occhi al cielo, osservando ogni piccolo pezzetto di ghiaccio, chiedendomi se ognuno di essi, sin da quando viene creato, sa già quale deve essere la sua fine, se tutti dovranno finire sciolti al suolo oppure se qualcuno continuerà a rimanere nell'aria che respiriamo.
Pensieri stupidi, patetici, come qualsiasi cosa prodotta dalla mia testa.
"Quando ero piccola", prorompe Bella, "speravo sempre che il giorno di Natale nevicasse, così che, dopo il pranzo con tutta la famiglia, potessi scendere in giardino a giocare con la neve fresca fino a sera, senza mai stancarmi"
Sorrido ancora alle sue parole. E' tenera, proprio come è dolce ciò che sta dicendo.
Vorrei poterle dire che anche io da bambino amavo il Natale, amavo stare attorno alla tavola imbanditata del cenone aspettando con ansia il momento di andare a letto, per sentire poi i passi pesanti di Babbo Natale nel salotto, proprio accanto alla mia stanzetta. Vorrei poterle dire che la mattina, quando mi svegliavo, correvo sempre sotto l'albero di Natale a guardare i doni ricevuti, che ero felice e sorridevo con i miei genitori, osservando la neve scendere lenta, imbiancando i tetti delle case vicine.
Vorrei, ma non starei dicendo la verità. Starei raccontando una storia non mia, il frutto di una fantasia per anni sperata, ma mai, mai ottenuta.
"Non ti piace il Natale", non è una domanda la sua, è una semplice affermazione, neutra, come fosse la cosa più normale del mondo.
Mi volto verso di lei, ancora una volta. "Come fai a dirlo?"
Fa un mezzo sorriso, mostrando una piccola fossetta vicino all'estremità destra delle labbra. "E' come se ce l'avessi scritto in fronte. Solitamente quando si chiede un parere per gli addobbi di Natale, i commessi ti dicono ciò che hanno preso loro, non ciò che pensano sia meglio", afferma convinta.
"Io non sono un commesso, sono un magazziniere", dico pur sapendo che alla fine la cosa non cambia.
Il suo sorriso diviene divertito. "Be', commesso o no, mi avresti dovuto dire ciò che hai in casa. E dato che non l'hai fatto, deduco che tu non abbia una stella cometa sul tuo albero di Natale"
Il mio volto adesso è serio, senza un'ombra di divertimento. "Io non ho un albero di Natale, non ho un presepe...io...non amo il Natale"
So bene che questo è riduttivo, un eufemismo. Io odio il Natale. Ogni volta che questa festa si avvicina riesco già a percepire un antico dolore farsi strada in me, come a volermi soffocare.
Anche Bella rimane in silenzio, mi fissa, mi studia. Proprio come ha sempre fatto da quando ci siamo visti per la prima volta.
"Vieni a casa mia"
Aggrotto le sopracciglia. E' un invito.
Capisce subito la mia perplessità e un nuovo sorriso affiora sulle sue labbra rosse. "Sì, vieni a casa mia. Sempre che tu non abbia già qualcosa da fare", precisa.
Scuoto la testa. "No, non ho nulla da fare"
"Splendido allora! Però devo chiederti un piccolo favore. Potresti per caso accompagnarmi?", chiede gentile, senza pretendere nulla.
"Certo, è il minimo che possa fare", acconsento, cominciando a camminare lentamente verso l'auto, l'unica cosa decente che ho.
I marciapiedi deserti sono ricoperti da un sottile strado di neve candida che, man mano che passano i minuti, aumenta di altezza.
Nessuno parla e, anche quando arriviamo alla macchina, Bella si limita ad un sorriso. Durante il tragitto mi fornisce indicazioni circa la sua casa, ma niente di più.
Il suo odore nell'abitacolo è ancora più forte, mi inebria e mi stordisce, talmente è buono. Non posso però fare a meno di pensare che si sia pentita di avermi invitato, che abbia di meglio da fare, qualcuno di meglio con cui parlare.
"Forse è il caso che io torni a casa", sussurro parcheggiando davanti al vialetto di fronte alla sua abitazione.
Si gira immediatamente, piantando i suoi occhi castani nei miei. "No.", afferma decisa. "Vieni con me"
Con un leggero sorriso, scendo dall'auto e la osservo cercare nella borsa le chiavi, proprio come prima aveva fatto con il portafogli.
E' buffa e tenera, così spazientita da quel mazzo che sembra essersi volatilizzato. Finalmente lo estrae con un sorriso vittorioso, e lo infila nella toppa con decisione.
Nel suo condominio c'è finalmente caldo. Si sta bene.
All'ingresso, proprio vicino all'ascensore su cui stiamo per salire, c'è un grande albero di Natale, decorato con palline rosse e dorate. E' molto bello.
Saliamo in silenzio i primi tre piani, poi l'ascensore si ferma con un trillo, avvisandoci del nostro arrivo.
Bella sembra leggermente imbarazzata quando varchiamo la soglia del suo appartamento.
Appena entrata, accende la luce, permettendomi di osservare lo spazio attorno a me. Le pareti del salotto sono bianche, illuminate da quella luce soffusa e tenue proveniente dal soffitto che le rende leggermente giallastre, calde. Tutto in questa casa sembra emanare calore: dai quadretti ai divani blu scuro, intonati con le palline colorate e gli addobbi sparsi per tutte le stanze che riesco a raggiungere con lo sguardo. Ogni cosa urla che il Natale è vicino, ogni cosa testimonia l'amore che la padrona - o i padroni - prova per questa festa.
"Vieni, togliti pure la giacca. Qui dovresti stare bene"
Solo in questo momento mi accorgo di essere stato fin troppo invadente. Ho fissato la sua casa senza ritegno, che maleducato.
La guardo, sperando che non si sia offesa per il mio comportamento. "Grazie, qui si sta benissimo"
Mi tolgo il cappotto con movimenti studiati, osservandola senza più guanti, sciarpa, giubbotto e cappello.
Ha un maglioncino rosso, con scollo a V e dei jeans chiari di cui prima non mi ero nemmeno accorto. E' ancora più carina così.
Appende gli indumenti ad un attaccapanni di legno, poi domanda gentile e cortese: "Vuoi una cioccolata calda?"
Chiede sempre a me prima di esprimere il suo parere, quello che in realtà vorrebbe. Perché si comporta così? A stento sa il mio nome...
"Se non ti crea problemi...", mormoro a disagio, non sapendo cosa fare, lì, in piedi davanti all'ingresso di casa. Mi sento un estraneo, completamente fuori posto. E se da un momento all'altro spuntasse da una porta sua madre? O sua sorella? O il suo...fidanzato?
Mi sorride, serena e tranquilla come sempre. "Certo che non mi crea problemi", risponde con semplicità, accendendo la luce di un'altra stanzetta - la cucina - alla nostra destra. E' piccola, forse un po' disordinata, ma non per questo sporca. 
"Siediti pure", mi invita nuovamente, indicando le sedie spaiate poste al centro, attorno ad un tavolo in legno di forma rettangolare.
Faccio come mi dice, meccanicamente, studiandola.
Si abbassa verso uno dei cassetti per tirarvi fuori un pentolino in acciaio, lo appoggia sul ripiano e si dirige verso il frigorifero. Tira fuori una bottiglia di latte fresco ancora integro e una barretta di cioccolato fondente.
Osservo ogni sua mossa, incantato da quelli che dovrebbero essere gesti quotidiani, normali.
Non appena ha messo il latte a cuocere sul fornello, appoggia due tazze colorate accanto a me, sul tavolo, e, prendendo il cioccolato tra le mani, ne spezza due cubetti, uno per me e uno per lei.
Si accorge del mio sguardo attento e, fraintendendolo, mi sorride imbarazzata. "So che la cioccolata dovrebbe essere fatta con il cacao, ma questa è una mia variante: latte caldo con il cioccolato.", spiega tenendo gli occhi bassi.
"Oh, non ti devi preoccupare!", esclamo immediatamente, come un riflesso automatico che mi spinge a rassicurarla, sempre e comunque. "Mi piace il cioccolato", continuo sorridendo.
"Anche a me, soprattutto quello al latte...o quello bianco! Peccato che li abbia finiti entrambi da poco, perciò mi rimane soltanto questo", mormora sconsolata sporgendo il labbro inferiore.
"Ti stai facendo troppi problemi, Bella. Io... forse non dovrei nemmeno essere qui, in questo momento", i miei occhi si abbassano involontariamente, per paura di una conferma nel suo sguardo. Per paura di vedere nei suoi occhi castani ciò che penso e che mi preoccupa enormemente.
"Ma cosa dici, Edward?", esclama con foga. La sento avvicinarsi, ma nonostante questo la mia testa rimane chinata. "Sono stata io ad invitarti, ricordi? In caso dovresti essere tu a non volermi, potrei sembrarti una pazza", mi sussurra da vicino. Sento il suo respiro arrivarmi ai capelli, inebriarli di quella fragranza dolce e materna che mi ha subito attirato.
Finalmente ho il coraggio di alzare la testa, giusto in tempo per bearmi di quello spettacolo che è il suo sorriso. Mi passa la punta delle dita sul ciuffo ribelle che mi è appena caduto davanti agli occhi, prima di voltarsi nella direzione opposta e spegnere il gas.
Prende poi il pentolino con una presina verde e versa il latte caldo in entrambe le tazze.
Osservo il liquido bianco che si mescola con il cioccolato, creando un gioco di colori e di forme particolari. Uno spettacolo che non ho mai visto.
"Ehi, ti sei incantato?", mi richiama con un risolino.
Ridacchio in risposta, mentre mi alzo dalla sedia e prendo tra le mani la tazza contenente il latte fumante.
Ci dirigiamo verso il salotto con passi lenti e calcolati, per paura di versare la bevanda bollente sul parquet dell'ingresso.
Imitandola, appoggio momentaneamente il bicchiere sul tavolino di vetro di fronte al primo divano, e mi ci siedo rigido.
In tanti nella mia vita mi hanno fatto pesare tutto, mi hanno fatto credere che ogni cosa io toccassi o facessi fosse contaminata, sporca, indegna, per questo non mi sento a mio agio nello sfruttare cose altrui.
La osservo mentre si accoccola sul bracciolo blu scuro, il corpo rannicchiato come fosse un koala. Un dolcissimo, tenero, adorabile koala.
"Cosa farai per Natale?", chiede dopo aver bevuto un sorso del suo latte caldo.
Le mie mani stringono la presa sulla tazza, ma mi limito ad un'alzata di spalle, come se parlassi di banalità. "Penso che prenderò un sonnifero e mi metterò a letto", rispondo semplicemente, gli occhi fissi sulla sfilza di libri nei suoi scaffali.
"Cosa?", esclama aprendo la bocca, incredula.
Sorrido mesto e ribadisco ciò che le ho appena detto. "Sì, è così."
"M-ma, Edward...perché? Capisco che non ti piace come festa, ma mi sembra un comportamento eccessivo", biascica sbattendo le palpebre.
"Perché non ho niente da festeggiare", ecco la mia brillante risposta, davvero degna di un premio nobel.
"Come non hai niente da festeggiare?!", si anima immediatamente, mettendosi dritta con la schiena e voltandosi verso di me. "Il Natale è la festa più bella che ci sia al mondo! Si festeggia la nascita di Gesù, la vita, è come un secondo compleanno! Bisogna stare con i genitori, le sorelle, gli zii...tutta la famiglia!", esclama concitata e con le pupille dilatate.
"Io non ce l'ho una famiglia", ribatto amaro. "E non voglio festeggiare un qualcosa che per me non è una festa, ma, bensì, l'anniversario della fine di tutto"
"Oh."
Mi volto a guardare la sua reazione ed è proprio come mi aspettavo: la bocca a formare una O muta, gli occhi tristi e curiosi. Non sa cosa dire, è ovvio, non se l'aspettava.
"Ti va di raccontarmi?", chiede con un filo di voce.
Sarebbe la prima. La prima a cui racconto tutto quanto, la prima che vuole sapere tutto quanto, il motivo perché sono diventato come sono. E' la prima ed è una sconosciuta. Non sa nulla di me, ma mi vuole conoscere, è la prima ad aver dimostrato un interesse per me, per il mio stato d'animo.
"Avevo sette anni e vivevo con i miei genitori nel centro di Chicago", i miei occhi si perdono nei ricordi: non sono più in quella stanza calda, con quella dolce ragazza, ma ritornano nelle strade affollate e piene di vita della mia città natale mentre la neve cade fitta.
"Ero figlio unico, amato, viziato e coccolato a dismisura da mamma e papà. Qualsiasi cosa volessi, loro subito mi accontentavano senza fiatare. E' proprio così che fecero quella sera, la vigilia di Natale.", sospiro, mentre altre immagini mi affollano la mente. "Essendo impegnatissimi con il lavoro, non avevano avuto tempo di comprare un albero di Natale, ma io lo desideravo, lo pretendevo, anzi. Perciò presero la macchina e mi lasciarono solo in casa con l'intento di andare a prenderne uno e tornare entro pochi minuti.", mentre parlo, chiudo gli occhi.
"Passava il tempo, inesorabile, e loro ancora non tornavano. Immaginavo che avessero avuto un contrattempo ma che sarebbero stati lì con me entro poco. Quello che non sapevo, invece, era che non sarebbero tornati affatto", ciò che sto dicendo penetra nella mia testa con sempre maggiore consapevolezza, con maggiore senso di colpa dato che è a causa mia che la loro vita si è fermata.
Sento un sospiro mozzato da parte di Bella non appena comprende appieno il significato delle mie parole, ma non mi fermo. Voglio farlo per bene, adesso che ci sono. Voglio ricordarli, voglio ricordare a me stesso ancora una volta quanto sono stato stupido ed incosciente.
"Ho ricordi molto sfocati da quel momento. Ricordo che arrivò mia zia in tutta fretta: piangeva. Le chiedevo in continuazione dove fossero mamma e papà, ma lei non mi diede alcuna spiegazione, anzi, prese qualche mio vestito e mi portò a casa sua. Una volta lì mi raccontò la terribile verità. I miei genitori, con l'intento di fare presto per tornare da me, avevano avuto un incidente stradale dal quale erano usciti morti. Alla notizia non reagii così male: era Natale, entro poco il mio adorato Babbo sarebbe passato dal caminetto e li avrebbe riportati.", scuoto la testa ripensando a quanto ero ingenuo.
"Scrissi la lettera, la sistemai felice sotto l'albero della zia e andai a dormire tranquillo, incurante delle lacrime sue e dello zio. La mattina seguente non trovai nessuno nel salotto, soltanto i giocattoli che avevo chiesto in precedenza. La letterina, in compenso, era sparita.
"Mi trasferii da mia zia, cambiai scuola e quartiere. Sentivo costantemente la mancanza dei miei genitori e ogni anno chiedevo a Babbo Natale che me li resituisse."
Apro gli occhi un attimo, giusto per vedere il suo volto. E' attenta, colpita dal mio racconto probabilmente, dalla mia enorme stupidità. Forse si sta rendendo conto di che mostro è seduto sul suo divano, in casa sua.
"Come però immaginerai, il mio desiderio non è mai stato esaudito e, anno dopo anno, il mio rapporto con il Natale è divenuto sempre più triste, rabbioso, quasi feroce. Riuscii a darmi un po' di pace soltanto quando i miei zii si decisero a dirmi che Babbo Natale non esisteva e che quindi i miei genitori non sarebbero mai più tornati"
"Come mai adesso non vivi con loro?", domanda Bella con voce piccola, leggermente roca.
"Ho abitato da loro fino all'ultimo anno di liceo, poi mi sono trasferito qui a New York, convinto di avere molte più possibilità, di trovare un lavoro che riuscisse a mantenermi sia la retta universitaria che l'affitto. Ero molto bravo a scuola, motivato e costante. Mi sarebbe piaciuto laurearmi, ma nessuno era disposto a darmi un lavoro. A parte William's, dove lavoro come magazziniere ad uno stipendio con cui a stento riesco a comprare da mangiare.", mormoro, vergognandomi sempre di più.
Non ho più altro da dire, il mio racconto è terminato con questo filo precario e traballante che è la mia vita, il mio adesso
Fisso la tazza di latte appoggiata sulle mie gambe. Ormai il latte si è raffreddato e tutto il cioccolato sciolto e risalito sulla superficie, formando uno strato marrone denso e uniforme.
"Mi dispiace moltissimo. So che può sembrarti banale quello che sto dicendo, ma è la verità", mormora con voce intrisa di emozione.
Si mette in ginocchio sul divano ed appoggia la sua tazza semivuota sul tavolino di vetro, prima di avvicinarsi a me, cauta e attenta.
Il suo profumo è ancora più vicino, è buono, caldo, mi rassicura.
"Edward... non appena ti ho visto al negozio, solo e con quell'espressione triste... mi è venuto come un istinto, un qualcosa che nemmeno io ti so spiegare. So solo che ho voluto invitarti a casa mia, nonostante di te conoscessi soltanto il nome. Edward...", i suoi occhi color cioccolato si fanno più intensi, si riempiono di lacrime agli angoli.
"Adesso che so la tua storia, posso dirti con certezza che non è colpa tua. Che tante persone care se ne vanno troppo presto dalla nostra vita ma non è a causa tua: che tutto è già stato scritto e non ti devi crogiolare nel dolore... sei un ragazzo splendido, sia dentro che fuori, devi solo riuscire a ricominciare, a farti... guidare"
Fisso i suoi occhi, la sua pelle candida, le piccole e leggere letiniggini, le sue labbra rosse che si avvicinano sempre di più a me, che improvvisamente sento sulle mie calde e profumate. Mi sta baciando. Mi sta dando il mio primo bacio.
Senza neanche rendermene conto, chiudo gli occhi e mi beo di questo contatto, mi beo di lei che mi ha trovato in una gelida notte di dicembre, che mi ha accolto in casa sua senza sapere nulla di me, che mi ha ascoltato...
Si stacca lentamente dalla mia bocca e apre nuovamente le palpebre mentre piccole e calde lacrime scendono copiose sulle sue guance.
"Tu sei come una stella cometa, Edward. Sei una luce nella notte, sei una cosa che capita una sola volta nella vita... e ti ringrazio per esserci, ti ringrazio di esserti affacciato nella mia quotidianità."
Non riesco a capire le sue parole. Lei non mi deve assolutamente niente, nulla di nulla. "Bella, ma cosa dici? Tu...non devi ringraziarmi.", mormoro scacciando dal suo viso le ultime lacrime con le dita.
"E' grazie solo a persone come te che si capisce il reale senso della vita, del destino... questa è la magia del Natale, Edward. Ha fatto sì che noi due ci incontrassimo, e io non ti voglio lasciare"
Mi sento felice. Felice come non lo sono da tanti, tantissimi anni. Mi sento come quando ero piccolo, con i miei genitori attorno a me. Mi sento felice ed amato, amato come per la prima volta.
"Ti prego, vieni da me domani sera. Festeggeremo il Natale insieme: io, te e la mia famiglia.", propone accarezzandomi il viso con i polpastrelli. "Non devi nasconderti, Edward. Non voglio che tu stia a letto anche quest'anno."
Sento gli occhi pizzicare, segno che le lacrime si sono fermate agli angoli. Sono queste le lacrime più significative, quelle più vere. Quelle che non vogliono scendere e scorrere, ma quelle che vogliono rimanere lì, una prova concreta di quello che sta succedendo.
"Sì", rispondo col fiato corto, avvicinandomi e catturando le sue labbra con le mie in un bacio veloce che sa delle nostre lacrime. "Sì", dico di nuovo, aprendomi in uno dei più sinceri sorrisi che abbia mai fatto.
Non sto mentendo, domani verrò davvero. Per festeggiare, con lei.
Perché in realtà è lei la mia stella cometa, è lei la mia guida, la mia luce nella notte.

E io non voglio perderla. No.
Non ora. Non adesso che finalmente l'ho trovata.


Non vedevate l'ora che finisse, vero? XD
A parte gli scherzi, spero davvero che vi sia piaciuta! La neve di questi giorni mi ha aiutato molto a scrivere (adesso capirete perché a volte non aggiornavo in orario Missione d'Amore e Your Guardian Angel XD), ma devo dire che immedesimarmi nei due personaggi non è stato affatto difficile. Li ho sentiti dentro di me da subito, quando all'inizio della stagione natalizia mi incantavo a guardare le lucine colorate dei negozi e delle case. ^^
Vi prego di lasciare una recensione, anche una piccola piccola, giusto per sapere se vi è piaciuta o no.
Un grande bacio a tutte!
Tantissimi auguri di Buon Natale,
vostra Ele

 
   
 
Leggi le 12 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Twilight / Vai alla pagina dell'autore: thefung