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Autore: LadyMorgan    22/12/2010    2 recensioni
[...] Eppure…
C’era stato qualcosa, in quelle iridi scure, che gli aveva fatto abbassare le difese.
E non pensava fosse il fascino, sebbene da persona oggettiva non potesse negare che tutto, in quello strano ragazzo, gridasse ‘affascinante’.
No, era l’espressione. L’espressione di chi vede una situazione difficile e chiede la possibilità di capirla per poter aiutare, non quella di un vano pettegolo in cerca di qualche nuovo spunto, qualche nova storia da discutere.
Si passò una mano sugli occhi, cercando di capire cosa, in quello sguardo, lo avesse fatto sentire così assolutamente sicuro, così totalmente certo che tutto quello che Gellert Grindelwald gli proponeva era simpatia, e non curiosità. [...]

Seguito di "Acosmìa", le riflessioni di Albus dopo uno degli incontri più sconvolgenti della sua vita, e come si inserivano nel suo travagliato contesto familiare.
Terza storia del pacchetto di Natale.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Albus Silente, Altro personaggio, Gellert Grindelwald
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
- Questa storia fa parte della serie 'For the Greater Good'
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Nota: questa storia è da considerarsi il seguito di un’altra mia fiction, “Acosmìa”; personalmente credo si possa leggere anche senza conoscere l’altra, ma alcuni riferimenti potrebbero risultare poco chiari.

 

 

Tαραχή

Una pioggerella sottile cadeva placidamente dal cielo, inzuppando lentamente ma senza pietà ogni soggetto tanto incauto da uscire.

Attraverso le nuvole, verso ovest, filtrava ancora una lama di luce che, invece di illuminare, sembrava solamente ingrigire tutto il paesaggio, composto principalmente da piccoli cottage e sterminati campi.

Una figura, una sola, camminava in mezzo a quella pioggia, ma sembrava non farci caso.

La sua testa era per metà abbassata, i suoi passi lunghi ma lenti e scostanti, e il movimento delle mani indicava una certa agitazione nervosa.

Per la verità, il ragazzo – il viso infatti non dimostrava più di diciotto anni – non era nervoso. Era frastornato. Confuso. Stordito, persino, da quanto era successo quel pomeriggio.

Gli fosse piovuta in testa una foca in abito monacale non si sarebbe sentito più scombussolato, e il fatto di non riuscire ad isolare la causa di questo sentimento lo irritava e sconvolgeva ancora più a fondo.

Arrivò a una delle ultime case senza smettere di tenere gli occhi bassi, ed aprì la porta.

«Ah, qualcuno si è deciso ad arrivare, alla fine» lo accolse una voce brusca da una stanza vicina.

Il ragazzo chiuse delicatamente la porta dietro di sé e vi si appoggiò contro, portandosi una mano gelida alla fronte.

«Vediamo se noti cosa di c’è sbagliato in questa vignetta» riprese la voce, pesantemente sarcastica. «Esatto, l’ora. Albus, porco Merlino, sono le otto passate!»

Un ragazzino sui quindici-sedici anni, dai corti capelli rossicci e gli occhi azzurri straordinariamente furiosi entrò nell’ingresso con passo bellicoso. «Mi spieghi dove diavolo sei stato fin’ora?» gli disse puntandogli un dito contro, accusatore. «Non avevi detto “Vado solo a salutare nostra madre, sarò di ritorno prima di cena”?! Sì, certo…» Per la prima volta, parve accorgersi dello sguardo assente, degli occhi stranamente brillanti, del curioso sorriso che incurvava le labbra del fratello. «Cos’è successo?» chiese aspramente.

La domanda parve fare in qualche modo breccia nel cervello di Albus, mentre questi, con un immane sforzo di volontà, si ricatapultava nel piccolo ingresso quasi senza mobili della sua casa, e riportava il suo sguardo in quello aggressivo del fratello.

«Scusa, Ab» disse con la voce stranamente rotta, decidendosi finalmente a guardarlo negli occhi. «Che cosa stavi dicendo?»

L’altro spalancò la bocca, indignato e furente, e gli sputò contro: «Che cosa…? Albus, hai ascoltato almeno mezza parola di quello che ti ho detto?!»

«Ab…» cominciò Albus con le mani alzate in segno di pace.

«E piantala con i tuoi ridicoli “Ab”! Ti sei dimenticato di Ariana? Lo sai che le piace che ci siamo tutti e due quando va a letto, Merlino solo sa perché ma vuole vederci entrambi…»

Con una veloce manovra mentale, Albus sradicò l’irritazione che le parole del fratello gli provocavano. «Ab, davvero, mi dispiace, stavo solo…»

«Sì, certo, ti dispiace, come no» ritorse l’altro guardandolo con un rabbioso cipiglio. «Senz’altro ti è dispiaciuto un sacco non passare il pomeriggio con la tua povera famiglia di inetti e di rimanere invece a tu per tu con il tuo brillante cervello, vero?»

«Abeforth.» La voce era tranquilla e lo sguardo neutro, ma il ragazzino si zittì all’istante, pur senza smettere di guardarlo rabbioso. «Ti ho già detto che mi dispiace, credo» proseguì senza nessuna inflessione. «Stavo per tornare a casa, poco dopo essere uscito dal cimitero, quando la signora Bath mi ha chiamato. Immagino capirai che, viste le circostanze, non rispondere sarebbe stato quanto mai maleducato.»

Abeforth alzò gli occhi al cielo, esasperato. «Educazione, educazione! È sempre una questione di apparire e fare bella figura per te, vero?»

«Vorrei… davvero vorrei, Ab… poter dire lo stesso di te, almeno qualche volta» rispose Albus, sempre con quella calma esasperante. «Puoi credermi se ti dico che ti aiuterebbe notevolmente imparare ad esercitare un po’ di autocontrollo.»

«Ma va all’inferno tu e tutto il tuo autocontrollo!» gli sputò contro Abeforth, colorandosi in viso. «A cosa diavolo ti è servito, eh, ieri, per esempio, quando Ariana ha fatto esplodere quella finestra?! E…»

«Mi è servito a non mettermi ad urlare, Ab» replicò l’altro con studiata leggerezza, togliendosi finalmente il mantello. «Cosa che, mi permetterei di rimarcare, è quanto viene più spontaneo a te.»

Nessuno avrebbe mai potuto dire che Abeforth Silente non era affezionato alla sua famiglia. Per quel poco che lo aveva conosciuto, aveva amato e ammirato suo padre, e ne aveva condiviso appieno il desiderio di vendetta e il successivo silenzio che lo avevano condotto ad Azkaban; aveva rispettato ed aiutato la madre al meglio delle sue forze, cercando sempre di farle piacere e di sollevarla, ove possibile, dal gravoso compito di badare alla sorella; e neppure la mente più crudele poteva negare la sua fedeltà e il suo affetto per la piccola Ariana.

Ma, se c’era una cosa che gli aveva sempre – sempre – fatto perdere il lume della ragione, quella cosa era suo fratello. Particolarmente quando metteva su quell’aria supponente da essere superiore, con quella voce pigra e morbida che gli dava, implicitamente e senza mai doverlo chiarificare, dell’isterico, dell’infantile o dell’esagerato.

Abeforth Silente amava molto la sua famiglia. Ma a volte avrebbe davvero voluto che suo fratello non ne facesse parte.

«Spero che un giorno ti ci strozzi, con quel tuo dannato autocontrollo e educazione e arie da damerino che metti su ogni volta!» sibilò, la voce bassa e irosa. «Sì, e spero di poter essere lì a guardarti quando succederà…»

«Mi premurerò di mandarti un biglietto con l’orario e la data» gli rispose Albus appendendo con gesti lenti e calcolati il mantello all’attaccapanni a muro e voltandosi di nuovo a guardarlo.

«Tu…» Abeforth fece un profondo respiro e strinse i pugni. «Va all’Inferno, non me ne frega un dannato accidenti di cosa puoi fare o non fare, ma va su da Ariana e dalle la buonanotte, era praticamente in lacrime quando non ti ha visto…» La voce quasi gli si spezzò al ricordo di quel momento. Con un ultimo sguardo rancoroso, il ragazzino girò sui tacchi e uscì dalla stanza, lasciando da solo il fratello.

Albus si portò un pugno alla fronte, con una certa violenza in discreto contrasto con tutto il suo panegirico sull’autocontrollo di poco prima.

Non sarebbe dovuto scattare così, e lo sapeva. Abeforth era solo preoccupato per Ariana, niente di più. Era sua sorella e gli voleva bene, e quindi era iperconcentrato su tutto ciò che poteva ferirla… comprese le sue assenze ad orari impropri.

Era stato quanto mai sciocco, e sconsiderato, e infantile ribattere a quel modo. Suo fratello non se lo meritava, già cercava di caricarsi di pesi non suoi…

Ma neppure miei. Di nuovo, scacciò con fastidio quel pensiero. In quanto maggiore, era sua responsabilità prendere sulle spalle la sua famiglia. Avrebbe fatto meglio a convincersene subito, senza sprecare altro tempo dietro inutili sogni.

«… Tu sei nato per brillare, Albus, sei sprecato come baby-sitter…»

Sobbalzò mentre la voce dal leggero accento di quel ragazzo che aveva incontrato neppure due ore prima gli rimbombava nelle orecchie.

Riportando prepotentemente in evidenza tutte le – numerose – ragioni per cui si sentiva stranamente fuori di sé.

Non aveva mai parlato così in vita sua.

Non si era mai permesso di lasciarsi andare tanto da parlare di suoi affari personali con qualcuno, chiunque esso fosse.

Non che non avesse ricevuto diverse domande di natura personale, specie al primo anno, riguardo alla sua famiglia, a cosa si provasse ad avere un Mago Oscuro – quanto erano sciocchi… – per padre.

Era abituato a ragazzini che cercavano di indagare sull’origine dei suoi poteri, e ancora di più sulla sua situazione famigliare, forse cercando di trovare un qualche appiglio a cui aggrapparsi per poterlo attaccare.

Non aveva mai detto a nessuno la verità sulla sua famiglia.

La verità era un potere con cui non poteva permettersi di giocare, perché avrebbe fornito un’arma di notevole entità contro tutta la sua vita, contro suo fratello, contro sua madre… era qualcosa che andava custodito gelosamente, come il più prezioso dei tesori.

Eppure…

C’era stato qualcosa, in quelle iridi scure, che gli aveva fatto abbassare le difese.

E non pensava fosse il fascino, sebbene da persona oggettiva non potesse negare che tutto, in quello strano ragazzo, gridasse ‘affascinante’.

No, era l’espressione. L’espressione di chi vede una situazione difficile e chiede la possibilità di capirla per poter aiutare, non quella di un vano pettegolo in cerca di qualche nuovo spunto, qualche nova storia da discutere.

Si passò una mano sugli occhi, cercando di capire cosa, in quello sguardo, lo avesse fatto sentire così assolutamente sicuro, così totalmente certo che tutto quello che Gellert Grindelwald gli proponeva era simpatia, e non curiosità.

Non era convinto della risposta. Sapeva che fin da quando aveva cominciato a parlare si era sentito scombussolato. Era incredibile quanto potere avesse la sua voce, quanta espressività i suoi occhi… e quanta sicurezza personale determinasse tutto questo. Non era rimasto minimamente intimidito, come solitamente accadeva, quando la signora Bath aveva cominciato ad elencare i suoi premi, per quanto potesse riconoscersi senza timori di finire nella vanità che erano numerosi e ragguardevoli. Gli aveva mostrato subito un desiderio di intesa considerato assolutamente scontato, come se non avesse mai soppesato l’ipotesi che lui non richiedesse, o non desiderasse, la sua amicizia.

Era sembrato quasi una conclusione alla loro presentazione spiegargli la sua situazione.

Perché Gellert non gli aveva chiesto se si sentisse bene o se volesse aiuto, come talvolta faceva Elphias – povero Elphias! sempre in cerca di un nuovo modo per sentirsi degno della sua amicizia – ma semplicemente gli aveva chiesto per quali ragioni si sentisse così… frustrato. Inquieto. Disperato. Non aveva avuto bisogno che Albus gli dicesse come si sentiva, l’aveva capito quasi per istinto, a dispetto il muro che questi era solito porre fra sé e il mondo esterno. Gli aveva chiesto perché, non cosa.

C’era qualcosa di stranamente rigenerante nel non dover spiegare come si sentiva, ma solo perché. Era quasi… confortante. Come se, dopo aver passato un’intera vita ad urlare in una stanza piena di persone senza che nessuna si preoccupasse di notarlo, qualcuno fosse venuto da lui e gliene avesse chiesto il motivo, per aiutarlo.

Chiuse gli occhi e li strinse forte, mentre cercava di mettere ordine nel caos della sua testa.

Ariana… gli suggerì una voce straordinariamente simile a quella di Abeforth.

Con un subitaneo senso di colpa, si staccò dalla porta e si diresse verso le scale, soppesando attentamente ogni passo.

Il senso di responsabilità lo aiutò a controllare i suoi pensieri; in quel momento non aveva tempo per riflessioni e autoanalisi, c’era ancora la sua sorellina da accudire… e lui l’aveva trascurata già abbastanza, per quel giorno.

Si costrinse a raccogliere tutte le sue considerazioni, tutte le sue inquietudini, tutte le sue teorie, in un unico blocco e lo chiuse a chiave in cassetto della sua mente.

Poi, stando bene attento a non fare rumore, aprì la porta della camera di Ariana e vi entrò a passo felpato.

Un carillon in un angolo rilasciava una debole melodia, e gli scuri erano stati lasciati aperti in modo che la luce della luna si riflettesse sul viso pallido di una bambina di circa quattordici anni dagli occhi chiusi e l’espressione infelice.

Con un veloce e del tutto silenzioso guizzo della bacchetta, Albus ricaricò il carillon, che riprese a suonare la sua ninnananna.

Se c’era una cosa che Ariana aveva sempre apprezzato era la musica. Era la sua unica oasi di pace, ora. Non riusciva mai a dormire senza musica, e gli unici momenti in cui riusciva a sembrare ancora una bambina sana e felice erano quando si sedeva al piccolo pianoforte verticale del loro salotto e cominciava ad eseguire le melodie strampalate ma stranamente armoniose che il suo universo privato le suggeriva.

In questo – solo in questo, forse – era come Albus. Abeforth non amava particolarmente la musica, la riteneva parte della sua vita perché faceva stare meglio Ariana, ma non sarebbe mai andato indipendentemente a cercarla. Albus invece condivideva la sensazione di pace che le antiche note ispiravano con la sorellina, e aveva un occhio infallibile per trovare le melodie che la avrebbero più verosimilmente calmata, o rallegrata, o emozionata.

Il carillon era un regalo suo, opportunamente modificato per suonare in base al momento.

Sorrise appena mentre guardava l’oggetto. Non era ancora un genio quando aveva modificato il suo funzionamento, aveva circa quattordici anni: ma quando, durante una visita ad Hogsemade, aveva visto in quella bancarella malandata e sconosciuta quel bellissimo oggettino aveva immediatamente pensato alla sorella – perché, qualunque cosa ne potesse dire Abeforth, lui era sinceramente affezionato ad Ariana. Aveva persino rinunciato ad un libro per comprarlo, e una volta a scuola ne aveva modificato il meccanismo in modo che di notte producesse solo ninnananne e di giorno solo musichette allegre, come sapeva piacevano alla sorellina.

«Albus?» Si girò vero la figurina minuta sul letto, che aveva spalancato due profondi occhioni celesti – grandi, quasi troppo grandi per quel volto magro dall’ossatura delicata.

«Ciao, piccolina» mormorò chinandosi su di lei e baciandole la fronte.

«Albus!» Stavolta, nella voce sottile c’era una decisa nota di contentezza.

Le accarezzò dolcemente i capelli biondi, sottili come fili di luna e altrettanto pallidi.

Fu quanto mai sorpreso di trovarsi intento a pensare ai dorati raggi del sole, e alla loro forza.

Quasi sobbalzò per i suoi pensieri.

«Hai passato una bella serata, piccola?» le chiese con perfetta affettuosità, girando un’altra volta la chiave nel cassetto dei suoi pensieri.

Una manina esile gli strinse appena il polso. «Bella… C’era il sole e il cielo e il prato, e tante foglie che ballavano» gli disse in tono confidenziale, come se gli stesse rivelando un segreto di capitale importanza. «E era tutto d’oro, e rosa, e porpora, e io ballavo in mezzo a tutto… e c’era Ab con Bettina che era tutta dorata, e tu con degli strani occhiali, e il sole era intorno a noi, e dentro di noi…» Sembrava profondamente felice di quella constatazione.

«Ti piace tanto il sole, piccola?» le chiese Albus accarezzando la piccola mano che ancora lo stringeva.

La bimba annuì entusiasticamente, gli occhi spalancati su qualcosa che solo lei poteva vedere.

Il fratello sorrise. «Qualcosa come questo?» Ad un leggero cenno della bacchetta, nella stanza esplose la luce, una luce dorata che non lasciava ombre e dava a tutto, stranamente, una strana prospettiva appiattita. Un secondo cenno, e i muri si tinsero dei colori trionfanti del tramonto, viola e rosso e rosa e porpora, come aveva descritto Ariana.

La bambina rise e batté le mani, tirandosi su a sedere. «Ancora!» esclamò felicissima guardando i colori mischiarsi e fondersi in una danza vorticosa.

Albus disegnò un ampio semicerchio per aria, e nella stanza esplose la musica, una musica trionfante e vivida come quei colori, mentre tutti gli oggetti della stanza sembravano sollevarsi e muoversi per assecondare le note.

Ariana era entusiasta, sembrava sul punto di mettersi a ballare anche lei, ma Albus, per quanto lieto della sua gioia, sentiva nuovamente la frustrazione salire.

Incantesimo cambia colore. Trasfigurazione, primo anno.

Incantesimo di locomozione. Incantesimi, primo anno.

Sortilegio di illusione musicale. Facoltativo, secondo anno.

Tutte magie che, se si fosse impegnato un po’ di più sullo studio e un po’ di meno sul funzionamento dello stomaco delle capre, anche Abeforth avrebbe potuto eseguire.

Niente che potesse definirsi in qualche modo stimolante per le sue capacità. Era quasi istintivo, la sua mente sapeva cosa fare ancora prima che il pensiero ne prendesse coscienza.

Si costrinse a guardare il viso improvvisamente raggiante di Ariana per convincersi che quegli impulsi erano anormali e assolutamente indegni di lui, e che avrebbe, invece, dovuto imparare a reprimerli. Che valore aveva la sua frustrazione di fronte alla felicità di sua sorella? E se erano solo incantesimi facili… be’, avrebbe potuto passare più tempo a modificarli.

Scoppiò a ridere senza neanche accorgersene. Certo, avrebbe potuto imparare a cambiare i colori in modo autonomo e permanente in base all’umore delle persone… ma immaginava che in quel caso si sarebbe trovato solo circondato da grigi e neri. Poteva imporre alla musica di eseguire tutto il repertorio classico, magico e babbano, in base alla drammaticità del momento. Requiem Aeternam, in tutti i sensi. Poteva imporre agli oggetti di muoversi autonomamente a comando di Ariana… giusto per fornirle una nuova arma impropria al momento opportuno.

Avrebbe potuto fare tutto questo.

In quanto, un minuto? Voleva concentrarsi davvero per trovare nuove combinazioni possibili, voleva applicare la teoria di incantesimi avanzati a quelle magie puerili? Sarebbe riuscito ad arrivare a dieci minuti? E negli altri millequattrocentotrenta minuti che componevano la giornata cosa avrebbe fatto?

«Perché non puoi urlare?»

Di nuovo, si ritrovò a sorridere. A volte se lo chiedeva anche lui. Perché non poteva urlare, quando solo urlando avrebbe potuto finalmente esternare la sua frustrazione senza danneggiare nessuno?

E lui lo sapeva. Era l’unico ad averlo capito. L’unico ad avere penetrato quella spessa coltre di menzogne e paure e segreti che si era costruito, strato dopo strato, per potersi difendere. Credeva. Forse solo perché non aveva mai conosciuto alternative a quella segretezza e a quelle bugie.

Uno strilletto eccitato della sorella lo riportò alla realtà.

«Ora di andare a dormire, piccola» mormorò riuscendo, con sollievo e una punta di compiacimento, a mantenere la voce calma e affettuosa.

La bambina lo guardò con un piccolo broncio, ma si mise obbedientemente sotto le coperte, lasciando che il fratello gliele rimboccasse e la baciasse sulla fronte.

«Era tanto bello…» mormorò chiudendo gli occhioni. «Tutto d’oro come il sole…»

D’oro come il sole…

Mancò poco che Albus si battesse una mano sulla fronte ringhiando. Non era da lui perdere la concentrazione a quel modo, distrarsi ogni pochi secondi… e provare quella frustrazione. Non era da lui.

«Ci vediamo domattina, piccola» disse, provando un intenso desiderio di uscire da quella stanza, di rinchiudersi in camera sua e restare solo a pensare. Magari con un buon libro.

Perciò si avviò con passo felpato alla porta, sospirando di sollievo quando la chiuse dietro di sé.

Il suo sollievo ebbe tuttavia breve durata: alla fine del corridoio lo attendeva Abeforth, la fronte corrugata e le braccia incrociate, fermo nella sua evidente intenzione di parlargli.

Di nuovo, si preparò ad appiattire la mente. Doveva calmarsi. Doveva. Quell’agitazione non andava bene, specie se Abeforth, come pareva evidente, sembrava dell’umore adatto per graziarlo con una delle sue paternali.

Vorrei tanto che si ricordasse che sono io il maggiore…

«Albus, dobbiamo parlare» disse con notevole prevedibilità, tenendo la voce bassa in modo da non disturbare Ariana.

Albus sospirò e distese le labbra in un leggero, educato sorriso. «Senza dubbio non in corridoio» sottolineò mondanamente indicandogli la porta dello studio.

Con un mezzo ringhio, e un leggero rossore in zona orecchi, Abeforth entrò a passo di carica nella stanza e si andò a piazzare vicino alla finestra.

Con molta più calma, Albus si avvicinò alla sedia dietro la scrivania e vi si accomodò, incrociando le dita, con l’aria di chi vuole solo sostenere una garbata conversazione.

La disposizione parve non andare molto a genio al fratello, che s’incupì ulteriormente e strinse più forte le mani. Tutta la scena non riusciva a non fargli ricordare quella volta in cui il suo Capocasa, il professor Dippet, lo aveva convocato nel suo studio in seguito alle proteste dell’insegnante di Cura delle Creature Magiche – quello stupido inetto! – per la sua “mancanza di rispetto”; e il fatto che dietro una scrivania ora si trovasse suo fratello, e per di più un fratello che aveva tutte le intenzioni di rimproverare per la sua scarsa presenza, non contribuiva a metterlo di buon umore. Lo faceva sentire l’accusato, e non l’accusatore.

Perciò gli rivolse uno sguardo rancoroso prima di cominciare: «Albus, c’è un fatto che dopo un mese dalla… da quando siamo rimasti soli, credevo ti fosse entrato in mente: tutto quello che conta, d’ora in avanti, è Ariana, perché lei ha bisogno di noi, di tutti e due noi, per andare avanti.» Fece una piccola pausa, quasi sfidando il fratello a ribattere, poi proseguì: «In quest’ultimo mese… sì, credo che sia stato difficile per tutti e due, e posso capire che, non essendoci affatto abituato» sottolineò beffardo, «prendersi cura di Ariana e non della tua cultura ti sia sembrato un colpo basso.» Si avvicinò alla scrivania, odiando la quiete del fratello e quel suo urbano sorriso. «Ma gradirei che dopo quattro settimane di prove ti mettessi in quella testa geniale che questo è il  nostro futuro, Ariana è il nostro futuro, e quindi sentirsi frustrati e cercare di scappare tutti i santi giorni non ti aiuterà a scappare. Punto.»

«Abeforth» rispose calmo Albus, «vorrei farti notare che in questi ventotto giorni non sono stato io – mi perdonerai la franchezza come io ho perdonato la tua – a sentirmi, e sembrare, frustrato.»

«Per Agrippa, Albus, vuoi deciderti a fare un passo indietro da quello stupido piedistallo su cui ti sei così comodamente piazzato?!» urlò Abeforth perdendo definitivamente il controllo. «È veramente possibile che per te conti di più sentirti sempre il genio della situazione, e sentirti dire quanto sei intelligente, e ricevere premi di tua sorella?! No, non rispondermi!» lo interruppe prima che potesse parlare. «Lasciami l’illusione! Ma ti vuoi ficcare in mente che i temi dei premi e dei riconoscimenti sono lontani, che quello che ci attende ora è un compito difficile, forse, assolutamente non premiato né riconosciuto ma fatto per amore?! Per amore, Albus! Hai una vaga idea di cosa significhi?!»

«Abeforth…» cominciò Albus in tono di avvertimento.

«Taci! Stai soltanto zitto! È nostra sorella, Albus, perché ti dà così fastidio l’idea di prenderti cura di lei?! È parte di noi, parte della nostra vita! Perché non riesci ad accettarlo?! Perché?!» La voce gli tremò pericolosamente, e il ragazzo inghiottì con la bocca singolarmente asciutta. «Soltanto amore, Albus. Cerca anche quello dentro di te, oltre alle risposte degli esami!»

E con quell’ultima frecciata uscì dallo studio sbattendo la porta.

Albus si portò le mani alle tempie e se le massaggiò con lenti, regolati movimenti circolari fino a riuscire a distendersi nuovamente. Ecco uno dei – numerosi – svantaggi di essere cresciuto con una persona che ti odia: sa sempre dove colpirti.

«Sai, davvero non capisco come tu faccia.»

Non lo capiva neppure lui, a volte. Si stava sforzando, sinceramente. Ma a volte davvero non ce la faceva.

Giunse le mani e vi appoggiò il viso, cercando di trovare nuovamente un ordine mentale che – da quel pomeriggio – gli era stato negato.

Una persona lo aveva capito.

Una persona aveva guardato al di là delle apparenze

Una persona era in grado di vedere quello che vedeva lui.

Un sorriso spontaneo, e forse anche un po’ involontario gli andò a curvare le labbra mentre – di nuovo – la sua mente tornava a vagare su quell’incredibile pomeriggio.

Che cosa è un amico? Un altro me stesso.[1]

Albus non sapeva cosa, esattamente, volesse dire l’amicizia, perché non aveva mai incontrato “un altro sé stesso” in grado di fargli provare quel piacere di compagnia che aveva invece sentito quel giorno.

Sapeva però che, ora che lo aveva incontrato, non sarebbe riuscito a farne a meno.

 



[1] Frase, ahimè non mia, attribuita a Zenone di Cizio [N.d.A.]


 

 

 

Angolo Autrice

Come già detto all’inizio, questa storia è da considerarsi il seguito di Acosmìa, anche se credo si possa leggere anche da sola.

Una mia idea delle reazioni di Albus al suo primo incontro con Gellert, e come si inserivano nella sua vicenda familiare, non fra le più rosee.

Ovviamente le mie scuse più trite e ritrite per il mio italiano – che non avendoci più l’orecchio abituato è più che probabile faccia schifo -.-“” – e per la mia probabile assenza di sintassi corretta, ma giuro che ho provato a fare quello che potevo.

E non mi scuserò per la mia nuova cessata latitanza u.u È Natale e quindi abbiamo tutti diritto a un po’ di svago (ah, quindi, fra parentesi, Buon Natale a tutti!).

 

Il titolo – come già successo in “Acosmìa” – indica lo stato d’animo di Albus in seguito a quello sconvolgente dialogo (“ταραχή”, in greco “emozione”, ma anche “scossa” e “turbamento” – e mai ho rimpianto l’assenza del maledetto e benedetto Rocci più di ora).

Spero di essere riuscita a rendere quello che intendevo – non il colpo di fulmine, per quanto altre volte ne abbia letto e con piacere, ma lo sconvolgimento emotivo che prende quando ci si incontra inaspettatamente con un’anima affine. Perché per me è quello che è successo fra Albus e Gellert.

Il tutto condito con la presenza dei due amati fratellini e della frustrazione di Albus, causa fondamentale – a parer mio – di quel “lasciarsi andare” che l’avrebbe portato a subire sensi di colpa per tutta la vita.

Le frasi in corsivo-grassetto sono tratte – mi sto sentendo estremamente ripetitiva – da Acosmìa e vengono pronunciate da Gellert. Prime volte in cui la coscienza di Albus comincia a parlare con la sua affascinante voce dall’accento tedesco…

E per quanto riguarda il resto, orde di Grindeldoriane impazzite non mi saltino al collo solo perché ho chiamato il sentimento fra Albus e Gellert “amicizia”. Giuro che non è omofobia e che a essere onesta la loro coppia mi piace pure parecchio, ma sinceramente non ce lo vedo Albus – almeno l’Albus che mi immagino io – a cadere ai piedi di Gellert completamente cotto un mese dopo la morte di sua madre; e calcolando che siamo a fine ottocento (Wilde insegna T_T *minuto di silenzio all’illustre genio ucciso*) è anche estremamente improbabile, nella mia ottica, che abbia collegato subito i sentimenti che provava per Gellert a quello che tutti i libri del mondo chiamano “Amore”. Perciò, non mi linciate, perché sono giovane e voglio vivere u.u

 

Ma passiamo ora ai più che dovuti Ringraziamenti per quelle straordinarie persone che hanno deciso di leggere – e commentare O.O – prima Curioso e poi Duello Fatale.

 

Per Curioso:

a piccolaSele: fin’ora non sono mai stata in carcere e quindi non posso giudicare a riguardo, ma credo che dopo cinquant’anni – cinquanta! – spesi in compagnia solo di sé stessi qualche opportuna riflessione introspettiva venga quasi per forza. E Grindelwald è sempre stato definito come una persona notevolmente geniale, quindi… lieta che le mie rinomate incapacità si sintesi non abbiano rovinato la Drabble, sapere che, malgrado le suddette incapacità, ti sia piaciuta è una bella soddisfazione – specie per una persona vanitosa come me u.u Perciò grazie di cuore! LadyMorgan

a malandrina4ever: giuro che mi dispiace, ma quaggiù sono circondata da boschi e neve e americani analfabeti e quindi pensare ai Malandrini è quanto mai difficile -.-“ E poi questi due mi ispirano… non ci posso fare niente, che cavolo, tu non hai smesso di scrivere su Regulus solo perché non era parte dei malandrini, giusto? Ecco, quindi io ogni tanto posso sgarrare u.u (non ti azzardare a smettere di scrivere su Regulus altrimenti perdo anche quelle – poche – scuse che mi pongo ogni volta quando contrariamente ad ogni buon senso vado su EFP a leggere velocissimamente due ff T_T). Violetti saluti d’oltreoceano – e sì, se sarò ispirata scriverò anche su di Loro, parola di giovane marmotta -.-‘’ – SSP

a MissBlackspots: fiu, se l’IC è rimasto protagonista allora posso farmi tanti patpat sulle spalle perché è una delle cose a cui tengo di più e una di quelle che ho più paura di infrangere… Devo ammettere che, visto da un punto di vista (?!?) assolutamente fatalistico, se Albus non avesse incontrato Gellert sarebbe veramente rimasto tutta la vita dietro Abeforth e Ariana, e per quanto cinico possa sembrare il mondo ci avrebbe perso qualcosa, ma allo stesso modo se Albus non fosse intervenuto a fermare Gellert non solo tutta l’Europa sarebbe sprofondata nel nazismo – cosa la Rowling non è riuscita a fare con i suoi libri O.O – ma Gellert stesso sarebbe semplicemente diventato un precedente, inarrestabile Voldemort. Perciò entrambi si servivano u.u E quindi lietissima che la mia opinione sia condivisibile ^^ LadyMorgan

 

Grazie anche a rem95, che ha ritenuto questa drabble degna di entrare fra le sue preferite ^^

 

 

Per Duello Fatale:

a Icesmile: lietissima che la storia ti sia piaciuta, è una delle mie più vecchie interpretazioni di cosa sarebbe potuto succedere durante quello scontro terrificante… Grazie per il commento! LadyMorgan

a TINAX86: sono d’accordo, Abeforth – almeno per me – è un personaggio straordinariamente interessante proprio perché, pur essendo un “comune mortale” messo a confronto con un fratello troppo geniale era riuscito a capire prima di lui l’importanza dell’Amore, intendendo amore disinteressato e altruistico per un’altra persone – nello specifico, Ariana. A quanto so il fatto che Albus e Gellert fossero più che amici è Canon e dichiarato dalla Rowling, però devo confessare che per come li vedo io non erano una di quelle coppie che non riesce a pensare ad altro che “quanto ti amo” e “quanto ti voglio” ma soprattutto ai loro progetti e ai loro obiettivi… ma questa è una mia interpretazione u.u Ad ogni modo il dramma di Albus è doppiamente sentito se si pensa a una lacerazione fra amore familiare e amore romantico, specie se accompagnato da un’affinità di animi come quella che ho sempre sentito io fra lui e Gellert. Sono contenta che la storia ti sia piaciuta, e il tuo commento mi ha fatto veramente piacere! LadyMorgan

a S0emme0S: *me lietissima di essersi meritata una recensione da sì augusta Grindeldoriana ^^* aehm, dicevo, sono molto felice che la storia ti sia piaciuta anche se i personaggi non hanno reagito nel modo che ti immagini tu, dev’essere il bello del mondo delle fan fiction: possiamo inventarci quel che cacchio ci pare u.u In quanto a grindeldore_ita, uno di questi giorni è più che probabile che mi iscriverò sul serio, perché sto andando fuori di testa per questi due e il continuare a reprimere il tutto non serve assolutamente a niente, purtroppo e per fortuna… T_T di sicuro quando torno in Italia lo farò. Resta da vedere se sarò capace di resistere fino ad allora… Grazie mille per il commento e per l’invito (*me fa la ruota come un pavone*) e, spero, a presto, LadyMorgan PS: se devo essere onesta questa storia te la dovrei dedicare, dato che è nata da uno spunto che mi avevi dato ad Acosmìa, e cioè: perché mai Albus si sarebbe dovuto aprire tanto di fronte ad uno sconosciuto? Quindi, di fatto, i miei ringraziamenti sono duplici ^^

a MissBlackspot: di nuovo, ciao e grazie ^^ Per prima cosa, *______________* se la storia veramente è riuscita a raccontare il tutto “cinematograficamente” e se i personaggi ti sono piaciuti nel loro sviluppo. Il tormento di Albus è uno degli aspetti che più mi intriga del suo carattere: dopotutto, sappiamo dalla Rowling che se lo porterà dietro per tutta la vita, e in quella circostanza – appena diciottenne e con di fronte una scelta terrificante come può esserla quella fra famiglia e amore – doveva essere stata davvero lacerante. Se sono riuscita a renderla davvero sono una persona felice ^^ E Ariana devo dire che mi ha sempre fatto molta pena, sia da viva che da morta… Che altro dire, grazie mille! LadyMorgan

a malandrina4ever: ti odio. … … Ci hai creduto? Perché se sì te lo meriti visto il colpo che mi  hai fatto prendere con quella tua recensione -.- Ad ogni modo, io non posso odiarti più di quanto ti possa fare schifo (che bello poterlo dire!), quindi immagino che il problema sia risolto u.u Allora, non so di preciso se con “altra” storia tu intendessi Defying Gravity o Acosmìa, nel primo caso ti posso anche dare ragione ma nel secondo no u.u Quella mi piace di più (sarà per il fascino del titolo greco…). Ma come ben sai queste sono tutte divagazioni per nascondere quanto profondamente e intrinsecamente mi faccia piacere il riuscire a trovarti anche in quelle storie che non c’entrano niente con i MM (Mitici Malandrini, ovviamente, detti anche la Sacra Tetrade, le Loro Supreme Deficienze, i Compagni della Rivoluzione e delle Legioni per l’Annientamento di Soggetti Inutili e Potenzialmente Noiosi etc.etc – perché a elencare tutti i Loro titoli stiamo qui fino a notte – e qui è già notte, quindi fai un po’ i conti u.u), ehm, stavo dicendo, sono sempre più che lietissima di trovarti qui perché mi manchi T_T E ora tutta la mia credibilità come SSP è andata a farsi benedire e quindi mi ritroverò disoccupata e sotto i ponti. Ed è anche Natale! Vergognati, mi hai disoccupata sotto Natale! T_T Ad ogni modo, immagino tu sia l’unica a cui possa permetterlo… perciò… ecco, buon Natale e vai avanti con CAS perché quando torno la voglio completa e servita su un piatto d’argento, ecco -.- (d’argento violetto, ovviamente u.u) SSP (una volta… T_T)

a sissigryffindor: mai stata amata per così poco, ma, diciamolo, la cosa mi piace ^^ Anche io sono sempre stata estremamente affascinata da questo episodio perché, da brava anarchica, sono attratta dal caos psicologico che uno scontro del genere può aver causato, e se sono riuscita a renderlo, be’, tanti patpat a me, allora! Solo, mi dispiace di averti fatto detestare Grindelwald perché – confesso – a me intriga parecchio come personaggio… Ma ad ogni modo, ognuno a gusti propri e se questi sono i tuoi niente da ridire a riguardo, perché in effetti Gellert è abbastanza poliedrico da offrire tante ragioni per amarlo quante per odiarlo. È parte del suo fascino u.u E sì, purtroppo la fine è sempre straziante T_T Grazie mille per la recensione, credo sia inutile sottolineare quanto mi abbia fatto piacere, vero? Grazie, grazie, grazie! LadyMorgan

a aGNeSNaPe: siamo in due ad odiare l’OOC, allora -.- è una cosa che veramente mi dà fastidio, specie quando i personaggi si offrono a così tante sfaccettature – perfettamente IC, per di più – già di per loro. Però devo confessare che a volte è difficile, perciò se mi dici che sono riuscita a mantenerli fedeli a sé stessi mi fai veramente un grandissimo complimento, perché è una cosa a cui tengo tantissimo e che mi dà un fastidio terrificante non rispettare. Per carità, ci sono in giro anche degli OOC piuttosto buoni, però… non so. Non mi ispirano, diciamo. Perciò grazie per questo complimento che da solo ne vale altri mille e grazie per esserti fermata a commentare questa storia – da autrice egocentrica e vanitosa posso confermare che la cosa fa veramente un piacere immenso… Spero che questa non rovini tutte le precedenti affermazioni xD A presto – spero – e grazie ancora, LadyMorgan

 

E ovviamente, grazie anche a aGNeSNaPe (di nuovo ^^) e Polka per aver aggiunto questa storia alle preferite e a enifpegasus per averla fra quelle da ricordare.

Può per un autore esistere soddisfazione maggiore?

  
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